PAUL KLEE: UNA RICOGNIZIONE |
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4. TEMI: L'UNIVERSO "La sua concezione di fondo era genetica: egli vedeva dappertutto il divenire e per ciò richiamava l'attenzione sull'agire dell'essere" [Schmalenbach, 1970]. Lo abbiamo già in parte visto parlando del suo rapporto con la natura. In effetti, Klee rinuncia a rappresentare la terza dimensione. Ritiene artificioso, illusorio, il tentativo di rendere le tre dimensioni su una superficie bidimensionale come il quadro, perciò sceglie le sole due dimensioni cartesiane. Lì non c'è prospettiva perché non c'è, appunto, la terza dimensione: perciò i soggetti non sono in relazione tra loro secondo questo criterio. Ma Klee unisce alle due prime dimensioni il movimento – la quarta dimensione - nel senso del farsi del mondo a partire dai suoi principi primi. Tempo e movimento si equivalgono. Il tempo di Klee è un tempo molteplice, è il tempo della poesia, quello della musica e quello del cinema. "Tempi vorticosi e tempi lentissimi, scrive Gillo Dorfles, perché anche là dove la linea si arresta ritroviamo spesso il tempo che diviene scanditura di ritmi che si dissolvono verso il nulla". Una delle grandi novità della pittura di Klee consiste, infatti, nel tempo che entra dentro il quadro. Le linee e le frecce che lui disegna alludono sempre ad un percorso, oltre che ad un valore, e un percorso è strettamente legato al tempo. Klee è un evoluzionista e un cosmologo. Il suo giocare con le dimensioni rappresentabili ricorda (e anticipa) le teorie fisiche attuali sui mondi a più dimensioni. Ma perché introdurre il tempo nella bidimensionalità? Perché il tempo è una costante; le forze naturali si evolvono, c'è un passato e c'è un futuro: dunque, qualsiasi dimensione o gruppo di dimensioni scorre su un nastro temporale, anche se questo nastro può benissimo essere reversibile (come appunto ci dice anche l'astrofisica moderna con la teoria dei buchi neri). Naturalmente Klee non poteva intendere la questione della bidimensionalità della rappresentazione da lui pensata negli stessi termini in cui oggi la fisica sta esplorando la possibilità che esistano diversi universi, ivi compresi quelli a una o a due dimensioni. Per quanto, le prime speculazioni scientificamente serie sull'esistenza di più dimensioni risalgono al 1919 ad opera del fisico polacco Theodor Kaluza, che ampliò la teoria di Einstein supponendo l'esistenza di una quarta dimensione spaziale arrotolata su se stessa. Sarebbe interessante fare una ricerca documentaria sulle letture di Klee e sui rapporti cronologici tra le teorie scientifiche sull'universo e le sue realizzazioni pittoriche. E del resto già nell'Ottocento si era capito che dal punto di vista matematico-geometrico potevano esistere spazi contenenti un maggior numero di dimensioni. La geometria non euclidea vide ad esempio la luce nella seconda metà di quel secolo. Ma la cosa importante è che tali suggestioni erano comunque nell'aria e si sa che la percezione delle atmosfere culturali da parte degli artisti è molto acuta. Facciamolo dire allo stesso Klee: "Oggi la relatività delle cose visibili - scrive – è nota, di conseguenza consideriamo come un articolo di fede la convinzione secondo la quale, in rapporto all'universo, il visibile costituisce un puro fenomeno isolato e che ci sono, a nostra insaputa, altre numerose realtà". A me fa venire in mente la patafisica dello scrittore Alfred Jarry, pubblicata nel 1907 con il titolo Gesta e opinioni del dott. Faustroll Patafisico. Che cos'è la patafisica? E' la scienza delle soluzioni immaginarie. Essa infatti, dice Jarry, "studierà le leggi che reggono le eccezioni e esplicherà l'universo supplementare a questo; o meno ambiziosamente descriverà un universo che si può vedere e che forse si deve vedere al posto del tradizionale, le leggi che si è ritenuto di scoprire dell'universo tradizionale essendo anche delle correlazioni di eccezioni, sebbene più frequenti, in ogni caso fatti accidentali che, riducendosi a delle eccezioni poco eccezionali, non hanno neppure l'attrattiva della singolarità". E il dott. Faustroll Patafisico, ad un certo punto, dichiara: "L'etere luminoso e tutte le particelle della materia, che io distinguo perfettamente, avendo il mio corpo astrale dei buoni occhi patafisici, ha la forma, a prima vista, di un sistema di listelle rigide articolate e di volani animati da un rapido movimento di rotazione, sostenute da alcune di quelle listelle." Però c'è poco da sorridere. Le teorie scientifiche attuali dicono che esisterebbe un multiuniverso o megaverso in cui la nostra dimensione è immersa su una specie di membrana tridimensionale insieme a quelle di altri universi dotati di maggiori o minori dimensioni. Insomma, Klee compie un'operazione che potremmo chiamare iperspaziale. Egli sembra aver pensato: cosa vieta, in una genesi plurima, che le dimensioni siano tra loro raggruppate escludendone alcune e cosa vieta di esprimere questa visione secondo un andamento cromatico musicale, oltre che di segni? Ancora una volta, rinveniamo qui una singolare equivalenza tra l'arte di Klee e quella di Italo Calvino, specialmente del ciclo fantascientifico. Del resto, non è forse vero che oggi alcune teorie sulla costituzione ultima dell'universo lo descrivono come una complessa sinfonia cosmica, vibrata da piccolissime cordicelle: le stringhe? |