PASCOLI, ARANO

ARANO (DA MYRICAE)

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Al campo, dove roggio nel filare
qualche pampano brilla, e dalle fratte
sembra la nebbia mattinal fumare,

arano: a lente grida, uno le lente
vacche spinge; altri semina; un ribatte
le porche con sua marra paziente;

ché il passero saputo in cor giā gode,
e il tutto spia dai rami irti del moro;
e il pettirosso: nelle siepi s'ode
il suo sottil tintinno come d'oro.

[pampano=foglie della vite, qui rosse perché tra ottobre e novembre, dopo la vendemmia]
[porche=i cumuli di terra tra solco e solco durante l'aratura, usati per ricoprire i solchi stessi che contengono i semi]
[marra=simile alla zappa]
[moro=gelso]
[fratte=cespugli di confine ai bordi del campo, forse pieni di rugiada, che il sole trasforma in nebbiolina]

* * *

In questo madrigale in endecasillabi (contenuto nella raccolta Myricae del 1891, ma scritto nel 1886), č potente la descrizione di un aspetto della vita rurale. Non sono poche le parole tecniche usate in soli dieci versi e con una maestria linguistica e stilistica davvero notevole.

Arano in tre: uno spinge le due vacche lente, che fanno il solco con l'aratro; intanto un altro, dietro, semina, e un altro ancora, senza perdere tempo, prima che arrivino gli uccelli, ricopre il solco col seme dentro.

In realtā un passero "esperto" li sta spiando, perché sa che non riusciranno a ricoprire tutti i semi, e lui ne mangerā qualcuno molto facilmente (senza esserselo guadagnato, senza aver lavorato). Nel contempo un pettirosso se la canta, del tutto ignaro dell'umana fatica.

Qui vengono citati due uccelli, ma nella la sezione specifica che contiene la poesia (L'ultima passeggiata) vi č un insieme di animali tipici della campagna: mucche, asini, cavalli, maiali, galline, cani, tra cui vari uccelli: lodola, cuculo, rondini, rondoni, tordi, beccaccini, merli... Pascoli č precisissimo nel distinguerli: non era solo un ottimo botanico ma anche un esperto ornitologo e un amante degli animali in generale, specie quelli domestici. Probabilmente la sezione l'intitolō cosė perché dopo la giovanile esperienza rurale, interrotta dall'omicidio del padre, e dopo quella universitaria, Pascoli aveva intrapreso la carriera come docente. Quella č stata l'ultima passeggiata "oziosa", da spettatore, in quanto non era lui che lavorava i campi.

Generalmente i critici parlano di quadretto idillico, dove i rapporti tra uomo e natura sono sereni, pur nella fatica del lavoro: quest'ultima e la malinconia della stagione contrastano nettamente con la vitalitā del passero e del pettirosso.

In realtā i contadini rappresentano l'etica rassegnata, stoica, che accetta la sofferenza, la fatica come un destino ineluttabile (la seconda strofa č colma di verbi che indicano appunto una fatica non solo fisica ma ancestrale). Invece il passero rappresenta l'immoralitā di chi vuol vivere sulle spalle altrui, mentre il pettirosso č l'ingenuitā incosciente, irrazionale, fanciullesca, di chi non si preoccupa di nulla e vuol godersi la vita per quello che č, senza curarsi neppure del proprio sostentamento.

Il pettirosso č quello che il Pascoli avrebbe voluto essere, quello che era, da adolescente, nella tenuta di Villa Torlonia, quando il padre ne era amministratore. I contadini sono quello che lui č diventato facendo l'insegnante: i muli della storia. Il passero quello che i parenti sono stati per lui nella sua vita, relativamente agiata, da cattedratico: approfittatori e ingrati. E lui sa, proprio come quei contadini, che non potrā farci nulla, poiché incombe su di lui un destino ineluttabile, come nelle tragedie greche.

E' sulla base di queste considerazioni che andrebbe evitato assolutamente di definire questa una poesia "decadente" o "crepuscolare", in quanto attinente a una civiltā, quella contadina, uscita sconfitta dalla storia del capitalismo nazionale emergente. Arano č in realtā una poesia introspettiva e simbolica, e il simbolismo, che pur parte sempre, nel Pascoli, da un vissuto esistenziale e amarissimo, pretende di avere un respiro universale. E' l'umana condizione che qui il poeta vuole rappresentare: la sofferenza degli uni, la massa lavoratrice, che non ha alcuna possibilitā di mutare il corso degli eventi, e il godimento degli altri, i pochi.

I due uccelli non appartengono a una "natura matrigna", poiché per il Pascoli la natura č sempre "benigna": semmai č la storia ad essere "matrigna". Essi in realtā appartengono alla storia non meno che i tre coltivatori: solo che sono su versanti opposti, ed č questo conflitto che rende il lavoro una fatica assurda, la terra un peso insopportabile.

Certo, il poeta non spiega le ragioni di questo conflitto sociale, in quanto si limita a constatarlo, come un fenomenologo della vita campestre. Ma č solo qui che sta il limite della poesia, non nella descrizione della sofferenza, che resta vivida e molto originale, stilisticamente, rispetto ai tempi. Tra lui e il D'Annunzio, solo per fare un esempio, vi č in tal senso un abisso.

Biografia - Il gelsomino notturno - La via ferrata - Pascoli e Ulisse - Poeta e iniziato - Lettore di Manzoni - La cavalla storna

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019