LA GRECIA TRA ORIENTE E OCCIDENTE
Storia ed evoluzione della Grecia classica


2- Il periodo dell'egemonia spartana (404 - 371)

Gli anni del predominio spartano (circa una trentina) furono anni caratterizzati da una grande incertezza politica: Sparta difatti, non aveva - come si è già detto - né i mezzi materiali né quelli morali e politici, per tenere insieme una compagine di stati quale quelli della Grecia continentale.

In tale periodo perciò, si assisté a una recrudescenza degli antichi conflitti intestini (spesso patrocinati, come si vedrà, dalla vicina potenza persiana), un fenomeno che avrebbe peraltro preparato il terreno ad una nuova egemonia - quella tebana e beotica - ancora più debole della prima : ciò che avrebbe infine decretato, sotto l'azione di un potente sovrano macedone (Filippo II), la definitiva perdita d'indipendenza delle poleis greche.

- Il debole dominio spartano e il rapporto con la Persia

Qui avanti analizzeremo, da una parte, le 'tecniche' di dominio utilizzate da Sparta (e, con ciò, anche le loro molte debolezze…) negli anni del proprio predominio, e dall'altra il tormentato rapporto che tale città - e, indirettamente, tutta la Grecia - intrattenne con la Persia: uno Stato col quale essa si era, per così dire, 'indebitata' negli ultimi anni del conflitto contro la Lega ateniese.

Solo la comprensione di questi elementi difatti, rende possibile intendere la situazione che seguì al conflitto peloponnesiaco, e i suoi successivi sviluppi.

(a) Le basi dell'egemonia spartana

Il principale strumento di dominio di Sparta nei confronti degli altri stati greci negli anni della propria egemonia fu - secondo una tecnica, del resto, già usata ai tempi della Pentecontaetia (il cinquantennio di relativa pace interna, che aveva preceduto il vero e proprio conflitto peloponnesiaco) - l'alleanza e l'appoggio strategico dato ai poteri oligarchici locali. In tale periodo infatti, Sparta impose praticamente ovunque la soluzione oligarchica come metodo di governo. E difese tale soluzione instaurando dei presidi militari composti da spartani e da soldati di altre città del Peloponneso (sue più antiche e fedeli alleate), al cui capo si poneva un ufficiale chiamato armosto, cui era appunto assegnato il compito di vigilare sull'ordine interno di tali città.

Ma una tale soluzione era già per se stessa un chiaro segno della debolezza della supremazia degli Spartani sul resto della Grecia. Era questo difatti, l'unico possibile escamotage di dominio, per una città già costretta ad una strenua difesa dei propri territori, e nella quale inoltre sempre minore diveniva coll'andar del tempo il numero dei liberi cittadini (gli Spartiati), decimati non solo dalle guerre, ma anche molto spesso dalla povertà. [1]

La grave carenza quindi di individui abili ad esercitare concretamente un'azione di dominio, ma anche il rancore suscitato dall'instaurazione forzata di dominazioni già rifiutate (in tempi di libertà) dalle libere cittadinanze e dall'epurazione di personalità politiche scomode in quanto ostili a un assetto di potere oligarchico (due fattori, questi ultimi, già analizzati a proposito di Atene nel precedente paragrafo): erano questi, in sostanza, i motivi più profondi della debolezza della supremazia spartana sul resto della Grecia. Alla carenza di mezzi materiali, si aggiungeva quindi quella di mezzi 'spirituali'. Troppo spesso infatti Sparta si dimostrava incapace di suscitare un vero consenso politico nelle popolazioni assoggettate, e in particolare in quelle - la maggior parte - di recente sottomissione, con cui essa non aveva praticamente mai intrattenuto degli stretti rapporti economici, politici e culturali.

A ciò si aggiunga infine, il fatto che una delle ragioni per cui molte città-stato avevano defezionato dalla Lega marittima ateniese era stata la speranza - in gran parte alimentata proprio da Sparta, sulla base del principio dell'autonomia locale contro eccessive ingerenze esterne - di un trattamento fiscale più favorevole da parte della nuova dominatrice : promessa che invece nei fatti non era stata mantenuta.

Si può facilmente intuire quindi l'alto grado di insofferenza delle varie poleis greche nei confronti del nuovo dominio spartano.

(b) Rapporti di Sparta (e della Grecia) con la Persia

Un altro essenziale punto di insicurezza poi, era costituito dai difficili rapporti di Sparta con la vicina potenza persiana.

Sparta difatti - come si ricorderà - aveva stretto con questa un'intesa volta a ottenere un aiuto militare e finanziario contro la propria rivale. Tuttavia, già alcuni anni dopo il conflitto, i patti stipulati non avevano ancora trovato una piena attuazione: soprattutto, le città greche della costa ionica non erano ancora (quantomeno del tutto) ritornate sotto il giogo persiano.

Era quindi del tutto naturale che, tra le due potenze, i rapporti fossero ora estremamente tesi - una situazione dalla quale ovviamente non avrebbe potuto nascere nulla di buono!

Fu in una tale situazione, che presero vita gli eventi che descriveremo qui di seguito: eventi che si conclusero con la cosiddetta 'Pace del Re' del 386: in sostanza un atto di sottomissione da parte della compagine greca all'autorità del vicino impero asiatico.

- Principali vicende del periodo dell'egemonia spartana (404 - 371)

La situazione di tensione tra i due blocchi, cui si è appena accennato, era difatti destinata a trasformarsi in guerra aperta a causa dell'ingerenza spartana in una delle molte lotte dinastiche interne allo stesso stato persiano: una lotta nella quale la potenza greca si era imprudentemente lasciata coinvolgere, nella speranza ovviamente di trarne dei vantaggi in un prossimo futuro.

Il vicino colosso asiatico era infatti logorato, peraltro già da alcuni decenni, da un latente stato di conflittualità interna tra le classi che se ne spartivano i territori, le quali da tempo si combattevano per la conquista dei più alti poteri dello Stato, in una contesa dalla quale - come si vedrà - non era esclusa neanche la più alta carica di esso, ovvero quella regale.

(a) La spedizione di Ciro contro Artaserse II e l'ingerenza di Sparta negli affari persiani

Anche se alla morte di Dario II (il sovrano col quale gli spartani, guidati da Lisandro, avevano stretto un'alleanza che ne aveva decretato la vittoria finale) la corona era legittimamente passata nelle mani di uno dei suoi figli, Artaserse II, il fratello di questi, Ciro, che rivendicava per sé tale titolo, aveva preparato una spedizione militare contro il rivale, presunto usurpatore.

Secondo una tradizione militare tipicamente asiatica, Ciro aveva formato un esercito misto di soldati asiatici e di mercenari greci (e ciò non solo perché il suo dominio si estendeva nella zona più occidentale dalla Persia, ma anche per la fama di questi ultimi - peraltro giustificata - di essere dei soldati estremamente valorosi), ed aveva inoltre chiesto e ottenuto la collaborazione e l'appoggio della potenza spartana per la propria impresa militare. Quest'ultima poi aveva - come si è già detto - risposto positivamente a una tale richiesta, nella speranza di poter godere a vittoria ottenuta di particolari favori da parte del nuovo sovrano persiano.

La spedizione non si era tuttavia conclusa con un successo né per i Greci né per Ciro, essendo quest'ultimo caduto sul campo di battaglia di Cunassa, vicino a Babilonia, nel 401. A ciò era seguita una ritirata precipitosa e tragica degli eserciti greci. Essi inoltre, non riuscendo mai più a ritornare in patria, si sarebbero stabiliti in Tracia, dove avrebbero trovato asilo come mercenari presso un altro sovrano spodestato, un tale Seute. [2]

Furono questi, eventi ai quali tutta la Grecia guardò con raccapriccio, e ciò sia perché vi perdeva in un solo colpo circa 13.000 dei suoi soldati, sia perché ad essi non avrebbe potuto che seguire una definitiva rottura tra Sparta - e quindi la Grecia tutta - e l'autorità persiana (rappresentata sia dal Re Artaserse, che dall'allora satrapo di Lidia, Tissaferne).

Nonostante poi Sparta cercasse immediatamente di prendere le distanze da tale impresa, la pericolosità degli stati greci, potenzialmente capaci di iniziative lesive nei confronti della Persia, era ormai divenuta a quest'ultima fin troppo chiara. Traendone quindi le logiche e inevitabili conseguenze, il Gran Re cercò negli anni successivi di indebolire la già vacillante compagine degli stati greci, nella speranza - secondo le proprie convenienze - di renderla meno temibile per i propri domini. E - come vedremo - il mezzo che egli adoperò a tale fine fu, dopo un breve periodo di scontro diretto sui mari, quello di favorire il propagarsi tra le vicine poleis greche di un diffuso stato di guerra.

(b) Le guerre intestine greche e la 'Pace del Re' (386)

Una delle zone dell'area greca di maggiore interesse per la Persia, era costituita da sempre dalla costa ionica, una zona posta all'incrocio di ricchissimi scambi commerciali in quanto punto di snodo dei traffici tra l'est e l'ovest del mondo conosciuto; assieme a essa poi, la Persia aspirava ovviamente anche al controllo delle isole del Mar Egeo e delle rotte commerciali che vi si svolgevano.

Per tale ragione, il primo attacco alla potenza spartana avvenne proprio nelle acque di quel mare, e fu portato avanti dai persiani con l'alleanza di alcuni stati greci, tra i quali Atene (che fornì alla Persia il suo miglior generale, Conone) e Cipro (isola allora governata da Evagora, un sovrano che peraltro rivendicava una parziale autonomia dalla dominazione asiatica).

A una tale fase, la prima, in cui il predominio spartano sulla Persia fu tutto sommato - per merito soprattutto del valore di Agesilao (sovrano e condottiero spartano) - mantenuto, ne seguì un'altra in cui il conflitto si spostò verso l'interno della Grecia.

La Persia difatti, vedendo la difficoltà di ottenere ragione del nemico sui mari, cercava di coinvolgere nel conflitto anche le altre città elleniche, e ciò sia facendovi affluire ingenti quantità d'oro, sia con la promessa di aiutarle in un processo di rinascita che andasse a scapito del giogo spartano (era difatti interesse della potenza asiatica - come già si è detto - indebolire la compattezza del fronte greco!).

Atene, ad esempio, iniziava in questi anni, con gli aiuti economici e con la protezione della Persia, la ricostruzione delle proprie antiche mura (mirabile strumento di difesa), e cercava contemporaneamente - per iniziativa di Trasibulo - di rimettere insieme parte almeno del proprio antico impero marittimo.

Nel 395, dunque, alcuni potenti stati della Grecia centrale (nella fattispecie le città di Corinto, Atene, Argo e altre…) erano già scesi in guerra contro i propri dominatori, e poco dopo (394) la flotta navale spartana subiva una disastrosa sconfitta presso l'isola di Cnido.

Anche molte oligarchie filo-spartane venivano poi spazzate via dalla forza della ribellione, a dispetto sia degli armosti che dei presidi che Sparta aveva posti a tutela di esse. Tali stati potevano così spesso, instaurare nuovamente dei governi democratici.

La ripresa e la rinascita degli stati greci favorita dalla Persia, rischiava tuttavia in ultima analisi di tornare a sfavore proprio di quest'ultima, data la tendenza in atto al ricostituirsi di quelle antiche Leghe o federazioni di stati che, smantellate dopo il 404, costituivano la forza stessa della Grecia sia nei propri territori che al di fuori di essi. La Persia tuttavia, che pur voleva effettivamente un indebolimento della potenza spartana, non desiderava certo una ripresa, ad esempio, dell'antica potenza marittima ateniese (la quale oltretutto entrava in forte contrasto con le sue mire sull'Egeo).

Preso atto di tale tendenza dunque, lo Stato asiatico iniziava, all'incirca nel 388, un riavvicinamento alla sua precedente alleata, Sparta, che terminava pochi anni dopo con la stipula di una pace generale tra gli stati greci, patrocinata appunto dal sovrano persiano.

Una tale pace, detta "Pace di Antalcida" (386) dal nome del cittadino spartano incaricato di "intavolare le trattative" con Artserse II e la sua corte, o, più efficacemente, "Pace del Re", visto che le condizioni di essa furono praticamente imposte da questi agli stati greci, che dovettero semplicemente prenderne atto (e ciò data ovviamente la sproporzione esistente tra le proprie forze e quelle persiane), segnò l'inizio di una sostanziale dominazione dello stato asiatico sulle poleis elleniche.

Sparta, che pure traeva da tali condizioni i maggiori vantaggi, rimanendo lo stato nettamente egemone in Grecia, diveniva lo 'sgherro' della Persia per ciò che riguardava l'ordine interno della compagine delle città-stato greche: queste ultime, infatti, erano ora costrette a rispettare rigorosamente un principio di reciproca autonomia [3] che le obbligava a non costituirsi più in Leghe di carattere politico e ancor più di carattere militare, restando ognuna 'per sé', secondo la chiara convenienza del loro dominatore esterno! Sparta, dal canto suo, rimaneva tra tutte la nazione ampiamente favorita, dal momento che, facendosi garante di una tale situazione di fronte al Gran Re, poteva trarne dei cospicui vantaggi di carattere politico.

Le città della costa ionica, infine, passavano definitivamente sotto il giogo persiano, seppure a volte godendo di speciali concessioni in termini di autonomia, come nel caso dell'isola di Samo.

Con un tale risultato dunque, la Persia aveva largamente regolato i conti con Sparta e con la Grecia - conti che aveva aperto negli anni finali delle Guerre peloponnesiache.

(c) Gli ultimi anni dell'egemonia spartana

Ricapitolando. Da un lato, Sparta traeva notevoli vantaggi dalla situazione che si era venuta a creare dopo la "Pace del Re", dal momento che (col pretesto di far rispettare un principio di indubbio valore morale, e cioè il diritto all'autodeterminazione di ogni singolo stato contro le ingerenze di altri stati) riusciva a realizzare un fine molto caro al suo orgoglio nazionale, quello cioè di costringere le altre nazioni - ovviamente sotto la minaccia di un intervento non solo del proprio esercito, ma anche di quello persiano - a sottomettersi alla propria autorità, e a fornirle inoltre uomini e mezzi necessari al mantenimento dello statu quo. Dall'altro lato però, una simile situazione di privilegio non poteva non suscitarle contro l'invidia e le ire delle altre potenze greche.

Oltre a ciò, Sparta traeva dal proprio predominio anche dei notevoli vantaggi di carattere economico, come dimostra il fatto che l'afflusso di ricchezze straniere non fosse mai stato tanto intenso quanto lo fu in quel periodo - e ciò con la conseguenza inevitabile, di un notevole rilassamento di quei costumi austeri che, da sempre, la distinguevano dal resto degli stati greci!

Ma l'occhiuta vigilanza spartana non poteva in ogni caso impedire la rinascita - seppure spesso su basi molto differenti rispetto al passato - di molte delle antiche leghe tra gli stati greci.

Atene, per esempio, vista sfumare con la pace del 386 la possibilità di rifondare la sua antica Lega marittima (e ciò a causa, ovviamente, del suddetto principio di autonomia, assolutamente inconciliabile con le sue pretese di dominio sugli alleati…), avrebbe presto optato per una nuova forma di confederazione, nella quale ogni stato componente avesse eguale voce in capitolo nelle assemblee e nelle decisioni comuni, in cui le tassazioni fossero frutto di accordi tra gli stati membri, ecc. Insomma, Atene cercava di conciliare il bisogno di crearsi di nuovo una rete di potere economico e politico, con l'esigenza di non irritare la suscettibilità persiana contravvenendo agli accordi presi.

Né il vero pericolo del resto, sarebbe venuto negli anni seguenti a Sparta da Atene o dagli altri stati marittimi - la cui potenza era stata sufficientemente prostrata dalla recente guerra da impedir loro, quantomeno a breve, di riuscire oltre certi limiti a risollevarsi… -, bensì dalla rinata Lega beotica, cioè da quelle regioni centro-orientali la cui capitale era indiscutibilmente Tebe.

Fondamentale inoltre, per lo sviluppo degli equilibri politici in Grecia, sarebbe stata l'alleanza strategica tra le quelle che - assieme a Sparta - erano le due maggiori città-stato greche, cioè Atene e Tebe, per la riconquista dei loro antichi poteri territoriali contro il comune nemico spartano e persiano.

E fu Tebe, la prima a sfidare le forze oligarchiche spartane e peloponnesiache, ottenendo delle vittorie che - soprattutto per l'effetto che ebbero sul morale sia proprio che degli Ateniesi - si rivelarono poi molto significative.

Nel 379 infatti, un gruppo di fuoriusciti tebani ostili al regime oligarchico filo-spartano (e la cui impresa venne peraltro sostenuta da Atene) prepararono un'insurrezione antispartana, al termine della quale veniva di fatto rifondata l'antica Lega beotica. Cacciate dai ribelli le forze di occupazione nemiche, a Sparta non restava altro da fare che prendere atto della nuova situazione.

Solo due anni più tardi, nel 377, anche Atene iniziava poi - come si è appena accennato - la ricostruzione dell'antica Lega marittima, seppure sulla base di presupposti non più di dominio, bensì di parità con gli altri stati. Né scarseggiavano ad essa gli alleati: stati ansiosi di ritornare a una situazione simile a quella precedente le guerre del Peloponneso (e ciò sia per ostilità verso l'opprimente predominio di Sparta, che per interessi di carattere economico e politico: interessi peraltro frustrati dalle recenti condizioni delle Pace di Antalcida). La prima isola che aderì alla nuova Lega marittima fu Chio, seguita poco dopo dalla quasi totalità delle isole delle Cicladi e da molti stati delle coste traciche (altro vecchio possesso ateniese), nonché più tardi da alcune isole ioniche occidentali.

Tuttavia, la potenza militare ateniese - un fatto questo, su cui ritorneremo di nuovo più avanti - era stata pesantemente fiaccata (anche moralmente) dalla sconfitta del 404 e dalle pesanti condizioni di pace che le erano state imposte, ciò che impediva a essa di costituire un serio ostacolo all'egemonia dei nuovi dominatori.

Adesso era piuttosto Tebe, la forza politica e miliare emergente in Grecia. Non a caso, dopo un primo periodo di avvicinamento alla città beotica, Atene dava inizio ad un riavvicinamento - ovviamente in funzione anti-tebana - alla potenza spartana (l'espansione di Tebe difatti, avrebbe negli anni successivi minato, oltre che il predominio militare degli spartani sugli stati ellenici, la stessa integrità della Lega ateniese).

Fu però nel 371, che si giocò la partita decisiva nella guerra per il dominio tra Sparta e Tebe; e ciò attraverso una battaglia - quella di Leuttra - che portò la seconda a soppiantare il predominio della prima, ponendo in tal modo le basi stesse della propria egemonia sulla Grecia.

Nel 371 infatti, Sparta tentava - col patrocinio, come al solito, della vicina potenza persiana - di dar vita a un accordo di pace tra le maggiori potenze greche (pace panellenica): ovvero Atene, Tebe e sé stessa. (E fu peraltro questo, uno dei tanti tentativi di istituire - sulla base dell'idea di una pace comune, "koinè eirene" - degli accordi di mutuo rispetto tra le poleis, accordi volti a rimediare a quello stato di costante ostilità che dissanguava le energie morali e materiali dei Greci.) Tuttavia, mentre Atene, come si è già detto in fase di riavvicinamento a Sparta, accettava le clausole della pace senza opporvi eccessive difficoltà, Tebe al contrario se ne dissociava molto presto, in ragione del fatto di non veder riconosciuta la carica di 'beotarca' (ovvero di capo della Lega beotica) al suo leader Epaminonda, e con ciò implicitamente - e coerentemente con gli accordi della Pace di Antalcida - l'esistenza stessa di una tale Lega.

Iniziata così una nuova guerra tra le due potenze rivali, gli eserciti spartani (fin troppo convinti forse della propria superiorità rispetto al nemico, anche a causa dell'astensione militare degli Ateniesi) subivano nel 371, presso i campi di Leuttra, la più disastrosa sconfitta della loro storia. L'esercito peloponnesiaco, pur numericamente molto superiore, veniva infatti letteralmente annientato da quello tebano capeggiato da Epaminonda, in ragione soprattutto delle rivoluzionarie strategie belliche adottate da quest'ultimo.

Era questo il colpo di grazia definitivo assestato all'egemonia spartana. E ciò anche perché, in seguito a una tale sconfitta, crollava tra i Greci il mito stesso dell'invincibilità spartana - un mito che da sempre aveva contribuito a rinsaldare la forza e il carisma di una tale città-stato sulle altre.

Gli anni successivi avrebbero così visto : lo scioglimento di molti dei precedenti governi oligarchici filo-spartani nel Peloponneso, e con ciò lo sfaldamento stesso del fronte politico spartano peloponnesiaco; una rinascita della Lega marittima ateniese, questa volta peraltro sulla base dei suoi antichi presupposti imperialistici; nonché infine - e soprattutto - il trionfo di Tebe come nuovo stato guida della compagine greca.

Ma tutto ciò non deve indurre a credere che quest'ultima città-stato fosse effettivamente più potente di Sparta, quantomeno qualora ci si riferisca al periodo - che qui appunto stiamo esaminando - relativo alla sua egemonia. Tebe era difatti, infondo, una città 'povera', le cui ragioni di potenza - come vedremo meglio più avanti - stavano in parte nel vuoto di potere creatosi in Grecia con l'annientamento dopo il 404 della potenza ateniese (un vuoto che la recente sconfitta di Sparta sui campi di Leuttra, aveva solo rafforzato), e in parte nella genialità militare di Epaminonda, il suo leader indiscusso.

Sotto l'egemonia tebana, la compagine greca avrebbe di conseguenza vissuto un ulteriore indebolimento (cosa che peraltro, e come sempre, avvenne all'ombra e con la tacita approvazione del potente vicino persiano).

Tutto ciò - assieme ad altri fattori concomitanti - avrebbe infine reso possibile nei decenni successivi un fatto del tutto inaspettato, cioè la conquista della Grecia e dell'Egeo da parte del sovrano di Macedonia Filippo II, nonché successivamente le conquiste asiatiche e persiane di suo figlio Alessandro.


[1] Oltre alle guerre difatti, vi era il problema della 'proprietà': ciò perché anche gli Spartiati col tempo, seppure a titolo di "cittadini spartani" (ovvero di membri di una casta di privilegiati, l'appartenenza alla quale aveva un fondamento meramente etnico), avevano conosciuto la diffusione della proprietà privata delle terre.

Per rimanere poi dei cittadini a pieno titolo (e non essere abbassati al rango di Perieci) era necessario riuscire a conservare una certa quantità di proprietà fondiaria. Ma una tale situazione aveva determinato col tempo un fenomeno analogo a quanto avveniva negli altri stati ellenici: ovvero la nascita di un ristretto gruppo di grandi proprietari i quali, attraverso le proprie influenze economiche e politiche, elidevano le proprietà dei più poveri. Per tale ragione, sempre più cittadini erano costretti a vendere almeno una parte delle proprie terre, riducendosi in miseria o comunque scendendo oltre la soglia necessaria per mantenere la condizione di 'Spartiati'.

Anche a un tale fenomeno, si dovette l'assottigliamento delle classi egemoni spartane e, di conseguenza, una sempre maggiore difficoltà a mantenere il predominio sui territori delle popolazioni sottomesse. (torna su)

[2] Gli eventi di questa lunga impresa militare sono stati narrati da Senofonte in un celebre scritto, l'Anabasi, che racconta sia le fasi precedenti alla battaglia di Cunassa (nella quale perse la vita Ciro, il pretendente al trono al cui seguito viaggiavano i mercenari greci), sia quelle successive, segnate dal tentativo di rimpatrio dei mercenari sopravvissuti. (torna su)

[3] Si noti per inciso, come il principio di indipendenza e autonomia delle città-stato fosse stata la bandiera ideologica di Sparta - contro Atene e la sua Lega Marittima - anche ai tempi delle guerre del Peloponneso. (torna su)


a cura di Adriano Torricelli

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Antica
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Aggiornamento: 01/05/2015