L'INFINITO POTENZIALE

"Il numero maggiore di ogni altro
 numero non esiste,
 perché non esiste un numero
 maggiore di tutti i numeri."
 (Zavattini, Parliamo tanto di me)
 

Affrontando il tema dell'infinito nella storia della matematica abbiamo potuto constatare che è necessario distinguere tale concetto attraverso due caratterizzazioni:


Sala della Pinacoteca Comunale dedicata a Leopardi

L'infinito potenziale, per una successione di elementi, è la possibilità di procedere sempre oltre, senza che ci sia un elemento ultimo. È curioso sapere che la scoperta dell'infinito potenziale è una delle grandi meravigliose conquiste intellettuali che facciamo spontaneamente nell'infanzia, in varie forme. Pensiamo, ad esempio, alla possibilità di aggiungere sempre "uno" nel contare oppure all'affascinante "gioco degli specchi" che riflette una stessa immagine all'infinito, verso la "sempre più piccola". Ma l'infinito potenziale è riscontrabile anche in alcuni testi letterari. L'esempio più esauriente è la poesia di Giacomo Leopardi, "L'Infinito", in cui il poeta distingue due tipi di infinito potenziale:

  1. infinito potenziale spaziale (... interminati spazi di là da quella...);
  2. infinito potenziale temporale (... mi sovvien l'eterno...).
E' indispensabile, inoltre, osservare che il concetto di infinito non è del tutto slegato dal problema del continuo e del discreto. Capiremo questo se, ad esempio, consideriamo le seguenti situazioni:
   

CONTINUO

      

DISCRETO

        

Punti di una retta:

      

Numeri naturali:

_______        .............
        
Tra un punto e l'altro ci sono        È una successione a scatti,
sempre infiniti punti.        tra un numero e l'altro c'è
Non ha più senso parlare del        sempre un'unità. È quella
punto immediatamente successivo        che Hegel chiamava
(si attraversano infiniti punti        "la cattiva o mala infinità".
nel passare da un punto       
all'altro; "infinità in atto       
o "infinità compiuta").       
 

L'aspetto del continuo, studiato approfonditamente nel secolo scorso, porta al seguente problema:

 
"un segmento continuo è solamente divisibile in un
 numero grande quanto si vuole di parti, per
 esempio con un processo di successive divisioni
 che non ha termine, ed è quindi infinito nel
 senso potenziale, o può anche essere concepito
 come infinito in atto, come collezione infinita
 compiutamente data di tutti i suoi punti?"

Questo problema è stato pienamente e definitivamente chiarito da Richard Dedekind e Georg Cantor.

digilander.libero.it/rikidox/infinito2.html


"Mio padre ed io giungemmo all'Accademia quando il presidente Maust stava cominciando l'appello dei partecipanti alla gara mondiale di matematica [..]. "Uno, due, tre, quattro, cinque
"Nella sala si udiva solamente la voce dei gareggianti. Alle diciassette circa avevano oltrepassato il ventesimo migliaio [ I. Alle venti, i superstiti erano sette "... 36747, 36748, 36749, 36750, Alle ventuno, Pombo accese i lampioni. "... 40719,40720,40721,
"Alle ventidue precise avvenne il primo colpo di scena: l'algebrista Pull scattò: "Un miliardo". Un oh di meraviglia coronò l'inattesa sortita; si restò tutti con il fiato sospeso. Binacchi, un italiano, aggiunse issofatto: "Un miliardo di miliardi di miliardi".
"Nella sala scoppiò un applauso, subito represso dal presidente. Mio padre guardò intorno con superiorità [ 1 e cominciò: "Un miliardo di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi, di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi La folla delirava: "Evviva, evviva…"...di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi Il presidente Maust, pallidissimo, mormorava a mio padre, tirandolo per le falde della palandrana: "Basta, basta, vi farà male". Mio padre seguitava fieramente: " ... di miliardi di miliardi di miliardi di miliardi!". A poco a poco la sua voce si smorzò, l'ultimo fievole di miliardi, gli usci dalle labbra come un sospiro, indi si abbatté sfinito sulla sedia. Il principe Ottone gli si avvicinò, e stava per appuntargli la medaglia sul petto, quando Gianni Binacchi urlò: "Più uno!".
"La folla precipitatasi nell'emiciclo portò in trionfo Gianni Binacchi. Quando tornammo a casa, mia madre ci aspettava ansiosa sulla porta. Pioveva. Il babbo, appena sceso dalla diligenza, le si gettò tra le braccia singhiozzando: "Se avessi detto più due avrei vinto io"" (Cesare Zavattini, Parliamo tanto di me, capitolo XVI).

Ma il favoloso padre della favolosa autobiografia di Cesare Zavattini si illudeva, si sbagliava. Anche se avesse avuto la prontezza di spirito di dire "più due", non avrebbe vinto la gara mondiale di matematica. Se infatti quella gara, come la concepisce e descrive il geniale scrittore italiano, viene vinta da chi pronuncia "il numero più alto", nessuno la vincerà mai, nessuno potrà mai vincerla. Perché il numero più alto non c'è. Perché un numero maggiore di tutti i numeri non esiste. Infatti, pronunciando un numero, comunque vertiginosamente alto (rispetto alla nostra corta immaginazione di uomini), è sempre possibile, a un Gianni Binacchi così come a un qualunque altro mortale, esclamare: "più uno". La successione crescente dei numeri interi naturali non ha fine, è infinita, perché: fissato comunque un numero naturale è sempre possibile fissare un numero maggiore di esso. La definizione di 'infinito potenziale', per una successione di elementi è questa: la possibilità di procedere sempre oltre, senza che ci sia un elemento ultimo.

La scoperta dell'infinito potenziale è una delle grandi meravigliose conquiste intellettuali che facciamo spontaneamente nella infanzia, in varie forme, pensando alla possibilità di aggiungere sempre "uno" nel contare oppure al singolare miracolo del gioco degli specchi, che si palleggiano l'immagine, e dentro di essa l'immagine della immagine, e così via in una fuga vertiginosa senza fine verso il sempre più piccolo. L'impossibilità di pensare una fine dello spazio, una barriera dopo la quale non c'è nuovo spazio, è un'altra delle vie naturali che conducono alla conquista della categoria mentale dell'infinito potenziale.

L'infinito di cui parla Giacomo Leopardi all'inizio della poesia, è un infinito potenziale spaziale:

"Sempre caro mi fu quest'ermo colle
E questa siepe, che da tanta parte
Dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, Sterminati
Spazi di là da quella...
...... io nel pensier mi fingo".

Nella parte finale della breve composizione dallo spazio potenzialmente finito, che nessuna "siepe" chiude (se non allo sguardo), Leopardi passa alla riflessione sul tempo potenzialmente infinito, del quale non si riesce a pensare un'ultima "stagione":

ESCHRAD1.jpg (191205 byte)

Relatività, litografia di Escher 1953. La riproduzione è tratta da una stampa che fa parte della collezione Rosenwald.

"... mi sovvien l'eterno
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei ... ".

Qui si presentano però già le prime difficoltà del concetto di infinito, anche semplicemente potenziale.
Innanzitutto, la infinità potenziale è caratteristica del nostro modo (normale) di concepire lo spazio e il tempo: rispettivamente come un cubo sempre accrescibile, e come un segmento che è prolungabile indefinitamente. Non è detto però che l'infinità potenziale sia necessariamente caratteristica dello spazio e del tempo reali, quelli nei quali si svolgono i fenomeni fisici. Per la verità le cose sono assai più complicate, lo spazio-tempo non è un semplice contenitore dei fenomeni, è strutturato in funzione della materia che contiene; ma la cosa non interessa la parte principale del nostro discorso. Lasciamo quindi da parte, d'ora in poi, i problemi relativi alla infinità o meno dell'universo, dello spazio fisico e del tempo reale. Ci occuperemo soltanto di costruzioni mentali, quali sono i numeri interi, o i tratti (segmenti) di retta o di curve continue. Riflettiamo dunque sulle successioni di numeri e sulle successioni di punti. Attiriamo subito l'attenzione sul fatto che c'è una differenza di qualità tra la successione potenziale infinita dei numeri naturali crescenti, e la successione dei punti di una retta, o anche di un suo segmento, o anche di una circonferenza, insomma di quello che chiamiamo un 'continuo lineare'.
In entrambi i casi la successione è composta da una quantità inesauribile di elementi. Nel caso della successione dei numeri naturali, però, si procede per così dire a scatti; si può andare sempre avanti, senza fine, perché si può aggiungere sempre, quale che sia il punto al quale si è giunti, ancora una unità. Si tratta di una successione infinita 'discreta': fatto un passo, è ben chiaro quale deve essere il successivo; tra un elemento e quello che viene dopo c'è stacco netto, c'è il vuoto.

successione continua ____________________

successione discreta · · · · · · · · · · · · · · · · · · · ·

Ben diverso il caso della retta. Qui la successione infinita è continua. Arrivati a un certo punto, non ha senso parlare del punto a esso immediatamente successivo. Tra un punto e un altro che lo segue ci sono sempre infiniti punti che formano un segmento anch'esso continuo, infinitamente divisibile in parti esse stesse continue, ancora infinitamente divisibili, e così via senza fine. Qui sembra ci sia qualcosa di più della possibilità di andare avanti all'infinito: qui passando da un punto P a un punto a esso successivo Q (nel verso di percorrenza prescelto) sembra che si passi attraverso infiniti punti, che ogni volta si esaurisca una infinità elementi, che si abbia una collezione di infiniti punti dati tutti insieme. Un 'infinito in atto', dunque, e non solo in potenza; un'infinità compiuta, e non soltanto non completabile; esaurita, e non soltanto inesauribile. Una successione infinita discreta, sempre riconducibile alla ripetizione infinita del "più un altro", è un oggetto mentale di tutto riposo. Il grande filosofo tedesco Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831) chiamava questa prima, e più elementare, manifestazione dell'infinito potenziale die schlechte Unendlichkeit: "la cattiva o mala infinità".

Il 'continuo' è altra cosa, e pone un problema grosso, grossissimo, che è stato pienamente e definitivamente chiarito soltanto da Richard Dedekind e da Georg Cantor, i due protagonisti del capitolo centrale di questa storia (vedi parte quarta), che lavorarono e collaborarono nella seconda metà dello scorso secolo. Possiamo porre il problema nei seguenti termini: un segmento continuo è solamente divisibile in un numero grande quanto si vuole di parti, per esempio con un processo di successive divisioni che non ha termine, ed è quindi infinito nel senso potenziale, o può anche essere concepito come infinito in atto, come collezione infinita compiutamente data di tutti i suoi punti? Consideriamo acquisita e non controversa la possibilità di dividere all'infinito il continuo. Affronteremo in seguito, nella parte seconda, la questione dell'eventuale secondo modo di essere infinito di un segmento (di un continuo): quello di essere un infinito già tutto dato, compiuto ed esaurito di elementi 'indivisibili', un infinito in atto. Prima, consideriamo l'unico altro infinito preso in considerazione dai pensatori per millenni accanto al domestico infinito potenziale: l"infinito assoluto'.

Lucio Lombardo Radice  L'infinito Editori Riuniti, Libri di base pag. 8-12

http://www.itis-molinari.mi.it/documents/scienza/radicell.htm