COME ULISSE

Forse abbiamo chiesto troppo
alla natura
a noi stessi.

Dovevamo accontentarci
dell'essenza
senza ricercare forme.

La bellezza è interiore,
la perfezione un ideale...

Ci siamo lasciati andare all'ambizione,
come Ulisse.

Hanno voluto persuaderci
che la normalità era poca cosa,
che esagerare era meglio...

L'individuo s'è imposto
contro il mondo intero,
e ora non è padrone di nulla.

Abbiamo smarrito il nostro destino,
le cose facili sono diventate difficili,
impossibili,
e ora non possiamo più tornare
indietro.

Molti sono convinti
che non si possa farlo,
che fermarsi sia un delitto.
"Bisogna comunque andare avanti" -
dicono.

Ma verso dove?
Siamo prigionieri di un incubo,
angosciati nel labirinto
dei nostri effimeri successi...

La nostra civiltà non ha più speranze,
forse qualche individuo,
non le masse.

Ci siamo spenti proprio mentre
pensavamo di risplendere
di luce propria.

Il peccato originale è diventato
il peccato quotidiano,
quello che trasmettiamo
con rassegnata tranquillità
alle future generazioni.

Noi non meritiamo di esistere,
forse come singoli,
non come civiltà.

Altri popoli devono continuare
il processo della storia,
verso il compimento dell'umano.

Popoli più semplici di noi,
ma più genuini,
più onesti con loro stessi,
più consapevoli dei loro limiti,
più disposti ad accettare
la diversità.

Popoli che non si affermano
a discapito di altri.

Contatto - Homolaicus - Poesie sulla fine