Sesso e Vaticano

STORIA DELLE RELIGIONI


SESSO E VATICANO

si non caste, tamen caute

Tentazione

Non c'è manuale di storia medievale che non parli di “nicolaismo” quando affronta il tema della riforma gregoriana, iniziata nel 1046 e che porterà alla teocrazia pontificia.

Gli autori di questi manuali usano la parola “nicolaismo” in riferimento ai preti sposati, i quali, pur di non perdere il loro ruolo privilegiato, e dovendo sottostare alle richieste, sempre più pressanti, dei loro superiori di separarsi dalle mogli, si rifiutavano di obbedire o continuavano a frequentarle in privato, di nascosto. Fu il Concilio quinisesto del 699 a usare per la prima volta questo termine.

La sua origine però non è molto chiara: sembra risalire al diacono Nicola di Antiochia, citato negli Atti degli apostoli (6,5), il quale aveva ripudiato la moglie per vivere una vita casta, anche se poi le esigenze della “carne” ebbero la meglio su quello dello “spirito”. Nell'Apocalisse (2,6.15) viene denunciata, con questo nome, una setta gnostico-cristiana, che, successivamente, i vari Ireneo, Tertulliano e Agostino la ritenevano soggetta a idolatria e libertinismo. Beda arrivò addirittura ad affermare che Nicola aveva permesso ad altri uomini di sposare sua moglie: idea ripresa da Tommaso d’Aquino, che lo accusava di sostenere la poligamia o la comunione delle mogli.

Di sicuro ai tempi della lotta per le investiture la parola viene usata per indicare qualcosa di licenzioso sul piano sessuale. Contro il "nicolaismo" medievale, alquanto diffuso all'epoca, si era scagliato il movimento lombardo dei patarini (ampiamente strumentalizzato dai pontefici), che considerava il clero sposato come una forma di concubinato.

Ancora oggi la Chiesa romana usa polemicamente questo termine in riferimento alla condizione dei preti ortodossi, che generalmente sono sposati, salvo che non abbiano abiurato la loro fede per passare a quella cattolica: in tal caso non si chiede loro di ripudiare la moglie. Non a caso le Chiese cattoliche orientali (cioè obbedienti al papato) non richiedono il celibato per tutti i presbiteri, ma solo per i vescovi. La stessa dispensa il papato la concede al clero sposato di tutte le altre religioni disposto a passare sotto Roma, anche se vi è qualcuno (come p.es. il card. Bagnasco) che teme enormemente che un sacerdote del genere possa esercitare il suo ufficio al di fuori della sede ove è stato ordinato. Qualunque prete infatti potrebbe chiedersi: “Perché loro possono sposarsi e noi no?”.

Il dovere del celibato, da parte del clero cattolico, risale, ufficialmente, a quando papa Niccolò II dispose, in un decreto del Concilio del Laterano del 1059, di diser­tare le messe celebrate dai preti uxorati. La cosa tuttavia era già stata richiesta vari secoli prima (p.es. al Concilio di Elvira del 305-306 o al Concilio romano del 382), solo che non la si metteva in pratica. I sacerdoti italiani erano soliti citare il proverbio latino “se non castamente, almeno con cautela” (“si non caste, tamen caute”), attribuendolo erroneamente a san Paolo, intendendo con ciò la necessità di comportamenti che, pur manchevoli dal punto di vista della continenza, non dessero tuttavia adito a scandali.

Per le autorità ecclesiastiche il dovere del celibato era un modo per disciplinare la condotta dei membri del clero, spesso dediti a una vita mondana, non confacente al loro ruolo. L'altro modo era quello d'impedire la vendita di cariche o di beni ecclesiastici (simonia): p.es. al tempo della suddetta riforma a Milano il suddiaconato valeva 12 denari, il diaconato 18, il sacerdozio 24.

Negli atti conciliari della Chiesa romana, dei secoli VIII, IX e X, sono elencati molti provvedimenti a carico dei sacerdoti sposati. Si arrivò persino a esigere che le loro mogli venissero tosate e frustate in pubblico, mentre i loro figli dovevano essere ridotti in schiavitù.

Il basso clero odiava a morte, a causa di questi oltraggi alle proprie mogli, il papato, sempre molto più corrotto di loro, anche perché sin dalle origini del cristianesimo i sacerdoti potevano sposarsi liberamente: al massimo non potevano accedere alle cariche più prestigiose, appannaggio, generalmente, dei monaci più anziani, come accade ancora oggi nel mondo ortodosso.

Imporre il celibato, dietro il pretesto di moralizzare una condotta di vita pubblica, era un'evidente forzatura, un moralismo fuori luogo. Non a caso il papato approfittò della corruzione dilagante per rafforzare enormemente il proprio potere politico ed economico.

Da un lato, infatti, s'inventò un ordine particolare, quello del cardinalato, cui venne concesso l'esclusivo privilegio di scegliere il pontefice (sottraendo così la carica alle influenze imperiali e alla volontà dei cittadini romani); dall'altro stroncò il nicolaismo per evitare che i feudi ecclesiastici divenissero ereditari: un chierico celibe doveva restituire, alla sua morte, tutti i patrimoni alla Chiesa di Roma.

In sostanza il nicolaismo veniva equiparato al concubinato e le mogli dei preti a delle “amanti”. I sacerdoti che vi si opponevano potevano anche finire sotto tortura e le mogli, abbandonate a se stesse, morivano di stenti. Le proteste furono molte, ma non ci fu nulla da fare: il Concilio lateranense del 1123 obbligò i preti al celibato. Il Concilio di Trento (1545-63) mise poi una pietra sopra a qualunque discussione in merito. Da allora la situazione nella chiesa romana è rimasta immutata, salvo che per i diaconi, che possono sposarsi se rinunciano al sacerdozio.

Quello che è cambiato in maniera decisiva è invece la laicizzazione dei costumi, che sta portando molti preti a uscire dalla chiesa per potersi sposare o che li sta facendo diventare morbosi sul piano sessuale proprio perché non riescono a vivere serenamente il loro celibato.

È probabile che di qui a breve la Chiesa romana sarà indotta ad accettare la soluzione che da due millenni pratica la Chiesa ortodossa: cioè rendere possibile l'ordinazione di uomini sposati ma non far sposare sacerdoti già ordinati. Del pari, coloro che dopo il matrimonio sono diventati preti e rimangono vedovi, non possono più risposarsi. Infine, i preti sposati non diventano vescovi e sono per lo più impegnati come parroci. Ma la vera svolta per tale Chiesa potrebbe essere quella di riammettere al servizio sacerdotale quei preti che hanno lasciano l'abito, si sono sposati e vogliono "rientrare" rimanendo sposati. Secondo Sandro Magister i preti cattolici sposati sono circa duemila sugli oltre 400 mila sparsi nel mondo.

Vedi anche MENO AKRIBEIA E PIU' OIKONOMIA NELLA QUESTIONE DEL CELIBATO DEI PRETI CATTOLICI

Fonti

S. Sodaro, Keshi. Preti sposati nel diritto canonico orientale, Franco Puzzo editore, Trieste 2000.

B. Petrà, Preti sposati per volontà di Dio? Saggio su una Chiesa a due polmoni, Dehoniane, Bologna 2004; Idem, Preti celibi e preti sposati, Cittadella editrice, Assisi 2011


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Religioni
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Aggiornamento: 14/12/2018