BREVE STORIA DEL ROMANZO ANTICO

BREVE STORIA DEL ROMANZO ANTICO

di Mirko Rizzotto


Il gusto per la narrazione: così lo studioso Jaroslav Ludvikovsky definiva, nel secolo scorso, il genere letterario del romanzo, che sarebbe nato come figlio “illegittimo” della storiografia. L’italiano Bruno Lavagnini andava ancora più in là: egli sostenne l’origine popolare del romanzo come frutto di una elaborazione di miti e leggende locali.

Fatto sta che l’origine del romanzo non è proprietà esclusiva dei Greci: abbiamo il romanzo aramaico Ai hqar, del VI secolo a.C., il celeberrimo Le avventure di Sinuhe, una narrazione egizia in prima persona, ambientata all’inizio del XX secolo a.C. e tramandataci da numerosi papiri, il più antico dei quali risale al XVIII secolo a.C. Siamo di fronte quindi ad un fenomeno più antico e più complesso.

Chi erano poi i destinatari di questi romanzi, Greci o meno che fossero? A quale pubblico essi si rivolgevano, e con quale finalità? Per rispondere a queste domande bisogna anzitutto tenere presenti due realtà: la prima era che il romanzo era inteso come il nostro moderno mezzo di “evasione”, ovverosia dando molto spazio all’elemento dell’avventura, dei viaggi fantastici, al gusto per lo stravagante e per l’esotico; rispetto alla storiografia, inoltre, il romanzo si presentava come una sorta di “intrattenimento” non impegnato, che si rivolgeva ad un pubblico non necessariamente troppo colto. I protagonisti, poi, oltre al fatto di essere fisicamente belli o appartenenti a classi sociali elevate, in nulla si differenziavano dall’uomo comune che ne leggeva le avventure.

La narrazione delle vicende (di solito a carattere amoroso) di uno o più personaggi ambientate su di uno sfondo liberamente inventato o ricostruito sulla storia o sulla vita contemporanea, presentava intrecci di tipo erotico od avventuroso, o anche entrambi. E’ infatti certo che il romanzo era sentito dagli antichi come una sorta di genere non ben classificato, un ibrido in qualche caso bollato come degenerazione del poema epico. In secondo luogo, e quasi in apparente contraddizione con quanto detto sopra, è vero solo in parte che il romanzo era connotato da un’origine popolare, come sosteneva Lavagnini, in quanto molti romanzi greci e latini si rivelano essere scritti con una notevole e ricercata raffinatezza stilistica. Fatto sta che merito del romanzo fu l’impulso dato alla pratica (per noi così scontata da farcene dimenticare le origini) della lettura privata in luogo della più diffusa lettura pubblica a voce alta, tanto apprezzata specie nell’età della Seconda Sofistica.

A partire proprio dall’età della Seconda Sofistica (II – IV secolo d.C.), l’antichità greca e latina ci ha tramandato, in diversi stati di completezza, i seguenti romanzi, iniziando da quelli in lingua greca:

Le avventure di Cherea e Calliroe, di CARITONE DI AFRODISIA (secolo I d.C.) in otto libri. Il racconto, a lieto fine come vuole lo schema tradizionale già impostosi, narra un’ininterrotta serie di disavventure ai limiti del fantastico (inclusa una morte apparente della protagonista femminile, il suo rapimento da parte dei pirati e la disperata ricerca intrapresa dallo sposo). L’intreccio, va detto, è a bella posta complicato e ricco di avvenimenti caotici, e la caratterizzazione psicologica dei personaggi è quasi assente.

Antia e Abrocome o Storie efesiache di SENOFONTE DI EFESO, in dieci libri, di cui solo cinque pervenuti, con analoga trama di due giovani innamorati che, separati, subiscono ogni sorta di traversie prima di ricongiungersi. Difatti il protagonista, il giovane Abrocome di Efeso, fiero della propria bellezza, disdegna il dio dell’amore Eros, che per punizione lo fa innamorare dell’altrettanto bella Antia; seguono oracoli, rapimenti, salvataggi miracolosi (Abrocome, già crocifisso, viene strappato dalla morte dal dio Nilo, Antia, data in pasto ai cani da dei briganti, viene risparmiata da uno di essi, invaghitosi a sua volta di lei) e il consueto lieto fine.

Storia di Leucippe e Clitofonte, di ACHILLE TAZIO, in otto libri, opera di un retore di Alessandria d’Egitto, in cui il protagonista maschile narra in prima persona il proprio contrastato amore per la cugina Leucippe; all’epoca della sua pubblicazione venne molto apprezzata per lo stile elaborato ed elegante in cui era composta, e per le frequenti digressioni, tipiche del gusto antico, ma per noi un appesantimento della lettura.

Gli amori pastorali di Dafni e Cloe, di LONGO SOFISTA, nativo probabilmente dell’isola di Lesbo, scritto verso il III secolo d.C., è la storia di due trovatelli, che, allevati da dei pastori su di un’isola, si innamorano reciprocamente, e alla fine coroneranno il loro sogno; questo romanzo dall’ambientazione bucolica (che tanta fortuna avrà nel Seicento e nel Settecento con il revival della poesia arcadica), con la sua trama semplice e quasi priva d’intreccio e colpi di scena – la vera avventura si svolge nella mente e nei sentimenti dei protagonisti, di cui è condotta un’introspezione molto profonda – è un unicum nella tradizione antica.

Le Etiopiche o Teagene e Cariclea, in dieci libri, furono scritte da ELIODORO DI EMESA, città della Siria, nel III secolo d.C. e narrano la storia d’amore tra la figlia del re di Etiopia e dell’avventuriero greco Teagene, ma, oltre all’immancabile apparato di avventure mirabolanti, risentono anche di una profonda tematica religiosa pagana tipica dei romanzi di ambiente culturale orientale, e precisamente alessandrino; avrà grande fortuna anche nel Medioevo e oltre, e sarà ammirato da autori del calibro di Miguel Cervantes e di Torquato Tasso.

Le incredibili avventure al di là di Thule, di ANTONIO DIOGENE, pervenuteci in un riassunto del bizantino FOZIO (IX secolo d.C.), una storia di viaggi meravigliosi dei due giovani innamorati Dinia e Dercillide, tipica del gusto dell’epoca (1).

Abbiamo poi tutta una serie di romanzi pseudostorici o biografici, incentrati soprattutto sulla figura di Alessandro Magno e sulla sua spedizione in Oriente, che diventa così puro pretesto per sbizzarrirsi nella descrizione delle creature, dei popoli, dei fenomeni ben al di là del paradossale; vale la pena di citare (poiché pervenutaci quasi integralmente) la Storia di Alessandro il Macedone dello PSEUDO CALLISTENE (in quanto falsamente attribuita allo storico di Alessandro, Callistene) e la Vita di Apollonio di Tiana di FILOSTRATO, biografia fortemente romanzata di Apollonio, sorta di mago/Messia pagano vissuto nella seconda metà del I secolo d.C.

La questione del romanzo latino è altrettanto intricata: in passato molti studiosi avevano posto l’accento sull’influenza che su esso ebbe, più che lo stesso romanzo greco, quella forma letteraria nota come i racconti milesii (dal nome di Aristide di Mileto, II secolo a.C., considerato l’inventore del genere), storie intrise di magia, elementi religioso/salvifici, eros ed avventura. A differenza del romanzo greco, non molto si è salvato di quello latino, ma fra quel poco che è scampato, troneggiano alcuni giganti.

Il Satyricon di PETRONIO, l’arbitro dell’eleganza di Nerone, come lo chiama Tacito, è ciò che resta (per la precisione i capitoli XV e XVI, quindi solo una piccola parte) di un grande romanzo parte in prosa e parte in versi, composto nel I secolo d.C., caratterizzato da una visione ironica di una società corrotta e decadente, di cui il ricco e volgare Trimalcione è il degno rappresentante. Il racconto narra in prima persona le avventure ed i vagabondaggi del giovane e colto Encolpio, compagno dell’adolescente Gitone del quale è innamorato. Ad essi si affiancherà Ascilto, a sua volta attratto da Gitone. Il terzetto (cui più tardi si unirà il vecchio Eumolpo, sofisticato quanto lascivo sofista) sarà protagonista di varie disavventure, tra cui una serie di sevizie erotiche inflitte loro dalle sacerdotesse del dio fallico Priapo, un naufragio, una colossale quanto pacchiana cena a casa del parvenu Trimalcione ed infine una declamazione sulla guerra civile tra Cesare e Pompeo. Né la parte iniziale né quella finale del romanzo sono state tramandate, nonostante Oscar Wilde ne desse, alla fine dell’Ottocento, un’edizione (rivelatasi poi falsa) dei capitoli mancanti.

Le Metamorfosi o L’asino d’oro di LUCIO APULEIO, sono un’opera assai particolare in undici libri, tutti quanti conservatisi, e rappresentano il capolavoro di Apuleio (II secolo d.C.) che risente fortemente dei contenuti erotici delle novelle milesie, e al di là dei miti (celebre quello di Amore e Psiche), delle figure truci di streghe e briganti, e dei viaggi e delle peripezie ivi descritti, emerge uno spaccato della società antica colto con raro realismo; non ultimo, l’intervento finale della dea Iside, che riesce a ridare forma umana a Lucio, il protagonista diventato asino in seguito alla propria curiosità ed a una stregoneria, iniziandolo poi al proprio culto, denota quei fermenti religiosi e culturali e religiosi che pervadevano all’epoca l’Impero Romano: i vecchi Dei perdevano terreno nei confronti delle nuove divinità sopranazionali e personali (si confrontino, a questo proposito, gli studi dell’ungherese Kerényi) .

La storia di Apollonio, re di Tiro, di autore ANONIMO e di incerta datazione (forse tra il III ed il VI secolo), racconta le avventure orientali del giovane Apollonio, dei suoi amori, della bellissima fanciulla Tarsia e della malvagità di re Antioco, reo di avere stuprato la propria figlia; immancabile anche in questo romanzo il lieto fine, e l’incoronazione di Apollonio quale re della propria città natale. Al di là delle inverosimiglianze storiche, l’opera è scritta in un latino agile e scorrevole, molto fluido alla lettura.

Qui, per la storia del romanzo antico, bisognerà accennare alla straordinaria proliferazione dei romanzi bizantini, eredi diretti di quello greco, pervasi però ora anche da spirito cristiano ed intenti edificanti (2). In Occidente, dopo l’esperienza dei romanzati Atti dei Martiri e delle biografie fantasiose di Cristo e degli apostoli negli apocrifi, abbiamo la nascita, presso le corti della Provenza, del romanzo cavalleresco, che farà delle avventure dei cavalieri di re Artù prima e di Carlo Magno poi il proprio perno, e che troverà il proprio maggior esponente in Chrétien de Troyes, autore in grado di influenzare gli stessi Bizantini. Dato che per narrare queste avventure si adoperava la lingua romanza o volgare (cioè differente dal latino), qui troviamo anche la stessa origine del nome moderno di romanzo.

Note

1) Decine di altri sono i romanzi pervenutici incompleti o frammentari: fra i tanti ricordiamo Le memorie erotiche di FILENIDE, famosa cortigiana ionica, i Racconti di Rodi di FILIPPO DI ANTIPOLI, definiti da un contemporaneo “un’opera assolutamente sconcia”, e, scoperto di recente, le divertenti Storie fenicie di LOLLIANO, una sorta di parodia del romanzo “serio”, in cui il protagonista viene addirittura pagato per la sua iniziazione sessuale. Diversi studiosi pensano di vedervi un parallelo con il Satyricon petroniano.

2) Ricordiamo tra i tanti, spesso in versi, Beltandro e Crisanza, di autore ANONIMO, con il tema, caro ai Bizantini, del concorso di bellezza che riflette il giudizio di Paride, o l’altrettanto anonimo Florio e Plaziaflore (secolo XIV), in cui i due giovani protagonisti, dopo aver tanto girovagato e patito, posti sul rogo dal crudele emiro di Babilonia, si salvano grazie ai prodigi di un anello magico; va detto, tra l’altro, che questo romanzo godette di larghissima fortuna anche in Occidente. Altro romanzo interessante, intitolato Drosilla e Caricle, opera di NICETA EUGENIANO (XII secolo), complica l’intreccio sovrapponendo le storie di ben due coppie di innamorati, e presenta al suo interno una canzone d’amore di rara bellezza.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019