La questione del buono scuola

PER LA RIFORMA DELLA SCUOLA
pubblica laica territoriale


LA QUESTIONE DEL BUONO SCUOLA

Come noto, le forze di centrodestra sostengono l'idea che lo Stato debba riconoscere un buono scuola ad ogni studente, una sorta di titolo annuale, non negoziabile e non tassabile, utilizzabile presso una qualunque scuola privata.

Il suo ammontare unitario dovrebbe essere fissato ogni anno sulla base del costo per alunno stabilito attraverso una media nazionale determinata statisticamente.

A tutt'oggi la spesa statale globale per ogni studente, inclusi i costi degli EE.LL. e ovviamente gli stipendi degli insegnanti (che costituiscono il 98% dell'intero bilancio del Ministero P.I.), si aggira sugli otto milioni annui.

Tale proposta, anche a prescindere dall'effettivo importo che si vorrebbe fosse riconosciuto alle famiglie (i pareri infatti sono discordi), ha come unico scopo, secondo me, quello di potenziare la scuola privata, che si vuol far passare, surrettiziamente, per "pubblica", ovvero quello di venire incontro alle esigenze di un ceto relativamente benestante che, volendo mandare i propri figli presso scuole non statali, desidera spendere il meno possibile.

Infatti, il centrodestra, pur chiedendo formalmente il diritto a che i cittadini si paghino le scuole che desiderano, di fatto chiede soltanto di redistribuire gli stanziamenti complessivi che lo Stato destina all'istruzione pubblica.

Questo perché la destra concepisce la famiglia (benestante), o meglio l'individuo singolo (affarista e naturalmente evasore fiscale), in antitesi allo Stato "sprecone e inefficiente", il quale però, per tutte le altre famiglie, per tutti gli altri individui "non darwiniani", si ritiene possa continuare ad esistere così com'è.

La conferma di questo atteggiamento è data proprio dal fatto che la destra non chiede tanto che la famiglia possa dedurre dalla denuncia dei redditi la quota-parte di spese sostenute per l'istruzione privata dei propri figli, quanto piuttosto che il bonus venga estrapolato dal costo medio dello studente, sostenuto dalla collettività nazionale.

Questo in sostanza significa due cose: 1) stornare fondi pubblici verso un fine privato; 2) conservare l'attuale situazione di evasione-elusione fiscale.

Non solo, ma la destra dà per scontato che, nonostante le redistribuzione, le famiglie che mandano i figli nelle scuole private, ben sapendo dei limiti finanziari del bonus, dovranno comunque integrare, di tasca propria, le rette dei singoli istituti.

Questo in sostanza significa altre due cose: 1) non avere alcun interesse a una riforma complessiva del sistema scolastico nazionale, salvaguardandone il suo carattere "pubblico" (che oggi, è vero, purtroppo, coincide con quello "statale"); 2) fare della scuola statale una scuola per famiglie di seconda categoria.

L'inganno in definitiva consiste in questo, che la destra, opponendosi a un'equa riforma fiscale, permetterà, se la proposta del bonus diverrà legge, che la scuola privata non solo continui a essere frequentata dalle famiglie più abbienti, in grado di integrare le rette, ma anche che ciò avvenga a spese della collettività che non si riconosce nei loro modelli culturali di vita.

Per tali ragioni, secondo me più che di "bonus" bisognerebbe parlare di "accantonamento", cioè di una quota delle tasse di tutti i cittadini, che restando in loco, dovrebbe servire a finanziare le scuole che le famiglie desiderano.

Attualmente tutti i cittadini (si fa per dire) pagano in misura proporzionale al reddito le tasse allo Stato, il quale ne rimanda indietro una parte per finanziare le sue scuole.

In via di principio scuole di Regioni avanzate e analoghe scuole di Regioni arretrate dovrebbero ricevere gli stessi fondi. Poi ovviamente le prime riescono a strappare qualcosina di più al loro territorio locale sulla base di progetti specifici...

Conclusione? Le scuole che potrebbero fare molto, perché vivono in un contesto sociale avanzato, riescono a fare ben poco, mentre le altre non riescono a migliorare granché. Infatti in 130 anni di scuola statale, l'analfabetismo al sud è ancora elevato, il valore dei titoli di studio è piuttosto basso, ecc. ecc.

Se il cittadino locale sapesse, prima ancora di pagare le tasse, che le scuole del suo territorio saranno tanto più efficienti quanto più egli contribuirà a sostenerle finanziariamente (ovviamente non basta solo questo), forse pagherebbe le tasse più volentieri.

Oggi invece l'evasione è fortissima, perché il cittadino ha la netta impressione che le sue tasse vadano a finire in un pozzo senza fondo, in mano a gente incapace di gestirle.

Se lo Stato ci facesse sapere *prima*, in dettaglio, dove vanno a finire i nostri soldi e ci desse la possibilità di controllare come vengono spesi, noi tutti pagheremmo le tasse con meno intenzioni di evaderle (anzi, forse in caso di necessità saremmo disposti a pagare anche più del dovuto, senza per questo sentirci indotti ad aumentare il costo dei beni o dei servizi che produciamo).

Ora, siccome lo Stato ha avuto tempo sufficiente per sanare certi squilibri territoriali e, per mancanza di volontà politica, non è riuscito a fare granché, bisogna cominciare a difendersi, altrimenti nel vortice ci finiamo tutti...

Che cos'è dunque l'accantonamento? L'accantonamento, secondo me, dovrebbe essere deciso nel momento stesso in cui tutti i cittadini pagano le tasse allo Stato: una quota-parte di esse dovrebbe essere tolta dalle tasse e riposta in casse locali (Provveditorato agli studi o meglio Distretto), per finanziare le scuole locali (del Comune o della Provincia), di modo che allo Stato arriverebbero meno tasse. La quota dovrebbe coprire tutte le spese dell'istruzione, inclusi gli stipendi degli insegnanti.

Naturalmente a livello locale una scuola autonoma può anche essere divisa per categorie confessionali (religiose, ideologiche...). Non importa. L'importante è che la redistribuzione della quota avvenga in proporzione al numero degli iscritti di ogni singolo Istituto, facendo bene attenzione a che i soldi di una famiglia credente in una determinata religione, non finiscano col finanziare scuole di diversa confessione. Non ha infatti senso che le tasse di un cittadino cattolico, il quale vuole per suo figlio una scuola specifica, di tendenza, vadano a finanziare la scuola di un cittadino geovista o avventista, che vuole una scuola analoga. Se non facciamo un censimento locale per sapere quanti cattolici, geovisti, avventisti... vogliono una scuola confessionale, come potremo ripartire i fondi senza compiere ingiustizie?

I cittadini che non hanno figli da mandare a scuola dovranno comunque pagare le relative tasse, perché la scuola è un *bene sociale* di tutta la collettività, di cui non si può fare a meno. Se la scuola sforna degli studenti con ottime capacità democratiche, ne trarrà vantaggio l'intera società.

Semmai il problema è: questi cittadini devono pretendere che le loro tasse vadano a finanziare le scuole che preferiscono, oppure la distribuzione delle risorse deve avvenire a prescindere da una esplicita dichiarazione di indirizzamento?

Nel primo caso può anche accadere che certe scuole non possano essere finanziate per mancanza di risorse sufficienti; nel secondo caso può accadere che certe scuole si reggano in piedi anche quando la loro richiesta, da parte dell'utenza, è minima. Si tratta di scegliere.

L'importante è permettere ai cittadini di associarsi per poter finanziare con le loro tasse le loro scuole. In questa maniera si potrebbe rispondere affermativamente alla seguente domanda (cosa che invece con la proposta del buono scuola non si riesce a fare): "E' possibile che una qualunque famiglia, con un qualunque reddito, possa scegliere per il proprio figlio una scuola conforme ai suoi principi di vita?"

Se chi sostiene la teoria del "bonus" non è in grado di garantire questa opportunità, e se l'idea di una scuola locale appare improponibile, allora è meglio continuare a puntare sulla scuola statale, cercando di venire incontro alla cultura, alla religione, ai valori che caratterizzano determinati gruppi sociali (che con l'immigrazione, peraltro, aumentano sempre più).


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Formazione
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Aggiornamento: 10/02/2019