La personalità di Italo Calvino
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Fin dall’esordio con “Il sentiero dei nidi di ragno”, (che sono memorie partigiane), Italo Calvino (1923-1985) mostrò una certa sicurezza espositiva, capace di dominare le situazioni e di asservirle al proprio modo di vederle. Il libro è fatto di racconti nei quali è l’uomo ad assumere un ruolo centrale, non la vicenda. Calvino non gira intorno alle cose, non crea atmosfere tenebrose e leziose, ma va al sodo, un sodo che vorrebbe essere critica profonda della realtà, commento superiore alla stessa, pena non letteraria per gli orrori della guerra. Il nostro scrittore è un intellettuale moralista, dotato di grande colpo d’occhio e di sensibilità piena, che intende porre al servizio della razionalità con impeto immediato ed esaustivo. L’operazione è estremamente difficile, Calvino se ne rende conto e volge la sua espressione da convenzionale a fantastica: nella fantasia, trattata con spirito superiore, egli può sviluppare le sue tesi con leggerezza, ed anche con ironia. Le sue tesi non sono originali, ma le imprese dei suoi personaggi le rendono più chiare e più simpatiche. Calvino collaborò con Elio Vittorini (letteratura dotta e seria; energica), collaborò con Einaudi, ebbe contatti con la cultura francese, con il gruppo formante la futura OuLiPo, la creatura di Raymond Queneau lanciata verso una più ampia possibilità espressiva e letteraria, per quanto portata avanti con un certo scetticismo, infine poi generalizzato. Da questa frequentazione preparatoria il movimento francese, il nostro scrittore apprese, in particolare, disinvoltura e creatività istantanea oltre la tradizione. Calvino entrò nel mondo fantastico, cercando di ridurre al minimo il condizionamento classico e di domare quello senza regole contemporaneo (le varie sperimentazioni linguistiche che in parte daranno vita al Gruppo 63, che Calvino non amerà) con “Le fiabe italiane” (testo leggero e gradevole, riscopritore del mondo contadino, così come avviene nelle byline russe) e soprattutto con le sue opere sulfuree e lunari, fra cui “Il cavaliere inesistente”, “Il barone rampante” e “Il visconte dimezzato”, tutta roba dei suoi anni d’oro, quella che occupa l’intero decennio fra il 1950 e il 1960. “Il visconte dimezzato” è un’opera di particolare suggestione, forse il suo libro migliore in assoluto, quello meglio riuscito. L’idea del confronto fra le due parti dell’uomo è geniale, ma è anche simpatica perché Calvino non la drammatizza affatto, bensì la rappresenta come emblema della personalità umana. Per il Nostro, tuttavia, la rappresentazione non ha fini assoluti, bensì moralistici, ammonitori ed edificatori, portano ad un obiettivo etico. Il desiderio di giungere ad una lezione etica efficace è nelle corde più segrete di Calvino. Da buon insegnante, egli cerca di dotarsi degli elementi più efficaci per trasmettere il suo pensiero, pensiero che egli ritiene esemplare. Sempre emerge nei suoi scritti questo piacere divulgativo, cattedratico, che, soddisfatto, fa di lui il primo felice fruitore. Lo stile ritmato della sua scrittura è accattivante, gradevole, anche se Calvino non manca mai, in un modo o nell’altro, di mettersi in evidenza. La sua brillantezza pone in secondo piano la velleità di raggiungere lo scopo. Calvino sa di scrivere bene e spesso si perde in questa bravura, allontanando lo sviluppo del concetto principale. Grande personalità, egli la esplicò soprattutto esteticamente, riuscendo tuttavia, fra i tanti bagliori, non sempre solo accecanti, a rendere vive le sue provocazioni e le sue preoccupazioni civili. Dello stesso autore:
Testi di Italo Calvino
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