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LE LINGUE BIOREGIONALIdi Gianfranco Zavalloni
"Apprendere un'altra lingua LA VERGOGNA DI PARLARE "DIALETTO" Siamo in un epoca di passaggio, una fase storica in cui si rischia di perdere completamente le tradizioni linguistiche delle comunità locali. E' quel retroterra che oggi scientificamente possiamo definire patrimonio etno-linguistico. Andare verso una società multietnica e multiculturale senza radici profonde nel proprio contesto è estremamente pericoloso. La lingua parlata da una comunità è sicuramente uno degli strumenti primari per porre in profondità queste radici. E' chiaro che con questo non intendo dare valore unicamente alla madre-lingua. Ma è bene chiarire che cosa intendo quando uso termini come lingua, dialetto, comunità linguistica. La lingua nazionale (per noi l'italiano) è la lingua con cui siamo abituati normalmente a comunicare e che fin da piccoli assorbiamo in maniera spontanea dal contesto socio-culturale e dai mass media. C'è poi la lingua locale. E' in genere quella che chiamiamo dialetto, e per molti parlanti è la madre-lingua. Il dialetto è una lingua e ciò significa che dal punto di vista linguistico non è il "sottoprodotto" della lingua nazionale o di altre parlate. E' un sistema di comunicazione autonomo e compiuto, anche se conta un numero limitato, o anche limitatissimo, di parlanti. La lingua nazionale è un dialetto. Prendiamo come esempio il francese attuale: esso non è altro che il dialetto di Parigi il quale, in virtù della forza centrifuga dispiegata dalla capitale, è andato gradatamente estendendosi su tutta la Francia. In che cosa consiste dunque la diversità fra dialetto e lingua? Nel fatto che il dialetto conosce un uso limitato nello spazio e costituisce la voce di un mondo, di una cultura circoscritti: alla famiglia, al paese, alla provincia. (Cfr G. Freddi Progetto ITALS - Italiano come lingua straniera, Brescia CLADIL, 1974) Nelle nostre realtà la lingua-madre dialetto è parlata in famiglia soprattutto dai nonni e in buona parte dai genitori. In genere è una lingua parlata dagli adulti dai 30-35 anni in su, capíta da chi ha meno di 30 anni ma non parlata, generalmente, da quest'ultimi. Un individuo, che nel proprio repertorio linguistico conti solo sulla lingua locale, ha un'autonomia comunicativa assai limitata. Il suo raggio di socializzazione o acculturazione difficilmente supererà i confini della provincia. Se noi riconosciamo gli aspetti positivi dell'insegnamento dell'italiano nei quasi 150 anni dello Stato unitario italiano non possiamo però dimenticare che milioni di ragazzi sono stati educati nell'ignoranza di loro stessi e delle loro origini. Si è creato un clima culturale e sociale in cui ci si vergognava di parlare il “dialetto” dei loro genitori e si arrossiva delle proprie origini popolari, contadine, montanare. Ci si sentiva stranieri nella propria terra. Un siffatto imbarazzo psicologico ha intralciato il progresso intellettuale e ritardato la promozione sociale così. REINTRODURRE LE LINGUE BIOREGIONALI A SCUOLA Tavo Burat, esponente storico dei movimenti di difesa delle minoranze etno-linguistiche sostiene giustamente che "con una doverosa introduzione nella scuola della cultura e della parlata regionale, si porrebbe termine ad un'alienazione ingiusta e crudele. Si restituirebbero ai giovani la fiducia nella propria comunità e la fierezza delle proprie origini sociali. Attraverso la conoscenza della letteratura regionale (anche di quella di tradizione orale: canti, leggende, ecc.) gli allievi scoprirebbero le pagine e le espressioni più preziose di coloro che scrivono nel linguaggio familiare, quello di tutti i giorni: della casa, dall'amicizia e del lavoro. Vedrebbero che l'accademismo non è necessariamente il criterio di una cultura superiore. I figli degli immigrati, lungi dal sentirsi imbarazzati dall'incontro scolastico con la cultura locale, avranno un valido strumento per meglio inserirsi nella comunità che li ospita. Insegnare la lingua locale a scuola, è come offrire, sulla mano aperta, la chiave di casa. E' quindi un atto di apertura, e non di “chiusura”, come invece alcuni “glottofagi” vanno cianciando. Del resto è frequente il caso, specie in provincia, di ragazzi figli di immigrati i quali parlano la lingua locale con più slancio e sicurezza di quelli del posto (tipico è l'esempio, dei patoisants calabresi in valle d'Aosta!). Se la lingua locale entra nella scuola, si introduce la preparazione costante con l'italiano, la ginnastica intellettuale del passaggio da un codice linguistico all'altro. Si invoca l'insegnamento del latino per dare all'allievo l'esperienza di una struttura grammaticale differente dalla nostra: la stessa funzione è esercitata, su una base molto più larga non (ancora!) a livello meramente archeologico, dal “dialetto”. Si farà nascere così nell'allievo un vero “fiuto” linguistico, una più precisa percezione dei fatti grammaticali. Ammorbidiremo il suo spirito, strappandolo al monolitismo di una sola grammatica e di una norma dogmatica." (manoscritto inedito di Tavo Burat) Non v'è affatto incompatibilità di principio tra lo studio delle nostre parlate bioregionali, veicolo di una civiltà ad un tempo intima ed umanista, e quello delle lingue delle relazioni internazionali. E siamo così alla terza componente linguistica: la lingua straniera. Conoscere un lingua straniera è, in questo senso, una modalità per superare il nostro etnocentrismo. Avere la possibilità di comunicare con lo straniero nella sua lingua o in una lingua che entrambi conosciamo permette il superamento di un potenziale condizionamento al colonialismo culturale. L'esperienza di una lingua artificiale come l'esperanto, che pure poteva assolvere a questo compito di evitare la colonizzazione di una lingua sulle altre, ha dimostrato che una lingua è tale se riesce a trasmettere i sentimenti e tutti quei particolari "stili di vita" di un popolo. Cresciuti con la conoscenza del proprio ambiente umano, come già del resto prevedono i programmi scolastici, gli scolari apriranno il loro cuore alla visione del mondo a partire dal proprio paese. Ne trarrà vantaggio l'universalità della cultura, poiché questo allievo, a proprio agio nelle tradizioni locali, naturalmente rinnovate e modernizzate, affronterà senza squilibri psichici le grandi trasformazioni sociali del nostro tempo: buona parte dello smarrimento che minaccia la gioventù moderna troverebbe un valido rimedio in questo umanesimo nostrano, di cui auspichiamo l'ingresso nella scuola. (manoscritto inedito di Tavo Burat) PER UN LINGUISMO BIOREGIONALE Noi vogliamo:
Di conseguenza, noi domandiamo:
Per contatti e informazioni rivolgersi a: Ufficio Europeo per le
Lingue Meno diffuse Ar emni (associazione
culturale) La Ludla bollettino
della Associazione "Istituto "Friedrich Schurr" Associazione Culturale
IL CASTELLO Associazione
Internazionale per la Difesa delle Lingue e delle Culture Minacciate Rete Bioregionale
Italiana Gaia Newslettervia
Piedimonte,s.n.c. GRTA-CIN Alessandro Michelucci LEGGE REGIONALE N. 45 DEL 7.11.1994 - EMILIA-ROMAGNA Il Consiglio regionale ha
approvato |
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Le immagini sono state prese dal sito Foto Mulazzani