PICCOLO CODICE GRAMMATICALE E LESSICALE

CONTRO LA GRAMMATICA ITALIANA


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PICCOLO CODICE GRAMMATICALE E LESSICALE
(con chiari riferimenti politici)

Queste regole di scrittura si trovano nel sito www.quinterna.org e sono state messe per indicare il modo migliore di scrivere articoli per la rivista di questo sito.

1) Maiuscola e minuscola. Inizio citazione quando non vi sia continuità di discorso: "La borghesia è una classe inutile". Tutti i nomi che hanno un acronimo: Internazionale Comunista, Partito Comunista d'Italia. Nomi di cariche particolari: il Presidente della Repubblica (ma: il presidente Scalfaro). Generalizzazioni: lo Stato, il Capitale (ma: intervento dello stato, capitale fittizio). Nomi di popoli: i Francesi, gli Inglesi (ma: i francesi intervennero alla riunione). Nomi di astri: la Terra gira intorno al Sole (ma: gli astronauti toccarono terra in un giorno di sole). Scriviamo anche Rivoluzione d'Ottobre e Prima Guerra Mondiale, Nord, Sud, Oriente e Occidente (ma il sole nasce a oriente).

2) Punteggiatura. Meglio mantenersi su regole semplici. Consigliabile la virgola solo quando è obbligatoria (p. es. dopo il vocativo, negli incisi, negli elenchi). Per il resto fare frasi col punto, corte, se possibile. Punto e virgola per le pause e negli elenchi specialmente quelli numerati. Due punti per introdurre un discorso altrui o per introdurre un elenco. Punto interrogativo senza problemi. Punto esclamativo da usare con estrema parsimonia, meglio mai. Peggio che mai i due insieme e anche uno dei due ripetuto (no ?!, ??, !!) per enfatizzare. Maiuscola dopo entrambi, meno quando il discorso continua in modo evidente. Puntini di sospensione: nel caso di omissioni nelle citazioni; in tutti gli altri casi con estrema parsimonia. La punteggiatura deve rimanere entro le virgolette quando esse delimitano le frasi di un dialogo, fuori quando delimitano una citazione.

3) Segni convenzionali. Trattino: Guerra turco-russa, partita Italia-Brasile, l'Intercity Torino-Venezia, la forza-lavoro, il marxista-leninista; anche al posto della lineetta per gli incisi (a volte, cioè, al posto della parentesi). Virgolette: per le citazioni con il corsivo quando non si usa il rientrato; no per voci dialettali, straniere, gergali (usare il corsivo); per il resto con giudizio (specialmente nel senso di cosiddetto). Lineetta e asterisco: non li usiamo. Non usiamo mai sottolineature, maiuscoletti e grassetti per evidenziare, ma solo il corsivo (maiuscolo e grassetto ovviamente per i titoli).

4) Accento. Tre, blu, re, ma ventitré, rossoblú e viceré. Dà (dare), là (luogo), lí (id.), sí (affermativo), né (negativa), ché (perché), sé (pronome). Distinguiamo tra acuto e grave. Usiamo l'accento tonico solo quando ci sono parole che si confondono (àncora e ancóra). Non usiamo l'accento circonflesso (non principî ma principii o princìpi, però armadi, studi).

5) Apostrofo. Un artista (uomo), un'artista (donna); tal e qual vanno senza apostrofo. Nei troncamenti lo usiamo sempre (mai l'accento): po', be' (ma si usa piè non pie'). Anche negli imperativi: da', fa', di', va'; tie', to'.

6) Femminile. Non usiamo il politically correct femminista. Diciamo: direttrice, imperatrice, scrittrice, ambasciatrice, senatrice, ispettrice. Corretti anche se suonano d'altri tempi: soldata, deputata, avvocata, vigile urbana, architetta, notaia e persino ingegnera. Sempre al maschile invece la carica: Teresa è stata eletta sindaco; Francesca è stata eletta primo ministro; Maria Callas era un soprano.

7) Plurale. Ricordiamo la regoletta pratica per le terminazioni in -cia e -gia: camicia = camicie, ferocia = ferocie, grattugia = grattugie, quando c'è la vocale. Invece: frangia = frange, goccia = gocce, coscia = cosce, quando c'è la consonante. Non c'è la regola per sindaci, chirurghi, sarcofaghi o esofagi. Di solito i vocaboli in -co e -go hanno il plurale in -chi e -ghi quando sono piani, cioè hanno l'accento tonico sulla penultima sillaba (gioghi, lunghi, roghi); i vocaboli sdruccioli, cioè con l'accento sulla terz'ultima sillaba hanno il plurale in -ci e -gi (meccanici, portici, asparagi). L'uso va soppiantando in molti casi il suono duro (stomachi = stomaci, manichi = manici, chirurghi = chirurgi). Non usiamo l'accento circonflesso e altri accenti nei casi: principii, arbitrii, assassinii, oratorii. Parole composte: caporeparto = capireparto, pomodoro = pomodori, caporione = caporioni, cassaforte = casseforti, terracotta = terrecotte, cassapanca = cassapanche, doposcuola = doposcuola, retroscena = retroscena (ovvero seguiamo l'uso consolidato). Con i vocaboli stranieri di uso consolidato come bar, sport, box, camion, menu, tram, ecc. non formiamo il plurale. Lo formiamo con i vocaboli che citiamo appositamente in quanto stranieri: "I delegati spagnoli all'Esecutivo Allargato erano dei veri caballeros". Si dice che una gran quantità di persone hanno (e non ha) l'automobile.

8) Articolo. Non usiamo mai l'articolo davanti ai nomi: il Bianchi, il Rossi, la Neri; e nemmeno il Pirandello o il Quasimodo (ma il Boccaccio, il Manzoni e il Pascoli, sì). Scriviamo sempre minuscolo l'articolo delle località quando parte del discorso: foto del Cairo, vacanze alla Maddalena, viaggio all'Aquila, vistare la Spezia, pellegrinaggio alla Mecca. Ma scriviamo: Il Cairo, 2 marzo 1999; la città della foto si chiama La Spezia.

9) Aggettivo. Nella letteratura di sinistra si sprecano, specialmente preposti al sostantivo: "una limpida via per i giovani". A volte fa poetico, ma il troppo stroppia. Inoltre l'aggettivo tende ad appiccicarsi con invarianza agli stessi nomi, come nel giornalismo deteriore (dopo lunga e penosa malattia; male incurabile; solerte poliziotto, terziario avanzato) facendo del testo un luogo comune. Per quegli aggettivi particolari che sono i numeri meglio scriverli in lettere quando la frase è discorsiva e non si tratta di matematica o economia (quattro sessioni dell'Esecutivo, quindici volumi delle opere, 1.600 copie del giornale, il PIL è a 1.900 miliardi di lire). Non eccedere con i superlativi e i comparativi.

10) Pronome. Sull'abuso dei pronomi personali abbiamo citato una volta Gadda che li odiava "come i pidocchi". Il pronome "io" l'abbiamo cancellato, resiste ancora il "noi" anche quando potrebbe essere sostituito da forme impersonali ("noi dissentimmo dall'Internazionale"). Nell'uso giornalistico la forma "diremo loro come fare" è ormai sostituita da "gli diremo come fare". Noi finora abbiamo sempre usato la prima forma, ma le grammatiche suggeriscono un compromesso: usare gli tutte le volte che loro è pesante o sa di vecchio. I piemontesi hanno problemi con i pronomi relativi (che, il quale, cui, regolarmente corretti in sede di proof-reading): "la modifica del programma politico, che già esisteva nel 1924, era inaccettabile"; che cosa esisteva nel 1924? La modifica o il programma? Scriviamo: "la modifica del programma, il quale esisteva ecc." La proliferazione del pronome "che" diventa quasi automatica nei periodi lunghi. Si può evitare con un piccolo trucco: "quell'organicità che la nostra scuola ha sempre sottolineato" può diventare: "quell'organicità sempre sottolineata dalla nostra scuola" (si passa cioè dalla costruzione esplicita a quella implicita, dal verbo di modo finito a quello di modo indefinito).

11) Verbo. L'uso dei verbi è molto legato alla provenienza regionale. Al Nord, per esempio, si usa ben poco il passato remoto, mentre nel Centro-Sud l'uso del congiuntivo è influenzato dai vari dialetti (ma anche in Lombardia). In entrambi i casi si sbaglia molto. La soluzione migliore è prendere una buona grammatica e allenarsi. La regola per il passato prossimo-remoto è in questi due esempi: "Il Canale di Suez è stato aperto nell'800"; "Questa mattina telefonai al meccanico". Il fatto del primo caso non è prossimo come suggerisce l'aggettivo, mentre il meccanico non è stato chiamato in un passato tanto remoto. Nel primo caso si parla di un canale aperto ancor oggi, nel secondo caso il fatto è compiuto o perlomeno la sua persistenza non è importante. Poche altre osservazioni sulle sviste più frequenti: a) Ausiliari: si usa il verbo avere quando non vi sono particolari condizioni di moto o di tempo (ha scritto, ha volato, ho letto, aveva corso alla maratona); si usa il verbo essere negli altri casi (è andato, è volato via, era corso alla riunione). La pioggia: è piovuto (ieri è caduta la pioggia e ha rinfrescato); ha piovuto (la pioggia ha continuato a cadere per tutto il giorno). E' potuto venire (perché si dice è venuto); Ha potuto leggere (perché si dice ha letto). b) Sono brutte certe forme passive abbastanza usate: la riunione venne interrotta (meglio dire che la riunione fu interrotta). Il verbo venire esprime un moto a luogo, perciò si può dire p.es. che venni alla riunione, non che vi venni invitato. c) Il verbo iniziare è solo transitivo: il relatore inizia la riunione alle nove (non si può dire che la riunione inizia alle nove; è corretto dire che incomincia o si inizia o, meglio, ha inizio). d) Eccessi con i verbi in -izzare. Liberalizzare, socializzare, caratterizzare, fertilizzare, idealizzare, ecc. sono tutte forme lecite ma troppo sfruttate per pura pigrizia. Elogio del verbo fare: è semplice, scorre bene, è più espressivo di certe mummie di parole; fare un'ipotesi secondo noi è meglio di affacciare o avanzare un'ipotesi. Infine: non esiste il verbo suicidarsi.

12) Avverbio. Essendo una parte essenziale per la perfetta comprensione del discorso, prende un po' la mano a quasi tutti e non sempre viene usato a proposito. Come, non, mai, poi, fuori, dentro, assai, ecc. richiedono una disseminazione discreta nelle frasi. Attentamente, lentamente, certamente, ecc. richiedono un autocontrollo ancor più rigoroso da parte del redattore, fino alla quasi-eliminazione (eccessivamente = troppo; temporaneamente = per un po' di tempo; casualmente = per caso ecc.). Tentoni, carponi, ruzzoloni, ciondoloni ecc. non vogliono la preposizione "a". Ovunque e dovunque non sono sinonimi di dappertutto ma servono da congiunzione (non si dice: di pseudocomunisti se ne trovano dovunque, si dice dappertutto; altra forma corretta: si vedono pseudocomunisti dovunque uno vada). Avverbio + verbo = raddoppio della prima consonante del verbo (sopra + venire = sopravvenire). Regola: sopra, sovra e contra vogliono il raddoppio; contro, sotto, ante, intra, intro non lo vogliono (soprattutto, contraddire, controbattere, sottomettere, anteporre, intravedere, introdurre). L'avverbio gratis va senza preposizione "a". Gli avverbi mica, punto e affatto vogliono il "non" (non sto mica-punto male, il vino non è affatto buono). Dire che il vino è affatto buono significa del tutto buono, cioè il contrario. Solo, soltanto e solamente hanno usi leggermente diversi (facciamo riunione solo per i militanti; alla riunione c'erano soltanto sei persone; solamente il partito può dirigere la rivoluzione). Attenzione, la parola comunque, qualche volta sfruttata malamente anche da noi, è una congiunzione (comunque vadano le cose, pubblicheremo la rivista) e non un avverbio (non ci sono molti redattori, comunque faremo la rivista). Usare al suo posto tuttavia, ad ogni modo, però.

13) Preposizione. Tra Milano e Torino; fra gli alberi; tra frutti; fra Trana e Giaveno (nei primi due casi abbiamo l'uso corretto antico, nei due successivi evitiamo la cacofonia, ovvero non c'è regola ma è meglio attenersi a questo esempio). Non scriviamo "ne I promessi sposi" ma "nei Promessi sposi".

14) Congiunzione. Delle congiunzioni (e, o, ma, che, tuttavia, però, nondimeno ecc.) c'è poco da dire. Dopo la e si mette la virgola solo se la frase che segue è un inciso; prima della o in un caso del genere: dammi il libro di Marx, o quello di Engels (se ci fossero indifferenti diremmo: dammi il libro di Marx o quello di Engels). Il che (congiunzione o pronome che sia) va sparso con moderazione. Il ma ha due utilizzi e spesso si può sostituire con altre parole: oggi non è venerdì ma sabato (avversativo oppositivo, bensì, invece); oggi fa freddo ma è una bellissima giornata (avversativo limitativo, tuttavia, d'altra parte). Succede di vedere il ma usato come congiunzione e basta ed è ovviamente sbagliato.

15) Interiezione. Sbobinando il linguaggio parlato delle relazioni se ne trovano parecchie; in genere le sfoltiamo lasciando solo quelle che non disturbano nella trascrizione. Comunque le scriviamo sempre con la "h": beh, toh, ah!, ahimé!, ohibò, ahi!, mah. Altre interiezioni, come perbacco, càspita, accidenti, ecc. le togliamo del tutto.

16) Tautologia. Non si scrive "Panorama generale dell'economia" perché il panorama è già una visione generale. Altri esempi (in grassetto la tautologia): "dove vi siano condizioni di concorrenza, il Capitale accorre velocemente sul posto"; "ingiusta sperequazione"; "progetti per il futuro"; "ricordi del passato"; "un breve accenno"; "una piccola oligarchia"; "collaborazione reciproca"; "il metro di misura (questa è nostra); "subire passivamente"; "requisiti richiesti".

17) Sintassi da evitare. Una frase come questa: "Non ha senso chiederci se è possibile un bilancio dell'éclatement se nello stesso tempo non ci chiediamo se abbiamo capito bene ciò che era veramente in discussione", può felicemente diventare come quest'altra: "Un bilancio dell'éclatement avrà senso solo quando avremo capito ciò che era veramente in discussione". Una pletora di gerundi come questa: "Non essendo numerosi né potendo diventarlo per nostra volontà, continuiamo lavorando come quando eravamo nel partito", può diventare: "Non siamo numerosi né possiamo diventarlo per nostra volontà, perciò lavoriamo ecc." Spesso si abusa della costruzione passiva: "La Sinistra comunista è stata accusata di frazionismo dall'IC"; ma quasi sempre si può benissimo scrivere: "L'IC ha accusato la Sinistra comunista di frazionismo". Questa forma è assorbita attraverso il giornalismo che la usa quasi sempre; non è sbagliata, ma per noi non è l'ideale: "Il regista Mikhalkov è stato aggredito da due militanti neobolscevichi armati di pistola. Mentre Mikhalkov stava tenendo una conferenza, i due giovani hanno lanciato uova e pomodori. Poi sono stati prontamente immobilizzati e disarmati da alcuni spettatori. I due sono stati condotti al commissariato più vicino e sono stati arrestati per atti di holiganismo (da La Repubblica del 10 marzo 1999). Altro esempio frequente: "La possibilità di vittoria del proletaiato della regione di Pietroburgo" e simili.

18) Paroloni. Leggiamo a volte che le persone presenti per esempio a una riunione pubblica sarebbero vitali ricettori del messaggio comunista. Che una proposta richiederebbe di passare all'immediato piano operativo. Che il capitalismo opererebbe una discriminazione alienante a danno dei proletari. Che questi ultimi sono sottoposti ad attività usuranti. Che la tattica porrebbe scelte prioritarie nella misura in cui si precisa l'indirizzo politico. Che la situazione occupazionale è stazionaria. Leggiamo in un comunicato sindacale rivolto ai dipendenti pubblici: "occorre impedire che il problema della dirigenza abbia una soluzione dissociata dal contesto più generale e condizionante del riordinamento dei ministeri". E da un volantino milanese del PCInt. del 1980 riportiamo una delle classiche frasi da "stimolo delle masse": "All'attacco sulla scala mobile bisogna reagire. Costruiamo, nelle fabbriche e fuori, punti di riferimento classisti, nuclei di base, capaci di contrastare la presa paralizzante del collaborazionismo. Costruiamo almeno l'embrione di quella organizzazione indipendente di classe, il Partito Comunista, che riprenderà domani la guida della riscossa operaia!" (bisogna dire che, per inerzia o pigrizia, qualche punto esclamativo l'abbiamo scritto pure noi nei primi anni post-éclatement).

19) Linguaggio involuto. Da un volantino di Programma, gennaio 1998: "Noi prevedemmo che, in mancanza di una solida base programmatica marxista, il movimento del subcomandante Marcos si sarebbe esaurito in una sterile schermaglia con la controparte, redigendo o accettando di discutere progetti di carta costituzionale, di volta in volta formulati e calpestati, e in logorante attesa di nuove elezioni presidenziali e dell'auspicato trionfo in esse del partito di sedicente sinistra democratica." Da una articolo dello stesso gruppo, maggio '98: "Se dunque il Primo Maggio ha qualcosa di imperioso e attuale da dirci, è che, contro ogni apparenza e illusione, la facciata dell'opulenza e del progresso di cui si vanta il modo di produzione attuale nasconde necessariamente la controfacciata di quell'impasto di lavoro improprio, nero, selvaggio, da cui qui da noi l'orgogliosa Padania non potrà mai vantarsi, neppur essa, di andare esente, perché è il marchio di fabbrica del capitalismo, sotto qualunque meridiano o parallelo, nella sua fase di massimo splendore e, insieme, di massima senescenza. Il Primo Maggio è qui per ricordarci la semplice, ma così difficile da sviluppare in tutte le sue implicazioni teoriche, e soprattutto pratiche, verità, che neppure dalla più fortunata delle ascese economiche capitalistiche i proletari possono e devono aspettarsi nulla più che insicurezza, instabilità, assenza di prospettive sicure […] E' solo e unicamente sotto la pressione unitaria della classe operaia, organizzata o meno in sindacati oggi fin troppo inclini a cedere alle lusinghe del nemico, è solo e unicamente sul terreno di scontro della lotta di classe, di difesa oggi, di attacco domani, che si gioca il destino prossimo e futuro di noi e dei nostri figli." Sembrano due passi quasi normali perché ormai sembra che nessuno sia più esente da questo linguaggio pieno di vocaboli inutili, e c'è assuefazione. La nostra redazione, però, dovrebbe sforzarsi di parlare in modo meno involuto. In una celebre grammatica l'autore (Gabrielli) riporta questo passo: "Pur indicando che il problema non è quello di considerare quell'accordo come un modello valido anche per noi, su quella intesa veniva richiamata l'attenzione dei compagni e della sinistra cattolica per indicare come esso sia stato possibile tra forze che pur sono e si considerano diverse sul piano dei princìpi, e come, di conseguenza, appaia sempre meno convincente opporre la necessità della costruzione di una alternativa democratica, alternativa che non può prescindere certo dai comunisti, presupposti ideologici veri o presunti che essi siano". Lo stesso autore, di fronte a casi simili, propone un esperimento: trascrivere in ambiente amichevole ciò che si è scritto in modo ufficiale. Concediamoci uno scherzo del genere: "Ciao, Renato, hai effettuato gli ulteriori acquisti su cui abbiamo deliberato nell'ultima riunione? Debbo procedere senza indugio alla spedizione dei colli." "No, Elena, ho eseguito un controllo dei movimenti e sono venuto a conoscenza del fatto che abbiamo una carenza finanziaria. Debbo avanzare una richiesta ai compagni affinché versino le quote pregresse". "Ma essi per ora non sono in grado di recepire il messaggio. Potranno espletare anche un finanziamento supplementare in futuro, ma transitoriamente risentono dell'ultimo versamento. Sarai di certo al corrente che entro e non oltre la fine del mese, nella misura in cui il loro datore di lavoro provvederà ad erogare la dovuta remunerazione, essi avranno a disposizione una certa liquidità". "Reputi che potremo realizzare effettivamente una raccolta sufficiente allo scopo?" "La questione è alquanto problematica, bisognerà discuterne con gli altri membri del gruppo quando procederemo alla convocazione della prossima riunione organizzativa."

20) Confusione sul soggetto. Il soggetto deve essere la dinamica storica in generale e capitalistica in particolare ("Il comunismo è il movimento reale ecc."). Niente è più lontano dal marxismo della critica alle vicende capitalistiche, condotta per mezzo dell'attribuzione ai capitalisti di una particolare volontà di "attaccare i proletari". Amadeo scrive un "Filo del tempo" per far smettere i compagni (Offensive padronali e postilla di precisazione). Sul Comunista del dicembre 1998 leggiamo che lo spettacolo montato dalla borghesia sul trapianto di una mano è inno alla scienza borghese, "una montatura, un perfetto esempio di come i successi della medicina e della scienza in generale vengano spettacolarizzati e usati dalla propaganda borghese a fini di conservazione sociale e quindi controrivoluzionari." Fin qui può andare, è un argomento che abbiamo già discusso a proposito della questione spaziale. Ma vediamo che in seguito la questione è resa in modo talmente soggettivo e antimaterialistico (come se i borghesi programmassero tali spettacoli apposta contro i proletari e non a causa della natura del capitalismo) che ne risulta banalizzata e anche un po' cretina. Fa venire anche in mente che, mentre l'andare sulla Luna può apparire inutile anche al proletario, non così il trapianto di una mano o di un rene, sia pure fossero persi a causa del capitalismo: "L'intervento ha potuto essere realizzato solo grazie al finanziamento di vari sponsor. In sostanza non potrebbe essere ripetuto migliaia di volte a vantaggio di semplici lavoratori non sponsorizzati da nessuno! Ma è proprio questo che l'ideologia borghese vuol far credere ai proletari. Le prodezze mediche di questo tipo hanno una funzione direttamente controrivoluzionaria. Episodi come questo vengono utilizzati per distogliere il proletariato dalla sola soluzione non illusoria: la distruzione rivoluzionaria dell'attuale organizzazione sociale che è la causa di questi mali. La causa generale di ogni malattia contratta in questa società, di ogni infortunio e di morte va individuata nella spasmodica ricerca del maggior profitto possibile. L'orientamento marxista corretto non sarà mai la rivendicazione illusoria che ogni ferito a causa di un incidente sul lavoro o di una guerra abbia il 'diritto' al suo trapianto, bensì la lotta per l'eliminazione degli infortuni e delle guerre. La società comunista eliminerà drasticamente la maggior parte delle calamità e della malattie che si abbattono oggi sul genere umano. Ciò non significa che le rivendicazioni sul terreno immediato relative alla difesa della salute dei proletari non abbiano importanza, tutt'altro. Ma solo a condizione di essere sostenute con la lotta." Sullo stesso numero del giornale c'è un articolo intitolato: "Guai in vista se le borghesie più potenti della Terra si pentono delle proprie malefatte!", dove il soggetto borghese è ancora più dotato di volontà antiproletaria: "Quando le borghesie dominanti parlano di pacificazione, di distensione, e giungono fino a battersi il petto per le atrocità commesse negli anni precedenti, promettendo di voler superare e cancellare quelle 'orribili decisioni', vuol dire che hanno bisogno di ricreare un clima di credibilità da utilizzare in futuro." Persino sommovimenti di grande portata sovrannazionale come l'ultima crisi orientale vengono utilizzati per dire che "la borghesia riesce a scaricarne il costo maggiore sul proletariato, soprattutto asiatico, attraverso le ristrutturazioni aziendali, il contenimento salariale, un maggior grado di libertà nell'utilizzo della forza-Lavoro e nei licenziamenti. I proletari dei paesi asiatici pagheranno un pesante tributo sociale ecc." (Programma del febbraio 1998). Non è ovviamente un problema di costo maggiore o minore da scaricare come in una contabilità: siccome dal proletariato proviene tutto il valore prodotto, su di esso grava semplicemente tutto, e il verbo pagare non c'entra. Neppure il borghese eventualmente rovinato paga, egli perde ciò che ha preso in precedenza, e in ogni caso proletari e borghesi sono sottoposti alle determinazioni del capitalismo senza che ciò comporti un giudizio morale (il marxismo è a-morale).

21) La rivoluzione. In senso lato è "rivoluzione" l'intero percorso della specie umana "dal regno della necessità a quello della libertà", quindi dall'australopiteco all'uomo comunista. In senso stretto è rivoluzione il più o meno lungo passaggio da un modo di produzione all'altro: "la Rivoluzione Francese" va dalla pubblicazione dell'Enciclopedia alla convocazione degli Stati Generali al Termidoro, la Rivoluzione Russa dalla liberazione dei servi all'Ottobre. Ma, per esempio, il movimento dei Ciompi è una rivolta, la presa della Bastiglia è un'insurrezione, l'assalto al Palazzo d'Inverno un episodio militare della doppia rivoluzione russa. Perciò specificheremo nei vari casi, definendo il momento di biforcazione, di catastrofe, con espressioni del tipo: "momento decisivo" (con riferimento militare, usato per la decisione in battaglia) oppure "rottura rivoluzionaria".

Fonte: www.quinterna.org

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Linguaggi
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Aggiornamento: 27/08/2015