PAOLO VOLPONI: IL CORAGGIO DELLA DIVERSITà


LA MACCHINA MONDIALE


Don Chisciotte (Gustave Dorè)

E' il secondo romanzo di Volponi, pubblicato nel 1965 con Garzanti. Nello stesso anno vinse il premio Strega, ma in seguito questo memoriale dell'utopia poco fu letto e meditato.

Il protagonista, Anteo Crocioni, è un contadino autodidatta che scrive un trattato pseudoscientifico nel quale sostiene che ogni cosa organica (quindi anche l'uomo) deriva in origine dalla invenzione di antichi automi-autori che poi si sono estinti o sono emigrati in altri pianeti, da dove forse seguono le sorti di noi terrestri, che abbiamo il compito di evolvere di continuo, superando gli stessi creatori e giungendo così a costituire una società fondata sull'amicizia e non sul sopruso.

Come ebbe a dire Pasolini, il personaggio somiglia a un Don Chisciotte anarchico, perché è fatale che la bizzarria delle sue idee si scontri con tutti i micro (i familiari e i vicini) e i macro (la Chiesa e gli organi dello Stato) poteri che - e qui il suo giudizio di paranoico che si è creato un suo originale sistema cognitivo e morale, vede bene - costringono gli uomini a vivere con paura e altri sentimenti meschini.

Nel meccanicismo e nell'utopismo seicenteschi, oltre che nel poeta Lucrezio, possiamo trovare le fonti dottrinali delle idee di Anteo; Volponi si ispirò anche all'incontro fortuito con un contadino marchigiano autodidatta e scrittore di trattati fantascientifico-utopistici che volle assistere a Ivrea alla fabbricazione dei calcolatori elettronici.

Sin da bambino, Anteo rifiuta di sottomettersi alle regole sociali, che lo vorrebbero un tranquillo lavoratore. Invece lui si interroga sull'origine e il destino del mondo. Anche le botte del padre non servono a fargli mettere la testa a posto, tanto è vero che quando, ormai adulto, si chiede la causa della sua diversità, se cioè qualche automa-autore gli ispira di continuo, magari telepaticamente, le idee che poi andrà a scrivere sul trattato oppure è lui stesso che sforzo dopo sforzo si è staccato dalla mentalità comune, conclude che se pure c'è stata una rivelazione iniziale, egli ha comunque dovuto continuare per conto suo, migliorando di giorno in giorno.

Ha un solo amico, un seminarista che poi diventerà prete, di nome Liborio, il quale gli fornisce dei libri di scienza ma lo avverte sempre dei pericoli della sua originalità. Per comprare altri libri, Anteo giunge a rubare nella villa di una contessa alcune cassette d'argento (che poi venderà), oltre a una statuetta che avrà una funzione fondamentale nel finale del romanzo.

Il suo dramma comincia quando incontra Massimina, di cui si innamora e che sposa. La donna non accetta infatti di avere un marito così originale e deriso dagli altri contadini, un uomo che passa il suo tempo a disegnare e a dire cose stravaganti; egli ipotizza che sono stati i familiari di lei e i preti a mettergliela contro, ma poi capisce che è anche la donna stessa ad avere scelto un modello di vita convenzionale, basato sulla sicurezza patrimoniale e sul conformismo. Comincia così a picchiarla per "correggerla".

Massimina lo abbandona e fugge a Roma, dopo che alcuni mediatori hanno cercato invano di convincere il marito a fare la vita di tutti gli altri tranquilli contadini, per offrire una esistenza dignitosa alla consorte, rinunciando soprattutto alle sue idee bizzarre.

A Roma va pure Anteo, per diffondere le sue idee all'università tra professori e studenti, mentre cerca la moglie. I professori ovviamente lo snobbano e lui consuma tutti i suoi soldi per pagare da bere o mangiare agli studenti affinché lo ascoltino e mettendo annunci sui giornali per la ricerca di Massimina.

Lavora prima in un circo e poi come venditore ambulante al servizio di una anziana e furba lupinara.

Il genero della lupinara arriva un giorno a fare un discorso a tutti i dipendenti della suocera affinché votino per la Democrazia Cristiana. Anteo, nel vederli sottomessi e umiliati dalle parole dell'uomo, dice a quest'ultimo che, nella nostra società, famiglia lavoro e religione non sono strumenti di liberazione e benessere, come il genero della lupinara sostiene, ma forme di oppressione. Si scatena un litigio violento perché i dipendenti, per dimostrare la loro fedeltà ai padroni, cercano di picchiarlo. Maledetto e licenziato dalla lupinara, perde anche l'amicizia dei suoi ex colleghi.

Si rivolge alla polizia, che gli dice che se vuole che le forze dell'ordine cerchino la donna, deve sporgere denuncia per abbandono del tetto coniugale; lui accondiscende, anche se non è sua intenzione mettere nei guai Massimina. La polizia scopre che fa la domestica a casa di un potente avvocato e avverte Anteo di agire con tatto. Questi, donchisciottescamente, litiga con l'avvocato al telefono perché non vuole passargli Massimina, e quando riesce finalmente a parlare con lei, sempre al telefono, non ottiene alcun beneficio, anzi quella maledice il momento che lo ha sposato.

La polizia finisce per proteggere la donna impedendogli di incontrarla. Qualcuno (sicuramente l'avvocato a casa del quale è a servizio) induce Massimina a denunciarlo per maltrattamenti. Inoltre la polizia gli chiede come vive e che lavoro fa. Lui risponde che è un libero studioso, così emettono un «foglio di via» e lo rispediscono nelle Marche per mancanza di fissa dimora, vagabondaggio e molestia.

In campagna, dopo un iniziale inselvatichimento, riprende i suoi studi. Viene a sapere che l'amico Liborio è divenuto parroco di un paese vicino e lo va a trovare. Questi, pur accettando la sua amicizia, lo mette in guardia dalla superbia delle sue idee, non fondate su sufficienti studi. Anteo invece propone di diventare briganti, per rubare ai ricchi. Ancora una volta il lettore capisce che questo personaggio non ha la capacità di trovare la strategia più opportuna per combattere contro i mali della società.

Avvertito da Liborio della prossima venuta di Massimina dai parenti, la incontra e le chiede di tornare da lui. Lei rifiuta, lui la convince a fare l'amore. La donna poi riparte per Roma, dicendogli di lasciarla in pace e che può solo mandarle lettere. Lui comincia a mandarle molte lettere d'amore a cui lei non risponde. Quando finalmente gli scrive, è per maledirlo giacché quell'incontro amoroso le ha portato solo sfortuna - si saprà poi che è incinta.

Inizia il processo per maltrattamenti. Tutti testimoniano contro di lui. Anteo, nel processo di appello, litiga con il giudice e persino col suo avvocato d'ufficio, che vorrebbe farlo passare per matto. Dice loro che non è lui il matto, è la loro logica ad essere inferma. Allontanato dal Tribunale, viene condannato a un anno di prigione, pena immediatamente sospesa col beneficio della condizionale.

Tornato a casa, legge su un giornale che Massimina è stata arrestata per aver lasciato morire il suo neonato partorito di nascosto, da sola. La donna verrà poi interrogata e dirà che Anteo l'ha violentata e perseguitata, e quindi ha preferito che il bambino morisse anziché vivere anche lui la minaccia da parte del padre o addirittura correre il rischio di ereditare la sua follia.

Ecco il finale: abbiamo detto sopra che la statuetta rubata nella villa della contessa ha una funzione fondamentale. Già da tempo Anteo ha scavato dentro di essa un buco, prevedendo la possibilità di un utilizzo improprio: acquista un candelotto di dinamite e lo inserisce nel buco, per esplodere insieme alla statuetta.

Non ha rancore verso nessuno, non ricambia nemmeno l'odio della moglie. Capisce solo che la sua funzione si è adempiuta e non ha più senso vivere. Si direbbe che non è il suicidio di un uomo ma propriamente quello di un personaggio, che muore per dare spazio, nella immaginazione dell'autore, alla creazione di un personaggio ulteriore.

Cosa vuol dimostrare l'autore attraverso il suo personaggio che esce di scena suicidandosi? Che non muore del tutto chi ha lottato per un ideale, giacché l'ideale resta e si trasmette a un altro individuo che continua a battersi, magari facendo anche un solo passo in più nella direzione del reale progresso dell'umanità, della vera amicizia tra gli uomini e i popoli, che è l'antitesi di ogni consorteria. Perché non è vero amore, non è vera amicizia, l'amore che diventa un laccio, l'amicizia che diventa una camorra.


a cura di Leonardo Monopoli

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10/12/2012