L’anticonformismo di William Hazlitt

L’anticonformismo di William Hazlitt

Dario Lodi


Le vicende della vita portarono l’intellettuale inglese William Hazlitt (1778-1830) a diventare un ottimo saggista. Era partito pittore (il dipinto sopra è suo ed è un autoritratto), avendo preso lezioni dal fratello John. Pensava di essere un novello Rembrandt. Ovviamente non lo fu, ma i suoi ritratti erano ricercati e gli consentirono entrate non disprezzabili, che, infatti, lo aiutarono a sopravvivere. Hazlitt non smise mai di dipingere, come non smise di osservare il mondo e di darne la sua opinione, mai convenzionale.

L’originalità del nostro scrittore ha un carattere di franchezza, a volte brutale, per nulla gradito nell’ambiente letterario, teatrale e romantico del tempo. Hazlitt divenne saggista per la sua bella prosa, di stampo illuminista, e per la sua verve polemica, peraltro involontaria. La stampa per cui lavorava, la più apprezzata in Inghilterra, teneva alla sua firma per la diffusione garantita dal “polemizzare”. Il nostro scrittore pretendeva di dire ciò che voleva, senza cerimonie di sorta, e i contemporanei citati arrivarono a odiarlo. Nota è la sua lunga amicizia con il poeta Coleridge che si ruppe in un momento per l’apparente irriverenza contenuta in una critica. Nella realtà, Hazlitt, che si piccava di essere anche filosofo, desiderava giungere alla verità, evitando accuratamente le frasi fatte e gli interventi prefabbricati: due piaghe presenti anche in molto scrivere odierno. Il Nostro stava lontano dai pezzi composti a tavolino e aborriva lo scritto schematico, il linguaggio di riporto, lo specialismo esangue.

Questo suo atteggiamento, da cui non derogò, gli valse critiche maligne, biliose, poco razionali, alle quali rispose con commenti di questo genere (tratti dal suo saggio “Sulle istituzioni” – Fazi editore - e riportate da Alfonso Berardinelli in un suo articolo sul supplemento de “Il Sole 24 ore”):

Le istituzioni sono più corrotte e più guaste degli individui, perché hanno più potere per fare il male, e sono meno esposte al disonore e alla punizione. Non provano né vergogna né rimorso, né gratitudine e neanche benevolenza … Se uno dei membri solleva un’obiezione opponendosi al gruppo viene subito messo a tacere, si fa il sangue cattivo e non conclude niente: è considerato un intruso.

Le nostre università sono diventate in gran parte delle cisterne per conservare, non delle condutture per distribuire il sapere.

I commenti nascono da risentimento per la mancanza di comprensione dei suoi scritti, ma sono esposti con calma e lucidità. Sollevano questioni di primaria importanza per quanto riguarda la crescita intellettuale dell’uomo. Se mi esprimo attraverso codici, avrò al massimo familiarità con essi, ma non con la conoscenza che va ben oltre qualsivoglia contenimento e costrizione. In effetti, un’istituzione tende a preservare se stessa e nel farlo s’involve anziché evolversi per timore di perdere privilegi e potere.

Personaggi come Hazlitt sono mosche bianche e talune, come lui, soffrono la particolarità, cercano appigli per essere credibili ai propri occhi, per convincersi di essere sensati e progressisti. Per quanto riguarda il nostro personaggio, tutto ciò si spiega con l’attaccamento relativo a fenomeni esterni, non corrispondenti alla consuetudine. Hazlitt ammirò, in special modo, Rousseau, Napoleone, Stendhal, Locke, Hume, Milton, Keats: un ondeggiare fra realismo, romanticismo e classicismo. Del clima romantico prese le cose meno svenevoli o non svenevoli affatto.

Le sue preferenze andavano a poeti e filosofi innovatori, più Napoleone che rappresentava ai suoi occhi il realizzatore della catarsi civile. L’imperatore dei francesi ebbe da lui un’attenzione speciale, sfociata in una trattazione del personaggio in più volumi. Dopo l’imperatore, veniva Rousseau e quindi, in fin dei conti, piuttosto distaccati, tutti gli altri, tranne Keats, per il quale finì con il nutrire della venerazione. C’è una logica in tutto questo: Napoleone, comunque, ribaltò completamente il vecchio mondo e cerò di crearne uno nuovo. L’operazione si fermò a Waterloo nel 1815. Per Hazlitt fu un grave lutto, la caduta dei suoi ideali.

Non si sa quanto Napoleone intendesse determinare la catarsi che il nostro scrittore, come tanti altri intellettuali dell’epoca, auspicavano. Non ebbe tempo per dimostrarlo. Certo è che lasciò un’eredità assai poco convincente, di fatto un tentativo di egemonia francese ricalcata sul vecchio impero degli Asburgo e modernizzata secondo una nuova mentalità, quella affarista borghese. È un’eredità che non ha niente a che vedere con le varie aspettative. Seguì, dopo Waterloo, la restaurazione, costretta a venire a patti con la borghesia. Tutta qui la rivoluzione napoleonica?

In quanto a Rousseau, le sue teoria del “buon selvaggio”, del ritorno alla natura, della necessità di uscire dalla società moderna, dove tutti sono contro tutti, furono solo un anticipo delle rivendicazioni operaie sfociate nell’utopia socialista. Rousseau afferma che l’uomo è buono, si rovina se costretto a confrontarsi con il suo simile, chiuso in un’arena dove si deve battere per la proprietà. Si tratta di tesi pesantemente condizionate da un romanticismo debole inserito in un positivismo orecchiato. Hazlitt ammirò Rousseau perché anche Rousseau era una specie di mosca bianca (una specie, perché il francese, nella vita, fece tutto il contrario di ciò che scriveva: ad esempio abbandonò all’orfanotrofio i suoi numerosi figli).

Infine, Keats, la cui poesia vibrata e sincera ammaliò un intellettuale, Hazlitt appunto, che si sentiva solo e che solo era veramente. Si tollerava la penna del Nostro, perché i suoi saggi avevano commercialmente successo (e magari lo si invidiava), ma non lo si considerò mai un autore importante. Però il suo testo “Conversazioni a tavola” è un “livre de chevet”, i suoi saggi fanno faville. Pur fra mille fatiche, pur nelle delusioni del suo pionierismo incompreso ed emarginato, Hazlitt persegue la strada del rispetto del decoro intellettuale. Il suo allontanarsi da ogni forma di convenzione lo rende un esempio luminoso dell’impresa speculativa. Ci dice che deve essere pura, disinteressata, profonda e responsabile. Solo riferimento è il sapere, nel rispetto della sua dinamica costruttiva. Altro è addobbo, scampolo, scarto e come tale va trattato. Per quei tempi (ma anche per i nostri) un’enormità. Chapeau!

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019