La scelta di Lev Nikolaievič Tolstoj

La scelta di Lev Nikolaievič Tolstoj

I - II

Dario Lodi


La reputazione di Tolstoj (1828-1910), si sa, è altissima. Da solo egli ha caratterizzato il romanzo russo dell’Ottocento. Cerchiamo di capire il motivo di certa sua ecumenicità. La letteratura russa del XIX secolo è stretta parente della letteratura francese. Ma mentre quest’ultima ha sviscerato principalmente la problematica sociale seguendo la logica dei cambiamenti epocali imposti dalla rivoluzione industriale, la letteratura russa, arretrata rispetto al modello di vita occidentale, si concentrava maggiormente su modelli culturali senza tempo.

Sicuramente il mondo immobile della Russia condizionò il fenomeno letterario, nel senso che favorì riflessioni profonde sulle suggestioni romantiche francesi. Il mondo intellettuale di Mosca e Pietroburgo non fu per niente insensibile al tentativo di valorizzazione dei sentimenti proposto da Parigi. Per i francesi, il romanticismo fu una sorta d’occasione per imparare a conoscere il piccolo mondo borghese e quello popolare, entrambi impotenti di fronte all’industrialismo ed entrambi speranzosi in un’alternativa. Zola la nega, Flaubert la evoca in continuazione, Maupassant la invoca, appellandosi alla dignità.

Gli scrittori russi indugiano, si autoingannano, partono da lontano, anche perché il loro mondo di riferimento è pre-industriale, è ancora quasi medievale. Si lasciano affascinare, ed è inevitabile, dalla nuova dialettica, fatta di razionalità e di sentimento, il secondo particolarmente vitale per la sfida in atto fra pragmatismo, intellettualmente condizionato, e spiritualismo, intellettualmente disordinato ma vivacissimo.

In effetti, si trattava, a certi livelli – livelli intellettuali di prestigio, ereditati dall’Illuminismo – di vedere bene le cose e di impostare il sistema secondo dei principi questa volta tutti umani, senza alcun ricorso alla metafisica o alla trascendenza. Ecco la scommessa sostanziale fra vita senza pensieri astratti ma forieri di chissà quali cambiamenti reali e totali, e vita con pensieri positivi di solo stampo materialistico.

Più che rivoluzione industriale si può parlare di rivoluzione materiale: è la conseguenza della prima, ma si è imposta, divenendo un topos recitante il limite umano. A questo topos, all’epoca in nuce, risponde la voce dei romantici e quella dei romantici russi diventa presto la più accattivante, e questo grazie principalmente a due autori: Dostoevskij e Tolstoj.

Il ragionamento dei due è molto diverso, solo a tratti complementare. La complementarità riguarda soprattutto il riferimento iniziale: semplicemente Dio. Non dimentichiamo che entrambi vissero in un ambiente molto spirituale, in una vera e propria atmosfera religiosa cristallizzata da secoli. Fu il pragmatismo, la cecità della macchina, la sua protervia, a scatenare, in Russia, pur solo spettatrice del dramma in atto, propositi civili radicali.

Dostoevskij è spesso additato come un ateo. In realtà, lo scrittore russo stigmatizzò il comportamento senza regole dell’uomo e, di fatto, bocciò l’iniziativa privata. Molto sinteticamente, egli non ebbe grande fiducia nel riscatto umano e preferì affidarsi a una sorta di Provvidenza: lo fece dall’alto di uno spiritualismo che potremmo definire anarchico, dando per una volta all’anarchia il giusto significato: lo sviluppo di una convinzione, o anche solo di una credenza.

Tolstoj non è per l’anarchia, è per una scelta fra credenza e convinzione. Questa convinzione si riserva di scindere nettamente spiritualità da praticità. Le grandi domande – che in Tolstoj suonano vigorosamente – devono essere affrontate con tutto il coraggio di cui un uomo è capace. Il grande scrittore russo, specialmente nei suoi racconti e nei romanzi brevi (si pensi alla Sonata a Kreutzer) pone in evidenza la necessità di una presa di posizione che ponga l’uomo di fronte alle sue debolezze: solo vivendole, analizzandole, può sperar di cambiarle.

Lo scrittore è tormentato e a fatica domina il suo tormento, anche se talvolta vuole dare dimostrazione di onnipotenza: dunque l’uomo è in grado di giudicare, di emettere sentenze, senza bisogno di tribunali laici o religiosi: sovrastrutture create per avere dei comodi punti di riferimento. Vedi la legge che punisce (non commetti reati perché sarai punito, non perché è giusto che tu non li commetta) e vedi la Provvidenza che ti capisce e ti perdona.

Queste sovrastrutture vengono negate da Tolstoj, anche se lo scrittore non sa cosa mettere al loro posto. La coscienza di un vuoto senza i riferimenti classici si fa strada come pericolo reale nella mente del Nostro. Egli risponde chiaramente in due modi: pensando a un sostanziale nichilismo e riflettendo sul possibile raggiungimento di un traguardo obiettivo attraverso l’uso della ragione, della razionalità. Nel secondo caso, la promozione della personalità umana avviene come d’incanto, oppure come se si fosse sciolto improvvisamente un nodo da sé.

Incanto o fatto meccanico insolito, entrambi rispondono a un impegno esplicito o sotterraneo per troppo tempo posto sotto le convenzioni storicizzate: leggi del re o imposizioni trascendentali con riduzione individuale all’obbedienza cieca. Ma la rivoluzione industriale ha dimostrato che l’uomo sa fare, sa provvedere a se stesso superando le costrizioni della natura: ergo, l’uomo sa anche ragionare in termini assoluti, non soltanto relativi.

San Paolo raccomandava di essere saggi, non di aspirare alla verità divina. L’Ottocento ha in mano la verità materiale (o crede di averla sulla base di forzature, peraltro riuscite) e dunque è a un passo da quella divina. La grossolanità dell’equazione portò Tolstoj a celebrare disquisizioni personali e profonde, incentrate sul proposito di dimostrare filosoficamente che occorreva pensare ad altro, nel rispetto dell’intelligenza umana tout court e non limitata dal bisogno o dall’inganno relativo.

Quello che fece disperare il nostro scrittore è la mancanza di prove scientifiche al suo teorema. Tolstoj era per l’oggettività, per la concretezza delle cose: il suo atteggiamento aveva sostegni pratici, aveva la determinazione e la consapevolezza dello scopo. Egli non aveva altrettanti sostegni teorici, non della stessa “stoffa”, per ovvie carenze generali di partenza. Cioè carenze culturali fossilizzate. Contro di esse, il nostro scrittore scatenò una battaglia senza quartiere, riuscendo a trasmetterci l’impeto per superare gli ostacoli. Tolstoj è stato un pioniere della cultura moderna e della civiltà futura. Un pioniere in possesso di doti espressive straordinarie, incalzanti, consistenti. Incisive.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019