Gli uomini ombra, Musumeci

IDEE PER UN DIRITTO DEMOCRATICO
La laicità e la democrazia come valori universali


MUSUMECI E GLI UOMINI OMBRA

I - II - III

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RECENSIONE di MARGHERITA HACK

al libro “GLI UOMINI OMBRA” di Carmelo Musumeci

E’ un libro sconvolgente, opera di chi in carcere è diventato un grande scrittore, che scrivendo riesce a sopportare quella morte al rallentatore che è il carcere a vita, l’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”.

Sono racconti in parte veri, in parte romanzati, che rispecchiano la violenza di chi ha potere sui carcerati e l’ansia di libertà, di giustizia, l’amicizia profonda che si stabilisce fra compagni di pena.

Quando si legge di casi reali di giovani rei di aver partecipato a qualche manifestazione, o di aver reagito alla forza pubblica, che entrati in carcere in piena salute ne escono avvolti in un lenzuolo e con sul corpo i segni di pestaggi selvaggi, si vuol credere che si tratti di casi eccezionali, poi si pensa a quello che è successo durante il G8 a Genova e si comincia a dubitare.

Il carcere che dovrebbe essere scuola di riabilitazione si rivela un centro di abbrutimento per i carcerieri e di annullamento della personalità dei carcerati a cui questi si ribellano con la violenza: carcerieri e carcerati egualmente vittime di un sistema degradante.

Leggendo questo libro ci si sente in colpa per avere avuto un’infanzia felice, una famiglia che ci ha protetto e aiutato a crescere e ci si domanda come saremmo stati se fossimo stati lasciati abbandonati a noi stessi, orfani o con genitori in carcere, o assenti. Forse ognuno di noi avrebbe cominciato con qualche furtarello e poi sempre qualcosa di più grosso, fino a che, contro la nostra volontà, ci sarebbe scappato il morto e la galera.

Il bambino criminale - l’autobiografa della sua infanzia - diventa criminale per colpa di chi dovrebbe guidarlo nella vita; prima la nonna che lo incita a rubacchiare del cibo al mercato, mentre lei, chiacchierando distrae il venditore. Scoperto, si becca uno schiaffo dalla nonna - quante volte ti devo dire di non rubare - e poi a casa se ne becca un altro per essersi fatto scoprire, poi la maestra che lo sospende per dieci giorni per aver portato a scuola un gattino, poi, in seguito alla separazione dei suoi, il collegio, dove religiosi di poca carità cristiana incrudeliscono con punizioni sproporzionate per un bambino ansioso di affetto e di libertà. Questo tipo di educazione potrebbe costituire un manuale su “ Come ti costruisco un criminale”.

Gli uomini ombra, invisibili e dimenticati da tutti, morti viventi, perché irreali come le ombre, eppure capaci di forte amicizia e altruismo come i quattro rinchiusi nella stessa cella, Tiziano figlio di un boss diventato assassino per l’obbligo di vendicare l’assassinio del padre, Pietro che aveva ammazzato la moglie e l’amante, Giosuè che aveva ammazzato una decina di persone che volevano ammazzare lui, e Nicola che viveva nel ricordo della moglie che lo aspettava da otto anni e non riusciva mai a vederlo.

Era l’unico che aveva ancora una ragione per vivere. Per lui, perché lo trasferiscano al nord dove sarebbe stato più facile vedere ogni tanto la moglie, gli altri tre, dopo un tentativo di fuga fallito, sono pronti a sacrificarsi. Finalmente Nicola può incontrare la moglie e gli altri tre sono finalmente liberi, le loro anime hanno lasciato i loro corpi martoriati di botte.

Le carceri italiane scoppiano. Molti detenuti non hanno nemmeno una branda o un materasso e dormono sdraiati per terra. Questo succede oggi nella civilissima Trieste. Molti dei detenuti non hanno compiuto altro reato che quello inventato da un governo razzista: il reato di clandestinità; molti altri sono poveracci che se fossero stati difesi da un bravo avvocato e non da un poco coscienzioso avvocato d’ufficio sarebbero fuori.

Tutti avrebbero diritto a poter svolgere un lavoro, a studiare, a fare sport, a ricostruirsi un surrogato di vita, in particolare agli ergastolani, a coloro a cui la società dice: Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate.

Spesso mi viene in mente un fatto di cronaca di qualche anno fa: Roma, una stazione della metropolitana. Due donne, un’italiana e una romena litigano, per quelli che vengono definiti futili motivi, una precedenza e una spinta forse involontaria, un insulto alla romena che reagisce con un’ombrellata al volto dell’altra. Disgrazia volle che la punta dell’ombrello le si conficcasse nell’occhio e raggiungesse un punto particolarmente delicato del cervello da provocare la morte. Chiaramente un omicidio preterintenzionale. Ma la romena è stata condannata per omicidio premeditato. Evidentemente in previsione del futuro litigio in metropolitana si era armata di un ombrello.

Quanto si dovrà aspettare perché il carcere possa assolvere davvero la funzione rieducativa? Come si può pensare che una pena così barbara come l’ergastolo ostativo, che non lascia nessuna speranza di un futuro, possa rieducare?

Mi auguro che questo libro, oltre ad essere un eccellente esempio di letteratura vissuta, serva a sensibilizzare tutti coloro che sono “cittadini rispettabili”, che spesso non per merito loro ma grazie a un po’ di fortuna non hanno mai conosciuto il carcere, alla necessità di abolire l’ergastolo, a non dividere la popolazione fra onesti - quelli fuori - e delinquenti - quelli dentro -. Leggendo questo libro si impara quanta umanità può esserci anche “dentro”, forse più dentro che fuori.


“Gli uomini ombra” sono uomini come Carmelo Musumeci, scrittore detenuto, e tutti quelli che come lui scontano la pena dell’ergastolo ostativo, ovvero dell’ergastolo senza benefici, senza mai un giorno di permesso, senza alcuna speranza. Carmelo Musumeci con questi racconti “social noir” come ama definirli, ci parla della vita dietro le sbarre, protagonisti loro, i detenuti con le loro storie, il prima, il durante e spesso la fine, la morte, spirituale prima che fisica. Il riferimento ai fatti giornalieri di cronaca sulle condizioni pessime delle carceri italiane è evidente, in particolare per quanto riguarda la piaga dei suicidi in costante aumento. Sono racconti che si leggono d’un fiato, con grandissima partecipazione emotiva: di forte impatto, rendono evidente la lotta per l’esistenza per chi come il nostro autore non vuole arrendersi a perdere la speranza e a resistere per la libertà...
Il libro è uno strumento per approfondire la conoscenza della campagna per l’abolizione del “Fine Pena Mai”, sostenuta dall’Ass. Papa Giovanni XXIII di don Oreste Benzi.


Su “Notte da ergastolano” di Carmelo Musumeci

E’ leggendo Notte da ergastolano che ho davvero capito un romanzo di Jack London, Il prigioniero delle stelle, dove il detenuto seviziato dai secondini e immobilizzato in una camicia di forza, evade rivivendo le sue vite precedenti.

Riesce a resistere perché non è più lì - è in Egitto, 5000 anni fa o nella Spagna moresca. Mentre i suoi aguzzini infieriscono sul suo corpo, lui passeggia nel mondo e nel tempo, e così si salva.

Più interessante la fuga di Musumeci, che evade senza evadere dalla sua vera esistenza ma sprofonda in se stesso, nella sua realtà che doppia quella della prigione. Più fortunato del personaggio di London, che non ha la grande compagna di fuga, la scrittura.

Musumeci ha il dono. Le idee, il ritmo, il linguaggio. Mentre lavoravo alla prefazione del suo racconto mi ha scritto. Non essere tenera, non ce n’è bisogno perché sono ancora vivo.

Ho sempre paura che mi dicano che scrivo bene perché sono un detenuto. Non c’è pericolo. Ergastolano o libero, la scrittura c’è o non c’è, e nessun elogio può fingerla.

In una notte in cui “il dolore è più forte delle altre notti“, il protagonista sa che non vuole arrivare a giorno. “Certe sere, anche se là fuori sei amato, ti senti solo e non hai altro che te stesso.” Quella notte si suiciderà. E’ deciso. “La pena di morte è meno crudele dell’ergastolo”.

Mentre prepara minuziosamente l’impiccagione, pensa una silenziosa lettera d’addio alla moglie, ai figli, al nipotino, al cane - “ci mancava anche il cane, questa non è più una lettera d’addio, sta diventando un romanzo”. Carmelo conosce la scienza degli addii. “Ora sei pronto, non perdere più tempo e non lasciarti scappare questa occasione per scappare. (…) Meglio morto che zombi, è l’unica via di fuga che hai, da’ sto cazzo di calcio allo sgabello”.

La tenerezza lo tenta, ma sa bene che nulla potrà trattenerlo. E invece l’amore lo trattiene. La vita lo trattiene. Il piacere del pensiero, lo straziante pensiero lo trattiene, con tutte le sue torture.

“Per questa notte preferisco vivere, mi rimetto a letto… è stata proprio una brutta nottataccia da cani, una notte da ergastolano”.

E’ un rito, lo fa quasi ogni notte. Si dà tutte le buone ragioni per morire, poi quelli che ama lo riportano in vita. Più forte e arrabbiato che mai.

E’ un gioco, un gioco che riesce sempre perché lui gioca sul serio: vuole davvero morire, e sa che da un momento all’altro potrebbe farlo. Ogni volta non sa, fino all’ultimo, come andrà a finire. Altrimenti l’esorcismo non funzionerebbe. E’ una roulette russa fra due passioni opposte. Continuare - chiudere.

Ogni volta fa ruotare il tamburo della pistola, se la punta alla tempia, e spara.

Se finora ne è uscito illeso, è perché un grande giocatore. Un po’ gigione ma pronto alla morte, come De Niro nel film Il cacciatore.

Notte da ergastolanoè bello non solo perché è vero (in letteratura conta ben poco), ma perché è mirabilmente scritto, irradia una forte emotività, senza fronzoli, con un tono che sa essere tenero e perfino ironico mantenendo la terribile durezza di fondo.

Leggendo una raccolta di scritti di Musumeci, L’assassino di sogni, il ritmo spietato, la verità letteraria di ogni parola, l’abilità, la secchezza, mi hanno fatto pensare che abbia il fiato per un grande romanzo.

L’autore dice di sé:

“Ho 55 anni.

Sono nato colpevole.

Famiglia povera.

Genitori separati.

Collegio e botte da preti e suore.

Carcere da minorenne a maggiorenne.

Ho sempre tifato da piccolo per i “cattivi” piuttosto che per i “buon”, perché i cattivi mi sono sempre sembrati più veri dei buoni.

E poi chi non è stato cattivo è difficile che riesca a diventare buono.

Ho una compagna che mi segue da trent’anni, due figli e due nipoti che sono tutti la mia vita.

Mia figlia è severa, ho più paura di lei che di dieci carabinieri.

Sono un “Uomo Ombra”, condannato alla “Pena di Morte Viva” che è l’ergastolo ostativo, senza nessuna possibilità di uscire se non metti un altro al posto tuo.

Sono entrato in carcere con la quinta elementare. Mi sono laureato in giurisprudenza (ora sono in tesi per la specialistica).

Senza contare gli anni scontati prima dell’ultimo arresto, mi trovo ininterrottamente da 20 anni in carcere.

Ma mi sento un uomo libero, felice e innamorato dell’amore, nonostante la tristezza infinita di non poter stare accanto ai miei figli e alla mia compagna. Mi girano le palle che dovrò invecchiare e morire in carcere, anche per questo da molti anni lotto per l’abolizione dell’ergastolo ostativo.”

Come Malcolm X studia in carcere. Nasce in carcere. Si forma. Scopre la passione politica. Deve studiare una difesa dalla disumanizzazione, mettere un muro fra sé e il muro. La condanna non è solo stare rinchiusi, ma essere in balìa del sistema carcerario in ogni sua forma, in ogni sua prepotenza. Invece di abbrutirsi si eleva, diventa un preparatissimo ribelle (“non sono un comunista, sono un anarchico puro”). Come Malcom X, in carcere assume a fondo il senso della giustizia.

Invece di farsi distruggere, diventa.

Una corsa a non far dormire mai l’intelletto, l’affettività, la dignità, la percezione.

Grazie al terzo occhio (il senso dell’umorismo), può esprimere la sua affettività con un pathos mai patetico.

E’ un leader. Il suo blog ha un grande seguito, di estimatori e come si dice oggi, di fans affezionati, di gente che gli vuole bene.

Visto il suo carisma, da una parte ha trovato attraverso i contatti esterni e la scrittura l’evasione perpetua; dall’altra, la cella deve stargli dieci volte più stretta che a un altro (parlo di un uomo che conosco solo per iscritto, e ciò che dico di Carmelo Musumeci sono impressioni che non si pretendono giudizi).

Mi sembra che abbia una grande personalità, uno spettacolare narcisismo, un implacabile sentimento della giustizia, e titaniche passioni, e tormenti profondi, e una eccellente eloquenza letteraria. Tutto enorme, fuor di misura. Un gigantismo che sa esprimersi, come in Majakovskij, il poeta russo, dominatore anche quando non voleva.

In Biografia di un bambino criminale, dove parla della sua infanzia, Carmelo Musumeci mi ricorda invece Langston Hughes, il poeta della dignità afroamericana. Il padre emigrato in Svizzera, la madre che fa avanti e indietro fra mariti e figli, la nonna che li tira su, e per nutrirli gli insegna a rubare prima che a scrivere. Ma una volta che viene scoperto, lo prende a schiaffi davanti a tutti. E poi in privato, perché s’è fatto beccare.

Eppure anche allora la vita è più forte e si affaccia sfrenata la gioia ”passavo le giornate nella viuzza insieme agli altri bambini, scalzi e affamati ma felici di stare tutto il giorno a scorazzare nei campi a rubare la frutta dagli alberi, a caccia di lucertole e rane”.

A nove anni muratore, a dieci il collegio “la mia prima prigione”, da cui evade.

Il prete lo massacra di botte, lo chiude in uno stanzino senza acqua né cibo. Si vendicherà dandogli una sprangata in testa.

Lavora in fabbrica. Poi la prima rapina. La prima prigione…

La mia conoscenza della vita e delle opere di Carmelo Musumeci passa attraverso Nadia Bizzotto, una indomabile e affascinante ragazza che ha con lo scrittore un rapporto dialettico e complementare, fortissimo. Lo segue da molti anni. Si tengono testa a vicenda, e dev’essere una bella lotta. La ringrazio anche per la capacità di mettersi in gioco, nella vita e nelle lettere che ci siamo scambiate.

Barbara Alberti


Carmelo Musumeci nasce il 27 luglio 1955 ad Aci Sant’Antonio in provincia di Catania. Condannato all’ergastolo senza benefici, si trova nel carcere di Spoleto. Entrato con licenza elementare, mentre è all’Asinara in regime di 41 bis riprende gli studi e da autodidatta termina le scuole superiori. Nel 2005 si laurea in giurisprudenza con una tesi in Sociologia del diritto dal titolo “Vivere l’ergastolo”. Attualmente è iscritto all’Università di Perugia al Corso di Laurea specialistica, ha terminato gli esami e attualmente sta preparando la Tesi con il Prof. Carlo Fiorio, docente di Diritto Processuale Penale. Nel 2007 conosce don Oreste Benzi e da tre anni condivide il progetto “Oltre le sbarre”, programma della Comunità Papa Giovanni XXIII. Autore di molti racconti e del romanzo “Zanna Blu” di prossima pubblicazione presso Gabrielli editori, è promotore della CAMPAGNA “MAI DIRE MAI” per l’abolizione della pena senza fine. Collabora con diverse testate e blog su internet come: urladalsilenzio.wordpress.com; www.linkontro.info (collegata all’associazione Antigone), tiene un diario su www.informacarcere.it

Bibliografia

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Diritto
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Aggiornamento: 11/12/2018