Il caso di Emanuela Orlandi

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Caso Emanuela Orlandi
Come evitare a tutti i costi di far sapere la verità sulla sua fine

di Pino Nicotri de L'Espresso

Quando in Turchia è stato scarcerato Alì Agca, il terrorista islamico che nel 1981 attentò alla vita di papa Wojtyla, puntuale come un orologio svizzero s”è levato il coro di chi insiste a dire che la cittadina vaticana Emanuela Orlandi, bella ragazza di poco meno di 16 anni scomparsa a Roma il 22 giugno 1983, è stata rapita da sostenitori di Agca per essere liberata in cambio della scarcerazione del terrorista. Ecco che dal cardinale ospite di Bruno Vespa a Porta a Porta fino all”ultimo gazzettiere, dai parenti di Emanuela fino all”ex magistrato Ferdinando Imposimato, oggi avvocato e legale rappresentante della madre di Emanuela nell'inchiesta per la scomparsa, tutti si sono rimessi a battere un tasto che è ormai assodato essere fasullo.

E’ stata infatti la stessa magistratura italiana, con la sentenza istruttoria firmata il 19 dicembre 1997 dall’allora giudice istruttore Adele Rando, a scrivere che il movente politico-terroristico fu “un’abile operazione di dissimulazione dell’effettivo movente del rapimento di Emanuela Orlandi”. Lo stesso giudice istruttore indiziò inoltre del grave reato di concorso nella sparizione della Orlandi non già un terrorista turco né un agente del Kgb sovietico o della Cia americana, bensì il vice capo della sicurezza vaticana, ingegner Raul Bonarelli. Ripeto, per chi credesse di avere capito male: la magistratura italiana ha messo per iscritto che se c’era qualcuno da accusare per la scomparsa di Emanuela questo qualcuno andava cercato dentro le mura della città del Vaticano. E a partire da chi si occupa della sua sicurezza interna…

Ma lo sconcerto non finisce qui. L’ufficio di Bonarelli è infatti a meno di 30 metri dalla palazzina di piazzetta S. Egidio dove abitavano e abitano gli Orlandi: è ancor più straordinario quindi che i familiari della ragazza - il padre Ercole, la madre Maria, il fratello Pietro e le tre sorelle Natalina, Federica e Maria Cristina - non abbiano neppure mai fiatato sulla pesante e ben precisa accusa del giudice istruttore Rando contro il loro vicino di casa, che è legittimo pensare capitasse loro di incontrare non di rado in piazzetta o nelle stradine limitrofe. Qualunque altro genitore avrebbe ovviamente, se non scatenato l”inferno, almeno gridato ad alta voce di volerne sapere di più. Invece in questo caso sono stati zitti perfino gli avvocati, compreso l”ineffabile Imposimato, tanto ciarliero quando si tratta di far balenare speranze, se non certezze, di ritorno a casa della ragazza, sparita ormai da quasi un quarto di secolo.

Imposimato in questo affaire è il legale della signora Maria, madre di Emanuela, nonostante sia stato per un breve periodo difensore di Agca, cioè della persona in favore della quale sarebbe stata rapita la figlia della stessa signora Maria di cui oggi è l’avvocato. Strano, nevvero? Imposimato cercò di fare ottenere la semilibertà ad Agca a patto che questi accettasse di essere ospite della comunità gestita da monsignor Giovanni D'Ercole, amico dell'ex magistrato e capuffico della prima sezione della Segreteria di Stato vaticana. Agca non accettò la proposta perché temeva pressioni per essere convertito al cristianesimo.

Come se non bastasse, più di una volta alcuni cardinali, a partire dal potente Giovan Battista Re - sostituto alla Segreteria di Stato, carica che equivale a quella di vice primo ministro del Vaticano, e presidente di quella Prima Sezione che ha come capufficio proprio monsignor D’Ercole - hanno rifiutato la richiesta della magistratura italiana di interrogarli. Segno evidente, tra molti altri, che il Vaticano sulla scomparsa della sua giovane e bella cittadina ha una lunga coda di paglia. Non a caso quindi è proprio un monsignore vaticano, tale Bertani, insignito del titolo di cappellano di Sua Santità, ad avere telefonato a Bonarelli il giorno prima che venisse interrogato da Adele Rando per raccomandargli di tacere: “Non dire che l”Ufficio ha indagato e che la cosa è andata alla Segreteria di Stato…. limitati a dire che è affare della magistratura italiana perché la ragazza è scomparsa su suolo italiano”.

E che in Vaticano si sapesse molto, se non tutto, lo ha testimoniato per iscritto anche monsignor Francesco Salerno, che all’epoca si occupava delle “sante” finanze: “Mi risulta che presso la Segreteria di Stato esiste un dossier con notizie probabilmente risolutive riguardo la scomparsa di Emanuela Orlandi”. Più chiari di così! Anzi, monsignor Salerno ha messo per iscritto un”altra cosa sconvolgente: “Dato che grazie al mio occuparmi delle finanze avevo conoscenze in molti ambienti, pochi giorni dopo la scomparsa della Orlandi offrii a monsignor Re la mia disponibilità a cercare notizie, ma monsignor Re rifiutò. Mi disse che era meglio lasciare le cose come stavano”. Monsignor Salerno mente o esagera o ricorda male? Impossibile. Dopo tale testimonianza è stato infatti promosso a capo della basilica del Laterano e annessi palazzi, vale a dire del più importante centro ecclesiastico romano dopo quello di S. Pietro.

Qui c’è da fare un inciso: il primo a parlare di rapimento, quando ancora non c’era assolutamente nessun elemento per poterne anche solo sospettare, è stato papa Wojtyla domenica 3 luglio, dopo la preghiera dell’Angelus. Chi e perché abbia consigliato e convinto il papa a lanciare il suo appello per Emanuela “a chi avesse responsabilità nel suo mancato ritorno a casa” non è stato mai chiarito. Ma sicuramente Re non poteva esserne all’oscuro data la sua contiguità col papa e la carica di sostituto alla Segreteria di Stato. Non è curioso che mentre da una parte si consiglia il papa a parlare di rapimento dall’altra si rifiuta l”offerta di monsignor Salerno a cercare notizie sui motivi dello stesso rapimento? Sembra quasi che qualcuno sapesse che era inutile cercare notizie perché non di rapimento si trattava…

Scarcerato Agca, la foga nel ricreare la cortina fumogena attorno al caso Orlandi è stata tale da far dimenticare totalmente Mirella Gregori, vale a dire l”altra ragazza che secondo la montatura del “sequestro a scopo politico-terroristico” sarebbe stata anch’essa rapita per essere scambiata con Agca. Non solo: ci si dimentica anche della logica. Imposimato infatti si è precipitato a dichiarare a botta calda che “ora Agca è in pericolo di vita a causa delle cose che sa e che potrebbe rivelare”, quando anche un cretino sa che è più facile essere fatto fuori in un incontrollabile carcere turco anziché in libertà da qualche parte e quindi sotto gli occhi di altra gente.

Ma del resto Imposimato non è nuovo ad affermazioni perentorie, dimostratesi però poi campate per aria, tanto campate per aria da portare di fatto acqua al molino del depistaggio. Per esempio, quando Agca venne estradato dalle carceri italiane a quelle turche Imposimato affermò giulivo a più riprese la quasi certezza che Emanuela Orlandi avrebbe potuto finalmente tornare a casa. Concetto alla prova dei fatti privo di fondamento, ma che Imposimato con sprezzo del ridicolo ha ribadito anche in televisione nella puntata del 4 dicembre 2002 del programma Novecento, condotto da Pippo Baudo, dedicata in parte al mistero Orlandi.

Anzi, vale la pena ricordare che in quella puntata tra gli ospiti, oltre allo stranamente ottimista Imposimato, c’era Orazio Petrosillo, il vaticanista del Messaggero di Roma che dopo la morte di Wojtyla pareva stesse per succedere a Navarro Vals come responsabile della sala stampa vaticana. Petrosillo a Novecento ebbe l'ardire di sostenere che si era letto tutte le carte dell'istruttoria Orlandi e che aveva fatto una scoperta clamorosa, un grande scoop: non solo il Vaticano non aveva nulla da nascondere, ma aveva addirittura “messo a disposizione della polizia italiana il proprio centralino telefonico per tutta la durata delle indagini”. Incuriosito da una tale affermazione, che mi risultava fasulla dato che un paio di anni prima avevo scritto un libro proprio sulla scomparsa della Orlandi basandomi sugli atti giudiziari, ho inviato una e-mail a Petrosillo per chiedergli cortesemente lumi, cioè se poteva darmi qualche ragguaglio sul suo “grande scoop”.

Inviperito, il collega mi ha risposto con una e-mail nella quale, dopo avere detto che avevo scritto il libro “solo per infangare la santa Sede”, mi assicura che “il magistrato Rosario Priore ha potuto conferire con le più alte autorità del Vaticano” senza che sulla scomparsa della Orlandi sia venuto fuori alcunché di losco. Ma proprio questa risposta è la migliore prova che Petrosillo mente: il giudice istruttore Priore NON si è infatti MAI interessato del caso Orlandi! Altro che essersi “letto tutti gli atti giudiziari” ed avere fatto “un grande scoop”, come sostiene il bucolico Orazio…

La cosa grave è che Baudo abbia lasciato parlare a ruota libera Imposimato e Petrosillo, con le relative balle, ben sapendo cosa avessero invece appurato i magistrati italiani. Avevo infatti avvertito Baudo via mail e - su richiesta di una segretaria della sua trasmissione - gli avevo anche spedito due copie del mio libro. E’ noto che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Qui però il problema non è solo la sordità, ma anche la loquacità a raccontare e lasciar raccontare menzogne clamorose. Non manca neppure il mutismo.

Per esempio un paio di anni fa a Raitre Federica Sciarrelli, conduttrice di “Chi l”ha visto”, nel suo programma televisivo ha pestato acqua nel mortaio del caso Orlandi dando spazio alle divagazioni più improbabili, ma si tiene bene alla larga dalle conclusioni dei magistrati italiani. Tant’è vero che ha evitato accuratamente di mandare in onda la lunga intervista fattami fare da un suo giornalista, Fiore Di Rienzo, nella quale spiego appunto le troppe cose strane appurate e messe per iscritto dagli inquirenti. La più importante di queste cose è che gli asseriti “rapitori” di Emanuela non hanno mai prodotto la minima prova che fosse davvero nelle loro mani. Nonostante le tante chiacchiere, l’unica cosa fatta trovare agli inquirenti è stata sempre e solo una fotocopia del pagamento di una rata di iscrizione al conservatorio musicale di piazza S. Apollinare - adiacente a piazza Navona e a palazzo Madama - dove la ragazza studiava flauto. Ma si tratta di una fotocopia che qualcuno può tranquillamente avere fatto usando l’originale conservato in segreteria, tanto più che il conservatorio era ed è proprietà del Vaticano, sottratto quindi alla giurisdizione italiana…

Di cose “strane” il caso Orlandi è letteralmente lastricato, ed è stranissimo che la stampa non se ne sia mai accorta.... I “rapitori” fecero trovare all’Ansa in via della Dataria, su una finestra del muro esterno del Quirinale, un nastro registrato con la asserita voce di Emanuela “torturata”, anzi stuprata e sottoposta al supplizio delle unghie strappate. Su tali violenze la stampa si è scatenata, e anche Imposimato ha fatto la sua parte. Però poi nessuno ha scritto che i magistrati hanno appurato che non della voce di Emanuela si trattava, bensì del riversamento di parte del sonoro di un film porno!

In ogni caso, ascoltando il nastro si capisce subito che non di tortura si tratta, bensì di bidone per gonzi: si sente infatti una voce femminile di donna chiaramente impegnata in un rapporto sessuale, vero o simulato che sia, che a un certo punto prorompe in un grido da orgasmo talmente prolungato che possono crederci solo i militari di leva di decenni or sono. Per giunta, dopo essere stata “stuprata e torturata”, la pretesa Emanuela si rivolge con il tu al suo preteso aguzzino e con un mezzo sbadiglio gli dice “beh, ora lasciami dormire”....

Del resto si è dimostrato un falso anche la lugubre lettera ai genitori firmata Emanuela, nella quale pure si parlava di supplizi vari. Quando ho fatto notare ai genitori di Emanuela che nel diario della figlia, da loro fornito agli inquirenti per la perizia grafica, c’era scritto “sto da nove mesi” con un tizio e che questo contraddiceva quanto da loro sempre dichiarato riguardo l’assoluta mancanza di fidanzati e affini, dopo qualche minuto di imbarazzo mi sono sentito rispondere: “Si vede che abbiamo sbagliato, evidentemente abbiamo consegnato agli inquirenti il diario di una sorella di Emanuela”!!!

Il “portavoce dei rapitori” che telefonava a casa degli Orlandi venne soprannominato “l’Americano” per via dell’accento che scimmiottava quello americano. Una perizia ordinata dal Sisde ha concluso che non di americano si trattava, bensì di un religioso o ex religioso di professione con accento est europeo. La prima volta che il cosiddetto Americano ha telefonato in Vaticano chiedendo di parlare con l’allora segretario di Stato Agostino Casaroli, la suora del centralino si affanna a chiedere alla Segreteria di passare la telefonata a Casaroli: ma il cardinale tarda, e la suora è sempre più agitata e scongiura la Segreteria di fare presto: ma Casaroli se la prende calma. Passano ben 120 secondi, da me cronometrati, prima che si decida a rispondere con un serafico “Pronto?” seguito dal silenzio assoluto. Il Vaticano ha infatti provveduto a smagnetizzare tutti i nastri – pochi – che a un certo punto s’è deciso a consegnare alla magistratura italiana!

Un particolare davvero sconcertante, per non dire di peggio, è il seguente. Nel corso del sequestro a casa Orlandi a rispondere al telefono non erano i genitori di Emanuela, troppo sconvolti, ma lo zio materno Mario Meneguzzi. Lo stesso che una sera apre la porta e fa entrare in casa l’agente del Sisde Giulio Gangi interessato alle indagini. In tutte le interviste, in televisione o ai giornali, Ercole Orlandi ha sempre sostenuto che Gangi era per lui uno sconosciuto e che anzi venne colpito dal fatto che a un certo punto l’agente del Sisde disse che usava trascorrere la vacanze estive a Torano, cioè nello stesso paese laziale nel quale trascorrevano le ferie estive gli Orlandi, compresa Emanuela.

Studiando le carte processuali si scopre però che Gangi era fidanzato con la figlia di Meneguzzi, cioè con una cugina di Emanuela, motivo per cui era impossibile che Meneguzzi, la sera in cui Gangi si è recato per le indagini a casa degli Orlandi, non abbia detto ai padroni di casa chi fosse quel visitatore, anche a voler ipotizzare che gli Orlandi non lo conoscessero già e piuttosto bene. Quando ho fatto notare al papà di Emanuela, a casa sua, la stranezza del suo comportamento nei racconti ai mass media riguardanti Gangi, ho vissuto il forte disagio di chi si trova di fronte a un interlocutore colto in castagna, e pertanto incapace di uscire dall’impaccio dando risposte convincenti. L’unica cosa che ha saputo dirmi è che forse Emanuela e Gangi si conoscevano, “ma non ne sono sicuro”.

Una volta che ho messo alle strette Ercole Orlandi, enumerandogli le troppe cose “strane”, a partire dalla nomina degli stessi avvocati, scelti e pagati non da lui ma dai servizi segreti italiani, mi ha risposto che “qui in Vaticano mi dicono sempre di stare tranquillo, che Emanuela prima o poi torna e che intanto pensano loro a tutto”. Che Ercole fosse un padre che soffriva per la scomparsa della figlia era fin troppo evidente, e questo ha acuito il mio disagio man mano che scoprivo le molte cose taciute e i non pochi comportamenti strani. Ma non ho potuto fare a meno di fargli notare che “loro dicono “prima o poi”, però intanto sono passati quasi 20 anni”.

C’è infine una doppia stranezza sempre taciuta alla stampa. Il dirigente del parlamento italiano che invia in Vaticano le rogatorie con le quali i magistrati italiani chiedono di interrogare su caso Orlandi alcuni prelati, dottor Antonio Marrone, è la stessa persona che in Vaticano ricopre l’incarico di magistrato unico e che in tale veste ha risposto no alle sue stesse rogatorie. Incredibile, ma vero. E come se non bastasse, la sua segretaria nel parlamento italiano è Natalina Orlandi, cioè una delle sorelle di Emanuela. Natalina quindi assiste in silenzio a un fatto decisamente singolare: il suo capufficio prima gira da Montecitorio al Vaticano le richieste italiane di interrogare alcuni cardinali e poi dal Vaticano gira al se stesso di Montecitorio le risposte negative. Sembra un film, invece è la realtà.

In questa trama davvero sconvolgente l'unica cosa sufficientemente chiara è che il Vaticano sa e tace. Non a caso il papà di Emanuela ne diffidava: quando dovevo incontrarlo nel periodo in cui lavoravo al libro sulla scomparsa di sua figlia mi aveva chiesto di cercarlo sul suo telefonino anziché al telefono di casa, perché voleva evitare eventuali ascolti del centralino vaticano. E ogni volta che mi dava un appuntamento mi veniva a prendere di persona fuori della porta di S. Anna, per sottrarmi così alla curiosità e al controllo delle guardie svizzere. Eppure, lo stesso Ercole, dopo avere visionato e approvato le bozze del libro che gli avevo spedito a casa, di punto in bianco si è messo a chiedermi il taglio di una cinquantina di pagine addirittura tramite il fax del giornale L’Osservatore Romano!

Dov’era finita la prudenza che lo portava a non voler far sapere a nessuno che stava collaborando con un giornalista a un libro che cercava di vederci chiaro sulla fine di sua figlia? La domanda ha una possibile risposta. Inizialmente il libro averi dovuto scriverlo assieme al magistrato Rosario Priore e all’ex magistrato Imposimato. Priore però non ha avuto il tempo di occuparsi di quasi nulla, mentre Imposimato invece per vari mesi mi ha fornito una serie di notizie “clamorose”: a partire dal colore della macchina usata dai rapitori armati di cloroformio e dal loro numero fino alle passeggiate di Emanuela su una spiaggia del Mar Nero dopo essere scomparsa. Roba da Premio Pulizer! Peccato però che a furia di insistere per sapere quali fossero le fonti dopo sei mesi mi sono sentito rispondere che “sono mie ipotesi. Però certamente vere”.....

Nonostante tutto, visto che ormai il contratto con la casa editrice Kaos era stato firmato anche con Imposimato, non mi sono opposto al fatto che eventualmente firmasse anche lui il libro pur avendolo scritto totalmente io e avere subito sei mesi di ritardo per le sue strane “notizie” inventate. Imposimato è così venuto a Milano per ritirare una copia delle bozze, che si è portato a Roma.

Dopo pochi giorni ha iniziato a pretendere che io tagliassi una cinquantina di pagine, pena il rivolgersi al magistrato, e poiché io non ho voluto tagliare nulla a un certo punto ha iniziato a chiedermi la stessa cosa Ercole Orlandi (tramite il fax dell’Osservatore Romano). L’unica spiegazione che trovo per lo strano cambio di atteggiamento di quest’ultimo è che Imposimato abbia fatto leggere le bozze del libro al suo buon conoscente monsignor D’Ercole, dirigente di rango della Segreteria di Stato alle dirette dipendenze di monsignor Re.... Proprio quello che a suo tempo rifiutò l’offerta di aiuto a vederci chiaro nel “rapimento” avanzata da monsignor Salerno.

Chiaro come il sole che qualcuno della Segreteria di Stato, molto contrariato, ha convocato a razzo Ercole Orlandi per “consigliare” come comportarsi, vale a dire di pretendere da me i tagli vanamente chiesti minacciando querele e altri sfracelli giudiziari. Che però, guarda caso, non ci sono stati nonostante io non abbia tagliato neppure mezza riga. L’unica cosa che è stata tagliata è la firma di Imposimato come coautore del libro assieme a me: ma si tratta di un taglio deciso da lui, non da me.

Qualche tempo dopo avere pubblicato il libro ho incontrato un noto studioso di cose vaticane che era quasi sempre al seguito dei viaggi all”estero di Wojtyla. Col solito cinico candore che contraddistingue certi personaggi, mi ha spiegato chiaro e tondo che Emanuela non è stata rapita, ma è morta la sera stessa della scomparsa in un appartamento di Salita Monte del Gallo, a un tiro di sasso dal Vaticano. Sono andato a fare un sopralluogo e ho notato che lì vicino c'è la stazione ferroviaria di S. Pietro della linea Livorno-Roma. Non so se sia vero che Emanuela è morta lì, e ignoro il perché, ma mi è venuto in mente un particolare: si sentono distintamente alcuni fischi di treno nella registrazione di uno dei contatti con gli Orlandi del finto portavoce dei “rapitori”, l’anonimo che la stampa aveva soprannominato l’Americano e che i consulenti scientifici del Sisde erano sicuri fosse o fosse stato un religioso di professione. Quei fischi di treno fanno pensare: il cosiddetto “americano” viveva e forse vive ancora in salita Monte del Gallo? Questa faccenda di Salita Monte del Gallo io l’ho raccontata in alcune interviste. Strano, ma nessuno mi ha chiesto chiarimenti…

Al tempo del caso Orlandi l’anticamera del papa aveva un addetto molto particolare: il monsignore polacco Julius Paetz, che verrà in seguito allontanato dal Vaticano con una bella promozione in Polonia come arcivescovo di Poznan e che varrà poi cacciato dal governo polacco perché denunciato per abusi sessuali da decine di giovanissimi seminaristi. Insomma, Paetz era un accanito pedofilo. Così come Emanuela Orlandi era una bella minorenne. A questo punto vale allora la pena di raccontare come il Vaticano, per volontà di Wojtyla, cioè del papa degli anni anche del caso Orlandi, abbia deciso di proteggere in tutto il mondo i preti pedofili o comunque abusatori sessuali.

Per raccontarlo, con i suoi risvolti sconvolgenti, è bene raccontare il caso esploso a cavallo della Pasqua di quest’anno a Firenze, dove una ventina di fedeli si sono rivolti con fiducia alla Chiesa, anziché ad avvocati e tribunali, inviando fin dal gennaio 2004 alla curia locale esposti e memoriali sulle violenze sessuali subite quando erano bambini per iniziativa del parroco Lelio Cantini, titolare della parrocchia Regina della Pace. A furia di insistere, le vittime di Cantini hanno ottenuto qualche incontro con l’allora arcivescovo Silvano Piovanelli, con l’arcivescovo Ennio Antonelli e con l’ausiliare Claudio Maniago. Ma tutto quello che sono riusciti a ottenere è stato il trasferimento del parroco mascalzone in un’altra parrocchia della stessa diocesi nel settembre 2005, cioè ben 20 mesi dopo gli esposti, motivato ufficialmente “per motivi di salute”, vale a dire senza che venisse né denunciato alla magistratura né svergognato in altro modo né privato dell’abito talare con la sospensione “a divinis”.

Deluse, le vittime e i loro familiari si sono allora rivolti al papa, con una lettera del 20 marzo 2006 recante in allegato i dettagliati memoriali di dieci tra le almeno venti vittime di abusi. “Non vogliamo sentirci domani chiedere conto di un colpevole silenzio”, hanno spiegato al papa il 13 ottobre 2006 con una nuova, nella quale parlano di “iniquo progetto di dominio sulle anime e sulle esistenze quotidiane” e lamentano come a “quasi due anni” dall’inizio delle denunce dalla Chiesa fiorentina non fosse ancora arrivata né “una decisa presa di distanza” dai personaggi coinvolti nella vicenda né “una scusa ufficiale” e neppure “un atto riparatore autorevole e credibile”.

Alla loro missiva ha risposto il cardinale Camillo Ruini, ma in un modo francamente incredibile, di inaudita ipocrisia e mancanza di senso della responsabilità. Il famoso cardinale, tanto impegnato nella lotta incessante contro la laicità dello Stato italiano, a fronte alle porcherie del suo sottoposto si rivela quanto mai imbelle, omertoso e di fatto complice: tutta la sua azione si riduce a una lettera agli stuprati per ricordare loro che il parroco criminale il 31 marzo ha lasciato anche la diocesi e per augurare che il trasferimento “infonda serenità nei fedeli coinvolti a vario titolo nei fatti”.

Insomma, fuor dalle chiacchiere e dall’ipocrisia, Ruini si limita a raccomandare che tutti si accontentino della rimozione di Cantini e se ne stiano pertanto d’ora in poi zitti e buoni, paghi del fatto che il prete pedofilo e stupratore sia stato spedito a soddisfare le sue brame carnali altrove. Come a dire che i parenti delle vittime della strage di piazza Fontana o del treno Italicus si sentano rispondere dal Capo dello Stato non con il dovuto processo ai colpevoli, bensì con una letterina buffetto sulle guance che annuncia, magno cum gaudio, che i colpevoli anziché andare in galera sono stati trasferiti in altri uffici e che pertanto augura, cioè di fatto ordina, “serenità” tra i superstiti e i parenti delle vittime.

Un simile comportamento oggi non ce l’hanno neppure gli Stati Uniti: è vero che non permettono a nessuno Stato estero di giudicare i propri soldati quali che siano i crimini da loro commessi, da Mai Lay al Cermis, da Abu Graib a Guantanamo e Okinawa, ma è anche vero che gli Usa anziché stendere il velo omertoso del segreto li processa pubblicamente in patria e non sempre in modo compiacente.

Come sempre la Chiesa si comporta in tutto il mondo come uno Stato nello Stato, con la pretesa non solo di intervenire – come è particolarmente evidente in Italia - contro l’autonomia della politica, ma per giunta di sottrarre il proprio personale alla magistratura competente. Il dramma però è che Ruini ai fedeli fiorentini che hanno subìto quello che hanno subìto non poteva rispondere altrimenti, perché – per quanto possa parere incredibile – a voler imporre il silenzio, anzi il “segreto pontificio” sui reati gravi commessi dai religiosi, compresi gli stupri di minori, è stato proprio l’attuale papa, Ratzinger.

Con una ben precisa circolare inviata ai vescovi di tutto il mondo il 18 maggio 2001 e che più avanti riproduciamo per intero, l’allora capo della Congregazione per la dottrina della fede, come si chiama oggi ciò che una volta era la “Santa” (!) Inquisizione e poi il Sant’Ufficio, non solo imponeva il segreto su questi orribili argomenti, ma avvertiva anche che a volere una tale sciagurata direttiva era il papa di allora in persona. Vale a dire, quel Wojtyla che più si ha la coda di paglia e più si vuole sia fatto “santo subito”, in modo da sottrarlo il più possibile alle critiche per i suoi non pochi errori.

Da notare che per quell’ordine scritto diramato a tutti i vescovi assieme all’allora suo vice, cardinale Tarcisio Bertone (oggi ancor più potente perché scelto dal papa tedesco come nuovo Segretario di Stato, cioè ministro degli Esteri del Vaticano), Ratzinger nel 2005 è stato incriminato negli Stati Uniti per cospirazione contro la giustizia in un processo contro preti pedofili in quel di Houston, nel Texas.

Per l’esattezza, presso la Corte distrettuale di Harris County figurano imputati il responsabile della diocesi di Galveston Houston, arcivescovo Joseph Fiorenza, i sacerdoti pedofili Juan Carlos Patino Arango e William Pickand, infine anche l’attuale pontefice. Questi è accusato di avere coscientemente coperto, quando era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali su minori. Da notare che l’omertà e la complicità di fatto garantita dalla circolare Ratzinger-Bertone ha danneggiato non solo la giustizia di quel processo, ma anche dei molti altri che hanno scosso il mondo intero scoperchiando la pentola verminosa dei religiosi pedofili negli Stati Uniti (dove la Chiesa ha dovuto pagare centinaia di milioni di dollari in una marea di risarcimenti) e in altre parti del mondo. Un porporato che si è visto denunciare dalle vittime un folto gruppo di preti, anziché punire i colpevoli li ha protetti facendoli addirittura espatriare nelle Filippine, in modo da sottrarli per sempre alla giustizia.

A muovere l’accusa contro l’attuale pontefice, documenti vaticani alla mano, è l’agguerritissimo avvocato Daniel Shea, difensore di tre vittime della pedofilia dei religiosi di Galveston Houston. E Ratzinger sarebbe stato trascinato in tribunale, forse in manette data la gravità del reato, se non fosse nel frattempo diventato papa. Nel settembre 2005 infatti il ministero della Giustizia, su indicazione di Bush e Condolezza Rice, ha bloccato il processo contro Ratzinger accogliendo la richiesta dell’allora segretario di Stato del Vaticano, Angelo Sodano, di riconoscere anche al papa, in quanto capo dello Stato pontificio, il diritto all’immunità riconosciuto non solo dagli Stati Uniti per tutti i capi di Stato. A questo punto è doveroso e niente affatto scandalistico porsi una domanda, decisamente scomoda: quanto ha pesato nella scelta di eleggere papa proprio Ratzinger la necessità di sottrarlo alla giustizia americana e di difenderlo per avere in definitiva eseguito la volontà del pontefice precedente?

Come che sia, Shea però non demorde. Due anni fa è venuto a Roma per protestare in piazza S. Pietro assieme ai radicali in occasione della Giornata mondiale contro la pedofilia. E oggi si dice pronto a ricorrere fino alla Suprema Corte di Giustizia degli Stati Uniti per evitare che i firmatari della circolare vaticana che protegge i sacerdoti pedofili la facciano del tutto franca. Intanto dobbiamo constatare con sbigottimento che i tre nomi più impegnati nella lotta contro la laicità dello Stato italiano e del suo parlamento, vale a dire Ratzinger, Ruini e Bertone, sono stati colti con le mani nel sacco della sottrazione alla magistratura dei preti pedofili e strupratori di minori.

Ecco il testo integrale tradotto dal latino dell’ordine impartito per iscritto da Ratzinger e Bertone:

«LETTERA inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e prelati interessati, circa I DELITTI PIU’ GRAVI riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001

Per l’applicazione della legge ecclesiastica, che all’art. 52 della Costituzione apostolica sulla curia romana dice: “[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che vengano a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio”, era necessario prima di tutto definire il modo di procedere circa i delitti contro la fede: questo è stato fatto con le norme che vanno sotto il titolo di Regolamento per l’esame delle dottrine, ratificate e confermate dal sommo pontefice Giovanni Paolo II, con gli articoli 28-29 approvati insieme in forma specifica.

Quasi nel medesimo tempo la Congregazione per la dottrina della fede con una Commissione costituita a tale scopo si applicava a un diligente studio dei canoni sui delitti, sia del Codice di diritto canonico sia del Codice dei canoni delle Chiese orientali, per determinare “i delitti più gravi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti”, per perfezionare anche le norme processuali speciali nel procedere “a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche”, poiché l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, edita dalla Suprema sacra Congregazione del Sant’Offizio il 16 marzo 1962, doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici.

Dopo un attento esame dei pareri e svolte le opportune consultazioni, il lavoro della Commissione è finalmente giunto al termine; i padri della Congregazione per la dottrina della fede l’hanno esaminato più a fondo, sottoponendo al sommo pontefice le conclusioni circa la determinazione dei delitti più gravi e circa il modo di procedere nel dichiarare o nell’infliggere le sanzioni, ferma restando in ciò la competenza esclusiva della medesima Congregazione come Tribunale apostolico. Tutte queste cose sono state dal sommo pontefice approvate, confermate e promulgate con la lettera apostolica data in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela.

I delitti più gravi sia nella celebrazione dei sacramenti sia contro la morale, riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, sono:

- I delitti contro la santità dell’augustissimo sacramento e sacrificio dell’eucaristia, cioè:

  1. l’asportazione o la conservazione a scopo sacrilego, o la profanazione delle specie consacrate:

  2. l’attentata azione liturgica del sacrificio eucaristico o la simulazione della medesima;

  3. la concelebrazione vietata del sacrificio eucaristico assieme a ministri di comunità ecclesiali, che non hanno la successione apostolica ne riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;

  4. la consacrazione a scopo sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica, o anche di entrambe fuori della celebrazione eucaristica;

- Delitti contro la santità del sacramento della penitenza, cioè:

  1. l’assoluzione del complice nel peccato contro il sesto comandamento del Decalogo;

  2. la sollecitazione, nell’atto o in occasione o con il pretesto della confessione, al peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se è finalizzata a peccare con il confessore stesso;

  3. la violazione diretta del sigillo sacramentale;

- Il delitto contro la morale, cioè: il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età.

Al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede sono riservati soltanto questi delitti, che sono sopra elencati con la propria definizione.

Ogni volta che l’ordinario o il prelato avesse notizia almeno verosimile di un delitto riservato, dopo avere svolte un’indagine preliminare, la segnali alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a meno che per le particolari circostanze non avocasse a sé la causa, comanda all’ordinario o al prelato, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale. Contro la sentenza di primo grado, sia da parte del reo o del suo patrono sia da parte del promotore di giustizia, resta validamente e unicamente soltanto il diritto di appello al supremo Tribunale della medesima Congregazione.

Si deve notare che l’azione criminale circa i delitti riservati alla Congregazione per la dottrina della fede si estingue per prescrizione in dieci anni. La prescrizione decorre a norma del diritto universale e comune: ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età.

Nei tribunali costituiti presso gli ordinari o i prelati possono ricoprire validamente per tali cause l’ufficio di giudice, di promotore di giustizia, di notaio e di patrono soltanto dei sacerdoti. Quando l’istanza nel tribunale in qualunque modo è conclusa, tutti gli atti della causa siano trasmessi d’ufficio quanto prima alla Congregazione per la dottrina della fede.

Tutti i tribunali della Chiesa latina e delle Chiese orientali cattoliche sono tenuti a osservare i canoni sui delitti e le pene come pure sul processo penale rispettivamente dell’uno e dell’altro Codice, assieme alle norme speciali che saranno date caso per caso dalla Congregazione per la dottrina della fede e da applicare in tutto.

Le cause di questo genere sono soggette al segreto pontificio.

Con la presente lettera, inviata per mandato del sommo pontefice a tutti i vescovi della Chiesa cattolica, ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio e agli altri ordinari e gerarchi interessati, si auspica che non solo siano evitati del tutto i delitti più gravi, ma soprattutto che, per la santità dei chierici e dei fedeli da procurarsi anche mediante necessarie sanzioni, da parte degli ordinari e dei gerarchi ci sia una sollecita cura pastorale.

Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.
Joseph card. Ratzinger, prefetto.
Tarcisio Bertone, SDB, arc. em. di Vercelli, segretario»
Fonte: www.ratzinger.it


Il segreto pontificio

Come avrete notato, lo scippo della pedofilia alla magistratura civile e penale di tutti gli Stati dove viene consumata è nascosto tra molte parole che parlano di tutt’altro. E il ruolo “giudiziario”, cioè di fatto omertoso, della Congregazione ex Sant’Ufficio è comunque confermato in pieno dalla vicenda fiorentina.

A difendere i fedeli violati sono scesi in campo anche i locali preti ordinari e a causa delle loro insistenze il cardinale Antonelli il 17 gennaio ha scritto alle vittime di Cantini che al termine di un “processo penale amministrativo” tutto interno alla curia e sentita per l’appunto la Congregazione per la dottrina della fede, l’ex parroco “non potrà né confessare, né celebrare la messa in pubblico, né assumere incarichi ecclesiastici, e per un anno dovrà fare un’offerta caritativa e recitare ogni giorno il Salmo 51 o le litanie della Madonna”. Tutto qui!

Di denuncia alla magistratura, neppure l’ombra, e del resto il “segreto pontificio” non lascia scampo. Per uno che per anni e anni se l’è fatta da padrone anche con il sesso di ragazzine di soli 10 anni - e di 17 le più “vecchie” – senza neppure scomodarsi con un viaggio nella Thailandia paradiso dei pedofili, si tratta di una pena piuttosto leggerina…. Da far felice qualunque pedofilo incallito! Quanto alle vittime, Antonelli ha anticipato l’ineffabile Ruini: visto che “il male una volta compiuto non può essere annullato”, il cardinale invita le pecorelle struprate a “rielaborare in una prospettiva di fede la triste vicenda in cui siete stati coinvolti”, e a invocare da Dio “la guarigione della memoria”.

Ma a guarire, anche dai troppi condizionamenti opportunistici della memoria, deve essere semmai il Vaticano. E infatti i fedeli fiorentini, che hanno letto la missiva del cardinale con “stupore e dolore”, hanno deciso di non fermarsi. Finora non hanno fatto nemmeno causa civile, ma d’ora in poi, dicono, “nulla è più escluso”. I preti schierati dalla loro parte chiedono al papa – nella lettera inviata tramite la Segreteria di Stato oggi retta proprio da Bertone! - “un processo penale giudiziario”, che convochi testimoni e protagonisti, e applichi “tutte le sanzioni previste dall’ordinamento ecclesiastico”.

Chiedono inoltre che Cantini, colpevole di avere rovinato non poche vite, sia “privato dello stato clericale” anche “a tutela delle persone che continuano a seguirlo”. Però, come avrete notato, neppure i buoni preti fiorentini si sognano di fare intervenire la magistratura dello Stato italiano. I panni sporchi si lavano in famiglia… Che è il modo migliore di continuare a non lavarli. Come per la scomparsa di Emanuela Orlandi.

Chi difende a spada tratta Ratzinger e Bertone per il documento del 2001, arrivando a sostenere che esso semmai facilitava la giusta punizione per i preti pedofili, mente o sapendo di mentire o per eccesso di ignoranza. Già è molto grave che in quel documento la pedofilia sia definita “peccato contro la morale” anziché contro la persona. Forse che i bambini e le bambine non sono persone, ma solo oggetti? Dei quali abusare senza troppi problemi, vedasi il caso a Firenze del parroco Delio Cantini o del fondatore dei Legionari di Cristo condannato dal papa a “fare penitenza” anziché essere privato dell’abito talare e spedito in galera.

Il papa o chi per lui può denunciare quel che meglio crede in Mondovisione, ma resta il fatto che avere imposto il “segreto pontificio” sui casi di religiosi pedofili significa avere imposto di non parlarne a nessuno, tanto meno ai magistrati, come del resto dimostrano le cronache non solo americane. In quel documento è stato anche ordinato di elevare da 16 a 18 anni la definizione di età minore e a 10 anni il periodo necessario per la decorrenza termini per l’eventuale processo davanti al tribunale religioso (religioso, non civile, cioè non statale, non con magistrati ordinari). Possono parere due buone misure, moralizzatrici: ma l’unico risultato è quello di sottrarre i colpevoli alla denuncia alla magistratura ordinaria per almeno 10 anni filati e di dare loro la possibilità di spassarsela anche con ragazzi tra i 16 e i 18 anni senza finire automaticamente nei guai.

Saranno anche state buone le intenzioni di quelle due estensioni, ma come si sa - e in Vaticano dovrebbero saperlo meglio di tutti - di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno…. E infatti dover mantenere il segreto pontificio per almeno 10 anni sui “peccati” di pedofilia significa dove tenere la bocca cucita con le magistrature ordinarie dei vari Paesi finché quello che per Ratzinger e Bertone è solo un “peccato” (ma solo contro la morale) e non più un reato: dopo 10 anni infatti il reato di pedofilia si estingue quasi dappertutto. E considerare minorenni anche i giovani tra i 16 e i 18 anni significa poter avere rapporti sessuali con loro senza il minimo pericolo di essere denunciati alla magistratura dal clero. Insomma, una cuccagna! Anche perché la fascia d’età tra i 16 e i 18 anni è quella più esposta alle tempeste ormonali, cioè alle tentazioni sessuali. Ripeto: forse le intenzioni erano buone, ottime, encomiabili, ma i risultati sono sicuramente l’esatto contrario, cioè pessimi: tanto da poter far pensare non solo ai maligni che in realtà erano proprio questi risultati ciò che si voleva ottenere con quelle due “piccole” modifiche.

Per evitare dubbi e per evitare che ci sia ancora chi possa fare il furbo, ho recuperato dagli archivi vaticani la definizione di cosa sia il “segreto pontificio”. Definizione data non da un kommunista mangia bambini o da un terrorista islamista, bensì nel 1974 dall’allora Segretario di Stato del Vaticano, cardinale Jean Villot, dopo opportuna direttiva datagli a voce da papa Paolo VI. Come chiunque può rendersi onestamente conto leggendo il testo - che tratta il problema del segreto in modo talmente pignolo da fare invidia a comandi militari e massonerie varie - è assolutamente escluso che un argomento sottoposto a segreto pontificio possa essere portato a conoscenza di “estranei”. Cioè, per esempio, di polizia, carabinieri e magistrati o degli stessi genitori delle vittime. Buona lettura.

Segreteria di Stato

Norme sul segreto pontificio

Quanto concordi con la natura degli uomini il rispetto dei segreti, appare evidente anzitutto dal fatto che molte cose, benché siano da trattare esternamente, traggono tuttavia origine e sono meditate nell’intimo del cuore e vengono prudentemente esposte soltanto dopo matura riflessione.

Perciò tacere, cosa davvero assai difficile, come pure parlare pubblicamente con riflessione sono doti dell’uomo perfetto: infatti c’è un tempo per tacere e un tempo per parlare (cf. Eccle 3,7) ed è un uomo perfetto chi sa tenere a freno la propria lingua (cf. Gc 3,2).

Questo avviene anche nella Chiesa, che è la comunità dei credenti, i quali, avendo ricevuto la missione di predicare e testimoniare il Vangelo di Cristo (cf. Mc 16, 15; At 10,42), hanno tuttavia il dovere di tenere nascosto il sacramento e di custodire nel loro cuore le parole, affinché le opere di Dio si manifestino in modo giusto e ampio, e la sua parola si diffonda e sia glorificata (cf. 2 Ts 3, 1).

A buon diritto, quindi, a coloro che sono chiamati al servizio del popolo di Dio vengono confidate alcune cose da custodire sotto segreto, e cioè quelle che, se rivelate o se rivelate in tempo o modo inopportuno, nuocciono all’edificazione della Chiesa o sovvertono il bene pubblico oppure infine offendono i diritti inviolabili di privati e di comunità (cf. Communio et progressio, 121).

Tutto questo obbliga sempre la coscienza, e anzitutto dev’essere severamente custodito il segreto per la disciplina del sacramento della penitenza, e poi il segreto d’ufficio, o segreto confidato, soprattutto il segreto pontificio, oggetto della presente istruzione. Infatti è chiaro che, trattandosi dell’ambito pubblico, che riguarda il bene di tutta la comunità, spetta non a chiunque, secondo il dettame della propria coscienza, bensì a colui che ha legittimamente la cura della comunità stabilire quando o in qual modo e gravità sia da imporre un tale segreto.

Coloro poi che sono tenuti a tale segreto, si considerino come legati non da una legge esteriore, quanto piuttosto da un’esigenza della loro umana dignità: devono ritenere un onore l’impegno di custodire i dovuti segreti per il bene pubblico.

Per quanto riguarda la Curia Romana, gli affari da essa trattati a servizio della Chiesa universale, sono coperti d’ufficio dal segreto ordinario, l’obbligo morale del quale dev’essere stabilito o da una prescrizione superiore o dalla natura e importanza della questione. Ma in taluni affari di maggiore importanza si richiede un particolare segreto, che viene chiamato segreto pontificio e che dev’essere custodito con obbligo grave.

Circa il segreto pontificio la segreteria di stato ha emanato una istruzione in data 24 giugno 1968; ma, dopo un esame della questione da parte dell’assemblea dei cardinali preposti ai dicasteri della Curia Romana, è sembrato opportuno modificare alcune norme di quella istruzione, affinché con una più accurata definizione della materia e dell’obbligo di tale segreto, il rispetto del medesimo possa essere ottenuto in modo più conveniente.

Ecco dunque qui di seguito le norme.

Art. I

Materia del segreto pontificio

Sono coperti dal segreto pontificio:

1) La preparazione e la composizione dei documenti pontifici per i quali tale segreto sia richiesto espressamente.

2) Le informazioni avute in ragione dell’ufficio, riguardanti affari che vengono trattati dalla Segreteria di stato o dal Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa, e che devono essere trattati sotto il segreto pontificio;

3) Le notificazioni e le denunce di dottrine e pubblicazioni fatte alla Congregazione per la dottrina della fede, come pure l’esame delle medesime, svolto per disposizione del medesimo dicastero;

4) Le denunce extra-giudiziarie di delitti contro la fede e i costumi, e di delitti perpetrati contro il sacramento della penitenza, come pure il processo e la decisione riguardanti tali denunce, fatto sempre salvo il diritto di colui che è stato denunciato all’autorità a conoscere la denuncia, se ciò fosse necessario per la sua difesa. Il nome del denunciante sarà lecito farlo conoscere solo quando all’autorità sarà parso opportuno che il denunciato e il denunciante compaiano insieme;

5) I rapporti redatti dai legati della Santa Sede su affari coperti dal segreto pontificio;

6) Le informazioni avute in ragione dell’ufficio, riguardanti la creazione di cardinali;

7) Le informazioni avute in ragione dell’ufficio, riguardanti la nomina di vescovi, di amministratori apostolici e di altri ordinari rivestiti della dignità episcopale, di vicari e prefetti apostolici, di legati pontifici, come pure le indagini relative;

8) Le informazioni avute in ragione dell’ufficio, riguardanti la nomina di prelati superiori e di officiali maggiori della Curia Romana;

9) Tutto ciò che riguarda i cifrari e gli scritti trasmessi in cifrari.

10) Gli affari o le cause che il Sommo Pontefice, il cardinale preposto a un dicastero e i legati della Santa Sede considereranno di importanza tanto grave da richiedere il rispetto del segreto pontificio.

Art. II

Le persone tenute al segreto pontificio

Hanno l’obbligo di custodire il segreto pontificio:

1) I cardinali, i vescovi, i prelati superiori, gli officiali maggiori e minori, i consultori, gli esperti e il personale di rango inferiore, cui compete la trattazione di questioni coperte dal segreto pontificio;

2) I legati della Santa Sede e i loro subalterni che trattano le predette questioni, come pure tutti coloro che sono da essi chiamati per consulenza su tali cause;

3) Tutti coloro ai quali viene imposto di custodire il segreto pontificio in particolari affari;

4) Tutti coloro che in modo colpevole, avranno avuto conoscenza di documenti e affari coperti dal segreto pontificio, o che, pur avendo avuto tale informazione senza colpa da parte loro, sanno con certezza che essi sono ancora coperti dal segreto pontificio.

Art. III

Sanzioni

1) Chi è tenuto al segreto pontificio ha sempre l’obbligo grave di rispettarlo.

2) Se la violazione si riferisce al foro esterno, colui che è accusato di violazione del segreto sarà giudicato da una commissione speciale, che verrà costituita dal cardinale preposto al dicastero competente, o, in sua mancanza, dal presidente dell’ufficio competente; questa commissione infliggere delle pene proporzionate alla gravità del delitto e al danno causato.

3) Se colui che ha violato il segreto presta servizio presso la Curia Romana, incorre nelle sanzioni stabilite nel regolamento generale.

Art. IV

Giuramento

Coloro che sono ammessi al segreto pontificio in ragione del loro ufficio devono prestar giuramento con la formula seguente:

“Io… alla presenza di…, toccando con la mia mano i sacrosanti vangeli di Dio, prometto di custodire fedelmente il segreto pontificio nelle cause e negli affari che devono essere trattati sotto tale segreto, cosicché in nessun modo, sotto pretesto alcuno, sia di bene maggiore, sia di causa urgentissima e gravissima, mi sarà lecito violare il predetto segreto. Prometto di custodire il segreto, come sopra, anche dopo la conclusione delle cause e degli affari, per i quali fosse imposto espressamente tale segreto. Qualora in qualche caso mi avvenisse di dubitare dell’obbligo del predetto segreto, mi atterrò all’interpretazione a favore del segreto stesso. Parimenti sono cosciente che il trasgressore di tale segreto commette un peccato grave. Che mi aiuti Dio e mi aiutino questi suoi santi vangeli che tocco di mia mano”.

Il Sommo Pontefice Paolo VI, nell’udienza concessa il 4 febbraio 1974 al sottoscritto, ha approvato la seguente istruzione ed ha comandato che venga pubblicata, ordinando che entri in vigore a partire dal 14 marzo del medesimo anno, nonostante qualsiasi disposizione contraria.

Jean card. Villot - Segretario di Stato
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Breve e istruttiva storia del confessionale: inventato da S. Carlo Borromeo perché “le nostre vergogne” erano già un problema ai tempi del Concilio di Trento

Tentare la castità di una donna durante la confessione è un delitto, non un abuso”. “Ci sono religiosi che cercano di tentare la castità delle donne virtuose perfino durante la confessione, e osano abusare di questo solenne sacramento per sedurle”. “Ma degli enormi abusi si faccia una relazione modesta, per non scoprire le nostre vergogne”. “Non si faccia nessuna menzione dei sacerdoti scellerati e degli enormi delitti”. “Autorizziamo i tribunali spagnoli a perseguire in giudizio gli abusi sessuali dei padri confessori”. “Estendiamo ai tribunali portoghesi il permesso di perseguire in giudizio gli abusi sessuali dei padri confessori”. “Estendiamo a tutti i tribunali, non solo a quelli spagnoli e portoghesi, l’autorizzazione a perseguire in giudizio gli abusi sessuali perpetrati approfittando del sacramento delle confessione”.

Sono parole pronunciate nel corso del programma Anno Zero di Michele Santoro dedicato ai preti pedofili? Sono accuse lanciate da “nemici della Chiesa”? O sono accuse lanciate “per colpire ingiustamente il sommo pontefice”? Anche questa volta, non lo indovinereste mai.

Si tratta infatti di accuse e preoccupazioni emerse niente di meno che durante il Concilio di Trento, specialmente nella sessione del 1547. Le parole che invitano a parlare il meno possibile, e solo in modo riservato, del “vizietto” dei confessori sono del vescovo di Upsala e di quello di Albi. L’invito al tribunale spagnolo perché intervenisse contro il clero che abusava del sesso e della confessione è di papa Pio IV, emesso nel 1561.

La discesa in campo anche del tribunale portoghese prima e di tutti gli altri dopo è stata decisa dai successori di Pio IV, e le norme di carattere generale sull’argomento si trovano in una “costitutio” emessa da papa Gregorio XV nel 1622. Da notare che si trattava dei tribunali dell’Inquisizione, quelli che torturavano e bruciavano i condannati al rogo sulla pubblica piazza. Insomma, ce n’è a iosa per restare allibiti di fronte all’ignoranza e alla malafede di chi oggi, dentro e fuori Vaticano, si straccia le vesti perché, grazie a Beppe Grillo e Michele Santoro, si parla delle malefatte dei preti pedofili e del vertice della gerarchia che di fatto li sottrae ai tribunali statali.

Come dimostrano anche gli atti del Concilio di Trento, le bolle papali citate, il Concilio di Cosenza (1579) e quello di Firenze, le sentenze dell’Inquisizione e una marea d’altri documenti, la Chiesa ha da sempre il grave problema degli abusi sessuali in particolare dei confessori, e da sempre cerca di “non rivelare le nostre vergogne”, cioè a dire cerca di non far trapelare nulla.

Il comportamento scorretto a fini sessuali in confessionale finì con l’avere una sua particolare definizione: sollicitatio ad turpia, cioè sollecitazione alle cose turpi. E non è certo un caso che uno dei due documenti vaticani di cui oggi tanto si discute e sui quali ci si accapiglia, e cioè quello emesso nel 1924 e aggiornato nel 1962, avesse un nome simile: Sollicitatio criminis. Solo che se a quei tempi ci sono stati papi che contro gli arraffatori sessuali hanno fatto intervenire la mano molto pesante del tribunale dell’Inquisizione, oggi ci troviamo sgomenti di fronte a un papa che quando era al comando dell’erede dell’Inquisizione, vale a dire della Congregazione per la dottrina della fede, nel maggio del 2001 ha emanato invece l’ordine di sottrarre quei misfatti ai tribunali statali per relegarli a quello vaticano all’epoca da lui presieduto, che però da un bel pezzo aveva e ha tuttora solo carattere religioso e disciplinare.

Sull’uso adescatorio del confessionale vale la pena leggere il volume del 1988 “Sesso e religione nel Seicento a Venezia: la sollecitazione in confessionale”, di Claudio Matricardo. Chi vuole saperne di più dal punto di vista statistico si legga in particolare le pagine da 110 a 119 e da 144 a 147 del libro “The Inquisition in Earlly Modern Europe. Studies on Sources and Method”, di John Tedeschi e Gustav Henningsen, edito nel 1986 dalla Northern Illinois University Press.

Gli abusi erano tali e tanti che si dovette proibire la confessione a domicilio o nelle celle dei confessori e imporre l’uso del confessionale che vediamo oggi nelle chiese. Il primo disegno a stampa di questo attrezzo si ha a Milano, ideato a bella posta da S. Carlo Borromeo e realizzato materialmente nei prototipi da Ludovico Moneta, suo devoto funzionario di curia ed ebanista dilettante. Nelle sue Instructiones fabricae et suppellectilis ecclesiasticae, scritto nel 1573 – in occasione del terzo concilio provinciale, tenuto a Milano - e pubblicato a fine ’77, Borromeo raccomanda che i confessionali modello Moneta fossero dislocati in posti ben visibili nella parte pubblica delle chiese e che “la parte frontale [del confessionale] deve essere completamente aperta, senza chiusure di sorta”. Per giunta, S. Carlo ordina, subito accontentato da Moneta nei disegni del progetto, che ci sia una apposita parete divisoria per impedire il contatto fisico o anche il solo guardarsi da vicino tra confessore e penitenti.

La prima idea e la prima pratica di confessionale anti abusi sessuali sono  della Verona del vescovo Gian Matteo Giberti, ed è possibile che S. Carlo gliel’abbia copiata, visto che il suo assistente e organizzatore del concilio tenuto a Milano è quel Niccolò Ormaneto che era stato stretto collaboratore di Giberti proprio a Verona. Nel 1565 gli abusi sessuali dei religiosi costrinsero le autorità civili di Chiari, nel Bresciano, a chiedere al vescovo, che acconsentì, di proibire le confessioni nelle celle dei frati. Nel 1575 papa Gregorio XIII proibì del tutto le confessioni a domicilio e nelle celle e rese obbligatorio l’uso del confessionale ordinando che “il sacerdote e il penitente siano in piena vista del popolo”.

Leggiamo cosa scrive alla curia vaticana - ancora dieci anni dopo la decisione di papa Gregorio - lo stesso Ormaneto, diventato nel frattempo nunzio apostolico in Spagna: “Da diverse parti molte persone di buon zelo lacrimano meco la gran abominatione di molti huomini impii che violano il sacramento della penitentia, tentando nell’atto della confessione et fuori d’essa di saziar il suo sfrenato et bestial appetito con figliole spirituali; et di questo abominevole peccato ho sentito gran querele “. Ormaneto era talmente scandalizzato che suggerì di ampliare la definizione di sollecitatio ad turpia non solo all’adescamento sessuale in occasione della confessione, ma anche in quello comunque attuato mentre si è in chiesa anche solo per meditare. Addirittura propose di fare intervenire l’Inquisizione in tutte le trasgressioni sessuali dei confessori, cioè non solo in quelle avvenute in chiesa.

Ma papa Gregorio XIII, che pure aveva reso prudentemente obbligatorio il confessionale come lo conosciamo oggi, non gli diede retta e in una lettera del 20 febbraio 1576 obiettò - all’esatto contrario di Ratzinger - che “li errori che direttamente non contraddicono a la fede Cattolica non debbano essere conosciuti dal Sant’Officio”, come pure veniva chiamata la terribile Inquisizione. Per evitare il più possibile le tentazioni del sesso, venne proibito esplicitamente l’antico gesto dell’imposizione delle mani sul penitente al momento dell’assoluzione, gesto già reso pressoché impossibile dalla stessa struttura del confessionale “brevettato” da Moneta e S. Carlo.

Come si vede, il momento della confessione è sempre stato per la Chiesa anche un cruccio, perché ottima occasione di adescamento: il prete costretto al celibato - e in teoria anche alla mancanza di vita sessuale - si trova infatti solo con una donna, che parla di peccati sessuali, cioè di lussuria…. Come parlare di prosciutto, bistecche e cosce di pollo a un affamato. “La carne è debole” è una realtà che vale per tutti, specie se mancano i controlli e la sorveglianza. I soldati quando sono loro i padroni della situazione ne approfittano, quale che sia la loro nazionalità, così come i funzionari dello Stato o di partito, bianco, rosso o nero che sia, che maneggiano fondi o fette di potere e i boss delle televisioni con potere di assunzione in pianta stabile.

C’è qualcuno davvero convinto che esista solo Vallettopoli? O che a stuprare fossero solo i soldati nazisti o quelli titini o i sovietici arrivati a Berlino? Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, e non si vede proprio perché si stracciano le vesti i vari Buttiglione, Casini, Fini, ecc., per non parlare dell’impagabile Calderoli, convinto che si possa sbeffeggiare Maometto con canotte padane all’uopo disegnate ed esibite in tv, ma che non si possa criticare il papa per documenti deprecabili da lui firmati. Convinzioni un po’ demenziali, ma tant’è… tutto fa brodo. Che costoro siano afflitti da ciclopica ignoranza sull’argomento del quale straparlano è fin troppo evidente. Ma è difficile pensare che siano ignoranti in materia anche i vari Ruini, Bagnasco, Bertone,ecc.

In Italia è impossibile criticare la Chiesa e il suo re assoluto, vale a dire il papa, pena aggressioni, insulti, bavagli, intimidazioni e imposizioni di varia natura. Per esempio, è chiaro come il sole – anche da quel che leggo sui giornali – che a Michele Santoro nella famosa puntata di Anno Zero dedicata a un nastro della BBC su un caso di prete pedofilo inglese è stata imposta la presenza del prelato Fisichella , che è anche il “parroco” del nostro Parlamento, il titolare cioè di un privilegio che è anche un abuso. Il Parlamento infatti non ha, per esempio, un suo rabbino, pur essendo ebrei non pochi parlamentari, e tanto meno un suo imam, pur non potendo escludere che possano essere musulmani alcuni parlamentari, data la non indifferente presenza islamica in Italia. E’ noto che tra i parlamentari non mancano i massoni, né gli atei: eppure in Parlamento non è previsto un Gran Maestro della Massoneria o un esponente dell’ateismo e tanto meno un “tempio” per loro.

Abusi e imposizioni a parte, resta il fatto che le cose dette ad Anno Zero da Fisichella sono – alla luce della storia anche solo del confessionale - evidentemente infondate, se non false e non del tutto oneste. Criticare fatti accaduti nel mondo ecclesiastico, pedofilia compresa, non significa affatto “attaccare la Chiesa”, così come attaccare l’eccesso di presenza di mafiosi in Sicilia e di camorristi in Campania non significa affatto attaccare la Sicilia o i siciliani in blocco né la Campania e i campani in blocco.

Se ragionassimo come ragiona Fisichella dovremmo concludere che Berlusconi e i suoi attaccano in continuazione l’Italia, visto che sparano in continuazione bordate (per giunta menzognere) contro il capo del governo Romano Prodi e non di rado anche contro il capo dello Stato, della Camera, del Senato, per non dire della violenza continua e non solo verbale contro la magistratura. Perché i vari colleghi di Fisichella, cioè i Ruini, Bagnasco, ecc., e lo stesso papa Ratzinger possono attaccare in continuazione i politici italiani non asserviti al Vaticano, le leggi della Repubblica italiana non gradite al Vaticano, i progetti di legge detestati dal Vaticano, per giunta mobilitandosi per bloccarli anche intimidendo le coscienze, senza che si possa dire che si tratta di attacchi contro l’Italia intera?

Criticare gli errori, pedofili in tal caso, di parte del clero cattolico viene invece spacciato per un “pesante e ingiusto attacco contro la Chiesa e il papa”. Il vizio dei due pesi e due misure, e Fisichella dovrebbe ben saperlo, alla lunga è anche un peccato… Perché equivale infatti alla menzogna, al sopruso, alla sopraffazione, alla falsa testimonianza, peccato quest’ultimo gravissimo per un cristiano.

Si può gridare da Santoro, come ha fatto Fisichella, “chi sa, parli”, ma il problema resta: resta infatti il “segreto pontificio” su quelle che già al Concilio di Trento venivano definite “le nostre vergogne”, e resta il fatto che per i religiosi quel segreto è vincolante, violarlo è un grave “peccato mortale”, come abbiamo visto nella puntata precedente del mio blog nel documento a firma del cardinale Jean Villot. Si possono fare le acrobazie che più si preferiscono, ma resta il fatto che l’ordine emanato nel 2001 da Ratzinger e Bertone è un ordine indifendibile: per il semplice motivo che ordina l’omertà a favore dei preti pedofili e di quelli che usano la confessione per adescare minorenni e maggiorenni così come una professionista usa il marciapiedi per adescare i passanti.

Se si scoprisse un documento del presidente della Regione Sicilia che ordina il silenzio sui mafiosi e il dovere di parlarne solo a un ufficio della Regione incaricato di “giudicare” senza che la magistratura ne sappia nulla, beh, credo che quel presidente passerebbe dei guai, quali che fossero le sue migliori intenzioni nell’impartire quell’ordine. Si può sostenere, con sprezzo del ridicolo, della logica, del significato delle parole scritte e della grammatica, che le intenzioni dei due firmatari del maggio 2001 erano ottime, ma resta il fatto che le conseguenze – processualmente documentate in tutto il mondo – sono state pessime. Compreso il caso di Firenze, con il parroco Delio Cantini che dopo avere fatto per decenni i suoi porci comodi con minorenni della sua parrocchia s’è visto solo cambiare di parrocchia.

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Le immagini sono prese dal sito "Foto Mulazzani"

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Politica - Socialismo democratico
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Aggiornamento: 11/12/2018