STORIA ROMANA


ACQUEDOTTI ROMANI

Acquedotto di Pont du Gard, Nimes, I sec. d. C., Francia

Realizzato con fondi statali messi a disposizione dai censori, il primo acquedotto di Roma è del 313 a.C. L'idea era di derivazione etrusca.

Dopo di allora a Roma furono costruiti 12 acquedotti che portarono in città acqua corrente ad usum populi, in una quantità calcolata intorno a un miliardo e mezzo di litri giornalieri.

Se ne scoprì la necessità al vedere l'aumento vertiginoso delle popolazioni di molte città dell'impero, che rese insufficiente il rifornimento d'acqua delle sorgenti locali.

Il sistema degli archi, peculiarità romana, accorciò le distanze, consentendo un'adduzione quasi rettilinea dall'alto in basso.

Tutti gli accorgimenti tecnici per le pendenze, la velocità e l'impeto delle acque, il rapporto di distanza e la luce degli archi anche in tre ordini, i materiali da costruzione, l'estetica furono studiati con grande intelligenza e precisione.

Furono edificati acquedotti così solidamente che ancora oggi in diversi paesi europei se ne possono ammirare i resti monumentali (p.es, quello di Segovia o di Tarragona in Spagna).

Tecnicamente ogni acquedotto era dotato di bacini di decantazione, aperture per l'aerazione, la manutenzione, la pulizia e la riparazione dei condotti.

Incanalate alle sorgenti, dopo aver attraversato valli e montagne col sistema dei "sifoni rovesci" (tubi attraverso i quali, sopra le arcate, le acque discendevano in fondo alla valle per risalire in virtù della propria pressione), le acque arrivavano sino agli alti serbatoi presso le mura delle città. Da qui partivano tubi di varie misure (fistole), destinati a portare acqua ai singoli utenti, previa domanda di concessione.

La costruzione di queste opere colossali era affidata ad appaltatori. L'acqua perveniva all'enorme rete delle 14 regioni augustee attraverso tubi di piombo, in quanto le condutture di legno, pietra, terracotta, bronzo erano ritenute inadatte.

Il piombo, conosciuto a Roma sin dalle origini, veniva soprattutto dalla Britannia. La sua lavorazione era, come noto, pericolosa per la salute (saturnismo).

Durante la sua censura Catone il Vecchio fece tagliare i tubi dei ricchi privati che sottraevano acqua pubblica per deviarla alle proprie ville.

Allo scopo di sopprimere privilegi e abusi, Augusto avocò a sé l'amministrazione delle acque e le richieste dei privati dovevano essere indirizzate al principe e non più all'azienda degli acquedotti.

L'eccedenza dell'acqua andava alle "fulloniche" (tintorie, lavanderie) che, coi bagni pubblici e le grandi ville, pagavano una tassa. Le cloache erano lavate in permanenza.

Gli schiavi pubblici (dello Stato) addetti agli acquedotti di Roma si aggiravano sulle 300-400 unità.
Caduto l'impero gli acquedotti andarono in disuso non tanto per l'arrivo dei cosiddetti "barbari", quanto perché, in assenza di controlli statali, i ceti più agiati si appropriarono di queste immense ricchezze, abbandonando le popolazioni soggette al loro destino. La gestione divenne sempre più privatistica finché scomparve del tutto.

Enrico Galavotti

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014