IDEE PER UNA SCIENZA UMANA E NATURALE |
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1453: l’uomo non è al centro del mondo
Nel 1543 viene pubblicato a Norimberga il De revolutionibus orbium coelestium (Le rivoluzioni delle sfere celesti), il libro che, contro l’evidenza dei sensi, contro un’antica tradizione astronomica e contro la Bibbia, ferma il Sole al centro del mondo, riduce la Terra a semplice pianeta e la fa girare. E’ il frutto, ponderoso e di non facile lettura, di un lavoro avviato più di trent’anni prima. L’autore è Niccolò Copernico (1473-1543), matematico e astronomo polacco (o tedesco?). Completato nel 1532, il libro è rimasto nel cassetto. Copernico ne ha comunicato i clamorosi contenuti ad amici e studiosi (anche il papa Clemente VII n’è stato informato nel 1533), ma ha esitato a pubblicarlo e ha continuato a lavorarci su. Lo pubblica, su pressione di amici, solo in prossimità della morte. Nei secoli, il sistema tolemaico, già molto complesso in origine, si è sempre più complicato. La complessità tolemaica si fa sentire pesantemente anche sui lavori di riforma del calendario. Le difficoltà insuperabili della riforma del calendario, nella quale è coinvolto, e la disarmonia di un sistema appesantito da troppi correttivi, spingono Copernico, convinto dalla sua formazione neoplatonica e pitagorica dell’assoluta armonia dei movimenti celesti, a mettere in discussione la teoria geocentrica. Degli astronomi tolemaici e del loro ricorso a espedienti sempre più complicati (cerchi omocentrici, eccentrici, epicicli, ecc.) per aggiustare il sistema, Copernico scrive: “A loro capitò proprio come ad un artista che, prendendo da luoghi diversi mani, piedi, testa e altre membra, molto belle in sé, ma non fatte per un solo corpo, anzi per nulla tra loro corrispondenti, formasse così un mostro invece che un uomo”.[1] L’importanza del Sole nella simbologia neoplatonica, cui è molto sensibile, gli suggerisce la centralità del Sole. Lo studio del pitagorismo antico rafforza il suggerimento e lo convince a rovesciare il rapporto tra la Terra e il Sole. Lavora per decenni con calcoli matematici alla nuova ipotesi ed elabora un nuovo sistema. Per vincere le forti resistenze della tradizione tolemaica, configura, secondo lo spirito rinascimentale, la novità rivoluzionaria come un ritorno alla sapienza antica. Per vincere le resistenze del senso comune si serve di elementari esperienze di relatività ottica: quando parte una nave, chi è a bordo ha l’impressione che sia la riva e non la nave a muoversi; “quando una nave naviga senza scosse, i navigatori vedono muoversi a immagine del suo movimento tutte le cose esterne e inversamente essi credono di essere fermi rispetto a tutto quello che è con loro”.[2] “Copernico non è ancora in grado di avanzare ragioni fisiche del moto della Terra (per questo bisognerà attendere Newton), ma solo argomentazioni di carattere estetico e religioso: il mondo da lui raffigurato risulta, per la sua armonia e semplicità, più degno della sapienza divina che non il mondo geocentrico di Tolomeo”.[3] Copernico dedica l’opera rivoluzionaria al papa Paolo III, già a conoscenza del contenuto. Pensa di trovare in lui un autorevole sostegno contro gli avversari. Copernico, però, è malato e della pubblicazione si cura Andrea Osiander, un teologo convertito al luteranesimo che, già nel 1540, aveva proposto a Copernico di presentare la sua teoria come un semplice strumento di calcolo, privo di ogni valore di verità sull’ordine reale delle cose.[4] Osiander tenta di salvare capra e cavoli: la natura solo ipotetica del copernicanesimo non offende la fede nella verità biblica e lascia intatta l’utilità di calcoli matematici molto importanti per la riforma del calendario. Ma la reazione dei paladini della verità biblica è già scattata. Lutero, già nel 1539, venuto a conoscenza del lavoro di Copernico, scrive, senza nominarlo, di un astronomo “nuovo” che ha voluto dimostrare “che la terra si muove e va in giro”. E aggiunge: “Il folle vuole sconvolgere tutta la scienza dell’astronomia, ma, come la Sacra Scrittura mostra, fu al Sole e non alla Terra che Giosuè ordinò di fermarsi”.[5] Anche Melantone, nel 1541, afferma che è assurdo il tentativo di un “Sarmaticus Astronomus” di muovere la terra e di fermare il sole e che un governo saggio non dovrebbe permettere la diffusione di tali idee.[6] Copernico sa di esporre il suo lavoro ad ampia e profonda ostilità. Nella dedica al papa ricorda la prudenza dei Pitagorici che “erano soliti affidare i misteri filosofici solo a parenti ed amici … perché cose bellissime e ricercate con molto zelo da grandi uomini non andassero sciupate fra le mani di quelli che o non intendono occuparsi di cultura se non per lucro o … per ottusità d’ingegno vivono tra i filosofi come fuchi tra le api”.[7] Ma aggiunge: “Né posso dubitare che i matematici dotti e sapienti saranno assolutamente d’accordo con me, se, come la filosofia soprattutto esige, vorranno conoscere ed esaminare non superficialmente ma a fondo le argomentazioni che nella mia opera porto a disposizione di queste cose … E se tuttavia ci saranno dei chiacchieroni i quali, pur ignorando tutte le scienze matematiche, pretendano di trinciare giudizi su di esse, in virtù di qualche brano delle Sacre Scritture, di cui abbiano malamente stravolto il senso per i loro scopi, e osino attaccare e schernire questa mia opera, non me ne curo affatto fino, anzi, a disprezzare il loro giudizio come temerario”.[8] Copernico è convinto della verità della sua teoria. E’ anche orgoglioso dei suoi meriti nei lavori di riforma del calendario. Finisce, infatti, la sua dedica al papa, scrivendo: “Sotto Leone X, quando si discuteva nel Concilio Lateranense la questione della riforma del calendario ecclesiastico, essa restò senza soluzione unicamente perché la lunghezza degli anni e dei mesi, e i moti del sole e della luna non si ritenevano ancora determinati a sufficienza. Da quel tempo, appunto, io volsi l’attenzione ad osservare con più cura quei fenomeni … Come io mi sia distinto in questa ricerca, lascio poi soprattutto al giudizio di Vostra Santità e anche a quello di tutti gli altri dottori matematici. E perché non sembri a Vostra Santità che io prometta, sull’utilità di quest’opera, più di quanto possa effettivamente dare, passo direttamente all’argomento”.[9] Con il geocentrismo la riforma del calendario restava inceppata, con l’eliocentrismo si sblocca. La nuova teoria è utile perché vera. Non è solo un‘ipotesi matematica che facilita i calcoli. L’Osiander fa però stampare, di sua iniziativa e quando ormai Copernico non può più impedirlo, sul verso del frontespizio, un’avvertenza anonima, “Al lettore sulle ipotesi di quest’opera”, per precisare che “non è necessario che quelle ipotesi siano vere, anzi neppure che siano verosimili, ma basta solo che mostrino il calcolo in armonia con i fenomeni osservati … Né alcuno si aspetti dall’astronomia nulla di certo riguardo le ipotesi, non potendolo essa affatto mostrare, affinché prendendo per vere cose escogitate per un fine diverso, non si allontani da questo studio più ignorante di quando vi si accostò”.[10] L’operazione riduttiva non attenua la reazione protestante. In campo cattolico, invece, l’interesse delle alte gerarchie alla riforma del calendario e la tradizionale tendenza all’interpretazione allegorica della Bibbia smorzano le opposizioni e l’operazione di Osiander aiuta la teoria eliocentrica a penetrare mascherata, come un cavallo di Troia, in un mondo di certezze antiche e profonde e salva il libro dalla messa all’Indice fino al 1616. Nel 1582 Gregorio XIII incassa gli utili dell’ipotesi eliocentrica e vara la riforma del calendario. Nel 1584 Giordano Bruno pubblica a Londra La cena de le ceneri, in cui strappa la maschera di Osiander: “E’ certo che il Copernico ha inteso come la disse, e con tutto il sforzo la provò … Al Copernico non ha bastato dire solamente che la terra si muove; ma ancora protesta e conferma quello, scrivendo al Papa, e dicendo che le opinioni dei filosofi son molto lontane da quelle del volgo, indegne d’esser seguitate, degnissime d’esser fuggite, come contrarie al vero e dirittura”. La premessa di Osiander, “certa Epistola supeliminare attaccata non so da chi asino ignorante e presuntuoso”, è per Bruno smentita a chiare lettere dalla dedica dell’opera al Papa.[11] Per Bruno non si può usare la Bibbia contro Copernico: nelle Scritture Dio parla agli uomini per ordinare la loro vita morale, non per insegnare l’astronomia ai sapienti, e, per farsi capire, usa il linguaggio popolare e si adegua alla cultura popolare.[12] Bruno inserisce il copernicanesimo nel suo mondo infinito, senza confini e senza centro, e così ne esalta la carica eversiva. Il 17 febbraio 1600 Giordano Bruno finisce sul rogo, ma il copernicanesimo non è stato all’origine del suo arresto veneziano del 1592. Nella denuncia di Mocenigo tra le tante eresie indicate c’è la teoria “che sono infiniti mondi, e che Dio ne fa infiniti continuamente”, ma non il movimento della Terra.[13] Questo, però, compare come quinta tra le otto censure del 1997.[14] All’Inquisizione romana è arrivato Roberto Bellarmino e comincia la lotta della Chiesa contro la verità del copernicanesimo. Intanto Keplero (1571-1630) perfeziona il sistema copernicano. “Keplero era un grande astronomo e un grande matematico, ma anche un appassionato astrologo e un mistico, vicino ai neoplatonici, dei quali condivideva l’entusiasmo per la simbologia solare. Se egli abbraccia con slancio la teoria copernicana è proprio per la posizione centrale che Copernico assegna al Sole: per Keplero, il Sole è il simbolo della prima persona della Trinità, «l’abitacolo di Dio Padre», e per questa ragione egli ritiene che gli spetti di diritto il posto centrale nell’universo, l’unico che si addica alla sua dignità. Nella centralità del Sole e nella posizione decentrata della Terra Keplero non vede una svalutazione dell’uomo e un ostacolo a pensare che egli sia il fine per cui tutte le cose sono state fatte: anche se non occupa più fisicamente il centro dell’universo, anche se non gli spetta quel «trono regale», è lui a fruire della luce e del calore del Sole. Inoltre, dopo il Sole, non vi è globo più nobile e adatto all’uomo della Terra: essa è posta al centro dei globi primari, si trova in una posizione di privilegio rispetto agli altri pianeti, quella che, secondo Keplero, meglio consente all’uomo la visione dell’universo”.[15] La fine del geocentrismo non compromette l’antropocentrismo. Servendosi dell’ellisse invece che di circoli combinati in modo sempre più complesso riesce a realizzare un sistema planetario dei cui movimenti individua le tre leggi che portano il suo nome. Promuove l’idea del mondo come di un meraviglioso orologio. Keplero vede nella regolarità meccanica e matematica del suo universo-orologio la prova sicura della trascendenza di Dio. Egli è convinto che l’idea di Dio come anima del mondo, presente in tanta filosofia del Rinascimento, sia riduttiva perché attribuisce all’opera l’onore che spetta al suo Creatore. Trova più onorevole e più degna di Dio l’idea nuova di un Dio orologiaio e ingegnere. L’universo perde l’anima. Il divino viene messo al di sopra, ma anche fuori del mondo, relegato nella trascendenza. L’animazione universale del naturalismo e della magia del Rinascimento si spegne. Anche la fisica di Aristotele va in crisi. La considerazione quantitativa e meccanicistica della natura s’impone come tratto distintivo della nuova scienza e le idee di sostanza e di fine incontrano serie difficoltà anche in filosofia. E’ iniziato il disincanto moderno del mondo. L’uomo non è più al centro del mondo, ma si attrezza di mezzi conoscitivi e tecnici per realizzarne il controllo e servirsene come se fosse un meraviglioso prodotto artigianale, una grande macchina, l’orologio di Dio. Pitagora e Prometeo si sono incontrati e muovono insieme alla conquista del mondo. Con Galileo lo scontro sulla verità del copernicanesimo esplode. Nel 1615 Antonio Foscarini, un padre carmelitano, pubblica a Roma un’opera in difesa del copernicanesimo. Roberto Bellarmino, l’inquisitore più colto del processo a Giordano Bruno, gli scrive il 12 aprile 1615, chiamando in causa anche Galileo: «Primo, dico che V. P. et il Sig.r Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ex suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire, che supposto che la Terra si muova e il Sole sia fermo si salvano tutte le apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al mathematico: ma volere affermare che realmente il Sole stia nel centro del mondo e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall'oriente all'occidente, e che la Terra stia nel 3° cielo e giri con somma velocità intorno al Sole, è cosa molto pericolosa non solo d'irritare i filosofi e theologici scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante». Come Osiander! E, come Copernico, Galileo respinge il consiglio. L’anno dopo il libro di Copernico finisce all’Indice e l’Inquisizione ammonisce Galileo ad abbandonare la teoria copernicana, a non insegnarla e a non difenderla. Nel 1633 Galileo evita il rogo con l’abiura e finisce i suoi anni in condizioni molto penose di carcere domiciliare. Con lui la nuova scienza acquista sicura autonomia metodologica. Tuttavia, è ancora una metafisica di tradizione pitagorica e platonica a fondare la sua validità: la scienza è vera perché si serve della matematica, la lingua della creazione divina e, quindi, il codice per decifrare la natura e dominarla. [1] N. Copernico, Opera, Utet, Torino 1979, p. 172, dedica al papa Paolo III. [2] Ibidem, libro I, pp. 199-200. [3] F. de Luise, G. Farinetti, Lezioni di storia della filosofia B, Zanichelli 2010, p. 81. [4] N. Copernico, Opera, Utet, Torino 1979, p. 157-8, prefazione di F. Barone. [5] Ibidem, p. 159 nota 4. [6] Ibidem, p. 159 nota 4. [7] Ibidem, p. 169. [8] Ibidem, p. 176. [9] Ibidem, p. 177-178. [10] Ibidem, p. 165-167. [11] La cena de le Ceneri, terzo dialogo, in Opere Italiane 1, Utet 2002, pp. 491-493. [12] Ibidem, inizio del quarto dialogo, p. 522 e seg. [13] Luigi Firpo, Il processo di Giordano Bruno, Salerno editrice 1993, p. 143. [14] Ibidem, pag. 82: La successiva censura “circa motum terrae” colpiva l’entusiastica adesione all’ipotesi copernicana palesata dal Bruno nella Cena delle Ceneri. Lo scarno sommario già aduna in compendio i motivi antitetici che cozzarono quattro e sette lustri più tardi nei processi di Galileo: con tono spiccatamente fermo e sicuro asserì il Bruno di aver dimostrato “il modo e la causa del moto della terra e della immobilità del firmamento” con “raggioni e autorità, le quali sono certe e non pregiudicano l’autorità della divina scrittura, come ognuno ch’ha buona intelligenza dell’una e dell’altra sarà sforzato anco al fine di ammettere e concedere”. Gli furono allora citati i versetti biblici che parevano contraddirle, ma egli fu pronto a spiegare il Terra autem in aeternum stat di Eccle. I, 4, rilevando che l’accento va posto sull’eternità, non già sull’immobilità del nostro mondo; quanto al sol oritur et occidit del versetto seguente, seppe prontamente ribattere richiamandosi al moto solare apparente ed all’uso del linguaggio quotidiano, enunciando così la spiegazione che concilia realtà naturale e infallibilità scritturale e che la Chiesa stessa ha poi fatta sua. Con uguale lucidità, obbiettandogli i giudici la contrastante autorità dei S. Padri, egli ribatté che la sua tesi non contraddiceva ad essi “in quanto sono santi, buoni ed esemplari, ma in quanto che sono meno de’ filosofi prattichi e meno attenti alle cose della natura”. [15] F. de Luise, G. Farinetti, Lezioni di storia della filosofia B, Zanichelli 2010, p. 82. Fonte: ANNO ACCADEMICO 2010-11 - UNIVERSITA’ POPOLARE DI TORINO Giuseppe Bailone ha pubblicato Il Facchiotami, CRT Pistoia 1999. Nel 2006 ha pubblicato Viaggio nella filosofia europea, ed. Alpina, Torino. Nel 2009 ha pubblicato, nei Quaderni della Fondazione Università Popolare di Torino, Viaggio nella filosofia, La Filosofia greca. Due dialoghi. I panni di Dio – Socrate e il filosofo della caverna (pdf) Plotino (pdf) |
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