La disperazione di Stefan Zweig

La disperazione di Stefan Zweig

Dario Lodi


Stefan Zweig (1881-1942), negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, fu l’autore più tradotto al mondo, grazie alle sue novelle, specialmente raccolte sotto il titolo “Sovvertimento dei sensi”, pubblicato nel 1927. Vi si riscontra, come in tutte le sue opere, una sottile ma insistente disperazione per la condizione umana. Egli si riferiva all’impossibilità di stabilire una moralità dignitosa. Era tuttavia orgoglioso di avere individuata con sicurezza questa chance, alla quale, peraltro, si aggrappava ostinatamente. La sua attuazione era una speranza segreta che puntualmente usciva allo scoperto.

Egli non era razionalmente convinto di poterla spuntare. Le sue sono storie di perdenti (ma certo di perdenti con onore). In fin dei conti, Zweig ripeté per tutta la vita la storia contenuta nel suo primo dramma, “Jeremias” dove intendeva dimostrare che alla fine chi perde in realtà vince. Si tratta di una logica che si basa interamente sull’etica ideale. Lo scrittore austriaco (era di Vienna), fu naturalizzato inglese (fuggì dall’Austria al momento dell’Anschluss, cioè della forzata unificazione con la Germania), sentiva di dover svolgere una sorta di azione propedeutica a favore di un moderno umanesimo.

Stefan Zweig veniva da una famiglia facoltosa. Visse bene la “Belle Epoque”, ma ebbe il coraggio di denunciare le condizioni della povera gente. Il Nostro amava le cose belle di natura intellettuale, culturale. Collezionò manoscritti originali, ottenendone, fra l’altro, a costi notevoli, di Bach, Beethoven e Mozart, ma anche di Goethe, di Balzac. Egli viaggiò molto per l’Europa e conobbe personaggi rinomati: Joyce, ad esempio, e il nostro Ferruccio Busoni; Gorkij, Rodin, Herman Hesse, Romain Rolland (di cui divenne amico), Joseph Roth. Lo fece come per sfuggire alla delusione per la caduta austriaca e per cercare un nuovo approdo civile affidabile.

Il nostro scrittore, invece, aveva di fronte una realtà impietosa che recitava progresso materiale senza fine e a tutti i costi. Un programma grossolano e crudele, come aveva dimostrato la prima guerra mondiale. Zweig era allora in Svizzera e sognava una catarsi. Era praticamente fuori dalla storia e da quella posizione non poteva che sperare invano. La vanità gli era tuttavia sconosciuta, ovvero questo grande intellettuale non pensava di doverla prendere in considerazione. Lo dimostrano bene le sue opere successive.

Zweig fu in varie città e in alcune vi abitò. Ma in Europa non si sentiva sicuro e alla fine, divorziato dalla prima moglie e sposatosi di nuovo, con la giovanissima Lotte Altmann, si trasferì in Brasile, a Petrópolis. Il primo settembre 1939, giorno in cui Hitler invase la Polonia, accendendo così la seconda guerra mondiale, Zweig depose la penna per sempre. Il 23 febbraio 1942, la disperazione ebbe ragione di lui e la moglie si unì alla sua decisione di farla finita: il mondo stava cadendo sempre più in basso, lui non voleva più farne parte.

Molto aveva scritto sino a quel primo settembre. Oltre a miniature e biografie storiche (ricostruzioni di vite di personaggi e interpretazioni di vicende con misurata fantasia) parecchie novelle, qualche testo teatrale, un romanzo e “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo”, testo importantissimo, ricco di notizie e di osservazioni a partire dai primi del Novecento, e un autentico gioiello, la “Novella degli scacchi”.

La “Novella degli scacchi” nella traduzione di Silvia Montis (Newton Compton editori) incide a fuoco la tematica cara a Zweig. Un vincente nel gioco degli scacchi, ritenuto imbattibile perché dotato di una mente molto logica ma limitata, viene per una volta superato da un dilettante. Fra i due esiste un abisso: il primo è una specie di essere meccanico, privo di emozioni e di sentimenti, l’altro è un uomo che ha subito ingiustizie, dalle quali è uscito per miracolo proprio, dopo aver superato prove terribili. Teneva allenata la mente ripassando le mosse scacchistiche dei campioni. Nella seconda partita, il dilettante riuscirà a riprendere il controllo di sé, evitando di cadere nella trappola meccanica dell’avversario.

Raramente si può leggere una novella tanto valida, sia per forma che per contenuto. La narrazione scorre meravigliosamente, le osservazioni sono calzanti, i personaggi dipinti alla perfezione, la morale evidente, intrigante, ben congegnata. La novella è animata da sincerità e da sapienza superiore. Da sensibilità sofferta.

Zweig è un pessimista involontario, non smette di pensare a una soluzione, a come far muovere il mondo nel modo giusto, a procurare uomini veri perché di questi c’è bisogno per salvaguardare e sviluppare i valori umani. Il nostro scrittore s’è sacrificato, ha sacrificato la moglie, per fare l’una e l’altra cosa. Ebbene, il loro sacrificio è un’imbarazzante lezione di vita.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Letteratura
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Aggiornamento: 10-02-2019