Risponde Federico Unnia esperto di giurisprudenza pubblicitaria
Scherza coi fanti. E non lasciar stare i santi
Le tre campagne segnalate (ma in particolare quella delle caramelle Monk's e delle caldaie Ariston) hanno in comune un punto...dolente: quanto, e in che limiti, è lecito richiamarsi in pubblicità alla figura religiosa (sia essa frate, suora o ambiente sacro) senza che questo fatto sconfini nell'offesa del senso religioso altrui?
Il tema è sempre attuale, ma con il tempo potrebbe gradualmente sfumare. Si assiste infatti con una certa regolare frequenza a messaggi che si richiamano alla figura del religioso, soprattutto nell'atto di sorprendersi e reagire a situazioni esterne.
Questo utilizzo, se fatto con correttezza e senza eccedere nella caricatura, non si pone certamente in contrasto con l'Articolo 10 del Codice di autodisciplina pubblicitaria (norma che vieta di offendere le convinzioni religiose del consumatore, quali esse siano, ma in particolare quelle cattoliche).
E' nella nostra cultura popolare sorridere della vita che i praticanti del culto (specie se preti e suore) conducono, ancor di più pensando a ciò che significa per noi - e per loro di contro - privazione e piacere.
La stessa norma, inoltre, vieta l'utilizzo a fini commerciali e pubblicitari di simbologie ed oggetti che identificano in modo diretto la religione e lo spirito di religiosità cristiana (basti ricordare il caso delle condanne inflitte in passato all'annuncio pre-emption "Non avrai altro Bio all'infuori di me", al jeans storico Jesus "chi mi ama mi segua" e, più recentemente, ai gioielli Damiani).
Detto questo, è accettabile del sano umorismo, che tocchi da vicino anche il mondo e la figura del praticante, sempre che ciò non si estrinsechi in un inutile e gratuito dileggio delle convinzioni altrui. Richiamarsi in pubblicità a tutto ciò che è sacro può essere fatto, purchè ciò avvenga con un forte senso della misura e, soprattutto, di rispetto per quanto gli altri pensano e credono.