PASOLINI UOMO ARTISTA E INTELLETTUALE
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6.1. PASOLINI E LA SOCIETA'
Gli anni della speranza (1942-1962) Cominciò a pensare attivamente alla società, al suo possibile miglioramento, dall'età di vent'anni. Nei primi anni della seconda guerra mondiale, studente di lettere, sognò una evoluzione morale e sociale dell'Europa sotto l'impulso educativo dei letterati, soprattutto italiani della sua generazione. Allora non si ribellò esplicitamente al fascismo, ma pubblicò su riviste parlando della sua avversione alla propaganda culturale fascista, che pretendeva che tutti - quindi anche i letterati - benedicessero pubblicamente la guerra in corso. Non voleva agire da uomo di cultura organico al regime. Era consapevole della necessità della solitudine del singolo letterato, che attraverso un faticoso percorso di autoconoscenza, potesse elevare sé e di conseguenza l'intera società, non solo italiana, ma addirittura europea. Non un solo letterato, si intende, ma un certo numero di individui sensibili, coscienti e responsabili, e soprattutto entusiasti. Tra il '46 e il '47, ormai finita la guerra, si batté per l'autonomia del Friuli, soprattutto a motivo della lingua, aspirando a una promozione del friulano da vernacolo a lingua. Ovviamente non gli passò mai per la mente l'idea separatista, anzi voleva che il Friuli diventasse regione autonoma perché raggiungesse una maggiore consapevolezza dei suoi valori e tradizioni, non solo per sé ma anche in vista di un contributo a un eventuale futuro federalismo europeo. Quindi egli era per il decentramento nazionale e l'accentramento supernazionale (l'Europa unita). Nonostante i comunisti lo attaccassero, non condividendo la tesi autonomista per il Friuli (giacché temevano una sua chiusura con conseguente vittoria della borghesia locale reazionaria e clericale), nel '47 si iscriveva al partito, per una lotta più efficace a difesa delle classi povere e perché convinto che solo il comunismo potesse fornire in quel momento storico una nuova cultura "vera". Mi pare doveroso chiarire meglio che Pasolini era, grazie alla sua personalità liberissima, al di sopra di ogni ideologia, quindi anche di quella comunista, e che il suo preferire questa ad altre e, molti anni più tardi, la simpatia per i radicali (pur continuando a dichiararsi marxista sia pure non ortodosso), nascevano dalla comprensione di quale fosse la strada migliore a livello politico (e non solo politico) da intraprendere giorno dopo giorno, senza il timore della contraddizione, perché la Realtà è mutabile e irriducibile a qualsivoglia ideologia. Costante rimase sempre l'amore disinteressato per la vita. In alcuni articoli del '47 e '48, quando insegna alla scuola media di Valvasone, ha modo di occuparsi anche di pedagogia e didattica: capisce che i bambini non sono, come erroneamente si ritiene, dei puri di cuore, anzi sono moralmente molto inquieti: quindi l'insegnante non è al loro cuore vulnerabile che deve rivolgersi, bensì alla curiosità, attivandola e dirigendola verso i fini dell'apprendimento. Sarà inutile qualunque predica morale, perché i ragazzi la accoglierebbero solo superficialmente e ipocritamente: vale più il tacito esempio, il coinvolgimento anche di tipo morale ma in forma implicita. La repressione degli istinti è dannosa: il bambino o il ragazzo deve scoprire in sé quale è la sua vocazione più autentica e farla diventare una passione fine a se stessa. Non sono le cose semplici che incuriosiscono il discente ma, al contrario, le difficoltà che affinano in lui il senso critico e determinano la caduta degli idoli, che altrimenti lo renderebbero un adulto conformista e represso. Ritiene assurda l'obbligatorietà dell'insegnamento della religione nelle scuole, perché la religione è conquista anche sofferta del singolo, non un acquisto aprioristico e quasi imposto. Una grande funzione morale ed estetica può avere la poesia insegnata a scuola, purché sia veramente e storicamente compresa, ed inoltre stimoli la coscienza linguistica del ragazzo. In una poesia il poeta esprime i suoi sentimenti, quindi chi la legge deve capire il meccanismo formale che conduce dalla introspezione alla espressione. Inoltre ogni approfondimento sentimentale porterà a uno linguistico, e viceversa, così il ragazzo potrà discostarsi dalle abitudini e dagli istinti e accorgersi meglio di sé e del suo ambiente. Negli anni successivi, ormai a Roma con la madre, diviene famoso come scrittore, poeta e sceneggiatore. Così assume un ruolo guida, ancor giovanissimo, tra gli intellettuali impegnati della capitale. Ha un fiuto incredibile delle novità sociali, pur non avendo fatto grandi letture sociologiche, quindi si accorge presto della mutazione in seno al capitalismo italiano, che diviene al tempo stesso più illuminato ma anche più duro da combattere, perché tende ad attrarre a sé strati di proletari progrediti e della borghesia progressista. Eppure il divario tra ricchi e poveri del mondo aumenta, e in Italia il Nord è industriale e ricco mentre il Sud agrario e depresso economicamente. Il neocapitalismo si serve della televisione per intontire le menti dei più poveri, allettandoli con programmi stupidi; infatti i sottoproletari non hanno la cultura per poter seguire programmi istruttivi, i quali elevano il grado di conoscenza solo degli strati medio-alti, che per il fatto di essere classe dominante, della cultura hanno l'idea di passatempo estetico o erudito. Sin dal '59, Pasolini invita il partito comunista a rinnovare i metodi di lotta anti-borghese, divenendo sempre più il "partito dei poveri". Sprona gli intellettuali ad essere liberi, come scrittori, da ogni pressione politica, anche di sinistra. Nello stesso anno si occupa del fenomeno dei "teddy boys" cioè i giovani teppisti che imperversano nelle città del Nord e provengono dagli strati della borghesia. Li considera dei ribelli anarchici che contestano malamente il potere reazionario e conformista dei loro genitori, malamente perché spesso se la prendono con omosessuali e prostitute, rivelando così l'inconscia matrice moralistica della loro ribellione. Al Sud invece i ragazzi che delinquono - almeno in quegli anni - lo fanno a causa della estrema povertà, in cui i borghesi agrari e i professionisti loro alleati mantengono una larga fetta della popolazione. Per combattere la criminalità non bisogna seguire la strada della repressione punitiva ma quella delle riforme sociali ed economiche, perché a causare la criminalità è la società stessa. Al poeta sfugge di usare il termine "banditi" riferendosi a un paese della Calabria (Cutro), e scattano polemiche e una denuncia per diffamazione a mezzo stampa. Ma lui sa difendersi in modo esemplare, affermando che ha usato quel termine in senso etimologico, perché effettivamente i poveri sono bandìti (cioè emarginati) dalla classe dominante che li sfrutta e li costringe indirettamente al crimine. Nel '60 la nuova amministrazione comunale di Cutro ritira la denuncia. Qualcosa sta cambiando nel Paese, ma esso resta sostanzialmente legato alla morale repressiva: le donne non parlano esplicitamente di sesso ma solo di amore, matrimonio e fidanzamento. Pasolini scrive sul giornale «Vie Nuove», rispondendo a un lettore nella rubrica «Dialoghi con Pasolini»:
Chiunque oggi comprende come la situazione sia poi decisamente mutata da come è descritta qui sopra. E se ne sarebbe accorto lo stesso Autore qualche anno più tardi. Invita i marxisti a non sottovalutare il problema della irrazionalità, che essi identificano erroneamente con l'irrazionalità storica del decadentismo. Il realismo lo porta invece a capire che l'irrazionale è una componente ineliminabile dell'essere umano, e che tale componente si storicizza in modo diverso a seconda della società in cui si vive. Occorre una opera di trasformazione delle contraddizioni e delle passioni da maledette in benedette, attraverso una analisi razionale dell'irrazionale (se mi è consentito il gioco di parole). Solo ciò che resta oscuro e viene rimosso o represso, è maledetto. Dice ancora ai suoi compagni marxisti: noi abbiamo l'arma della ragione da opporre all'irragionevole violenza e menzogna degli avversari, che sono tanto deboli sia criticamente che razionalmente, quanto forti poliziescamente. Non poteva ancora prevedere che la classe dominante avrebbe usato l'arma peggiore (l'edonismo consumistico) per attrarre a sé l'intera umanità. Denuncia la malafede e la faziosità dei giornalisti borghesi, che non servono la verità ma solleticano i peggiori istinti di massa, descrivendo un evento o un personaggio di successo, con sadico cinismo. Se guardiamo infatti un cinegiornale del tempo o sfogliamo un rotocalco di quegli anni '60 ancora legati, sia pure ipocritamente, ai valori di Patria, Chiesa, Famiglia, ci accorgiamo che un uomo mite e schivo come Pasolini viene dipinto invece come un vizioso dedito alla vita mondana. Non pare assurdo ipotizzare che la sua morte fosse in qualche modo necessaria per dare un senso autentico a quella esistenza continuamente perseguitata dal Potere e dalla Società, per farlo conoscere nella sua verità a noi lettori a lui grati. Sbaglia forse chi piange eccessivamente sulla sua fine prematura (anche se comprendiamo le ragioni affettive di un lutto sentito) perché se Pasolini non fosse morto in quel modo atroce, sarebbe stato forse ancora frainteso. Il 1961 lo vede protestare pubblicamente contro la censura di Stato. Gli sembra una illecita intromissione quella dei cardinali che scrivono una lettera agli organi dello Stato affinché questi censurino certa cinematografia che al Vaticano non aggrada. La religione ufficiale non è che conformistica ritualità: per la società che sta scoprendo il benessere, il Natale è il panettone, la Pasqua la colomba: non la nascita, non la passione di Cristo. Uno spirito religioso autentico cercherà una nuova luce altrove, nella lotta per un mondo dal volto finalmente umano. La Chiesa e lo Stato fanno opera di repressione (usando armi spesso subdole), quando invece dovrebbero farne una di educazione, attraverso persuasione e collaborazione in spirito democratico. Anche la sua scelta comunista ha una origine etica ed evangelica: perché mai un borghese dovrebbe tradire la sua classe, se non per un profondo sentimento populista? E Salinari lo accusa proprio di "populismo", inteso però nel senso peggiore, come contrapposizione del popolo contadino alle aristocrazie operaie impegnate nella lotta di classe. Niente di più sbagliato, gli risponde il nostro: il suo populismo va inteso invece come quello di un marxista che ama il popolo di un amore preesistente al marxismo stesso, e in parte al di fuori di esso (di qui la sua simpatia anche verso il partito socialista e più tardi quello radicale). In un momento in cui il neocapitalismo tende a comprare la classe operaia attraverso le tentazioni di una vita quasi borghese, il sottoproletariato meridionale potrebbe - suggerisce Pasolini al partito comunista - rappresentare una massa vergine e matura per una lotta di classe anche nel rassegnato Meridione, una lotta da affiancare e non contrapporre a quella operaia. E' sempre stato antistaliniano, anche quando Stalin non era messo in discussione se non da pochi spiriti critici. Non gli perdona le repressioni, le ingiustizie, i campi di concentramento. Lo spirito critico (e quindi libero) è il solo che dà a un uomo la possibilità di sfuggire alla perdita degli ideali e all'asservimento alle istituzioni, scegliendo la via, al contrario, di "una esercitazione puntigliosa e implacabile dell'intelligenza".(2) Riprendendo, sempre nel '61, l'argomento "sessualità", dice che non è lo sfogo dei sensi a rappresentare un pericolo: il sesso fine a se stesso non è una cosa sporca (anche se, come in tutti gli appetiti naturali, occorre misura e forza di volontà, per non fare del male a se stessi e soprattutto agli altri). Parlando del fratello Guido, dice che la sua morte eroica e complessa (fu ucciso infatti da comunisti filoslavi, e non dai nazisti) è la molla che lo obbliga a seguire la strada di un impegno assoluto, senza alcun cedimento o compromesso o viltà. Se ci pensiamo è proprio così: noi abbiamo bisogno di esempi del passato, per essere del tutto liberi e indipendenti nel presente. Per questo Socrate non fuggì da Atene e bevve la cicuta, Cristo metaforicamente il suo calice amaro e in modo analogo tutti i loro simili. Più spesso non bastano questi esempi di "grandi martìri", occorrono anche "piccoli martìri" che ci tocchino nel profondo degli affetti. Nel 1962, prendendo spunto da un fatto di cronaca nera della capitale, Pasolini scrive e pubblica che se un giovane borghese, per difendere la proprietà della sua famiglia, uccide a pistolettate un altro giovane, ladruncolo sottoproletario, il primo uccide per una ideologia razzista che gli impedisce di comprendere l'altro mondo, quello dei sottoproletari che rubano sostanzialmente per fame. Stampa e avversari di ogni tipo continuano a perseguitarlo, e lui scrive innocentemente che per difendersi ha due forze "potenti": buonafede e innocenza. Molti bussano alla sua porta per chiedergli aiuto materiale, e come può li ascolta e li aiuta, ma tanti gli chiedono anche di scrivere su innumerevoli casi italiani di gravità sociale. A questi risponde:
Come si intuisce da queste parole, la speranza comincia ad incrinarsi. A chi gli contesta l'ispirazione cristiana, affermando che il cristianesimo ha fatto "sempre" gli interessi dei potenti, predicando la rassegnazione, lui distingue tra la rassegnazione del cristianesimo delle origini, arma potentissima di mitezza e non-violenza che ha rovesciato un impero basato su una economia schiavistica, e la rassegnazione vaticana contemporanea, mostro di passività, ignoranza e reazione, l'esatto contrario della mitezza predicata e incarnata da Cristo. "Basta leggere i feroci, battaglieri, faziosi articoli dell'«Osservatore Romano» per convincersene."(4) Vede un nuovo fascismo serpeggiare nella società italiana, addirittura come codificazione del fondo brutalmente egoista di questa, per cui la cattiveria diventa normalità. (1) Pasolini Pier Paolo, Dai «Dialoghi con Pasolini» su «Vie Nuove» 1960, in Saggi sulla politica e sulla società, "I Meridiani", Mondadori, Milano 2005, p. 881. (torna su) (2) Dai «Dialoghi con Pasolini» su «Vie Nuove» 1961, p. 946. (torna su) (3) Dai «Dialoghi con Pasolini» su «Vie Nuove» 1962, pp. 1005-6. (torna su) |
a cura di Leonardo Monopoli
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