BIOLOGIA E CULTURA |
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TRA EGOISMO E ALTRUISMODue escursionisti al Parco d’Abruzzo si imbattono inaspettatamente in un orsa che porta a spasso i suoi due cuccioli: dopo un momento di smarrimento e di sorpresa mamma orsa sente che i propri piccoli sono in pericolo e con senso di abnegazione si dirige minacciosa verso i due malcapitati, che, colti dal panico, si danno a precipitosa fuga; l’orsa, resa baldanzosa da una siffatta reazione, pensa di dare un avvertimento più sostanziale ai due intrusi: magari un morso ben assestato in qualche calcagno servirebbe a tenere lontano, in futuro, tali ospiti indesiderati. Inizia l’inseguimento che vede i due escursionisti cercare di mettere più spazio possibile tra loro e l’orsa; ad un tratto uno dei due si ferma, cerca affannosamente nello zaino le sue scarpe da corsa e li calza precipitosamente. “Non spererai di correre più veloce dell’orsa solo perché hai quelle scarpe” gli grida l’amico trafelato; “no, ma a me basta correre soltanto qualche metro davanti a te!”. Questa storiella vuole dar conto di come le strategie comportamentali si svolgono in una cornice ampia in cui costi e benefici vengono rapidamente valutati; si analizza la propria abilità nella corsa, ma si tiene conto delle eventuali persone che ci stanno intorno; con esse si può cooperare, provando ad unire le forze per contrastare il pericolo, o si opta per un comportamento egoistico se si ha l’opportunità di togliersi dai guai lasciando agli altri tutti i rischi dell’impresa. Naturalmente avremmo potuto fare entrare in scena l’eroe di turno che in maniera completamente disinteressata interviene per salvare i due escursionisti, frapponendosi tra loro e l’orsa, e mettendo fortemente a rischio la propria vita; ma abbiamo preferito, in questo caso, lasciare tale ruolo a mamma orsa che, senza esitare, si è gettata all’inseguimento dei due intrusi per allontanarli dai suoi piccoli. Comportamenti egoistici ed altruistici hanno dunque per protagonisti uomini e animali: ma è giusto compiere una tale commissione o occorre riservare solo agli uomini tali attribuzioni? In filosofia viene attribuita molto importanza alla distinzione tra l’agire in conformità di una regola e l’agire in conseguenza di una regola: una cosa è vidimare il biglietto perché si ha paura di essere colti in fragrante ed un’altra è farlo perché si crede che sia giusto rispettare una norma stabilita; possiamo fare sorridere gli altri senza che ce ne rendiamo conto, o sappiamo provocare il loro sorriso perché è nostra intenzione farlo; se il nostro comportamento avviene sulla base di una regola, allora noi lo classifichiamo come un agire morale. Un gruppo di elefanti si affanna ad aiutare un piccolo che, nell’allungarsi a raggiungere l’acqua con la piccola proboscide, è scivolato nella melma e rischia di affogare: dopo estenuanti tentativi da parte degli adulti, l’elefantino è tirato via dalla sponda infida ed ora, dopo una scrollata rasserenante, guadagna la foresta, minuscolo in mezzo ai suoi protettori. Un tale comportamento, non essendo associato alla consapevolezza che lo si è realizzato sulla base di una regola, quale quella che impone di aiutare i più deboli, non sarebbe frutto di un alto senso morale. Questo modo di accostarsi al tema dell’altruismo rischia di porre delle barriere invalicabili tra il sentire umano e quello degli altri animali, ma soprattutto non permette di studiare l’altruismo in chiave biologica. Cominciamo allora ad analizzare il comportamento altruistico non soffermandoci sugli stati mentali che lo accompagnano, ma chiedendoci se esso si sia potuto affermare come adattamento favorito dalla selezione naturale. Se in qualche modo possiamo verificare che questo è possibile, allora l’altruismo deve trovare espressione anche in altri animali. Da un punto di vista biologico l’altruismo può essere definito come quel comportamento che produce, in chi lo esercita, una riduzione della sua possibilità riproduttiva, e in alcuni casi della stessa sopravvivenza, a vantaggio di un aumento del numero dei discendenti prodotti nell’arco della vita da un altro individuo. Sotto questo aspetto, se chi compie l’atto altruistico condivide con il beneficiario parte del patrimonio genetico, allora tale atto può essere visto come una forma di egoismo mascherato. Se osserviamo un formicaio, ci colpisce la dedizione con cui le operaie si adoperano per allevare, proteggere ed assistere le figlie della loro regina, avendo rinunciato alla propria maternità; noi però sappiamo che il grado di legame genetico tra le operaie è altissimo, condividendo il 75% dei geni, superiore quindi a quello che normalmente unisce la madre alla propria figlia, pari al 50%; ne deriva che per un’operaia è più vantaggioso allevare le figlie della propria regina, cioè le sue sorelle, piuttosto che le proprie figlie! Moltissimi animali hanno elaborato differenti sistemi per il riconoscimento dei parenti , spesso basati su semplici regole come quella che dice “considera come parente chi condivide la tua casa” oppure “ chi ha il tuo stesso odore”. Altre forme di apparente altruismo sottendono forme di reciproco aiuto, in cui pure in assenza di gradi di parentela vi è interesse a collaborare; in tali casi il costo di dover dividere il cibo è ripagato da una migliore difesa del territorio o da una più efficace attività di caccia. Tra i pipistrelli vampiri vi è la consuetudine di rigurgitare il sangue in eccesso per offrirlo ai compagni che non hanno avuto una notte brava e che, assetati, trovano ristoro nella generosità di chi sta loro accanto. L’abitudine ad occupare sempre gli stessi dormitori fa sì che la reciprocità dei comportamenti altruistici possa essere continuamente verificata nel tempo, e che si possa sempre punire chi non ricambia al momento opportuno il pasto ricevuto. Una buona regola che ha permesso il realizzarsi dell’altruismo reciproco tra i soggetti non imparentati esige che si possano individuare e punire, allontanandoli, gli imbroglioni, cioè coloro che si appropriano dei benefici e non cooperano, ma anche che si debba perdonare chi dimostra di avere appreso la lezione e desidera di essere nuovamente reintegrato nel gruppo. La selezione naturale ci ha fornito, insieme agli altri animali, degli strumenti che permettono di individuare chi no rispetta i principi della reciprocità, e questo ha consentito all’altruismo reciproco di affermarsi. Ma c’è posto per una forma di altruismo che più si accosti ad una idea di comportamento morale, che cioè sia veramente disinteressato? Sembrerebbe che la natura egoista dei nostri geni tenda ad occupare qualsiasi spazio in cui possa albergare l’altruismo, condannandoci ad un individualismo che ha come sole finestre aperte verso gli altri l’aiuto rivolto ai parenti e la disponibilità al favore da ricambiare. In questo quadro moralmente poco esaltante la selezione sessuale ha aperto una finestra verso l’altruismo al cui confronto quello che è dato dalla selezione naturale sta nell’ordine di grandezza di un oblò di una nave mercantile rispetto alle vetrate del salone dei ricevimenti di un transatlantico. Per cercare di comprendere come ciò sia accaduto è importante guardare al gesto altruista non tanto valutando quanti vantaggi si siano dati agli altri, ma a quali costi questo si sia fatto e perché la selezione sessuale abbia favorito tali comportamenti. Dobbiamo chiederci perché nei confronti dei propri simili assumiamo talora un atteggiamento generoso e premuroso invece che indifferente o neutrale. La risposta va probabilmente cercata negli indicatori della fitness, nel bisogno cioè che ciascun essere vivente, che si riproduce sessualmente, ha di rilevare ai propri potenziali partner la bontà dei suoi geni: succede allora che tra gli organismi a maggiore complessità mentale, e in primo luogo tra gli uomini, la generosità, la prodigalità, l’agire in maniera disinteressata siano doti che parlano un linguaggio gradito all’altro sesso e che, proprio per questi aspetti, chi ne è portatore venga preferito e quindi scelto tra gli altri, rendendo così possibile la cernita e l’affermazione di quei geni che sottendono tali caratteri, squisitamente altruistici. Potremmo in qualche modo pensare che sotto la spinta della selezione sessuale la morale umana possa essersi originata come un abbellimento della mente, una coda di pavone che ci ha portato anche molto lontano dai nostri cugini primati. In molte società umane, purtroppo, gli aspetti connessi alla vita sessuale sono fortemente repressi in nome di una presunta moralità che solo da tale repressione trarrebbe beneficio; le donne sono mutilate, imprigionate in stracci che le nascondono le forme e le mascherano il viso. Il mondo biologico ci rivela invece che i nostri atteggiamenti morali più elevati traggono origine e si esaltano proprio da quegli aspetti della sessualità che taluni vorrebbero reprimere , forse perché temono proprio quello che apparentemente dicono di voler difendere: la dignità umana! Centro D’Italia (marzo 2004, anno II, n. 4) |
a cura diAntonio De Marco - Parco Abatino