I quaderni di Atlante

La nozione dell´infinito di Leopardi: solo desiderio poetico o ben di più?

La problematica nell'interpretare un'opera di Leopardi è quella di spiegare in quale modo e per quale ragioni un determinato pensiero si sia formato: infatti, la filosofia leopardiana è stata da tempo interpretata come elemento fondante della poeticità stessa (e non come un suo ostacolo).


Adelaide, madre di Giacomo

Se nei primi anni di composizioni Leopardi si era illuso che le sue sventure gli impedissero quella felicità di cui gli altri potevano godere, nel 1819, privato dell’uso della vista, comincia "a riflettere profondamente sopra le cose... da divenire filosofo di professione, a sentire l’infelicità certa del mondo", concludendo con l’affermazione "non divenni sentimento (meditazione su esistenza) se non quando dedito alla ragione e al vero" (Zibaldone 27 giugno - 2 luglio 1820). Sono questi termini - infelicità, mondo, sentimento, ragione, vero - che invitano a decifrare altri elementi peculiari del suo linguaggio poetico, come quello dell’infinito da cui l’uomo leopardiano, a prima vista, trae piacere, ma che gli diventa anche destino insormontabile.

L´infinito: fonte poetica - Qualche annotazione

1. Sempre caro mi fu quest'ermo colle

Secondo Luigi Blasucci il tempo "sempre caro mi fu" sarebbe un passato con valore di presente iterativo, cioè nel senso di Gerard Genette "raccontare (in) una volta sola, quanto è avvenuto n volte" e che per conseguenza tutti i verbi nell’idillio sarebbero da intendersi come presenti iterativi p.es. v. 7 sono solito fingermi nel pensiero.

Questa indicazione di ripetizione rinvia per se stessa all’idea dell’infinito: solo ciò che si ripete può esistere (da) sempre. Questo avverbio di tempo unito a fu esprime un passato lontano da qualcosa, già preesistente, come se fosse eterno.

2. E questa siepe, che da tanta parte 

La siepe, che impedisce una vista più vasta permette in ciò una visione illimitata, come sostiene Leopardi: "una fabbrica, una torre ecc. veduta produce un contrasto efficacissimo e sublimissimo tra il finito e l‘indefinito" (Zibaldone, pp. 1430-1431).

3. Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude. 

Nei primi tre versi, che presentano un cumulo di consonanti dure "c", "d", "t" terminando poi con un punto, si può sentire come un ritmo per lo più bisillabico (sempre caro/ questa siepe/ tanta parte/ guardo esclude).

Si sente, leggendoli, un ritmo di "marcia" quasi onomatopèico per recintare ed isolare, come accentua l‘espressione guardo escluso da tanta parte. Questo mondo chiuso, così disegnato, contrasta con la prima parte del v. 3, dove le tre prime parole sembrano fondersi in una sola, fluttuante, che imita l’infinito ed annuncia un mondo di spazio indefinito: questo annuncio di spazi indefiniti viene sostenuto dal Ma e dal punto che aiutano a sottolineare il distacco dai primi 3 versi.

4. Ma sedendo e mirando, interminati

5. Spazi di là da quella, e sovrumani

6. Silenzi, e profondissima quiete

Il Ma è poi seguito da una seria di polisillabi e di enjambements, combinati con delle pause e con una molteplicità di quasi-sinonimi dell’infinito (indeterminato, profondissimo, spazi ecc.), elementi naturali semanticamente associati: mare, orizzonte, naufragar.... L’ampio uso del plurale, di superlativi e l‘impiego ripetuto di "e" creano un universo di ariosità e vastità spazio-temporale, una sensazione di eternità.

L’uso del gerundio si presenta in questo contesto come presente iterativo nel senso di "sempre quando si siede - sempre quando si mira" con rinvio all’eterno.

7. Io nel pensier mi fingo; ove per poco 

Nel pensier mi fingo dà un senso di un‘operazione attiva della mente in contrasto con mi sovvien nel v. 11, dove l’eternità sembra ricordare il mi, allora passivo. Replicando a quanto sostenuto da Luigi Blasucci, che lo interpreta come un mi veniva in mente riferendosi allo Zibaldone, penso che il significato del passato contenuto nel termine sovvien sia voluto, perché rende l’idea dell’eterno come indizio di un passato lontano che spesso vive nel Leopardi e che si trova sia nello Zibaldone (1) che nel verso iniziale "sempre.... fu" (vedi v. 1).

8.Il cor non si spaura. E come il vento 

9. Odo stormir tra queste piante, io quello

10. Infinito silenzio a questa voce

Leopardi evoca nuovamente le piante, lo stormire delle quali diventa, come la "veduta ristretta della siepe" punto di (ri)partenza nel mondo infinito, questa volta annuncio di quello temporale eterno, morte stagioni, la presente.

11. Vo comparando: e mi sovvien l'eterno, 

La "veduta ristretta" e "il concreto udire", cioè il sentire fisico limitato, suscita (corollari della teoria del piacere, del 1820) l‘immagine dell’infinito-eterno spazio immaginario (cf. Zibaldone, p. 171).

12. E le morte stagioni, e la presente

13. E viva, e il suon di lei. Così tra questa 

Afferma Blasucci che "la funzione di TRA invece di IN, regime normale di annegarsi, sarebbe "meglio di tutti definita da Tilgher", ed è quella di connettere le due dimensioni evocate in precedenza, ossia l’infinito dello spazio e del tempo: Il poeta ha oscillato tra le due fantasticherie (il tra è rivelatore) separate da una percezione di realtà (lo stormire del vento): dalla fantasticheria dello spazio infinito è passato alla fantasticheria del tempo infinito. Tra questa immensità (spazio-temporale) si annega" (2).

14. Immensità s'annega il pensier mio:

15. E il naufragar m'è dolce in questo mare. 

Accettando l'interpretazione dello stesso sull‘annegarsi con un senso durativo "va annegandosi" si arriva alla nozione di un annullamento, dove l’io si perde per non più persistere.

Note

(1) "Dolor mio nel sentire a tarda notte seguente al giorno di qualche festa il canto notturno di villan passegeri. Infinità del passato che mi veniva in mente, ripensando ai Romani così caduti dopo tanto romore e ai tanti avvenimenti ora passati che io paragonavo dolorosamente con quella profonda quiete e silenzio della notte, a farmi avvedere del quale giovava il risalto di quella voce o canto villanesco" (Zibaldone, pp. 50-51, del 1819).[torna al testo]

(2) cf. BL, p. 10, dove si vede a proposito la poesia: Ad Angelo Mai, vv. 111-115 che creano con l‘enumerazione, plurali, la cifra simbolica mille, l’idea di un mondo senza confini, dove – anche qua – l’anima si perde: "O torri, o celle/o donne, o cavalieri/o giardini, o palagi! a voi pensando, /in mille vane amenità SI PERDE la mente mia."; cf. Zibaldone, p. 1429 "l’idea di un tempo indeterminato dove l’anima si perde, e sebben sà vi sono confini, non li discerne, e non sa quale sieno".[torna al testo]

L’Infinito - un petalo nell’universo?

La composizione leopardiana L’infinito, vista da qualche critico come saldatura circolare, mi pare più vicina al movimento di un palloncino che si gonfia o al petalo d'un fiore: (guarda l'immagine).

Il narratore parte da un punto preciso, l’ermo colle, per poi allargare sempre di più la vista mentale (io nel pensier mi fingo), che ingloba silenzi, spazi ecc., passando attraverso i diversi momenti della percezione sensitivo-mentale (linea simmetrica: guardo esclude/mio pensier che fingo/mirando/odo/comparando/udito) per raggiungere l’infinità temporale. Le diverse fasi della percezione si specchiano ad ogni momento ed in diverse direzioni del viaggio immaginario, p.es. spazio – tempo: linea diagonale, accentuato per l’enumerazione ripetuta di "e", poi piante-siepe: linea diagonale, ma anche orizzontalmente siepe-suon di lei, o come antipodi: profondissima quiete-suon di lei ecc.

Così come anche la diversità dell’implicazione semantica nella scelta dei termini caro mi fu e m’è dolce riconduce ad unità d’espressione.

Esattamente alla metà della poesia si arriva al verso contenente la parola COR (ottavo verso, contando sia dall’inizio che dalla fine). L’idea del cuore riflette il punto di partenza, dove negli aggettivi caro e dolce vengono espresse sensazioni intime del cuore. Per cui la ricerca dell’infinito-indefinito non si presenta come una fuga nel lontano, ma come un ritrovar se stesso.

45 parole prima di arrivare a COR, 48 prima di arrivare al SE riflessivo e 48 dopo VENTO, potrebbe essere un caso? Ma la probabilità che Leopardi abbia costruito l’idillio su una rete ben precisa, sembra deducibile quando si nota la struttura di riflessi, corrispondenze ed opposizioni usate nell‘insieme del testo.

Che nella struttura sia proprio tra il CUORE, centro del più intimo respiro dell’uomo = microscosmo, ed il VENTO, sede del respiro dell’universo = macrocosmo, si centralizzi l’eliminazione della paura (non si spaura), disegna un'anima che incontrando l’infinito, aspira sempre più a fondersi nell‘assoluto indefinito.

Leopardo raggiunge nell’Infinto l’idea che l’anima si metta in movimento per arrivare attraverso la "meditazione": SEDENDO, MIRANDO, COMPARANDO, SENTENDO, ad un infinito muto ed impersonale, quindi simile al cammino verso la "illuminazione" delle filosofie indiane...

Questa progressione meditativa, che nell’Infinito parte da un punto concreto (SIEPE = mondo chiuso), per passare attraverso una fase di espansione immaginativa e/o di presa di coscienza (ORIZZONTE) fino ad arrivare alla massima apertura (COR- VENTO) per tornare poi, attraverso una fase di regresso al punto di partenza, dove l’io, assorbito dall’assoluto, (NAUFRAGAR IN QUESTO MARE), si annulla nello stesso.

Il viaggio dell’anima leopardiana e l‘infinito movimento ciclico dell’universo, rappresentato dal suono AUM (3), sono ricchi di somiglianze concettuali e di parallelismi: per esempio, di quanto poco differisce Il dolce naufragar in questo mare dalla soddisfatta presa di coscienza dell‘identità tra Anima-io (atman) ed Assoluto (brahman) degli Upanisad!

Leopardi anticipa così, in modo esemplare, anche la visione neo-hinduista che Swami Vivekanda proclamò a Chicago nel 1893 al Parlamento religioso del mondo:

Una è la stessa luna che si specchia in tutte le acque. Tutte le lune nell‘acqua sono Uno nell’unica luna.

Note

(3). L’associazione fatta da me tra il suono AUM e l’importanza del suono leopardiano, come espressività ma anche modo di ricerca dell‘infinito può venir sostenuta dalle osservazioni fatte da Blasucci sul v. 8:

"Stormire del vento e canto lontanante si trovano del resto accomunati come suscitatori di sensazioni infinito-indefinite, indipendentemente dalle riflessioni del tempo, nella pagina dello Zibaldone, sull’effetto dei suoni in rapporto all’idea dell’infinito: E' piacevole per se stesso, cioè non per altro, se non per un idea vaga ed indefinita che desta, un canto (il più spregevole) udito da lungi o che paia lontano senza esserlo, e che si vada a poco a poco allontanando, e divenendo insensibile o anche viceversa (ma meno) o che sia così lontano, in apparenza o in verità, che l’orecchio o l’idea quasi lo perde nella vastità degli spazi (...) E' piacevole qualunque suono (anche vilissimo) che largamente e vastamente si diffonda (...) A queste considerazioni appartiene il piacere che può dare e dà (quando non si è vinto dalla paura) il fragore del tuono, massime quand’è più sordo, quando è udito in aperta campagna; lo stormire del vento, massime nei dette casi, quando freme confusamente in una foresta, o tra i vari oggetti di una campagna, o quando è udito da lungi, o dentro una città trovandosi per le strade ec.", Zibaldone, 16 ottobre 1921, pp. 1928-1929, cit. in: BL, p. 157.


Questi testi sono stati estrapolati da una relazione ben più vasta,
riguardante i rapporti tra Leopardi e il Buddismo.

culturitalia.uibk.ac.at/atlante/atlante/Quaderni/anno01/infinito/infinito02.htm