Il dipinto è geometricamente formato da due quadrati sovrapposti, sormontati da un semicerchio,
il cui centro geometrico è la colomba. Il cerchio in alto viene tagliato a metà
dal lato del quadrato.
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Il quadrato è stato costruito con il lato uguale alla massima larghezza del
dipinto. Le diagonali e gli assi del quadrato convergono nell'ombelico di Cristo
e sono parzialmente tangenti alle figure in primo e in secondo piano.
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Il Cristo è inscritto in due triangoli equilateri ribaltati; l'intersezione
dei loro lati individua i punti estremi di un segmento, determinando anche il
raggio di un cerchio la cui semicirconferenza superiore corrisponde appunto alla
curvatura della tavola.
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Anche la circonferenza passa
per l'ombelico di Cristo e quindi è tangente all'asse orizzontale del quadrato.
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La composizione è stata divisa in tre parti uguali (rettangoli in verticale):
il primo di questi coincide con uno dei suoi lati maggiori, con la parte destra
del tronco dell'albero.
L'asse verticale corrisponde alla figura di Cristo e della colomba sopra di
lui.
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La geometria fondamentale è quella piana non quella tridimensionale. In essa
si conferma:
- la solidità plastica di Masaccio
(specie nel catecumeno in secondo piano)

- il colore luminoso dell'Angelico
(peraltro la posizione del Cristo a mani giunte è identica)

- i toni luministici tipici della Pala
dei Magnoli di Domenico Veneziano

- le delicate modellazioni del busto di Cristo
rievocano Masolino

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I particolari sullo sfondo attestano influenze di tipo
fiammingo, che però si fermano qui, in quanto per il resto il percorso artistico
di Piero della Francesca è del tutto diverso da quello dei pittori fiamminghi,
che partono sempre dall’analisi della visione, quindi dai dati forniti dai
nostri sensi, mentre Piero, come tutti gli artisti rinascimentali di formazione
fiorentina, costruisce l’immagine partendo sempre da una costruzione razionale
della stessa, ossia dalla geometria dei corpi e dello spazio, così come la
nostra ragione li comprende e li trasforma in immagine mentale.
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Vengono considerati di notevole spessore la delicatezza dei colori, le
molteplici sfumature su pochi temi dominanti, il fatto che le tinte si
riprendano continuamente, bilanciandosi.
La luce zenitale annulla ombre e contorni, saldando in eguale nitidezza le
figure colonnari e il paesaggio. Non ci sono dubbi, incertezze: la soluzione
artistica scelta è di tipo fortemente razionale.
Lo spazio infatti è un paesaggio collinare umbro (il fiume, la vegetazione), aperto fino all'orizzonte
(identificabile con la valle del Tevere), pieno di luce
chiara e trasparente. Non c'è trasmissione o propagazione ma fissazione della
luce: quella che scende è quella che sale. |
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L’artista è talmente interessato alla geometria che ignora completamente i
valori costruttivi della luce per definire l’immagine. Infatti non ci sono ombre
e il colore è talmente omogeneo per tono che l’intera immagine sembra quasi
godere di luce propria. Il che equivale a dire che ci troviamo in una condizione
di illuminazione della scena del tutto concettuale e per nulla attenta ai dati
sensibili.
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