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(it) Contropotere n.3 : I TRIPS e le piante alimentari

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Date Fri, 19 Jul 2002 06:50:07 -0400 (EDT)


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Contropotere - giornale anarchico
Numero 3 - Luglio/Agosto 2002 - Anno 1



I TRIPS e le piante alimentari


Pochi sanno (perché se ne parla poco e male) che l'uso delle
piante medicinali o delle piante alimentari da parte dei popoli
"di natura" viene oggi seriamente minacciato dall'accordo,
all'interno del WTO (World Trade Organization) sui Diritti di
Proprietà Intellettuale (Ipr). Gli accordi sono definiti TRIPS
(Trade Related Intellectual Property) e riguardano l'estensione
su scala planetaria di un'invenzione prettamente americana: il
brevetto, con i relativi diritti legali e commerciali (la
cosiddetta "proprietà intellettuale"). Un ufficio brevetti
(Patent Office) negli U.S.A. esisteva già nel 1839, ma è solo
nel 1980, con la sentenza Chakrabarty della Corte Suprema
americana, che si è arrivati a brevettare un organismo vivente.
Da allora, la rincorsa alle biotecnologie è stata praticamente
inarrestabile e ha coinvolto anche i paesi europei, che hanno
subito emanato una direttiva per la brevettabilità delle
invenzioni biotecnologiche (98/44).

Un tipico esempio degli effetti nefasti della privatizzazione di
un certo know-how biologico sull'economia dei popoli del Terzo
Mondo è rappresentato dai semi Terminator prodotti dalla
Monsanto, caratterizzati dalla non-riproducibilità naturale: i
contadini sono costretti a ricomprare ogni anno le sementi dalla
multinazionale americana, indebitandosi gravemente e arrivando
spesso a dovere vendere le proprie terre. 

Per quanto riguarda le piante medicinali, la situazione non è
certamente migliore. Poco importa, infatti, alle compagnie
americane se i popoli ricchi in biodiversità hanno da sempre
conosciuto e praticato le proprietà benefiche di una certa
specie vegetale (o animale), insieme ai procedimenti di
estrazione e preparazione. Basta che una multinazionale delle
biotecnologie sguinzagli un suo bio-prospector sulle orme del
rimedio tradizionale, allettando fraudolentemente la popolazione
locale con promesse di facili guadagni (che non verranno mai),
perché lo sciamano di turno ceda le proprie conoscenze in merito
all'estrazione, alla preparazione o all'assunzione di un
determinato fitoterapico. Da quel momento, il gioco è fatto:
basta far registrare il brevetto (che per gli accordi WTO ha una
validità di 20 anni) e le popolazione indigene dovranno pagare
salate royalties alle aziende per la produzione e
commercializzazione di quello stesso prodotto che i loro
antenati usavano già da tempi immemorabili. A nulla varranno i
tentativi dei rispettivi Stati di bloccare con leggi nazionali
tale "libero" investimento di un'azienda straniera: se
denunciati al WTO, questi Stati saranno passibili di sanzioni
economiche consistenti, per avere ostacolato il rispetto della
proprietà intellettuale.

Facciamo qualche esempio. Nel 1997 il Parlamento thailandese
approva una legge per la tutela del patrimonio farmacologico
tradizionale di fronte all'aggressività delle multinazionali
straniere. La legge prevede un albo dei guaritori e dei rimedi
naturali anche a base di erbe, in modo da mettere le compagnie
di fronte al fatto compiuto di una registrazione con validità
legale precedente a ogni forma di brevetto. Tale legge si era
resa necessaria in Thailandia, vista la precedente controversia
con una società giapponese che aveva brevettato l'uso del plao
noi, pianta con proprietà anti-ulcerative. Appena presentata la
proposta di legge, il Dipartimento di Stato degli U.S.A. manda
una lettera di protesta con richiesta di spiegazioni al governo
Thailandese su presunte violazioni dei Trips. Nel maggio 1997,
una lettera di risposta da parte di numerose Ong ambientaliste è
indirizzata a M. Albright per difendere il diritto dei
Thailandesi a tutelarsi dall'ingerenza americana. A tutt'oggi,
la legge continua il suo iter in Parlamento, nonostante le
minacce degli U.S.A. di ricorrere alle sanzioni del WTO. Un
altro esempio può essere quello dell'albero indiano detto neem,
conosciuto sin dai tempi più antichi per le sue proprietà
curative di acne e ulcere e usato tra l'altro per la pulizia dei
denti e come pesticida biologico. Presso le comunità indiane,
questa pianta è conosciuta col nome significativo di "farmacia
del villaggio": le si riconoscono proprietà antipiretiche,
antielmintiche, antisettiche, astringenti, anti-infiammatorie e
tonico-amare. I procedimenti di estrazione e preparazione sono
piuttosto complessi, ma alla società americana W. R. Grace
Company nel 1971 è bastato modificare leggermente tali
procedimenti per ottenere l'esclusiva su di un pesticida
ricavato dal neem. In effetti, la modificazione introdotta dalla
compagnia è minima rispetto alle tecniche indigene e per questo
motivo più di 200 Ong hanno intrapreso nel 1995 una campagna per
difendere i diritti degli Indiani a usare l'albero senza pagare.
E' prevedibile che la W. R. Grace farà appello agli organismi
del WTO per denunciare l'opposizione delle popolazioni autoctone
dell'India a quello che essa considera un suo sacrosanto diritto.

Il tentativo di appropriarsi delle risorse biologiche di altri
paesi ha portato alcuni a parlare di vera e propria
"biopirateria". Tale furto legalizzato dal WTO ha come base
l'evidente sproporzione tra la ricchezza di specie dei paesi del
Sudamerica, dell'Africa e dell'Asia e la povertà dei paesi
occidentali. La maggior parte delle piante agronomiche e
medicinali di una certa importanza, infatti, sono state
storicamente importate negli U.S.A., data la sua endemica
scarsezza di risorse biologiche autonome (il solo girasole è una
specie autoctona di una certa rilevanza).

Già negli anni '90 del secolo scorso, quasi la metà dei farmaci
convenzionali prodotti in Occidente erano derivati da sostanze
naturali o dai loro derivati sintetici. Senza calcolare i rimedi
cosiddetti non-convenzionali, una recente ricerca negli U.S.A.
ha dimostrato che il 100% dei medicinali dermatologici, il 76 %
di quelli per problemi respiratori e allergici, il 76% degli
antibiotici e il 75% dei generici e degli analgesici derivano da
sostanze naturali, in maniera diretta o indiretta. Per citare
solo alcuni dei fronti della ricerca farmacologica contemporanea
nei paesi suddetti ad opera delle multinazionali, basti pensare
ad anti-coagulanti come l'Hirudin e il Refludan ricavati da
alcune specie di sanguisughe esotiche; alla draculina ricavato
da alcune varietà di pipistrello africano; a ipotensivi come il
tirofiban derivante dal veleno di una vipera asiatica e al
bradykinin, ricavato dalla vipera brasiliana detta Jararacussu;
a potenti analgesici come l'epibatidina e l'ABT-594, derivati
dalle rane colombiane o al ziconotide ricavato da un gasteropode
delle Filippine, entrambi parecchie volte più potenti della
morfina; ad alcuni tipi di anestetico prodotti a partire dal
curaro; al farmaco anti-HIV NIM811, realizzato coi principi
attivi del fungo esotico Cordyceps (una cui varietà scandinava
produce anche la ciclosporina); alla chinidina, potente
antiaritmico derivante dalla Conchona (la pianta del chinino
antimalarico). Tutti questi medicinali sono registrati
regolarmente come brevetti cui corrispondono diritti legali e
commerciali, senza che alle popolazioni native sia giunta se non
una parte irrisoria (nel migliore dei casi) dei profitti
realizzati dalle multinazionali. I fenomeni di "biopirateria"
sono aggravati dalla facilità o dall'ingenuità con cui sciamani
e curanderos cedono i segreti curativi della natura, in
un'ottica di condivisione con l'uomo bianco dei benefici della
stessa. Di fronte a questo scempio, le Ong e i movimenti
no-global stanno lentamente assumendo consapevolezza e stanno
organizzando campagne di informazione e boicottaggio.

Aspetti problematici di tale lotta sono anche i costi proibitivi
dei brevetti: da una ricerca recente, pare che per brevettare
l'uso di una pianta medicinale della Namibia in 52 paesi ci
vorrebbero circa 500.000 dollari annui, più le eventuali spese
di copertura legale per difendere i diritti in tribunale. Si
tratta, naturalmente, di costi esorbitanti per le comunità
povere di quel paese.

In un momento storico in cui la biodiversità del pianeta è
seriamente minacciata, come anche la sopravvivenza dei popoli
"di natura" che conoscono i rimedi terapeutici della foresta, le
multinazionali cercano di appropriarsi di quello che resta delle
risorse biologiche di paesi già sfruttati economicamente. Il
loro obiettivo è estendere il controllo totale dell'economia
sulla materia vivente, rendendola, come i semi della Monsanto,
una cosa morta, inerte, una mera merce tra tante altre. A nostro
avviso, è compito preciso di ogni persona seriamente interessata
a un uso rispettoso e il più possibile sociale delle risorse del
mondo naturale denunciare e contrastare in ogni modo possibile
questa tipica barbarie del XXI secolo.

Marco Nieli



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