L'OMBRA: LA FIABA DELLA FOLLIA, DI H. C. ANDERSEN

L'OMBRA: LA FIABA DELLA FOLLIA, DI H. C. ANDERSEN

I - II

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Provando a dare una interpretazione psicologica della fiaba di H. C. Andersen, L'ombra, vien da pensare che la stessa "ombra" sia l'io dell'autore, mentre il "filosofo" il suo super-io o comunque il giudizio della collettività. Il distacco violento dell'una dall'altro, nonostante la retorica e il formalismo con cui viene coperto, esprime il disprezzo che l'ironia individuale ha per la morale pubblica. Tra filosofia e poesia sembra esserci un'insanabile incompatibilità: infatti il filosofo non cessa di giudicare le pretese estetizzanti dell'ombra e questa è costretta a ucciderlo.

L'omicidio - lo si nota facilmente - è privo di rimorsi, ma è tale proprio in quanto l'ombra è folle. Più precisamente: il filosofo viene giudicato dall'ombra come "pazzo", col che la sua morte passa per necessaria o ineluttabile. Nella propria follia l'ombra è contemporaneamente del giudice ed esecutrice. La dinamica è tipicamente irrazionalistica e può trovare dei corrispondenti in Kierkegaard e Nietzsche.

Perché avviene il distacco dell'ombra dal filosofo? Perché nella filosofia (che è anche coscienza morale, in quanto il filosofo gode di una certa "nobiltà d'animo", qualità rubata dall'ombra ribelle) Andersen è rimasto privo di considerazioni gratificanti da parte dell'ufficialità sociale, da parte del pubblico o della collettività, cioè è rimasto privo di un consenso legittimato. Qui sta la sofferenza dell'io: l'ombra è la parte più repressa di quest'io angosciato. Ma è proprio in virtù di tale malattia che scatta il meccanismo della ribellione e quindi la logica perversa della sua giustezza.

La coscienza morale vissuta esteticamente aveva isolato Andersen, il quale ad un certo punto decide di riguadagnarsi, in veste di folle, un prestigio sociale: ciò naturalmente nel totale disprezzo per la massa (un'analoga dinamica è presente nello stesso Kierkegaard, danese come lui).

L'ombra non cerca più consensi, ma esige rispetto, timore, soggezione. E comunque la sua follia non fa parte dell'irrazionalismo organizzato in strutture di potere, quanto di quell'irrazionalismo individualistico tutto concentrato su temi esistenziali. Caratteristica dell'ombra è la presunzione d'essere padrona assoluta della propria follia.

Essa ha a che fare con due tipi di società: con la pubblica morale del filosofo (il proprio super-io, il solo in grado di giudicarla) e con l'intelligenza priva di reale saggezza della principessa che l'ombra vuole sposare. Da notare, in questo frangente, che per sposarsi l'ombra si sente costretta a mascherare la propria identità, in quanto intenzionata a realizzare con la principessa una convivenza apparentemente etica, socialmente richiesta dalla morale dominante (una dinamica del genere la si trova anche in Oscar Wilde).

Tuttavia la principessa non può comprendere le ragioni ultime del comportamento formalmente civile che l'ombra intende assumere nei suoi riguardi. Qui, in effetti, sta l'atteggiamento di superiorità di Andersen: l'ombra è prepotente, saggia e ricca. In tal modo la principessa esprime un simbolo che per l'autore non ha altro valore se non quello di fornire l'occasione per una rivalsa soggettiva, conseguente al torto subìto in società (o comunque creduto tale). In definitiva, l'ingenuità non fa scorgere alla principessa che l'ombra è riuscita a sposarla, dopo la trasformazione irrazionale, solo per godere di ammirazione e lodi, che gli erano state negate nel periodo giovanile.

Tuttavia l'ombra non è in grado di destare timore nel pubblico perché folle o perché potente in quanto ricca. La sua struttura interiore può essere compresa solo valutando convenientemente tutta l'importanza del fattore intelligenza nel ruolo che gioca per il processo irrazionalistico. L'intelligenza dell'ombra è anzitutto un dono di natura, non determinata immediatamente da condizioni esterne. È l'astuzia l'unica vera risorsa di cui essa dispone, poiché è questa che le ha permesso di comprendere quella che essa ritiene una dinamica dell'ingiustizia (il torto subìto). Infatti l'ombra vuole suscitare ansia o timore proprio perché è in grado di conoscere il "male del vicino", cioè si avvale di una fine psicologia.

ALTRE FIABE DI ANDERSEN

  1. Il solino è una descrizione mascherata delle sue vicende sentimentali. Gli amori infelici portano al disprezzo per la donna. Il finale è un'evidente finzione.
  2. Le scarpette rosse sono una tentazione cui l'autore sente di non potersi sottrarre: il narcisismo. Qui sono presenti alcuni elementi irrazionali, la cui rimozione avviene in maniera drastica. Infatti, nei confronti del proprio estetismo, Andersen non trova una mediazione reale capace di risolverglielo adeguatamente. La risoluzione del male nella bambina narcisista è come strappata a forza, in virtù di una grazia particolare. La religiosità è cupa, tragica, tipicamente nordica. Nella concezione religiosa dell'autore è assente il rilievo comunitario, presente solo nel periodo giovanile, ma in modo formale, in quanto è forte la contestazione dei pastori danesi.
  3. In Storia di una madre sono presenti delle tracce edipiche. Di fronte all'ambiguità del proprio destino, motivata dall'indeterminatezza esistenziale della propria vita, Andersen avrebbe preferito morire nell'innocenza. La malinconia, legata al suicidio, lo avvicina a Kierkegaard, ma fra i due c'è una differenza qualitativa importante. La coscienza di Andersen è meno drammatica e meno s'incupisce nell'odio solitario contro l'esistenza. Infatti Andersen necessita di un contatto con la socialità per rifarsi di quelli che riteneva i torti subiti in gioventù: per questo affronta in maniera decisa il pubblico mediante le sue fiabe (cosa che Kierkegaard farà, coi suoi testi di filosofia religiosa, solo negli ultimi anni della sua vita). In questa fiaba il concetto di predestinazione resta ambiguo e sospensivo, precedendo quella che poi sarà la soluzione irrazionalistica dell'autore maturo.

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Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019