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UNA LETTURA PSICANALITICA DEL GIUDIZIO
UNIVERSALE DI MICHELANGELO
Puoi comprare il mio tempo, ma non la mia mente.
Michelangelo
Premessa - Biografia
- La volta della Sistina - Il
Giudizio Universale - Lettura psicanalitica del Giudizio -
L'omosessualità di Michelangelo -
I papi della Sistina - Tondo
Doni
Michelangelo è il primo caso nella storia dell'arte
di artista isolato,
quasi avverso al mondo che lo circonda e a cui si sente estraneo,
ostile. C. G. Argan
Tra i tanti libri di psicanalisi dedicati al Michelangelo della Sistina,
forse quello di Fabio Maurizi, Il Giudizio Universale di Michelangelo
(Andrea Livi editore, Fermo 1992), merita d'essere letto non solo perché scritto
in un linguaggio facilmente comprensibile, in poco più di cento pagine, ma anche
perché fa capire, senza interpretazioni azzardate, quanto i manuali scolastici
di storia dell'arte non possano limitarsi a una lettura meramente stilistica, in
senso estetico-formale, delle opere degli artisti, specie quando si ha a che
fare con opere monumentali, dove l'elemento soggettivo del genio artistico
riesce a scardinare tutti i modelli tradizionali che fino a lui s'erano imposti.
Certamente un inquadramento storico, entro cui poter collocare determinati
artisti, che hanno costituito una svolta nella storia dell'arte, è
indispensabile per poter comprendere in maniera adeguata le stimolazioni e i
condizionamenti in cui il genio s'è sviluppato. Ma non meno importante può
essere il contributo di talune discipline interpretative che, per quanto non
scientifiche possano essere, offrono letture suggestive, interessanti, su cui
val la pena riflettere. E le nostre riflessioni spesso s'intrecciano, si
sovrappongono a quelle, davvero pregevoli, di Maurizi.
Egli anzitutto si chiede se il Giudizio Universale vada interpretato
come il "monumento della Controriforma", volto a dimostrare che l'ideale
rinascimentale di unire cristianesimo e paganesimo alla lunga non poteva
reggere, in quanto il paganesimo avrebbe avuto la meglio; sicché, al fine di
evitare un esito così catastrofico per le sorti di una chiesa politicizzata come
quella romana, era necessario mostrare che alla fine dei tempi si salverà
soltanto chi sarà rimasto fedele ai principi del cattolicesimo latino.
Oppure se esso va visto come un tentativo estremo di salvaguardare la verità
soggettiva (in campo artistico), mentre il potere costituito va imponendo il
conformismo della fede, cui tutti devono attenersi per aver sicura salvezza.
E' singolare che di fronte a un affresco del genere si possano dare
interpretazioni così opposte, ma resta indubbio che il talento di un grande
artista di corte va analizzato anche in questa capacità di bilanciare le
richieste della committenza pagante col proprio sentire interiore.
Maurizi non ha dubbi nel parteggiare per la seconda ipotesi interpretativa, e
lo motiva con una serie di acute osservazioni.
- Nell'affresco non vi è alcun vero giudizio, in quanto sono state
evitate soluzioni di continuità tra i gruppi dei dannati e quelli dei
salvati. Le loro rispettive zone non sono formalmente distinte e segnalate.
La stessa ripartizione tra alto e basso è appena abbozzata: sia chi sale,
sia chi scende fa una certa fatica, come se non vi fosse differenza
fondamentale tra eletti e malvagi. Tutti partecipano a pari titolo
all'evento apocalittico, che di religioso sembra non avere nulla, essendo
mancante un qualunque riferimento al paradiso, alla gloria divina. Le stesse
anime salvate non hanno quella tipica serafica impassibilità
dell'iconografia precedente (non dimentichiamo però che Michelangelo si
servì, per il suo Giudizio, del monumentale affresco di Signorelli
sulle
Storie degli ultimi giorni, realizzato nel Duomo di Orvieto).
Tutto resta tragicamente umano, dove masse sterminate di individui singoli
sembrano ruotare all'infinito intorno all'unico elemento di luce: il Cristo,
affiancato da una minuscola madre. Alcuni contemporanei - sottolinea Maurizi
- ritennero che Michelangelo intendesse dipingere non tanto il giorno del
Giudizio, quanto la resurrezione del Cristo e, in tal senso, egli si
porrebbe come rappresentante dei risorti.
- L'atteggiamento quanto meno ambiguo del Cristo (un minaccioso braccio
alzato, con tanto di mano spalancata, come se volesse evitare qualunque
forma di contatto, lo sguardo abbassato, introverso, con le palpebre
semichiuse) nel migliore dei casi presenta un difetto di comunicazione
religiosa, nel peggiore indica un certo sdegno nei confronti del genere
umano. Gli stessi beati ne restano sgomenti, allibiti, e lo guardano
allucinati, con gli occhi spalancati, sperando di ricevere una grazia che
ritengono meritata e per la quale esibiscono gli strumenti del loro martirio
o i simboli del loro potere (p.es. le chiavi di Pietro). Nessuno sembra
essere certo di nulla e tutti attendono che avvenga qualcosa di decisivo.
- Il contrasto tra lo sguardo impassibile dell'efebo Cristo, d'una
bellezza apollinea (profilo greco, labbra sensuali, guance lisce e sbarbate,
capigliatura disordinata, statuario nelle forme) e l'agitazione espressa dai
movimenti del corpo sta ad indicare una sorta di autocompiacimento
interiore di tipo narcisistico. Il Cristo è incurante del mondo esterno
perché pago di sé e pretende solo d'essere ammirato nella sua performance
superomistica.
- L'esibizione degli organi sessuali appartiene alla serie dei
comportamenti miranti ad accrescere la considerazione di sé: Michelangelo
non superò mai la fase del narcisismo infantile. Lo si intuisce anche
dal disprezzo in cui tiene il genere femminile in tutti gli affreschi della
Cappella e il ruolo nettamente marginale riservato alla madre di Gesù,
incapace di fare alcunché.
- Nel Giudizio il ruolo della madre di Gesù non ha alcunché di
propositivo. Il suo atteggiamento è schivo, timoroso, estraneo
all'evento, non è in grado d'intercedere, non ha alcun tratto di eccellenza,
il suo stesso volto è del tutto anonimo; anzi, occupando uno spazio molto
ristretto tra il corpo del figlio e il bordo della folla dei beati, appare
come rimpicciolita, rannicchiata, in una posizione che sembra essere messa
lì solo in maniera servile, per omaggiare una tradizione religiosa
consolidata. Nei bozzetti preparatori non era neppure prevista, proprio
perché nulla poteva offuscare il narcisismo del Cristo.
- Il Giudizio fu ritenuto scandaloso non solo dai cattolici ma
anche dai protestanti, i quali avevano capito che in quelle immagini non vi
era nulla di religioso. Cioè anche se i contenuti ivi espressi potevano
apparire eversivi nei confronti del cattolicesimo dominante, non si riteneva
che in virtù di essi si potesse costituire un'alternativa praticabile al
clericalismo pontificio.
Michelangelo poteva trovare dei seguaci tra gli intellettuali laico-borghesi
come lui, ma per poterli trovare davvero, questi intellettuali avrebbero
prima dovuto eliminare il potere politico del papato nella penisola. Non
avendolo fatto, la borghesia del Seicento sarà costretta ad accettare un
compromesso vergognoso con la chiesa, evitando azzardi che avrebbero potuto
minacciare i suoi affari. Probabilmente l'unico vero seguace di Michelangelo
sarà il Caravaggio, anche se sarà Paolo Veronese che, sotto processo, userà
i nudi della Sistina a sua discolpa. Un imitatore del Giudizio Universale
sarà Ercole Ramazzani de la Rocha, nel 1597.
- L'ansia che il papato ebbe in tutta la prima metà del Cinquecento, in
cui s'erano formate le monarchie nazionali, appoggiate dalla borghesia, di
dimostrare la propria superiorità, utilizzando lo strumento della cultura e
dell'arte, non ottenne in Europa il risultato sperato, proprio perché per
realizzare quelle grandissime opere d'arte occorrevano finanziamenti
esorbitanti, a carico di tutti i contribuenti d'Europa (cosa che spesso le
faceva restare incompiute, incluse quelle dello stesso Michelangelo), e poi
perché esse non venivano supportate da una precisa volontà di superare la
corruzione presente nello Stato della chiesa, anzi, semmai servivano per
confermare la necessità di un'egemonia politica. Benché Michelangelo
rifiutasse la tecnica dell'illusionismo, in realtà egli, coi suoi affreschi,
partecipò attivamente a una più generale strategia di imbonimento delle
masse.
- Forse l'osservazione più interessante che Maurizi fa è quella relativa
al rapporto, molto particolare, tra gli strumenti del martirio di Cristo e
quelli dei santi che gli stanno attorno. La domanda è: perché alla staticità
di quest'ultimi Michelangelo ha deciso di porre come contrappeso
l'incredibile dinamismo degli altri? Maurizi afferma giustamente che gli
angeli deputati al controllo di quegli strumenti (colonna della
fustigazione, croce, corona di spine, spugna col fiele, scala per
deposizione), posti in alto, in una zona separata
dalla scena centrale, svolgono un ruolo molto controverso. Infatti quegli
oggetti, a ben vedere, sembrano sfuggire a una presa sicura, come se fossero
dotati di vita propria: nessuno sembra essere in grado di gestirli.
Cosa voleva far capire Michelangelo? Forse che nessuno può pretendere un
monopolio interpretativo della morte di Cristo? Se questa supposizione fosse
giusta, saremmo in presenza di un qualcosa di davvero singolare. Saremmo
cioè in presenza di una forma artistica di tipo ateistico, molto
sofisticata.
La lettura che Michelangelo offre di quegli strumenti pare andare al di là
di quella offerta dalla stessa chiesa. Di conseguenza Cristo si mostrerebbe
sdegnato nei confronti dei risorti proprio perché la sua morte non
sarebbe stata compresa come si sarebbe dovuto. E non lo sarebbe stata
perché in realtà s'era frainteso il suo stesso messaggio di vita, che voleva
essere gioioso, per le cose belle, per l'amore disinteressato. Nulla di
tutto quanto propagandato dalle chiese.
Michelangelo insomma avrebbe voluto far credere che nei confronti di Gesù
Cristo l'umanità vive una profonda illusione e che neppure i propri
strumenti di martirio la rendono meritevole di salvezza.
Fonti
Testi
- G. Lise, L'altro Michelangelo, Cordani, Milano 1981
- H. Pfeiffer,
La Sistina svelata, Jaca Book, Milano 2007
- D. Redig de Campos, Il Giudizio Universale di Michelangelo, Martello,
Milano 1964
- De Vecchi Pierluigi,
La Cappella Sistina. Il restauro degli affreschi di Michelangelo, 2007,
Rizzoli
- De Vecchi Pierluigi, Colalucci Gianluigi,
La Cappella Sistina. Il Giudizio universale, 1995, Rizzoli
- Bussagli Marco,
Michelangelo. Il volto nascosto nel «Giudizio». Nuove ipotesi sull'affresco
della Cappella Sistina, 2004, Medusa Edizioni
-
Michelangelo. Gli affreschi della Cappella Sistina, 2002, Marietti
- Là, badyovà, Simona-Sarah,
I segreti della nuova Sistina del Vaticano. La cappella Redemptoris Mater,
2009, Marcianum Press
- Litofino Giancarlo,
Il mito del Giudizio universale nella Cappella Sistina, 1999, Mamma
- Baldoni Cesare,
Giudizio universale, 2008, Besa
- Angheben Marcello,
Alfa e omega. Il giudizio universale tra oriente e occidente, 2006,
Itaca (Castel Bolognese)
- Christe Yves,
Il giudizio universale nell'arte del Medioevo, 2000, Jaca Book
- Pettinelli Sergio,
Giudizio universale, 1998, Sovera Editore
- Mancinelli Fabrizio; Colalucci Gianluigi; Gabrielli Nazzareno,
Michelangelo. Il giudizio universale, 1994, Giunti Editore
Sitiweb
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