Note di Frédéric Bußmann

Note Capitolo 1

1

Maltese, Corrado, Storia dell'arte in Italia. 1785-1943, Torino 1992, p. 268.

2

Sarebbe dunque interessante pensare alla relazione tra opera d'arte e la sua riproducibilità e la qualità di un arte adatta all'impegno politico. Purtroppo l'autore non è capace di farlo in questa tesina.


Note Capitolo 2

1

Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Torino 1899, p. 279, citato in: Maltese 1992, op. cit., p. 269.

2

Scotti, Aurora, Pellizza da Volpedo. Catalogo generale, Milano 1986, p. 10.

3

«Fattori seguiva con impegno e pazienza i propri allievi e Pellizza fu subito soddisfatto e rinfrancato, stringendo amicizia con i compagni, fra cui Plinio Nominellie Guglielmo Micheli [...]» Ibidem, p. 10.

4

Ibidem, p. 10.

5

Sul Tallone Pellizza diceva più tardi: «Delle regole del buon disegno e della maschia pittura [il Tallone] fu l'unico fra i miei maestri»; citato in: Maltese 1992, op. cit., p. 268.

6

Ibidem, p. 268.

7

Non parlarerò del divisionismo come stile artistico. Con questa citazione vorrei indirizzare al libro della Quinsac sul divisionismo italiano del 1972. «[...] cette idée, fruit d'un siècle d'investigations scientifiques et de réflections littéraires, à savoir que couleur et lumière sont une même donée puisque la le première n'est perceptible que par l'intervention de la seconde. Traduire la lumière, non plus par le recours au contraste, c'est-à-dire en utilisant l'ombre, mais par un emploi savant et raisonné du pigment coloré[...].» Quinsac, Annnie-Paule, La Peinture Divisioniste Italienne. Origines et Premiers Développements. 1880-1895, Paris 1972, p. 194. Alla fine della tesina sono enumerati altri cataloghi di mostre sul divisionismo negli anni scorsi.

8

Giuseppe Pellizza, Il Pittore e la solitudine in Fiori, Teresa, Archivi del Divisionismo, Roma 1968, pp. 200 sugg.

9

Scotti 1986, op. cit., p. 12.

10

Ibidem, p. 12.

11

Ibidem, p. 13.

12

Ibidem, p. 13.

13

«Fu Morbelli a procurare da Milano a Pellizza i volumi teorici di ottica, come il Rood, necessari per approfondire scientificamente lo studio della luce e del colore: l'analisi sistematica di Pellizza è ben percepibile in Panni al sole, vero paradigma del Divisionismo e di altissimo rigore compositiva.» Ibidem, p. 13.

14

«Un diverso simbolismo “positivo”, che radicasse nel vero idee universali ed attuali in parallelo allo sviluppo progressivo della società, era discusso nella rivista artistica La Triennale, apparsa nel 1896 a Torino in commento della mostra della Società Promotrice e diretta da un collettivo d'artisti, tra cui spiccano lo scultore Bistolfi e il redattore capo Giovanni Cena. In quell'occasione accanto ad articoli sull'idealismo artistico e la scienza, Victor Grubicy, discutendo la portata sociale della tecnica divisionista, ne sottolineava l'evidenza realistica, capace di comunicare alle grandi masse un contenuto spirituale: “tanto la suggestione che la tecnica divisionista, lungi dall'escludere la chiarezza, l'intelligibilità e la correttezza, sono i portabandiera [per] mettere l'arte alla portata del vero popolo”.» Victor Grubicy, Giovanni Segantini e la portata sociale della tecnica divisionista, in: La Triennale, n. 13, pp. 102-4; in: Lamberti, Maria Mimita, Pellizza da Volpedo e il Quarto Stato, in Storia dell'arte italiana, II. parte vol. III cap. 5, p. 87 sug.

15

«[...] in maggior consonanza con gli ideali simbolisti, maturati nel corso del 1895, lo intitolò allora Fiumana, dedicandolo alla rappresentazione a scala monumentale di una protesta contadina ambientata nella nativa Volpedo e punto nodale del dibattito fra realtà e idea.» Scotti 1986, op. cit., p. 14.

16

Pellizza citato in: Anzani, Giovanni e Carlo Pirovano, La pittura del primo Novecento in Lombardia (1900-1945), in: Carlo Pirovano (a cura di), La pittura italiana. Il Novecento, Milano 1991, p. 74.

17

Scotti 1986, op. cit., p. 15.

18

Ibidem, p. 15.

19

Ibidem, p. 16.

20

Pellizza citato in: Pirovano 1991, op. cit., p. 74.

21

Lamberti 1982, op. cit., p. 93.

22

Maltese 1992, op. cit., p. 269.

23

Gino Severini citato in: Scotti 1986, op. cit., p. 19.

24

P. J. Proudhon 1865 citato in: Lux, Simonetta, Sociologia dell'arte. Definizioni, storia, bibliografia, Roma 1979, p. 14.

25

«[Il Divisionismo] si riallaccia al naturalismo e ne fa parte; esso non è che un mezzo tecnico per riprodurre colle materie coloranti le vibrazioni luminose dei raggi onde si compone la luce.» Giuseppe Pellizza, Il Divisionismo come mezzo tecnico, in: Fiori 1968, op. cit., p. 198.

26

«Poi dal Nominelli, dal Morbelli, dal Segantini, apprese, a cominciare dal'92, la tecnica divisionista, e, insieme, l'esigenza di conferire un più largo contenuto ideale al suo lavoro.» Maltese 1992, op. cit., p. 268 sug.

27

Scotti 1980, op. cit., p. 9.

28

Ibidem, p. 9.

29

«I procedimenti interni pei quali un artista pittore ci dà una sua opera possono avere due moventi: o l'idea, concepita la quale l'artista cerca nella natura le forme atte a rappresentarlo o la vista casuale di forme della natura che in lui determinano l'idea.» Pellizza citato in: Ibidem, p. 9.

30

Ibidem, p. 12.

31

Hobsbawm, Eric J. et al. (a cura di), Il marxismo nell'età della seconda internazionale (Storia del marxismo, vol. II), Torino 1979, p. 80.

32

Gustave Courbet, Le Réalisme, Parigi 1855; qui citato in Negri, Antonello, Il Realismo. Da Courbet agli anni Venti, Bari 1989, p. 8.

33

Pellizza nel 1889 in: Scotti, Aurora (a cura di), Il quarto Stato, Milano 1976, p. 83.

34

Pellizza in un lettera ad A. Morbelli del 12 Maggio 1895, in: Ibidem, p. 95.

35

Scotti 1980, op. cit., p. 12.

36

Grubicy de Dragon, Victor, Tecnica ed estetica divisionista, citato in: Damigella, Anna Maria, La pittura simbolista in Italia. 1885-1900, Torino 1981, p. 185.

37

Pellizza in una lettera a Neera del 1897, in: Fiori 1968, op. cit., p. 206.


Note Capitolo 3

1

Il Nome “da Volpedo” è stato aggiunto da lui stesso per mostrare il suo legame col suo paese natale

2

cf. Comune di Tortona, Catalogo dei Manoscritti di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Tortona 1974 e Scotti 1976, op. cit.

3

Cf. anche il catalogo della mostra Arte e socialità in Italia dal realismo al simbolismo 1865-1915 nel Palazzo della Permanente, Milano 1979.

4

Il bozzetto non è stato ancora attribuito a Pellizza nella monografia di Aurora Scotti sul Quarto Stato del 1976; Scotti 1986, op. cit., p. 278.

5

Scotti 1980, op. cit., p. 12.

6

«La scena è stata spiegata dallo stesso artista in una pagina di una diario, che chiarisce anche il paessaggio alla immediatamente successiva tela di Ambasciatori della fame. In data primo maggio leggiamo: “Io ho fatti fin dallo scorso anno studi e abbozzi per un quadro così concepito = Siamo in un paese di campagna, sono circa le dieci e mezzo del mattino d'una giornata d'estate il sole lancia i sui potenti raggi - due contadini s'avanzano verso lo spettatore, sono i due stati ordinati dalla massa di contadini che vien dietro per perorare presso il Signore la causa comune - Uno dessi intelligentissimo energico parrebbe nato anziché pei lavori di campagna pegli ardui sentieri del pensiero, l'altro che lo vien coadiuvando è uomo dalla tempra forte robusta bonaria in lui un non comune buon senso è stato causa dell'incarico affidatogli - Un compagno si avvicina loro e vuol indurre il capo a voltarsi per veder la sua moglie che col bambino in collo è svenuta per fame [...] - il palazzo è dietro lo spettatore manda la sua ombra sul primo piano del quadro - [...] di questi primi [contadini nello sfondo] sei il primo a destra tien stretto un pugno per accompagnare un pensiero che ha fitto in capo, il secondo tien le braccia incrociate sul petto, il terzo porta la man destra alla fronte e guarda il cielo, il quarto è un vecchio che s'avanza sostenuto dal suo bastone e da un quinto caritatevole e giovane contadino, il sesto ed ultimo che si trova vicino al muricciolo che fiancheggia la strada ha le braccia allungato verso terra in avanti e lo sguardi pur verso terra a pochi passi avanti a lui forse verso la donna svenuta e par in atto di dire “ecco il premio dopo tanti sudori, fatiche ecc.” - dietro ad essi vien la massa del popolo senza schiamazzo tranne laggiù in fondo dietro a tutti un pugno alzato, solo un pugno, che è come un avvisamento qualora il caso fosse disperato e la fame pervenisse all'insopportabilità. [...] Vado in me ognora pensando a trovare poche parole, se potessi una sola, che sintetizzi il pensiero che ho emesso sopra “olla fermezza e senza fanfaronate si ottiene ciò che ci vien di diritto” quella parola se la trovasse vorrei metterla per titolo”.» Scotti 1986, op. cit., p. 278.

7

Pelissero, Gabriella, Pellizza per il “Quarto Stato”, Torino 1977, p. 7.

8

cf. Pelissero 1977, op. cit., p. 8.

9

Ibidem, p. 9

10

Ibidem, p. 9.

11

Cf. la fotografia antica, tav. 6 Paesaggio presso la pieve riprodotto in Scotti 1976, op. cit., p. 169.

«Una vecchia fotografia conservata a Volpedo fra le carte carte del pittore raffigurante la piazza Malaspina a Volpedo ci documenta il lavoro di attenzione precisa e scupolosa del vero compiuto di Pellizza in preparazione al suo quadro di soggetto impegnato e "sociale" intrapreso nei primi anni Novanta. [...] Inoltre il lavoro del pittore ha avvicinato i piani del muretto e della pieve facendo sentire il nucleo di destra della composizione come costruito da un compatto e severo incastro di volumi. In questo senso il quadro svolge più chiaramente gli spunti compositivi appena suggeriti dal disegno del taccuino 13 dello studio di Volpedo del 1891 e mette a punto il rapporto tonale delle varie parti nel caldo impasto dominante di ocra rosti contrastati dalle ombre grigiastre e dai verdi e dagli azzurri del fondo. Lo studio isolato del paesaggio sembra voler mettere a fuoco con esattezza il luogo teatrale, la scena prescelta per la rappresentazione, in modo da poter poi comporre senza problemi gli aggruppamenti e i posizioni dei protagonisti. [...] Per le limpidezza del colore e per la vicinanza al bozzetto di Ambasciatori della fame ritengo possibile anche per questa tela una datazione del 1892.» Scotti 1986, op. cit., p. 279.

12

«[...] il tipo di colore usato, limpido, ma distribuito ancora per masse, e la tersità e saturazione luminosa ottenuto pur senza usare il colore diviso. [...] Ambasciatori della fame che, sottolineando il sicuro incedere del gruppo, poteva anche idealmente allagarsi ai moti del 1888-90 contro gli aumenti del pane e la disoccupazione seguita alla grave crisi agraria. Se già nel disegno (Gruppo di contadini, 1891) le bandiere avevano lasciato il posto agli attrezzi agricoli, visibili sullo sfondo, nel bozzetto (Ambasciatori della fame, 1891) anche questi erano scomparsi e solo alle figure era affidata la precisa rappresentazione di un momento delle lotta di classe, con più forza di quanto fosse fatto dalla stessa stampa socialista. Il quadro diventa così il momento in cui Pellizza poteva saldare esperienza e opera individuale a esperienze e partecipazione collettiva.» Scotti 1976, pp. 28 sug.

«[...] Colpisce la modulazione delle immagini, riassunte in larghe pennellate che squadrano e rendono plastica la forma entro precise coordinati spaziali date dei piani perpendicolari e ben strutturati delle quinte architettoniche. Il colore puro e terso su quasi tutta la tela consente una datazione del 1892.» Scotti 1986, op. cit., p. 278.

13

«” Il giorno 12 corrente ho attaccato al muro la carta per il cartone di un quadro che voglio fare e che intitolerò Gli ambasciatori della fame. Lunedì14 corrente ho incominciato il paesaggio in cui dovrà svolgersi la scena copiato da un bozzetto che ho fatto sulla piazzetta del palazzo qui a Volpedo fine dal 1892, appositamente (è prima ancore del 1892 che io ho intenzione di fare questo quadro). Durante questa settimana ho disposto sul cartone le figure che sono una cinquantina - mi son servito del bozzetto che feci fin dal 1892 e che a diverse riprese modificai - tal bozzetto embrionale io ho dovuto modificarlo e perfezionare sul quadro la composizione - sul bozzetto la folla dei famelici che stanno dietro la prima fila era appena accennata. Gli ambasciatori sono due si avanzon seri sulla piazzetta verso il palazzo del signor che proietta l'ombra ai loro piedi - di dietro il paesaggio dardeggiato del sole - a destra di chi guarda una via che mette sulla piazzetta; là un fondo una chiesuola pieve attorniata dal verde - a sinistra la via del Torraglio - è per questa via che si avanza la fame coi i suoi atteggiamenti molteplici - Son uomini, donne, vecchi, bambini: affamati tutti che vengono a richiamare ciò che di diritto - sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare ne più ne meno di quel che gli spetta - essi hanno sofferto assai, è giunta l'ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione - qualcuno potrà alzare il pugno in atto di minaccia ma la folla non è, con lui, essa fida nei suoi ambasciatori - gli uomini intelligenti i quali se avessero studiato potrebbero essere qualcosa di importante nella società magari ministri - così ragionava in se ogni persona - Una donna accorso mostra il macilento bambino, un'altra, una terza, è per per terra che tenta invano di allattare il bambino sfinito colle mammelle sterili - un'altra chiama impreca [...].” [...] compare molto chiaramente anche la visione positiva dell'approccio al tema sociale nell'indicazione della rivendicazione specifica di un diritto da parte dei lavoratori e nel rifiuto di azioni di lotta e di forza violente. E' questo atteggiamento che improntò tutto il pensiero politico e l'ideologia socialista di Pellizza e che comportò anche il rifiuto di connotazioni specifiche dei lavoratori con gesti de protesta con attrezzi o con altri elementi che facessero riferimento specifico alla loro professione, per puntare sulla umanità delle figure e sul loro ineluttabile diritto a non morire di fame in quanto uomini prima di lavoratori. [...] La delicatezza del mezzo grafico usato ha portato col tempo in questo come in altri cartoni eseguiti da Pellizza per il suo quadro ad una perdita di colore ed una immagine più sfumata e priva di contrasti: tuttavia spicca la forza con cui sono abbozzate le due figure in primo piano, con elementi di geometrizzazione dell'immagine che rielaborano alcuni dati prescelti [...].» Scotti 1986, op. cit., p. 356.

14

Pellizza citato in: Pelissero 1977, op. cit., p. 21.

15

«La consapevolezza del crescere del movimento proletario, le notizie di scioperi, eccidi e dimostrazioni di piazza avevano stimolato Pellizza non più verso la riproduzione di un episodio che riguardava un piccolo gruppo di contadini, ma verso l'epopea.» Scotti, Aurora (a cura di), Pellizza da Volpedo, Milano 1980, p. 12.

16

Pelissero 1977, op. cit., p. 27.

17

Pellizza in: Scotti 1976, op. cit., p. 89.

18

A questo rispetto scrive Scotti 1976, op. cit., p. 90: « Pellizza andò poi staccandosi di questa concezione così subordinata della donna, promuovendone anche l'esigenza di istruzione che egli cominciò a stimolare nella stessa moglie Teresa che anzi passò poi in posizione non subordinata ma fiancheggiatrice, seppur con bimbo in braccio, per il Quarto Stato.» Su questa interpretazione di posizione non subordinata ma fiancheggiatrice della donna l'autore non è d'accordo.

19

Scotti 1986, op. cit., p. 357.

«La scena si svolge sulla piazzetta Malaspina e lo sfondo è quello che compariva in Ambasciatori della fame. Proprio nel corso dell'agosto 1895 Pellizza decise di passare al nuovo titolo, che doveva alludere alla maggior massa di gente alle spalle dei primi protagonisti, massa che puntualmente ritroviamo in questa tela. Rispetto ai bozzetti precedenti Pellizza ha però eliminato lo stacco d'ombra in primo piano, portando quindi avanti le figure; in conseguenza queste sembrano anche riprese meno dall'alto ed hanno una massa leggermente più slanciata. Nel corso dell'esecuzione del bozzetto Pellizza deve aver anche deciso di trasformare in una figura femminile con bambino in braccio il giovinetto alle spalle dell'uomo al centro del quadro: dell'impostazione del giovinetto resta ancora una traccia nell'ombra del braccio rivolto all'indietro. Rispetto ai bozzetti precedenti Pellizza ha inoltre variato la gamma luminosa che è ora impostata su contrasti di toni dal giallo al rosso, con dominanti sulfuree nelle figure e su toni dal blu al verde nello sfondo, dove il cielo è di forte intensità blu azzurrata e i verdi delle piante su riflettono nel terreno. La pennellata è a trattini, divisa con dominanti verdi, rosa e azzurre: la camicia dell'uomo a sinistra ha riflessi rosati, quella dell'uomo al centro è bianca e stacca dal panciotto rossastro; i calzoni del primo sono fatti da puntini, quello al centro a più lunghi filamenti e con tecnica mista la veste della donna. Le forme iniziano un processo di idealizzazione perché si allungano ed acquistano un impianto a volte quasi tubolare. Se le figure di donne sulla destra, appoggiante al muretto, sembrano ben incarnare le tipologie descritte per Ambasciatori della fame, più tumultuosa ed irruente sembra invece la folla maschile proveniente dal fondo in cui le figure si sono moltiplicate e in cui spiccano sono alcuni, pochi atteggiamenti. Nella parte alta della tela compare per la prima volta la traccia in una cornice centinata che poi rimase nell'opera definitiva.» Scotti 1986, op. cit., p. 357.

20

Pellizza citato in: Pelissero 1977, op. cit., p. 29; cf. «[L'arte deve essere una] rappresentazione idialista della natura e di noi stessi, in vista del perfezionamento fisico e morale della nostra specie.» P. J. Proudhon 1865 citato in: Lux 1979, p. 14.

21

«La tela era a cornice rettangolare e seguiva abbastanza fedelmente nell'impianto generale il bozzetto, ma fin dal 1895 Pellizza aveva portato delle varianti significative, come egli stesso precisò, alla linea del paesaggio e alle spalle dei protagonisti. Per giudicare di questi cambiamenti è utile confrontare il bozzetto più che con la tela come oggi la vediamo, con la fotografia di Fiumana, datata sul verso 1896. Le tre figure in primo piano si presentano più slanciate e più sottili i quanto non prevedesse il bozzetto eseguito nello stesso 1895, ma è sopratutto la linea di figure retrostanti che ha subito variazioni: sulla destra lo spazio sembra essersi più dilatato e vi compaiono, davanti al gruppo delle donne, alcuni uomini che sopraggiungono in corso, staccando da un altro gruppo in arrivo; acanto ad essi le figure si presentano anch'esse estremamente allungate e slanciate ad accompagnare 'l'avanzarsi dei protagonisti, mentre sulla fine della prima fila a sinistra la sequenza è chiusa da un uomo con cane e da due altre figure che raccordano la composizione ad una più ampia schiera immaginata al di fuori del campo. Numerose le teste nei piani retrostanti ad accennare una folla, che preme per venire in avanti, mentre nel paesaggio di fondo, la pieve viene un po' allontanata rispetto al muretto che delimita la strada ed una piùfitta cortina di alberi accompagna le strutture architettoniche. Per lo studio compositivo Pellizza dovette servirsi anche di alcune fotografie eseguite appositamente coi i suoi modelli in posa fra cui anche la moglie Teresa. La composizione di questa prima versione di Fiumana chiarisce i termini del mutamento del titolo dell'opera: la folla dei lavoratori e del popolo alle spalle dei protagonisti sembra dover crescere e aumentare senza costa, arricchendosi lungo il cammino apporti sempre vari e nuovi, giustificando le metafore ispirate ad una piena di un fiume uscente dagli argini e straripante che Pellizza individuava nella etimologia del termine. [...]» Scotti 1986, op. cit., p. 361.

22

Giovanni Cena, Il vero nell'arte, in: la Triennale, n. 3 1896, p. 19, citato in: Lamberti 1992, op. cit., p. 88.

23

La Fiumana, Giuseppe Pellizza in: Fiori 1968, op. cit., p. 198.

24

Pellizza 1895 citato in: Pelissero 1977, op. cit., p. 7.

25

Pellizza citato in: Ibidem, p. 21.

26

Specializzata su Pellizza da Volpedo e pubblicatrice di una grande parte dei libri su lui tra cui la sua opera generale

27

«La consapevolezza del valore e del significato di Fiumana e il rigore di applicazione del divisionismo inteso come mezzo per raggiungere non solo la massima intensità luminosa possibile, ma anche una assoluta verità di rapporti luminosi fra le parti, portarono Pellizza a giudicare severamente un errore di rapporti di luce da lui individuato nel quadro e a rielaborarlo con foga e sostanza, a un tempo, rivedendo l'impostazione stessa dei gruppi. Rese più fitta la schiera dei personaggi di fondo ed eliminò le pause naturalistiche del cagnolino e delle donne appoggiate al muretto della "pieve" e rese più impetuosa la fiumana, rivedendo il modellato stesso delle figure facendole avanzare a cuneo verso l'osservatore (Il cammino dei lavoratori, 1898). Questo dinamismo nuovo delle immagini, arricchite di notazioni realistiche si traduceva anche in nuovi valori cromatici per cui, abbandonando la chiarezza luminosa dello sfondo, vi sostituiva toni cupi e inquietanti con verdi e blu dominanti, a cui si contrapponeva una strada bianca, luminosissima, velata solo nella parti laterali da ombre grigio-azzurognole. Bianchi, rossi e azzuri dominavano anche nella resa del capo degli scioperanti, mentre gli stessi colori e i loro complementari sembravano modellare altre figure.» Scotti 1976, op. cit., p. 42.

28

Ibidem, p. 42.

29

«Nel corso del 1897 e del 1898, gli anni che videro nuove esplosioni di scioperi agrari e urbani, culminati poi nelle giornate di Milano del maggio 1898, scioperi che però ancora una volta non investirono la zona preappenninica del volpedes, Pellizza, convinto della bontà dell'idea e della sua storicità, si lanciava con rinnovato fervore alla elaborazione di nuovi cartoni e di un altro bozzetto (Il cammino dei lavoratori, 1898) per poi iniziare una seconda, grande tela su cui puntualmente cominciò a dipingere nel novembre del 1898. Abbandonando le suggestioni letterarie e simbolistiche di Fiumana, che potevano alludere a una massa imprecisata o impetuosa di persone, concentrò la sua attenzione sul vasto e misurato fronte di figure di lavoratori da affiancare al suo terzetto d'avanguardia e puntò su un rinnovato confronto con la naturalità delle immagini che evidenzia anche col titolo Il cammino dei lavoratori. L'oggettività del modellato delle figure, privandole di realismi troppo accentuati, dava ad esse e a tutta la composizione un carattere più universale. Pellizza sottolineava così quello che credeva essere l'avanzarsi graduale ma ineluttabile di una nuova classe, di contadini e operaie che il pittore, calandosi sempre più pregnantemente nella vita popolare e vivendo e lavorando lui stesso nei campi, si convinceva dover essere prossimo. [...] Proprio in quell'anno [1898, l'anno delle violente repressioni del Bava-Beccaris a Milano] Pellizza appartato, ma non per questo isolato dallo svolgersi della storia, iniziava il più grande manifesto che il proletariato italiano possa vantare fra l'Otto e il Novecento.» Ibidem, pp. 42 sugg.

30

Scotti 1986, op. cit., p. 409.

31

«La composizione svolge per piani paralleli ed affianca al primo terzetto avanzante una schiera abbastanza compatta senza cesure o soluzioni di continuità, in cui le figure ripetono gli atteggiamenti studiati per Fiumana ma accentuando i gesti e il moto delle mani alla ricerca di un maggior eloquenza ed espressività gestuale. Il colore è impostato su una gamma calda e chiara, con ricchezza di ocra-rosati che esalta il gioco delle luci e si stende in tutto primo piano, nell'ampio spiazzo, con segni dinamici e accumulati. Più imprecisa la folla sullo sfondo in cui sembra di vedere la massa brulicante presente in Fiumana. Il bozzetto è quadrettato per il necessario riporto delle proporzioni sulla tela maggiore. [...]» Ibidem, p. 380.

32

Lettera ad A. M. Mucchi del 18 Maggio 1898, Pellizza in: Fiori 1968, op. cit., p. 211.

33

Pellizza in una lettera a V. Pica del 12 luglio 1900, citato in: Pirovano 1991, op. cit., p. 76.

34

Benevolo, Leonardo, Storia dell'architettura moderna, Bari 1971, p. 194.

35

(cfr. Scotti 1976, op. cit., pp. 188-89 e 193-94).

36

«Innanzitutto il formato viene ampliato, in modo da permettere per le figure in primo piano una scala assai vicina al vero, mentre il movimento drammatico della folla viene stemperato in ritmi lineari complessi e ricorrenti (“In Quarto Stato è la sinusoide quella che domina tutte le forme.” Pellizza in una lettera a M. Oliviero dell'ottobre 1904), acquistando la frontalità un'evidenza che schiaccia verso lo spettatore la prospettiva del corteo. Anche il coloro rinuncia ai contrasti espressivi (ad esempio nel cielo tempestoso) per una luminosità più diffusa ed omogenea, con toni piatti e chiari che fanno pensare all'affresco, su cui Pellizza applicò minutamente in un vero e proprio tour de force il puntinato divisionista. [...]» Lamberti 1982, op. cit., p. 90.

37

Scotti 1986, p. 409.

38

Ibidem, p. 410.

39

Ibidem, p. 405.

40

Ibidem, p. 405.

41

«Abbandonata la tensione di Fiumana, la composizione si concentrava come un fronte ampio e orizzontale di lavoratori avanzanti sotto il sole, guidati dal gruppo in primo piano le cui figure Pellizza aveva ancore una volta designata dal vero e che si preparava a ridisegnare, mettendo più volte in posa i suoi modelli: nel 1897 e 1898 quello di sinistra Clemente Bidone; nel 1899 quello centrale Giovanni Zarri, entrambi muratori ma anche lavoratori della terra e come tali raffigurati e disegnati in proporzioni naturali. Se, rispetto a Fiumana, la massa dei personaggi prementi alle spalle dei primi diminuiva di numero e perdeva di dinamismo, per queste stesse ragioni la scena si assolutizzava e più lampanti, nonostante le repressioni governative, apparivano la forza e il diritto della classe lavoratrice.» Scotti 1976, op. cit., p. 44 sug.

42

Giovanni Cena, Alla Quadriennale torinese, in: Nuova Antologia, vol. 16, ottobre 1902, n. 740, poi raccolto in Opere, vol. II, Prose critiche, Roma 1968, p. 175; citato in: Lamberti 1982, op. cit., p. 92.

43

«[...] e non èun caso, in tempi di tentazioni preraffaellite, che polemicamente Pellizza intenda rifarsi al grande Raffaello della Stanza della Segnatura. La scena del corteo, che si propone come una sorta di conversazione, dove i personaggi discutono e narrano con i gesti simmetrici delle mani nude, è costruita per gruppi di tre, come quella dei filosofi sulla scalinata della Scuola d'Atene di Raffaello. Da questo stesso affresco Pellizza studia, nelle grandi fotografie Alinari di cui si è provveduto, la copertina centrale di Aristotele e di Platone ed il movimento della figura panneggiata che apre la composizione sul lato sinistro. Ed il personaggio mantellato che tende le due mani dietro di sé e sale di schiena della scala della Scuola, chiude con un taglio cinquecentesco , di tendaggio di quinta, il fianco destro del Quarto Stato. Altri e numerosissimi sono i rimandi puntuali a composizioni raffaellesche o della grande tradizione classica, ma tutti rielaborati sul vero e filtrati con una sensibilità contemporanea in un linguaggio quotidiano, un `volgare' non difforme dal contenuto di epica popolare cui Pellizza mirava.» Lamberti 1982, op. cit., p. 91.

44

Scotti 1986, p. 412.

45

«La lunga elaborazione dell'opera ebbe come conseguenza che [...] le fatiche, gli sforzi, le elaborazioni pittoriche e gli esiti culturali e intellettuali di Pellizza finirono per identificarsi o confluire in essa.» Scotti 1976, op. cit., p. 29.

46

Ibidem, pp. 44 sug.


Note Capitolo 4

1

«Pellizza aveva sperato di dare col suo quadro non il contributo a un generico populismo, ma l'opera adatta a simboleggiare i progressi continui, il cammino compiuto dai lavoratori nel nome di un “socialismo evolutivo che” come notava il Colajanni nello stesso 1902 “aveva fatto straordinari progressi nelle campagne, ma a cui anche una fascia larga di socialisti cittadini si avvicinava”. Egli si attendeva ampi consensi e invece si trovò solo con le critiche mosse alla sua opera sia da un punto di vista formale [...], sia da un punto di vista contenutistico [...].» Scotti 1976, op. cit., pp. 47 sug.

2

«[...] il Quarto Stato, opera di grandissimo impegno, dalle dimensioni di un affresco, cui l'artista lavorò per circa dieci anni attraverso bozzetti, studi, disegni, e che costituisce il monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia. [...] Raffigurazione, certo, per qualche aspetto ingenua e perciò- come suol dirsi - romantica, ma per questo propriamente umana e corrispondente a tanta parte del movimento operaio di allora e a quel tipo di socialismo che, lo abbiamo visto, era anche del Segantini.» Maltese 1992, op. cit., p. 268 sug.

3

Fiori 1968, op. cit.

4

cf. per la (s)fortuna critica Ottant'anni di glorie e di sfortune pellizziane in Scotti 1986, op. cit., pp. 43 sug.

5

«A Majocchi Pellizza concesse anche la riproduzione a scopo propagandistico del suo Quarto Stato, adombrando quasi una posizione di artista-militante. Ma tale posizione non fu senza contrasti: nello stesso 1906 in cui si impegnava con Majocchi, Pellizza non si sentiva di fare altrettanto con l'editore milanese Edmond Pecchi, che gli aveva chiesto di poter riprodurre il Quarto Stato sotto il busto di Karl Marx per una delle targhette propagandistiche del partito.» Scotti 1976, op. cit., p. 53.

6

Cf. Negri 1989, op. cit., p. 114.

7

Scotti 1986, op. cit., p. 43.

8

«Il Quarto Stato è stato in Italia uno dei pochi quadri veramente popolari di questo secolo [...]. la più grandosa scena di massa della pittura dell'ottocento italiano. L'opera nasce nella mente del giovane artista e si sviluppo di anno in anno, a partire del 1890 parallelamente allo studio delle nuove teorie sociali.» Pelissero 1977, op. cit., p. 25; cf. anche Scotti 1986, op. cit., p. 412.

9

Corriere della Sera, Corriere Lavoro del Venerdì 18 Giugno 1999.

10

Pelissero 1977, op. cit., p. 12.