Dimmi se sarò foglia o ramo Aprimi come un seme
e leggimi le carte
dimmi se sarò foglia o ramo
se avrò circostanza- luce
in abito conforme.
E non andartene, però
l’addio è una strana
creatura
si sospettano tramonti a mezzogiorno
e si accarezza il tempo
come fosse belva mansueta.
Come s'io fossi alimento
Tu sapevi delle aspre terre
in cui la zolla
non produceva domani -
Tu eri in me senza corpo né orma
eri fibra d’anima
e mordevi la carne
come s’io fossi alimento
E tu libertà.
Carovane di zingare
Il mare è una voce rauca
che in arringa si spezza sul molo
e la stanza
campo magnetico
tuona di risacca.
Respingo la consegna
non vorrei essere arredo
della notte –
non c’è nodo parentale
quando banchi di tenebre
stendono veleni di linfa nera
disponendo la scena all’obbedienza.
Il rombo d’un motore
il frinire d’un grillo
in lontananze furtive
stormi dispersi
sull’ultima notizia ad occidente
approvano il taglio delle ore
carovane di zingare ignoranti
che hanno sbagliato
a leggermi la mano.
Passi di voce - svelti
Verso sera, in Piazza d'Armi
il tempo rovescia la clessidra
sull'ultimo bagliore calmo che arretra -
e si ferma - infine -
su una treccina bionda...
"Chi è quell'uomo verde, col fucile?"
"E' una statua" - s'affretta una voce molto amata -
senza ulteriore cenno di memoria -
E la luce si rastrema ad occidente -
spegnendosi nel prossimo crinale.
Verso sera in via Dei Marsigliesi
sotto un viale di platani -
senza guardarsi negli occhi
si vende amore al mercato nero
e non c'è pensiero che assolva o che condanni.
Più in là c'è un sentore di mare e di confine
gergo di marinai - passi di voce svelti -
si perdono sul molo di levante
tra navi Russe e Norvegesi
sospese all'incanto d'una bitta.
E tra un frinire di grilli e di sirene
irrompe il faro col suo lungo messaggio -
circolare - ad offuscare
infiorescenze di luce - forse boe
che versano le ombre dentro i flutti.
In questa decadenza di stagione
il giorno è un foglio pieno di errori - accartocciato
fiore reciso senza corolle d'ore
nell'angolo dell'ultimo orizzonte.
Sospensioni al tacere
Coperte rivoltate
notti appena derise – accartocciate
t’aspetto dopo tempi di valeriana –
appena un sorso
e due righe di Gibran.
Il mio cane sa che non verrai –
infatti è calmo -
sono io che non ho destrezza
con porte chiuse
e balconi stretti al tacere
disegno le tue parole
in geometrie piane
dove i suoni dipingono omertà
tra angoli acuti di mancanza.
Lo sa anche il mio medico
che non verrai
infatti ieri mi ha consegnato un martello
per schiacciare il miraggio
e una pillola intelligente
per il mio pensiero maleducato
che deve imparare
a non trovarti più.
Un'ipotesi di luce
Vedo parole in rosso
Come uccelli di fuoco, senza un verso
in libere distese d’azzurrite –
pietre o forse cielo.
Rimbalza l’ultimo latrato sulla scena
movimenti furtivi nei rovi
chiudono le ore ad occidente
tra stupori campali
nenie sospese a calde decadenze.
In tumulti di marea
si perde un’ipotesi di luce-
forse giorno -
eccolo rastremarsi in riti di declino
sull’onda protesa a quel tuffo di fiamme.
E’ questa la ruota d’un mulino
di cui noi specchi imperfetti non sappiamo-
Sui rossi del tramonto c’è solo un passero
e gocce di giada sul volto d’un bambino –
forse vita -
appena consegnato alle delibere del mondo.
Sì, noi siamo poeti
Noi siamo poeti
gente approvata
dalla burocrazia del Cosmo
specie inestinguibile
inquisitori di verità distratte
Apriamo senza sapere
battenti di luce
dove il sole è sempre in ritardo.
Siamo seri- abbastanza -
quando affreschiamo
muri di castelli altrui-
o case diroccate
vite lastricate
di delitto o innocenza-
con pensieri di periferia
Forse abitiamo i cortili della vita
in cime di rari privilegi -
senza chiedere consegne
chiamiamo i sassi per nome...
E siamo
un genere bizzarro - irriverente
scagliamo pietre
su ogni dio di carne.
Sì, noi siamo poeti
anime vestali
che offrono nuda - la parola
e la sostanza -
a un mondo che ragiona
con i mulini a vento.
Cieli estremi
Non è che un soffio d’abisso
sparso sulle nostre certezze a dismisura
come licheni d’Islanda –
dialogo interrotto di faglie contrarie
inconsistenze -
questa nube stesa tra cielo e terra
voce d’una collera placata.
“Cancellati tutti i voli dallo spazio
aereo Europeo”
E a noi così forti di sicurezze presunte
progressi e conquiste -
basta un soffio – un redarguire d’elementi-
per bloccare le nostre fughe.
Per poco quelle atmosfere – (forse cieli stanchi)
non saranno sporcate dalla nostra fretta.
Giocando d'azzardo
T’eri dissolto
in avanguardie di ragioni
porte scassinate dall’incuria-
dove ogni andare
era un cerchio di vili intenti
senza uno spazio piano
per saltare
il meridiano dell’errore.
Non eravamo numeri interi
e non cercavo più
i luoghi dell’essere stati-
troppo densi di similitudini- noi
plurale promiscuo
di silenzi pronunciati forte
collisione di vite affini.
Giocavamo a dadi
con numeri irrazionali
in una scacchiera bugiarda
che ci dichiarava vincenti
barando sui decimali. |
Sui viali stretti dell'umanità Il giorno chiama - di spalle
lo sento rauco ai sensi
stretto di parole-
(vie poco illuminate)
così riparo in me.
Ora consumo – rispondo-
e non è vero
irrompe improvviso un raggio- acuto
ed esclude il mio ciglio dal suo campo-
mi ribello
i mattini sono occhi
indiscreti sui serragli -
ardono giorni in questi roghi
e non mi chiedo se questa è libertà-
non serve.
La notte ha lunghe controversie
e nebbia sui fanali
qui ogni uomo è un cane
che nasconde un padrone chissà dove-
lascio un’epigrafe
sul pugno chiuso dell’umanità-
tanto le mie catene non le sente
allora scrivo due carte
così – almeno – so che mi guarderà.
Lacerando fili di labili contatti
Anche l’aria ha un peso di gravità
E precipita -
In questo palco fisso d’immanenza
Io intanto tormento le mie assenze
Lacerando fili di labili contatti.
E’ troppo calma la stanza
Acre l’ordine – mi frastorna
Anche la rosa sul vaso
Mi racconta
Ed io non ne posso più
Della caccia alle streghe.
Evado dal soffitto allucinato
Che mi nasconde al cielo
Porto il mio occhio avanti
Trapasso di sensi i muri reticenti
E accendo passaggi alla mente
Con soggiorni più lieti -
Chiedo asilo all’immaginario -
Per esempio m’invento una vita possibile
Sul male che incombe
In viali di robinie
Sogno con la libertà -abito buono della vita
Non si sa mai
Potrebbe essere vera.
Bagliori arroganti
C’è un fragore d’oscurità ottuso
che mi percepisce da lontano
sono lame confitte al mio sonno
non mi raggiungo in queste dispersioni
ogni volere è chiuso alla sua nicchia.
Mi rimbalzano contro
le ore di un campanile
non reggo il battito del tempo
Reo confesso
Intuisco diafane bellezze
sulla stecca di una persiana
bagliori arroganti
sull’orlo d’un mattino sbilenco -
solo un’idea s’intende
e vagheggio la scena senza
un fiammifero che apra il passaggio -
eppure mi sciolgo al surrogato
in un favo di miele ipotizzo l’inizio
l’imbroglio ci può stare.
Vogliamo finirla?
Non è mica martedì grasso..
così faccio finta di vivere
prometto obbedienza fino a sera
ma senza fare voto di castità
sulle parole che verranno.
Il tempo mi ha gelato sopra un volto
Sono voce estrema -in questo limbo di carta
a dismisura -che si contorce in me
come zolla rivoltata dal ciclone -
è nota in re minore
il pensiero che se ne va
in pezzi multicolori - lasciandomi
Arlecchino senza un cielo fisso da respirare
ho vissuto solo un’ora per caso – forse per errore
per un’idea bislacca del destino
che beve il mio sangue per dimenticare...
Ma ho amato questo effimero
come l’onda lo scoglio in cui si frange-
o una voce che chiede di restare.
E allora che me ne faccio del tempo che rimane
dell’orma intatta sulla riva -
e dimmi che senso ha l’eterno
di fronte ai possedimenti di un’ora di vita?
distillo l’attimo sulla circostanza
il tempo si è fermato sopra un volto
che costringe la memoria al canto -
Sarà che in amore è invalso l’uso
di chiedere a un istante
ciò che solitamente si chiede all’infinito.
In remissione d'intesa
I tuoi occhi chiamano
sono lenti d’alabastro sul mio seno
Non mi salvo
Con mani d’estate sul mio corpo -
Imponderabile il senso che verrà.
Ho reciso le ore
Per non sentire il rimando
Di quel tuono
Ed era solo la tua voce
In remissione d’intesa.
Allungando l’impressione
Ho visto un volere di circostanza
E ho scartato l’involucro.
Ti voglio intero
Ai perimetri dell’essere in me-
E non dormire sul fianco
Con mani troppo lunghe di sensi
Il corpo passa in fretta
e il cuore poi si vergogna.
Dietro una persiana viola
Ti donano le sere
sulle labbra rosse di plenilunio -
dietro una persiana viola
(che il pensiero non te lo protegge)
ti soffermi a lungo
sulle ore che la luce ha taciuto
e sulle mani che hanno scritto di frodo
all’insaputa della mente
così piena di stanze vuote
luoghi visitati dai ladri di mezzanotte.
Ti dona la prudenza negli occhi
intelligenti – ciechi alla vita
che hanno viaggiato
tra dorsali di veti e reticenze
imparato a diffidare
di una porta socchiusa
dove non si correggono
errori di sintassi sul destino.
Dietro una persiana viola
il tuo pensiero
senza una trama addosso
esprime la sua norma
e inutilmente si chiede come mai
faccia tanto rumore.
Pianeta disabitato
Solitudine è pianeta disabitato
s’acquistano anche respiri
in quei mercati
e l’aria che sovrasta
è livida di tempi acuti
racchiusi in serragli intransigenti.
Terremoti silenziosi
attraversano quel pianeta immotivato-
inviso al sole- ai suoi favori.
Solitudine è gelida compagnia
senza fantasia tra i capelli
t’aggredisce con bufere di mancanza
che assiderano la parola in bocca
la compongono in livori.
Pianeta di falsi indizi-
sa instillare il fiele del dubbio
dipingere paesaggi in squallide tele
dove nessuno controlla il battito
dell’essere in vita-
nessuno ti chiede se hai votato inferno o cielo
e non c’è anima errabonda
per obliterare il biglietto della fuga.
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