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Perché il più grande speculatore del mondo si dichiara ‘marxista’

E' uscito qualche mese fa ed è stato commentato, recensito, attaccato sui principali giornali di tutto il mondo. E' l’ultimo libro di Soros e si chiama “La crisi del capitalismo globale”. Non è la prima volta che un intellettuale o un pesce grosso della finanza giungono a conclusioni così pessimiste circa il futuro del capitalismo, né è la prima volta che un economista, magari senza dirlo, si serve dell’analisi economica marxista per capire meglio la realtà. Nei momenti di crisi del proprio sistema, la borghesia, per mezzo dei propri rappresentanti più lungimiranti, e spesso cinici, arriva alle stesse conclusioni dei rivoluzionari: la società è giunta a un bivio, così non si può andare avanti. I marxisti ne traggono la conclusione che occorre trasformare la società. Questi signori che bisogna dare una lezione alla classe operaia.

È perciò utile analizzare libri come questo per capire a che punto di disperazione è giunta quella cricca di multimiliardari che decidono le sorti del mondo.

Si potrebbe dire, parafrasando Omero, che bisogna temere i borghesi anche quando ti danno ragione. D’altra parte che vantaggio avrebbe uno speculatore a scrivere: “il mio pronostico è la disgregazione imminente del sistema capitalistico globale”?

Soros scrive che voleva pubblicare il libro per esporre la propria filosofia sociale. Ma la crisi finanziaria cominciata in Asia nel ‘97 ha sconvolto i suoi piani spingendolo ad applicare a quel caso concreto questa filosofia.

Affronteremo perciò due aspetti di questo libro. Il primo è la teoria scientifica che Soros dichiara di usare per capire la realtà. Il secondo è l’interpretazione di alcuni eventi dell’ultimo periodo.

“Un sintesi di Hegel e Marx”

Soros si dichiara un “fallibilista” in filosofia, ovvero un seguace del pensiero del filosofo liberale Popper che sostanzialmente si riassume così: ogni teoria e ogni società hanno dei difetti e dunque non crediamoci troppo e accontentiamoci di quello che passa il convento. Per Soros questo è tanto più vero in economia dove i fatti non sono indipendenti dalla società che anzi con le sue opinioni li influenza. La “riflessività”, come Soros definisce questo influenzarsi a vicenda, fa sì che i mercati siano preda di paura, panico, euforia e la natura irrazionale dei mercati lo ha guidato nel corso della vita professionale, con evidente successo. Questa “riflessività” funziona nel mondo della finanza, dove non si tratta di produrre qualcosa di reale ma solo di intervenire prima degli altri. Per questo Soros sostiene la tesi che una verità scientifica è tale se creduta da tutti. Almeno in borsa, perché lui stesso ammette che nelle scienze naturali le cose stanno ben diversamente. Questa filosofia, da un punto di vista individuale, ha un indubbio valore: lascio credere che faccio una cosa, gli altri ci cascano e io faccio diversamente. È ovvio che per la società nel suo complesso, almeno nel lungo periodo, non ha molto senso.

In economia, Soros rigetta la teoria economica ortodossa che sostiene che il mercato, come forma di produzione, è stabile ed efficiente. Soros dice al contrario, che “i mercati finanziari sono intrinsecamente stabili” e vanno salvati da se stessi: “se si lascia briglia sciolta alle forze di mercato…queste produrranno il caos”. La convinzione che il mercato sia perfetto, quello che Soros chiama “fondamentalismo di mercato”, diffusosi con il crollo dello stalinismo, ha impedito di vedere quello che per i marxisti era chiaro da un secolo: lo stato nazionale è un limite invalicabile allo sviluppo. Deve essere abbattuto. Ma come può la borghesia di ogni singolo stato accettare la fine del proprio dominio? Non può. Ci troviamo di fronte così alla enorme e insanabile contraddizione di un’economia mondiale e di una politica frammentata in duecento stati: “la nascita di un’economia globale non è stata accompagnata dalla nascita di una società globale”. Di fronte alla spazzatura scientifica che si riversa dalle università e viene chiamata teoria economica, Soros riconosce la correttezza dell’analisi marxista:

“ci troviamo di fronte a un sistema capitalistico globale. Le sue caratteristiche principali furono delineate per la prima volta, alquanto profeticamente, da Karl Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del Partito Comunista, pubblicato nel 1848”

e anche:

“Centocinquanta anni fa, Karl Marx e Friedrich Engels presentarono un’eccellente analisi del sistema capitalistico, per certi aspetti migliore della teoria dell’equilibrio”.

Dopo un decennio di accanita campagna ideologica anticomunista, un borghese del calibro di Soros ammette che la teoria economica liberale è aria fritta che non spiega nulla, pura finzione ideologica. Questo vale per l’economia e anche per l’analisi sociale più generale per la quale Soros dichiara che le proprie idee sono “una sintesi tra la dialettica delle idee di Hegel e il materialismo dialettico di Marx”. La valanga di calunnie con cui la borghesia ha voluto seppellire il marxismo ha confuso anche dei lavoratori, ma non ha mutato il fatto che il marxismo è l’analisi corretta della società capitalistica. Soros lo ammette, i riformisti che dominano il movimento operaio no.

La crisi finanziaria

La crisi finanziaria mondiale è cominciata in Asia, dove alcune borse hanno subito crolli ben più gravi di quello del ‘29 a Wall Street, è continuata in Russia dove il sistema finanziario è imploso. Si è ripercossa in tutto il mondo ma per ora si è arrestata di fronte agli Stati Uniti. Quando l’economia americana verrà trascinata nel vortice della crisi, il sistema capitalistico verrà messo a dura prova.

Questo crollo, spiega Soros, ha fatto sì che molti paesi “hanno cominciato a uscire dal sistema capitalistico globale o semplicemente a cadere lungo il cammino”. Mentre le autorità monetarie internazionali (FMI in testa) sono non solo inutili ma dannose. Così, i paesi meno colpiti dalla crisi sono stati quelli più isolati dal capitalismo mondiale.

Le caratteristiche del capitalismo globale le abbiamo descritte varie volte su questo giornale: totale dominio delle multinazionali e della finanza, piena libertà nel movimento dei capitali, incredibile aumento nelle dimensioni delle banche e nei rischi che si accollanno. Questo assetto, avverte Soros, porterà il capitalismo da una crisi all’altra, fino alla sua possibile disgregazione.

“Come impedire il crollo”

La descrizione della crisi mondiale che fa Soros è illuminante, tanto più se si pensa che lui è uno dei pochi a poter guadagnare dalla sofferenza di milioni di individui, tramite le operazioni dei suoi hedge fund.

Quando si arriva invece alle possibili vie d’uscita, il libro diviene prevedibilmente inconsistente. Scontato il fatto che l’autore vuole difendere il capitalismo, non resta che da vedere quali programmi utopici e stravaganti si inventa per risolvere i drammi messi in luce dalla crisi asiatica.

Soros sostiene che occorre difendere il capitalismo con un “sistema di valori” che vada bene a tutti. In pratica, abbandonando il liberismo estremo, occorrerebbe mettersi d’accordo su un sistema di regole e di strutture che aiutino a tenere sotto controllo i guasti del capitalismo.

Non è certo una proposta nuova. I marxisti lo chiamano fronte popolare, ed è il tentativo della direzione riformista del movimento operaio di legare le mani ai lavoratori con accordi che facciano il bene di “tutti”.

Alla fine, Soros non ha da proporre cose più sensate di quelle di centinaia di altri progetti “comuni” che si risolvono in un incubo per i lavoratori.

Da questo libro, in definitiva, emerge la preoccupazione con cui la borghesia guarda al futuro del proprio sistema. Soros si spinge fin dove può un membro della sua classe: fino ad ammettere che il marxismo è la teoria che spiega meglio il capitalismo. Non può spingersi fino a far entrare in questo racconto l’ultimo protagonista, quello che vi metterà la parola fine: la classe operaia.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Economia
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Aggiornamento: 12/09/2014