Gandhi e la sua eredità oggi

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Gandhi e la sua eredità oggi

Fantin Paola

Quando sulla scena politica e civile dell'India apparve quel piccolo uomo vestito di semplici panni, con uno sguardo mite ma deciso, il grande impero britannico sorrise con compatimento. Cosa avrebbe mai potuto fare un singolo individuo contro quello che fino ad allora era stato il più vasto dominio coloniale della Terra? Eppure fu proprio quel piccolo uomo chiamato Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948) a strappare ai colonialisti inglesi la sua terra. E senza l'uso di alcuna arma micidiale ma solo con la non violenza, il boicottaggio pacifico, la resistenza passiva.

Il Mahatma o "Grande anima" infatti voleva ottenere per l'India l'autogoverno (Swaraj), basandosi sulla verità ideale (Satya), la non violenza (Ahimsa) e la purificazione attraverso l'amore del prossimo (Brahmacharya) della tradizione indiana. Egli infatti soleva dire che se la resistenza è violenta, l'altro continuerà a usare violenza. Ma se non si cade nella trappola e non si ricambia violenza con violenza, l'altro finirà collo scoraggiarsi e stancarsi. "Morirò comunque prima o poi. Questo è il destino di ogni uomo. Dunque sono pronto spiritualmente. Se vogliono usare violenza contro di me - affermava Gandhi parlando degli avversari - è un problema loro, non mio. La non violenza è fatta di materia solida, è l'arma dei cuori più forti. E' la Satyagraha".

Un atteggiamento divenuto più che mai attuale in un'epoca come la nostra dove la corsa agli armamenti si porta via la fetta più grande dei bilanci degli Stati, Terzo Mondo in testa. Alla violenza si risponde con la violenza e intanto pochi si ingrassano e si lordano le mani col sangue di tanti innocenti. Eppure se tutti quei milioni di esseri umani mandati al macello fossero davvero consapevoli di quanto la guerra sia tutto uno sbaglio e si rivoltassero contro quei pochi capi che si nascondono dietro i loro cadaveri e ballano sulle loro morti per fame di potere, guerra non ci sarebbe.

I pochi che governano sanno che se le popolazioni di tutto il mondo si unissero per pretendere la pace rifiutando la guerra, sarebbe la fine del loro sciacallaggio. Un rischio da non correre, evidentemente. E questo spiega il perché negli ultimi 50 anni l'informazione di massa abbia preso il sopravvento, divenendo strumento del potere per 'addormentare' le persone. Gandhi lo aveva capito e sapeva che solo con la non violenza, o resistenza passiva, l'avversario che basava il potere sulle armi sarebbe crollato sui suoi ruderi sconfitto da un popolo unito e consapevole. Come rendere allora oggi attuale Gandhi? Come raccogliere la sua eredità e portare la pace sulla Terra? 

Se n'è parlato a un recente incontro organizzato a Treviso da Associazione filosofica trevigiana, Cooperativa pace e sviluppo, Gildaform, Arci Yoga e Provincia di Treviso insieme a Mark Lindley, uno dei principali studiosi internazionali del pensiero e dell'opera di Gandhi, docente in molte università americane, indiane ed europee e autore di varie opere in molte lingue. "Come far capire Gandhi ai giovani, voi mi chiedete? Se alla televisione - ha risposto Lindley - vedremo più notizie sul Terzo Mondo, se capiremo finalmente che il terrorismo islamico è dovuto all'esportazione del petrolio e se ci rifiuteremo di assistere a tutta quella commercializzazione inutile, allora qualcosa cambierà. Guardateli i vostri giovani: vedono tanti modelli di camicia, si ritengono più interessanti se indosseranno l'ultimo, cercano di averlo a tutti i costi. Com'è possibile che con una televisione così poco seria essi si interessino ai problemi del mondo? Alla pace? Alla fame di quattro quinti di popolazione del Pianeta?"

E smettiamola di parlare di perdita di valori, precisa lo studioso: "I valori sono sempre lì, basta solo avere determinazione per riscoprirli. Ma per noi oggi è difficile avere fiducia in qualche idea. Gandhi non era un dio. I suoi metodi devono essere studiati, adattati, capiti davvero. Ma una cosa vi posso dire: bisogna che ci cambiamo dentro, che limitiamo volontariamente i nostri desideri. E per far questo è necessario che ognuno di noi si conosca bene. Non bisogna mai fare più di quanto siamo in realtà capaci di fare".

Tutto secondo le proprie possibilità e al momento giusto, dunque: "Supponiamo che finalmente venga prodotta su larga scala un'automobile ecologica e io decida di comprarla. Supponiamo anche che io la compri perché meno costosa, perché più conveniente, non perché consapevole del fatto che sarà un beneficio per l'ambiente e per le persone. Ecco: la mia decisione in realtà servirà ben poco. Ma se invece la compro sapendo che quest'auto è necessaria per diminuire l'inquinamento io faccio un piccolo passo nella direzione giusta, cioè del 'pensare' davvero a quel che faccio, secondo le mie capacità. Così sarò presto pronto a fare il prossimo passo quando verrà il momento. Piccoli passi che porteranno al traguardo. Non pensiamo infatti di cambiare tutto e subito. Gandhi diceva: 'Voglio il cambiamento sociale come le nuvole nel cielo', cioè in modo naturale, spontaneo, non forzato". 

Gandhi in tal senso fu un guerriero e un vero politico. Aveva ben presenti gli obiettivi finali e i mezzi per raggiungerli. Lui cercava vantaggi che andassero oltre i momenti della lotta, come un politico pensava al 'dopo', al nuovo governo che l'India si sarebbe data. "Se chiediamo dieci e ci offrono cinque e poi prendiamo solo tre - affermava il Mahatma - va bene così. Poi ci daranno anche gli altri sette".

Gandhi si prendeva le responsabilità di tutte le sue azioni, ma soprattutto puntava alla consapevolezza del singolo individuo, troppo spesso diviso dagli altri fratelli da pregiudizi, ignoranza, bugie. Quando l'India boicottò l'industria tessile britannica, ricorrendo ala produzione interna, le fabbriche in Inghilterra andarono in crisi, ci furono scioperi, licenziamenti, rivolte. Gandhi allora partì dall'India e raggiunse lo Stato britannico. "Andrò lì a spiegare cosa sta succedendo in India. Anche se mi linciano".

E queste furono le parole che rivolse a una folla di operai in rivolta: "Non pensate di prosperare sulle tombe dei poveri milioni di indiani. Non voglio dipendere da alcun Paese per il mio cibo e il mio vestiario". Due lavoratrici lo presero per le braccia e gridarono: "Tre urrà per Mr. Gandhi!!!".

"Questa fu la differenza tra Gandhi, Fidel Castro e Stalin per esempio. Essi furono maestri nel vincere il potere con mezzi distruttivi - ha aggiunto Lindley - Poi però dovettero ricominciare con una società distrutta. Gandhi non volle mai questo". Gandhi fin da allora aveva capito gli effetti devastanti di un potere mondiale soggiogato al denaro, oggi chiamato globalizzazione o mondializzazione: "Voleva sviluppare la capacità di ogni villaggio indiano a essere indipendente. Per addolcire gli effetti malvagi della globalizzazione, diceva. Perché il Paese non fosse rovinato, al massimo diventasse un po' meno ricco. Soleva anche dire che la salvezza dell'India consisteva nel dimenticare quanto imparato negli ultimi 50 anni: treni, telegrafi, ospedali. Per Gandhi il capitalismo fu tutto uno sbaglio. Ci voleva invece autodisciplina come ci vuole anche oggi: quando infatti saremo pronti a semplificare la nostra vita per evitare che milioni di uomini muoiano di fame?" 

La Bibbia dice: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la Terra, soggiogatela e abbiate dominio su ogni essere vivente". Il testo sacro indiano, l'Upanishad, invece afferma: "Tutto ciò che si muove nell'Universo è intriso dello Spirito. Perciò godi con moderazione: non bramare ciò che non è tuo". Due civiltà, quella europea e quella indiana, dunque totalmente differenti anche nel pensiero religioso che è divenuto base del pensiero civile. 

Della civiltà europea Gandhi un giorno disse che essa "era un incantesimo di 9 giorni. Queste civiltà vanno e vengono e poi non lasciano più traccia". Nove giorni o 300 anni, che differenza fa? "Stiamo sfruttando il pianeta da tre secoli almeno, arroganti e sicuri di noi stessi - conclude Lindley - Ma quando finiranno petrolio, carbone cosa faremo? La nostra civiltà si basa su tutto questo, è fragile, effimera e sta facendo terra bruciata intorno a sé. Cosa ci resterà allora se avremo perduto lo Spirito e l'unità con l'Universo? Solo cenere e morti" .

La forza del singolo uomo, come ha dimostrato Gandhi, è dunque la forza di un popolo intero. Non scoraggiamoci allora quando talvolta ci sembra che poteri superiori, quasi invincibili, vogliano decidere per noi e armarci la mano. Nessuno può decidere per nessuno se egli non lo vorrà. Ma per far questo bisogna uscire dall'incantesimo nel quale pochi bramosi di potere hanno gettato l'intera umanità. Togliere i veli dagli occhi si può: non date niente per scontato, dubitate di tutto quello che vogliono farvi credere. Cercatevi da soli la verità e non smettete mai di cercare. Chi cerca trova sempre, prima o poi.

Fonte: www.tg0.it


Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018