LUIGI CAPUANA
IL MEDICO DEI POVERI
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Testo - Almeno costui ci ammazza gratis! - I contadini di Rammacca dicevano così, parlando del dottor Ficicchia; ma non era vero, perché il dottore, se non in denaro, si faceva pagare largamente in tutte le maniere possibili. Appena entrato in una di quelle luride casette dove l'asino, il maiale e le galline contendevano il poco spazio alla famiglia umana, mescolando esalazioni d'ogni sorta che impestavano l'aria, egli cavava fuori il taccuino e vi notava il nome, il cognome, il mestiere dell'ammalato e i nomi della moglie e dei figli, quasi dovesse riempire una scheda da censimento; e soltanto dopo aver terminato quest'operazione preliminare, sedeva, tastava il polso, osservava la lingua, chiedeva informazioni. Scritta la ricetta, le rare volte che ne scriveva una, scrollava il capo e aggiungeva invariabilmente: - La cosa è grave; ma rimedieremo! - Talvolta rimediava come i suoi colleghi, spacciando l'ammalato; spesso però guariva, o meglio, lasciava guarire, ordinando un po' d'acqua bollita con lo zucchero e qualche purgante. Questa parsimonia di medicine i contadini la interpretavano a modo loro: - Il dottor Ficicchia non è d'intesa col farmacista -. Infatti il farmacista, che non poteva perdonargli l'abborrenza pe' suoi intrugli, se ne vendicava chiamandolo: «asino laureato». E vedendolo andare attorno per le visite sul bell'asino di Pantelleria che trottava al pari di un cavallo, gli rideva dietro le spalle, e insinuava che sarebbe stato lo stesso se, invece di andare in persona dagli ammalati, avesse mandato la propria cavalcatura che sapeva di medicina quanto lui e forse anche più di lui. I contadini, al contrario, portavano il dottore in palma di mano, e si sarebbero fatti squartare per rendergli un servizio. Egli lo sapeva e con questo si consolava di tutte le malignità del farmacista e del collega dottor La Bella che curava i massai grassi e l'aristocrazia, cioè: il barone, nei pochi mesi ch'ei veniva a passare in paese, e il suo amministratore, che faceva il barone tutto l'anno ed era il vero padrone di Rammacca. Il dottor Ficicchia non serviva solamente da medico pe' suoi clienti, ma da consultore legale, da avvocato, da uomo di affari, e qualche volta anche da combinatore di matrimoni. D'estate, la mattina all'alba, il vasto cortile della sua casa era pieno di gente; ed egli scendeva giù in berretto e pianelle, con la pipa di terra cotta fra i denti, e dava consulti alla lesta, serio, impettito, con un'aria da oracolo che sbalordiva i contadini e li faceva andar via contenti come pasque, già mezzi guariti per la gran fiducia che le insignificanti ordinazioni ispiravano. Il cortile era ingombro di massi che dovevano servire per la fabbrica della sua casa, e intanto servivano da sedili. Lo stesso dottore sedeva su questo o su quel lastrone, accavalciando le gambe o dondolandole, secondo i casi più o meno gravi, mandando fuori frequenti boccate di fumo, sputacchiando tra un'ordinazione e l'altra, carezzando i bambini, ammonendo le mamme se avevano trascurato i suoi consigli, strizzando un foruncolo, medicando una piaga con certo impiastro di propria invenzione che costava quattro soldi, ma da pagarsi in contanti, perché gl'ingredienti bisognava comprarli e venivano da lontano; il farmacista per quell'impiastro non si sarebbe contentato neppure d'una lira... e chi sa che pasticcio avrebbe fatto! Le povere donnicciole, che non avevano nemmeno quei quattro soldi, portavano due ova fresche. Il dottore se le metteva in tasca rassegnato. Meglio di niente! Sbrigate le consultazioni mediche, cominciava quelle intorno agli affari. - Per la querela? Verrò io stesso dal pretore -. - Per la citazione del giudice conciliatore? Faremo rimandare l'udienza -. - Per l'atto di vendita presso il notaio? Darò un'occhiata io alla scrittura. Fidati era un buon uomo; Non-ti-fidare era meglio. Spesso, con certi notai, uno si trova venduto come Gesù Cristo per trenta danari. - Per quel matrimonio? Bisogna rimediare, dando alla ragazza la casetta. Il torto è vostro, compare -. Qualche volta dava anche torto ai clienti, ma poi faceva in modo che avessero sempre ragione. E il cliente spalancava tanto d'occhi apprendendo che la faccenda era aggiustata proprio come pretendeva lui. Ah, la sa lunga il nostro dottore! La sapeva lunga davvero. Voleva un servizio e pareva chiedesse un favore. Ne' suoi viaggi a Caltagirone e a Piazza Armerina non spendeva un centesimo; il mulo di questo o di quel cliente lo portava e riportava comodamente, senza che egli si disturbasse né per la biada, né per lo stallatico. Il cliente lo seguiva a piedi, stimolando il passo della bestia con una verghettina e con gli accà! accà! che le facevano rizzar gli orecchi e levare più leste le gambe. Intanto il dottore lo svagava così bene col racconto delle proprie e delle altrui faccende, che il povero pedone non si accorgeva della stanchezza e del sudore, e gli restava grato delle confidenze e del prestito del mulo, quasi bestia e padrone ricevessero onore, portando e riportando così brava persona. E nei giorni della vendemmia? Nel cortile e davanti il portone, file d'animali carichi d'otri col mosto; e tutti quei contadini affacendati a scaricarli, erano clienti, ai quali il dottore aveva detto sornionamente, a uno a uno: - Domani, se non hai nulla da fare, potresti andare a prendermi un carico di mosto a Trizzitello? Viaggio di poche ore -. Il contadino, anche avendo da fare, non voleva dispiacersi il dottore, che gli aveva curato gratis la moglie o il figliuolo spendendovi una buona dozzina di visite. Così il dottor Ficicchia era servito meglio del barone che doveva pagare le giornate ai contadini nella vendemmia, nella mietitura, nella trebbia, e al tempo della rimonda degli ulivi per riempire di legna la legnaia. Il manovale gli acconciava i tetti, gli faceva ogni sorta di riparazioni nella vecchia casa; andava a rizzargli anche i muriccioli in campagna, quando occorreva. Le donne gli filavano il lino e la stoppa per la tela della sua signora, che dava consulti anche lei, quando il dottore non era in casa. E perciò anche la signora aveva cento braccia da aiutarla a crivellare il grano; a dare, un po' per uno, quattro colpi al telaio nelle giornate d'inverno; a fare il bucato nel cortile con la gran caldaia di rame assisa fra i massi che aspettavano, alla pioggia e al sole, il giorno di essere intagliati pei terrazzini e per le finestre del palazzo da fabbricare, com'ella compiacevasi di dire con grandiosità che imponeva rispetto. Quei massi di pietra calcarea, quei mucchi di sassi bene allineati torno torno il cortile rappresentavano altrettante giornate di trasporti a schiena di mulo, con cui i clienti avevano pagato le visite il doppio di quel che valevano! Ogni volta che il dottore incontrava per una via o in piazza qualche cliente disoccupato, gli si accostava sorridendo, gli domandava notizie della famiglia, gli accennava dalla lontana la cura fatta a' suoi o a lui pochi mesi addietro, e mostrava di compiacersi grandemente che non c'era poi stata la ricaduta che lo aveva tenuto in pensiero. Il contadino ringraziava di tanta premura, si sentiva intenerito, e il dottore, di punto in bianco, gli scaraventava in viso il solito - Non hai niente da fare? Fammi un piacere... - Pareva una cosa venutagli in mente lí per lí: invece, prima di uscir di casa, egli aveva consultato il famoso taccuino e stabilito anticipatamente chi richiedere di quel piacere, che spesso si riduceva a una, due giornate di lavoro, per le quali gli sarebbe toccato di spendere una diecina di lire. Che importava? Non pagavano in contanti; questo pei contadini equivaleva a non pagar nulla. E ripetevano in buona coscienza: - Almeno costui ci ammazza gratis! - La reputazione del dottor Ficicchia fu un po' scossa durante il colera del sessantasei. Arrivavano brutte notizie da Palermo, da Catania, da Messina: la gente moriva come mosche. Si sapeva di certa scienza che la macchina per buttare il veleno era già arrivata al pretore e al maresciallo dei carabinieri. Solamente il parroco non s'era ancor messo d'accordo col maresciallo, col pretore e col dottor La Bella intorno al numero delle morti che dovevano accadere a Rammacca. Si sapeva, anche di certa scienza, che il dottor Ficicchia aveva risposto al pretore: - Avvelenate me, se volete! Io non ci metto le mani nell'assassinare la povera gente! - E così non se ne faceva nulla: la macchina rimaneva incassata tuttavia in pretura o nella caserma dei carabinieri, non si sapeva precisamente dove; era certo però che un giorno o l'altro la cosa doveva accadere, per ordine del governo, per scemare la troppa popolazione. E Garibaldi intanto aveva assicurato che non ci sarebbe stato più colera dopo la rivoluzione! Che poteva farci il povero Garibaldi? Vittorio Emanuele voleva così perché gli altri governi gli forzavano la mano. Anche il papa faceva buttare il colera ne' suoi stati, ed era un ministro di Dio! Il cerchio dei paesi infestati si stringeva attorno a Rammacca. La povera gente si rassegnava alla fatalità del male, pur cercando di prendere tutte le precauzioni, tappando usci e finestre, chiudendosi in casa all'avemmaria, non uscendo prima che il sole fosse alto e avesse disperso il veleno. - Dottore, voi non ci abbandonerete! - si raccomandavano sottovoce. Il dottore, per non compromettersi, rispondeva con una stretta di spalle; a quattr'occhi, messo tra l'uscio e il muro, si lasciava anche scappare di bocca: - Fossi medico io solo qui! - Lo diceva senza malignità, forse; ma i contadini si sussurravano da un orecchio all'altro quelle parole, e guardavano in cagnesco il dottor La Bella che si prestava a dar la mano al pretore, al maresciallo, al parroco, quantunque confortati dal pensiero che il dottor Ficicchia non li avrebbe abbandonati. Una mattina però furono atterriti, apprendendo che il dottore e la sua signora erano partiti alla chetichella per Trizzitello, e avevano messo tanto di catenaccio alla porta di casa. Non c'era più dubbio: quello era il segnale che il domani la macchina del veleno avrebbe cominciato a funzionare. Le autorità s'erano già messe d'accordo: un centinaio di morti, né uno di più, né uno di meno! Il parroco, pover'uomo, aveva fatto quel che aveva potuto. Si riferivano le parole della discussione, quasi pretore, parroco e maresciallo avessero discusso in piazza alla presenza di tutti. Il più accanito era stato il pretore, che avrebbe voluto almeno almeno dugento morti, scellerato! per ingraziarsi il governo e ottenere una promozione. Al dottor La Bella venivano pagate dieci lire per morto. Almeno il dottor Ficicchia era scappato in campagna! Se n'era lavate le mani. Per fortuna del dottor Ficicchia, e più del La Bella che passò dei brutti quarti d'ora, a Rammacca non avvenne neppure un solo caso di colera. E quando il dottore tornò in paese, dopo un paio di mesi di assenza, a coloro che gli rimproveravano la sua scappata, rispondeva con un sorrisetto malizioso, scrollando la testa, o brontolando fra' denti: - Se non me ne fossi andato! - E da lí a poco i contadini si ripeterono sotto voce: - Se non se ne fosse andato lui! - Si era saputo, di certa scienza, al solito, che all'ultimo il dottor La Bella non aveva voluto assumere da solo la responsabilità dell'eccidio, e per questo Rammacca non aveva avuto colera. Il dottor Ficicchia, scappando, aveva salvato il paese! Curando gratis a questo modo, il bravo dottore si fabbricò il palazzo, come diceva la sua signora, e allargò i limiti del fondo di Trizzitello, che divenne una tenuta. All'ultimo, fino il dottor La Bella dovette riconoscere che il suo avversario era più furbo di lui; e per far bene i propri interessi, sposò una figliuola del collega, quantunque brutta e cieca di un occhio, e andò ad abitare nel palazzo insieme col suocero. Da quel giorno in poi però il dottor Ficicchia mutò registro nella sua condotta verso i contadini. Tutti i casi di malattia erano gravi: non si fidava di se stesso; suo genero ne sapeva più di lui e lo mandava in sua vece. E col dottor La Bella non si canzonava; bisognava pagare, o le citazioni piovevano da tutte le parti quando i contadini non saldavano il conto delle visite. E se i clienti ricorrevano al suocero perché s'intromettesse, questi rispondeva secco secco: - Io non c'entro -. Solamente quando egli era convinto che non ci era proprio da cavare neppure un soldo dalle tasche d'un povero diavolo, riprendeva il metodo antico, e pareva concedesse una grazia, facendosi ricompensare il doppio al solito modo. Così c'era sempre qualcuno a Rammacca che, parlando del dottor Ficicchia, poteva ripetere come prima: - Almeno costui ci ammazza gratis! - Roma, 9 gennaio 1892 COMMENTO E' una bellissima novella, quella di Luigi Capuana, Il medico dei poveri, scritta nel 1892 e pubblicata due anni dopo nella raccolta Le paesane. Semplicemente perché la realtà post-unitaria viene guardata in faccia, senza i trucchi intellettualistici di Pirandello, che puntava sulla finzione dell'assurdo o del paradosso, per rendere quella realtà ambientata nel sud oppresso dal capitalismo sabaudo, più sopportabile, meno pesante, per così dire. I contadini di Rammacca sono gli ingenui che si lasciano raggirare dalla borghesia professionista, la quale, ben conscia della loro miseria, cerca di accattivarsi le loro simpatie proponendosi con un volto benevolo, paziente, apparentemente longanime, altruista. Il dottor Ficicchia non poteva farsi pagare in denaro, ma riusciva lo stesso, con molta accortezza, a farsi pagare in prodotti naturali, in servizi, in prestazioni di lavoro. Con accortezza perché prima di ogni visita registrava nel proprio taccuino le generalità dei pazienti che visitava, affinché potesse ricordare con esattezza quando dove e come chiedere in cambio più del dovuto. Un medico senza scrupoli, apparentemente bonario, in grado addirittura di farsi ammirare. Un medico poco competente, che raramente prescriveva ricette, anzi il più delle volte lasciava fare al destino, anche quando consigliava di prendere acqua calda zuccherata e qualche purgante. I contadini si fidavano di lui soprattutto perché non era in combutta col farmacista, che a quel tempo preparava da solo le medicine da vendere. Non divideva con quest'ultimo alcun guadagno, per non dare adito a sospetti, anzi preferiva beccarsi da quest'ultimo l'epiteto di "asino laureato". Lui doveva anzitutto farsi una clientela sulla base della stima e della fiducia, pur sapendo che quella popolazione rurale non era in grado di pagarlo in denaro. D'altra parte il fatto che lui avesse scelto come target la povera gente, gli risparmiava l'obbligo d'essere competente. A differenza del suo collega, La Bella, che invece preferiva rivolgersi alle classi agiate. Resta tuttavia strano che volesse farsi una clientela tra la gente più povera, quando sapeva bene che da quest'ultima non avrebbe potuto pretendere pagamenti in denaro. Probabilmente aveva un progetto su di sé, che non poteva prescindere da quella zona; stava forse pensando a un futuro diverso, migliore del presente. Era convinto che se si fosse fatto una vasta clientela di gente che pur al momento era povera, l'avrebbe poi conservata quando questa sarebbe divenuta più benestante. D'altronde lui stesso, non avendo molte competenze, pur essendo un laureato, non poteva sperare di agire diversamente. Si presentava, tuttavia, come uomo di mondo, poiché svolgeva, per i suoi pazienti, molti altri mestieri improvvisati, che nulla c'entravano con la sua professione: consulente legale, uomo d'affari, agente matrimoniale. Ma Capuana, che racconta questa storia, da che parte sta? Perché prende in giro i contadini quando dice che al solo vederlo agire "con un'aria da oracolo", si sentivano già mezzi guariti? Perché in questa novella non c'è nessuno che apra loro gli occhi? O forse anche lui, come intellettuale, li sta usando per scrivere su di loro delle novelle? Ma se i loro occhi sono irrimediabilmente ingenui, perché irriderli? E' questo il modo migliore di essere "veristi"? Perché dire che siccome col dottore non pagavano in contanti, a loro pareva di non pagare nulla? Possibile che dei contadini abituati da secoli al servaggio, non sapessero che si può pagare anche di più in natura o in corvées? Possibile che fossero così sciocchi da non vedere che i servizi prestati al dottore erano sproporzionati al favore della visita medica ricevuta? Capuana vuol fare l'equidistante, parlando male anche del dottore, ma alla fine, inevitabilmente, si mette dalla parte di quest'ultimo, che rappresenta l'avanzare progressivo della borghesia. I Savoia al sud s'erano imposti con l'esercito, la burocrazia, il fisco e la scuola, ma avevano bisogno anche di queste figure locali, che, pur non essendo calate dall'alto, facevano piovere sulla testa delle plebi rurali una cultura estranea, un modus vivendi che solo in apparenza era accettabile. E forse avevano bisogno anche di intellettuali come Capuana, che mettendo in ridicolo il passato feudale rendevano inevitabile la marcia trionfale della borghesia. Non ha forse esagerato Capuana nel dipingere un dottore che sembra svolgere la parte dell'infiltrato al servizio del governo in carica? Davvero era tutta una macchinazione, ordita sin dall'inizio, ai danni del ceto rurale? O forse lo stesso dottor Ficicchia s'era trovato a cambiare mentalità, suo malgrado, senza volerlo, seguendo il nuovo corso delle cose? Era davvero consapevole questo dottore che rappresentava una cultura, uno stile di vita, una mentalità del tutto ostile a quelle popolazioni? Se era un dottore così intellettuale, così consapevole, come mai era anche così incompetente? Non era forse anche lui un "laureato"? E se non era poi così incompetente - cioè se mostrava d'esserlo solo perché tra quella gente nessuno era in grado d'accorgersene - perché non aveva cercato fortuna altrove, in località dove avrebbero potuto pagarlo adeguatamente? Il motivo stava forse nel fatto che proprio per il suo modo affabile egli, alla fin fine, "era servito meglio del barone"? Era dunque rimasto lì solo per dimostrare che in fondo poteva essere migliore di tutti? Solo per un senso di vanità personale? La seconda parte della novella, quella relativa all'epidemia di colera che colpì tutta Europa tra il 1865 e il 1870 e quindi anche il nostro paese - da noi subito dopo la sanguinosa guerra contro il brigantaggio meridionale (1861-65) -, è ancora meno chiara. Capuana infatti sembra voler far credere che per i contadini questa disgrazia era stata mandata direttamente dal governo, al fine di ridurre le bocche da sfamare. Si guardavano con sospetto le figure istituzionali della provincia di Catania, come il pretore e il maresciallo dei carabinieri. Ma nel prosieguo del racconto sembra davvero che quel morbo servisse alle istituzioni come valvola di sfogo alla disoccupazione, alla sovrappopolazione dei siciliani, un po' come l'emigrazione oltreoceanica. Capuana arriva addirittura a dire, non facendo più capire al lettore se si trattava di fatti concreti, ancorché mistificati, o di immaginazione contadina, che Vittorio Emanuele era favorevole a una diffusione del colera nel sud, tant'è che persino il papa la praticava come extrema ratio nei suoi territori (il che riporta inevitabilmente a quanto facevano gli americani, col vaiolo, nei confronti degli indiani). Che cosa ci vuol dire Capuana, che ogni disgrazia per i contadini era occasione buona per incolpare il governo in carica (peraltro non senza ragione), oppure che in qualche modo esistevano delle responsabilità da parte delle istituzioni (come da più parti peraltro si diceva)? Uno dei maestri del verismo nazionale non poteva essere più esplicito su questo, evitando insinuazioni così pesanti? Il ruolo del dottore è tuttavia poco chiaro. Sembra essere consapevole di un maneggio voluto dall'alto o comunque di una strumentalizzazione politica di un'improvvisa epidemia: in Italia scoppiò nel 1865 ad Ancona e durò sino al 1867 provocando 160.000 morti. Egli assicura che non vi parteciperà personalmente. Fa capire che i responsabili della tragedia sono il pretore, il maresciallo e persino il parroco (inizialmente titubante) e infine l'altro dottore, quel La Bella che curava solo i ricchi. Ma se era convinto di questo, perché andare a Trizzitello, nel suo podere di campagna? Non voleva farsi compromettere o non voleva contagiarsi? Il quadro generale è comunque spaventoso e assai poco edificante: il pretore voleva duecento morti per poter fare carriera; il dottor La Bella incassava dieci lire per ogni morto accertato. Dove sta il realismo di Capuana? Questo eccessivo cinismo non sta forse facendo deviare la novella verso una strada fantastica? Con chi ce l'ha Capuana? Con le istituzioni del governo italiano? Stranamente a Rammacca neppure uno s'ammalò, e quando, dopo alcuni mesi, il dottor Ficicchia tornò in paese, la gente ovviamente gli rinfacciava d'essere scappato, ma lui rispondeva che nel paese il colera non era arrivato perché il dottor La Bella voleva ottenere la sua complicità e non c'era riuscito, proprio perché lui gliel'aveva negata, andandosene appunto in campagna. E i contadini presero di nuovo a credere nella sua versione dei fatti: "scappando, aveva salvato il paese". A questo punto la fiducia dei contadini era assoluta: ne aveva salvati almeno cento, se non il doppio, da morte sicura. Contro il virus d'uno stile di vita sbagliato che lui stesso, da borghese, aveva inoculato in quelle popolazioni, lui ora passava per quello in grado di fornire gratuitamente l'antivirus. E fu così che, piano piano, aumentando a suo favore il rapporto tra prestazione medica e corvées, il dottor Ficicchia poté fabbricarsi un palazzo e ampliare il fondo di Trizzitello. Il dottor La Bella dovette ammettere la propria sconfitta, ma, per non uscirne con le ossa rotte, decise di sposare una figlia ("brutta e cieca d'un occhio") del suo collega, accettando la proposta di trasferirsi nel castello del suocero. Il finale è amarissimo: la borghesia ch'era riuscita a trionfare con l'inganno, ora s'impone con le leggi del monopolio, non quello giurisdizionale di competenza ma semplicemente quello di fidelizzazione della clientela. E ora non c'è via di scampo per i sofferenti, per gli indigenti. Improvvisamente tutti i casi di malattia diventavano gravi e costosi. E chi riscuoteva non era neppure lui, ma l'inflessibile genero La Bella, ch'era sempre stato più competente di lui, ma evidentemente meno furbo. E chi non pagava veniva denunciato, senza pietà. Perché questo voltafaccia? Che cosa gli avevano fatto i contadini di così grave da indurlo a comportarsi come uno spietato professionista? Nulla. Infatti in questa novella il dottor Ficicchia mostra d'aver sin dall'inizio un progetto da realizzare, quello di poter acquisire il maggior numero di clienti, senza chiedere loro un pagamento in denaro; al momento opportuno li avrebbe poi indotti a sentirsi in perpetuo obbligo nei suoi confronti. La trappola del business vero e proprio era scattata. Le ultime righe aggiungono al danno la beffa. Il dottor Ficicchia, quando vedeva che proprio la gente non era in grado di pagare in contanti, tornava al metodo antico, "e pareva concedesse una grazia, facendosi ricompensare il doppio al solito modo". Chissà perché il borghese, quando vuole apparire filantropo, non riesce mai a rifarsi una verginità. |
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