Se ne va lenta
Sciogliere l’ormeggio
e lasciar andar
la nave alla deriva,
bianca, grande
se ne va lenta
piena di ponti, cabine
senza fumo,motori
se ne va alla deriva-
non vuole questa fune
questo ormeggio,
s’allontana
senza rumore
senza vita
senza vento
senza gabbiani intorno-
il mare è calmo
la nave s’allontana
dal porto-
nessun saluta
Versi lunghi quanto un respiro
Avevi 10 anni
sola umile stella,
vaporoso mare
di quieta tempesta-
palme sullo strapiombo
al vento, alla salsedine
che s’alza alta
dalle onde
verde bottiglia
leggero spumeggiante-
nuvole bianche fuggono
non stanno mai ferme-
avevi 10 anni,
un vestitino corto
le gambe tutte fuori
corte, di bimba
non tanto alta-
hai un fiocco
tra i capelli,
hai un’aria scolastica
e guardi il sole
tra le nubi
facendoti schermo
con le mani
La porta di nebbia
Davanti a me
a cento metri, a cento passi
una porta a vetri
fatta di nebbia,
un velo sottile
un velo sottile di nebbia-
un quadrato
o un rettangolo
ben sagomato
grigio chiaro-
è nebbia,
un quadrato di nebbia
messo lì
a guardia del cammino,
netto, gigante-
una porta di nebbia
che mi divide
un pezzo di qua
un pezzo di là-
cos’è? Mi domando
da lontano-
una porta, rispondo-
intorno il sereno
l'airone
con lo sguardo lento
col suo stesso ritmo
seguo l'airone
che torna da lontano-
con calma alza e abbassa l'ali
le zampe dritte
che fendono leggere l'aria-
sembra voli senza sforzo
naturalmente spinto
dal tramonto
dal cielo
dal tepore
di questa sera d'inverno-
la bellezza non ha parole
La musica di un quadro di Emilio Vedova
Suoni altissimi, roboanti, urlati-
mille trombe squarciano un’aria spessa
dove non c’è più spazio-
una canzone canta il cuore immacolato-
l’egoismo per me è un suono piatto
sottile, soffiato appena
come un venticello che passa-
s’alza il volume,
le trombe scalzano le voci-
era un parlato melodico,
s’è perso nel bianco della voce infantile-
c’è un violino
che vuole superare le mille trombe
e un contrabbasso gigantesco, gutturale
che arriva più in basso, oltre il quadro
e un sole bianco che chiama-
è un jazz stanco, chiazzato
che non si governa più-
note alte come zigomi-
la coltre del piano li azzera tutti
Poesia per sax soprano
Trascini le note
Trascini la musica
La melodia
Senza fatica oggi-
Fluida non separa, unisce
Fa da sfondo ai miei pensieri
Li rende morbidi, passeggeri-
Fluiscono da un punto all’altro
In un ping pong liquido
Che mi rilassa-
Invece fatichi per raggiungere l’effetto,
c’è un picco dell’emozione se ti elevi
rallenti e poi t’abbassi
e poi di nuovo scivoli
piatto nella pianura |
Rondini
sul monastero
vigilano intreccian ombre
rondini e colombi-
le pietre, gli alberi
soli, semplicemente-
in silenzio-
come ogni altro giardino
o aiola o fiore-
dopo la notte
dopo la pioggia
la ghiaia spenta
scricchiola
e sempre sempre
van le rondini
dal sottotetto al cielo
La gazza ladra
Nello scrivere
non sono la rondine
semmai
la gazza ladra-
neanche il passerotto
troppo tenero con noi-
non sono la tortora
troppo fedele e innamorata-
sono la gazza ladra
che vive di piccole carogne
di sangue
di carne per i più avariata-
anch’io
vivo di carcasse
di cenere
di schegge d’ossa
rimaste in piccole cassette
sotto terra
o nei mari-
rubo e mi nutro
del sangue rappreso,
solidificato di Kerouac
e dei brandelli
rimasti di Dostoevskij
e della sofferenza di Pasternak
che ormai è solo cenere
Dieci minuti
L’angolo destro della stanza ovale,
un angolo piccolo tondo maschile,
un cucciolo minuscolo, una specie di formica
anzi una fila di formiche
ininterrotta, nera che circonda la stanza ovale.
Sono loro le formiche o i cuccioli minuscoli
a fare gli angoli, sterzano qua e là
deviano ogni tanto dalla linea monotona,
tonda, sempre uguale della stanza,
del tondo della stanza ovale bianca.
Non è una stanza,
le pareti cambiano,
sono cambiate e cambiano ancora,
è un uovo dalle pareti porose, diseguali
piene di rughe, d’avvallamenti
come la luna vista da qui, da questa nostra Terra
che ci sembra vicina e non solo bianca
ma anche piena di buche, solchi, errori
porosa, non lucida,
amara, che non si conosce.
L’uovo è lontano, sparito
chissà dove,
si sono aperti gli angoli, non li vedo più.
Hai notato, è quasi primavera e già si guarda la luna
e a lei si pensa con la mente sognante
quando esci dal caldo della stanza,
del locale, della musica
dei regali, della torta e guardi il cielo
e ti domandi come hai potuto allontanarti da lì,
dalla luna e dal cielo nero delle stelle
in fila e sparpagliate.
Ma c’è un triangolo di cielo azzurro ora davanti a me
E anche la luna, la torta e le stelle
e la ghiaia allegra sotto i piedi
e il tornare a casa lieti sono spariti.
Non so dove sono e dove andranno i pensieri e le immagini-
li penso come onde, spiriti
che se vanno dalla nostra testa
e vanno verso l’alto come il fumo,
il vapore e il caldo.
Il triangolo azzurro invece ora c’è dentro fuori di me,
mi guarda assoluto, mi guarda
non mi parla di sfumature, emozioni,
è un azzurro senza se e senza ma,
senza nuvole insomma.
Difficilmente se ne andrà da solo-
Bisognerà semmai scacciarlo.
davanti ad un'opera di Domenico di Paris, Madonna col
bambino
viso di bimba,
pastorella o giunco-
non si commuove
non sbanda
non tentenna-
tutto compreso nella preghiera,
le mani giunte
lo sguardo basso
trasparente, chiaro
astratto
d'acqua marina,
fisso in un punto
che non guarda, vede-
la vita vera |