STORIA ROMANA


GLI ULTIMI ANNI DELLA RES-PUBLICA ROMANA

A - Il primo triumvirato

Al termine della guerra in Oriente, durata dal 66 al 62, nel corso della quale Pompeo ha sconfitto definitivamente Mitridate e ha dato un nuovo assetto alle zone orientali, il condottiero romano ha oramai sviluppato a livello generale una vasta rete di consenso popolare, e detiene inoltre degli enormi poteri a livello sia economico che politico, poteri derivanti dai successi delle proprie campagne militari e dalla fedeltà degli eserciti.

Giulio Cesare

Per tali ragioni, i tempi sarebbero ormai già maturi per la costituzione di uno stato tipo militare e imperiale, una soluzione che Pompeo potrebbe facilmente imporre al Senato, presentandola in pratica come un dato di fatto. Eppure questi, per ragioni peraltro in gran parte ancora oscure (si badi però che, oltre che un fatto storico, una tale decisione è anche una libera - e come tale forse non del tutto giustificabile - deliberazione umana), non lo fa.

E' probabile comunque che Pompeo non voglia sovvertire tradizioni tanto radicate come quelle repubblicane, e assieme a esse la centralità stessa del Senato, anche per le conseguenze che un tale atto potrebbe avere in termini di 'governabilità'. In ogni caso, prescindendo dalle ragioni di tale comportamento, egli preferirà muoversi in un modo che sia, almeno formalmente, rispettoso delle prerogative del Senato.

(E' opportuno notare poi come un tale atteggiamento di rispetto formale per l'istituzione senatoria rimarrà a lungo una costante anche nella condotta dei futuri condottieri romani, da Cesare a Ottaviano, con l'unica eccezione di Marco Antonio).

La nascita del primo Triumvirato (60) è dovuta infatti al rifiuto del Senato di avallare le proposte fatte da Pompeo per un nuovo assetto delle zone orientali (proposte che riguardano essenzialmente la fondazione di tre nuove province: Bitinia, Ponto, Siria), oltre che alla mancata concessione delle terre ai veterani del suo esercito.

Deciso quindi a non agire apertamente contro le istituzioni repubblicane, ma anche a non subire passivamente le decisioni del Senato, Pompeo escogiterà una terza via, chiamata 'Triumvirato', basata su un'alleanza privata con altri due potentissimi esponenti politici di quegli anni, i soli forse che possano competere con lui per influenza e notorietà: ovvero Giulio Cesare e Mario Licino Crasso.

Mentre il primo è un giovane politico emergente di area popolare, imparentato alla lontana con Mario, l'altro è invece un ricchissimo finanziere, un uomo legato agli ambienti romani dei publicani (equestri) di cui è anche uno degli esponenti più in vista e più potenti.

Alleandosi, i tre cercheranno di ottenere - attraverso tale patto, di natura non ufficiale e privata, basato cioè sull'idea di un aiuto reciproco tra i soci - ciò che il Senato non vuole concedere loro singolarmente.

Una tale soluzione decreterà quindi il trionfo stesso della politica personalistica e clientelare dei generali e dei potentiores romani contro quella delle ormai obsolete istituzioni cittadine, e sarà inoltre la manifestazione più lampante della debolezza di queste ultime, della loro impotenza a gestire in modo efficiente e reale il nuovo Stato.

Tralasciando la figura di Crasso, che avrà in realtà un ruolo abbastanza marginale nelle vicende di questi anni, e che morirà durante una campagna militare in Siria presso Carre già nel 53, sono questi a grandi linee gli eventi più significativi tra il 60 e il 56:

a) Nell'anno del suo consolato, il 59, Giulio Cesare:
· fa approvare i progetti di Pompeo per la modifica dell'assetto orientale;
· promuove due leggi agrarie in favore dei veterani di Pompeo (includendo nelle terre distribuite anche l'agro campano: una zona tradizionalmente del patriziato romano, che nemmeno i Gracchi avevano osato toccare);
· favorisce attraverso vari sgravi fiscali i ceti finanziari più vicini a Crasso;
· assegna infine a se stesso il proconsolato dell'Illirico e della Gallia (Cisalpina e Narbonense), territori su cui costruirà negli anni futuri il suo potere privato.

b) Tra il 58 e il 56 (l'anno in cui viene rinnovato il patto triumvirale), Cesare estende (con il pretesto di difendere e consolidare i confini dei territori già acquisiti) il dominio romano in Gallia a tutta la regione, giungendo perfino a esplorare l'odierna Inghilterra e la Germania. Egli accumula in tal modo un enorme potere personale, data anche la straordinaria ricchezza naturale della zona su cui è ora impegnato.
La potenza di Cesare comincia perciò a far paura tanto a Pompeo quanto al Senato, ciò che finirà col tempo per determinare un loro avvicinamento, a seguito del quale Pompeo si troverà in una condizione molto simile a quella che era stata in precedenza di Silla, a essere cioè il difensore (pur nella propria veste di generale e di uomo di poteri eccezionali) dell'ortodossia romana contro i nuovi venti rivoluzionari e anti-oligarchici.

E' oramai chiaro come il dissidio tra i due potentati, quello di Pompeo e quello di Cesare, non possa negli anni futuri che sfociare in un nuovo conflitto civile. Tuttavia, per il momento, un tale conflitto viene scongiurato attraverso il rinnovo del patto triumvirale, nel 56.

Attraverso tale contratto si decide di ripartire i possedimenti romani in modo equo tra i triumviri: a Pompeo spetta infatti la Spagna (in aggiunta ai domini orientali, su cui ha già esteso le sue influenze); a Cesare spetta per altri cinque anni la Gallia; mentre a Crasso viene assegnata la Siria (regione nella quale morirà nel 53, combattendo contro i Parti).

Tuttavia, mentre Giulio Cesare si trova in Gallia, a Roma il Senato e Pompeo si coalizzano contro di lui, al fine di togliergli il proconsolato della Gallia.

Questi, che nel frattempo è impegnato a sedare la sollevazione di alcune tribù indigene (guidate da un capo gallico, Vercingetorige) su cui riuscirà a trionfare ad Alesia nel 51, tenta contemporaneamente di smorzare la tensione politica col Senato e Pompeo, onde evitare l'inizio di un ennesimo conflitto civile.

Ma nel momento in cui il suo avversario ha scelto di allearsi con i repubblicani più intransigenti, ha decretato purtroppo anche l'inevitabilità della guerra.

Di fronte alla minaccia di venire spodestato dalla propria carica e allontanato dai propri domini, estromesso quindi per sempre dalla vita politica, Cesare è costretto infatti a scegliere la strada del ritorno in Italia. Il dieci gennaio del 49 varca così il Rubicone (il limite estremo del pomerium, cioè l'inizio dei territori italici, e il confine della provincia gallica), per difendere - egli dice - la propria dignità e quella dei tribuni della plebe.
Ha così inizio la terza guerra civile.

B - La guerra tra Cesare e Pompeo

Se la prima guerra civile si combatte esclusivamente sul territorio urbano di Roma, e la seconda coinvolge invece l'intera penisola italica, la terza e ancor più la quarta si svolgeranno su tutto il territorio dell'Impero, giungendo perfino nelle province più orientali: è l'ennesima dimostrazione di come Roma sia oramai andata oltre un orizzonte meramente peninsulare e cittadino, e sia divenuta una realtà globale e mondiale.

Subito dopo la discesa di Cesare in Italia infatti, Pompeo risponde riparando nei territori orientali, laddove sa di avere le influenze politiche e le alleanze più salde, nonché quindi maggiori probabilità di vincere il conflitto.

Tale mossa apparentemente saggia, osteggiata tuttavia da gran parte del Senato (legato tradizionalmente alle regioni occidentali), si rivelerà un errore fatale. Essa darà difatti a Cesare tempo e modo di sistemare le zone occidentali dell'Impero procurandosi la loro fedeltà o comunque la loro neutralità, e d'approntarsi così una discesa sicura verso l'oriente, fattore che gli preparerà la vittoria.

Appena giunto a Roma, Cesare tenta infatti un riavvicinamento col Senato, cercando di giustificare il proprio precedente operato e garantendo la revoca di molti dei passati provvedimenti dei popolari (dei quali Cesare è il principale esponente politico), provvedimenti che decretano tra l'altro la cancellazione sommaria dei debiti: veri e propri 'attentati' contro la proprietà fondiaria.

Nonostante tali disposizioni, i suoi rapporti col Senato rimarranno, anche negli anni futuri, sempre estremamente tesi e difficili (come dimostra anche l'esito della sua vicenda personale). E tuttavia, nell'immediato, egli riesce attraverso esse a diminuire la tensione politica con la nobiltà, ingraziandosi almeno una parte della classe senatoria.

La seconda mossa di Cesare consiste poi nel coprirsi la spalle a Occidente, bloccando i possibili focolai di rivolta in Spagna (un territorio sul quale il suo avversario aveva esteso negli anni precedenti la sua influenza politica). Nel 49 egli guida infatti una campagna che partendo da Marsiglia arriva fino nella Spagna vera e propria, e che si conclude lo stesso anno.

Per conquistare la fiducia delle popolazioni locali egli adopererà, pur nell'azione bellica, molta cautela, limitando il più possibile gli atti di saccheggio e di vandalismo dei propri uomini e moderando le pene inflitte ai vinti.

Infine, nel 48, Cesare raggiunge Pompeo nelle regioni orientali, dove questi lo attende assieme a parte del Senato (quella che, fuggita con lui da Roma, lo ha aiutato a prepararsi ad affrontare la guerra).

Le ostilità si svolgeranno principalmente in Epiro. In una prima battaglia, quella di Durazzo, Cesare uscirà sconfitto, rischiando quasi di perdere la guerra; ma nella seconda e decisiva battaglia di Farsalo, egli riuscirà a piegare definitivamente il nemico e a chiudere lo scontro in proprio favore.

A questo punto egli si trova ad essere in buona sostanza il padrone assoluto dei territori romani, tanto che anche il Senato - seppur controvoglia - si vede costretto a riconoscere la sua autorità.

Nello stesso anno Pompeo fugge in Egitto, chiedendo asilo e rifugio a Tolomeo XIII, sovrano di tale stato assieme alla sorella Cleopatra, nonchè suo alleato politico (quantomeno fino a prima della sconfitta). Ma, anziché ricevere aiuto e solidarietà, egli viene assassinato a tradimento per ordine dello stesso Tolomeo.

Saputa la cosa Cesare, divenuto oramai 'padrone' anche delle zone orientali, fa destituire Tolomeo dal trono, dimostrando di non gradire un atto tanto scopertamente opportunistico, e celebra la memoria del rivale appena scomparso.

Subito dopo egli si lega a Cleopatra, divenuta sovrana unica dell'Egitto, annettendo all'Impero come zona a protettorato romano anche quest'ultima regione orientale, fino ad allora rimasta indipendente. (Vedremo più avanti il ruolo assunto da questa provincia, di antichissime tradizioni, all'interno dell'economia imperiale, soprattutto nel fomentare e guidare la rivolta dell'Oriente nei confronti del predominio delle zone occidentali.)

Nel 47, inoltre, Cesare affronta e sconfigge il re del Ponto Farnace (figlio di Mitridate) e si prepara alla campagna - che tuttavia non farà a tempo a combattere - contro l'agguerritissimo Impero partico, un nemico contro il quale già altri condottieri romani (uno tra tutti, Crasso) hanno combattuto senza successo.

Nel 45 infine, egli affronta e sconfigge in Spagna gli ultimi residui del partito di Pompeo, guidati dai figli di questi, Gneo e Sesto.

Dopo aver annientato tutti i propri nemici sul piano militare, gli rimane però un'ultima (e forse più difficile) impresa: quella di giustificare, alla luce delle tradizioni e della costituzione romane, il proprio pressoché assoluto predominio politico, e ciò sia agli occhi del Senato che del popolo. Egli deve affrontare insomma uno scottante problema, che è stato già dei condottieri-politici (da Mario a Silla a Pompeo) che l'hanno preceduto.

2.1. Cesare e il Senato

A - Roma dopo la battaglia di Farsalo

Dopo aver sconfitto militarmente (con la battaglia di Farsalo del 48) il suo unico avversario, Pompeo, Cesare è divenuto virtualmente il 'padrone' o capo supremo tanto della città di Roma che dei territori a essa annessi.

Abbiamo visto infatti come la smisurata crescita territoriale di Roma (che dura ormai da almeno tre secoli), assieme al fatto che in questo arco di tempo le istituzioni romane, anziché essere progredite, si siano fossilizzate e a ripiegate su se stesse (prova ne è il fatto che il Senato, un'istituzione di origine arcaica e nobiliare, basata essenzialmente sul possesso fondiario - prima dei soli patrizi romani e, in seguito, anche di quelli italici - rimanga ancora l'istituzione che detiene un primato politico quasi assoluto) abbiano determinato un enorme vuoto di potere: è chiaro perciò come alla nuova realtà globale e internazionale dell'Impero non corrispondano affatto delle strutture istituzionali adeguate, bensì piuttosto delle strutture ancora arcaiche, legate a una dimensione cittadina e peninsulare, ormai superata da almeno due secoli!

Abbiamo visto anche come un tale vuoto sia stato colmato dalla nascita di poteri personalistici e clientelari, accumulati dai grandi condottieri romani durante le loro campagne militari, oltre che attraverso un'azione di sostegno politico dei ceti emergenti (la plebe urbana, le classi commerciali mercantili, le masse contadine impiegate negli eserciti professionali).

Sono questi nuovi soggetti politici infatti, i condottieri, a contendersi realmente il controllo dell'Impero, non certo le più antiche istituzioni cittadine, in testa alle quali si pone il Senato.

Quando poi (come nel caso di Cesare) uno di questi condottieri elimina il proprio rivale ereditandone automaticamente i diversi rapporti clientelari (riguardanti essenzialmente, nel suo caso, le regioni orientali e la Spagna), il suo potere diviene pressoché illimitato.

Ed è appunto in una tale situazione che si trova Giulio Cesare nel 48, dopo aver vinto la battaglia conclusiva contro Pompeo.

B - Il rapporto tra Cesare e il Senato

Nonostante il suo strapotere Cesare è tuttavia ben cosciente di come, essendo gli antichi ordinamenti l'unico elemento di stabilità politica per Roma, l'ostentazione di rispetto - seppure in gran parte formale - verso essi sia un fattore indispensabile per riuscire a governare l'Impero ordinatamente e senza troppe scosse.

Questa considerazione è di certo all'origine dell'atteggiamento di ossequio tenuto da Cesare (e non soltanto da lui) nei confronti del Senato, nonché delle antiche tradizioni repubblicane.

A questo atteggiamento ne corrisponde poi un altro, opposto e complementare, tenuto dal quest'ultimo nei confronti di queste nuove figure politiche. Esso, infatti, non potendo più sottrarsi all'evidenza della situazione, sceglie in sostanza la strada della sottomissione, rassegnandosi a giocare (come già si è detto) un ruolo politico subalterno, ovvero di sostegno - anche morale - nei confronti di queste nuove forze: nel Senato dunque, oltre che nell'adorazione e nella fedeltà popolare, questi condottieri-politici trovano un appoggio assolutamente fondamentale per mantenere salda la propria autorità.

Un tale risvolto politico - che abbiamo già visto chiaramente in atto, seppure in modi diversi, nella vicenda di Silla e in quella di Pompeo - vale ora anche per Cesare.

(Lo stesso Cicerone, il maggiore oratore e filosofo romano di questo periodo, pur facendosi portavoce dei valori e delle antiche tradizioni dei 'patres', sosterrà pubblicamente prima la figura di Pompeo e - dopo la sua morte - quella dello stesso Giulio Cesare: egli ha difatti compreso come non si possa più governare Roma senza l'appoggio di questi nuovi soggetti politici).

Nel 48 Giulio Cesare, d'accordo con il Senato, instaura così una dittatura, finalizzata al consolidamento dell'alquanto precario ordine interno.

Le sue successive campagne militari - nel corso delle quali egli (come si è già accennato) eliminerà i residui ancora vivi di 'pompeianesimo' in Spagna e in Africa; ricomprenderà l'Egitto, e assieme a esso la regione numidica, all'interno dei territori imperiali; e sconfiggerà infine il sovrano del Ponto (questa volta non Mitridate, ma suo figlio Farnace) - non possono che consolidare il suo predominio sia politico che istituzionale su Roma.

Sarebbe difficile elencare tutte le cariche politiche che Cesare assomma in questi anni nella propria persona (console per dieci anni; dittatore a vita col diritto di trasmissione delle cariche al proprio figlio; pontefice massimo; la carica di supervisore dei costumi; il diritto tribunizio - ossia il diritto di veto proprio dei tribuni - a vita…), ma deve comunque essere chiaro che tali cariche gli vengono assegnate - o quantomeno vengono approvate - dall'istituzione senatoria.

Cesare poi, dal canto suo, continua a esibire un profondo rispetto nei confronti di quest'ultima, come dimostra chiaramente l'episodio - avvenuto nel febbraio del 44 - del pubblico rifiuto del diadema imperiale che Marco Antonio (un personaggio del suo seguito politico, che avrà un grande ruolo negli anni a venire) tenta di porre sul suo capo. Egli vuole insomma render chiaro e manifesto a tutti di non avere nessuna intenzione di attentare alle prerogative costituzionali dell'antica Res-publica.

Oltre a tale episodio, sono una chiara manifestazione di questa intenzione anche molte deliberazioni politiche, volte essenzialmente a una rappacificazione con la nobiltà terriera: tra esse vi sono, ad esempio, le molte assicurazioni di tutela date alla proprietà fondiaria, e il perdono elargito ai pompeiani pentiti.

Il suo scopo quindi - quantomeno in apparenza - non è di andare contro le antiche istituzioni cittadine, ma al contrario di rispettarle e di governare al loro fianco.

Il fatto allora che la sua vicenda personale si concluda tragicamente (Cesare - come tutti sanno - verrà brutalmente assassinato da una congiura di senatori, tra i quali compare il suo stesso figliastro Bruto, il giorno delle Idi di marzo del 44), non deve indurre a credere all'esistenza di un organico programma politico anti-cesariano, bensì piuttosto al desiderio - decisamente anacronistico - di alcuni nostalgici di restaurare le antiche prerogative senatorie.

Questa azione, che di certo non raccoglie il consenso di tutti i senatori (e nemmeno molto probabilmente della maggior parte di essi), è da interpretare quindi come un gesto isolato, espressione forse di un malessere e di un risentimento serpeggianti, ma certo non di un programma politico alternativo.

L'assassinio di Giulio Cesare inoltre, aprirà il problema della sua successione e, con esso, darà l'avvio all'ultima guerra civile del periodo repubblicano: quella tra Ottaviano e Marco Antonio.


Cesare: un mito letterario in controluce
1. Il dopo-Silla: Pompeo al potere
3. La lotta tra Ottaviano e Marco Antonio
Cicerone
C. Meier, Giulio Cesare, ed. Garzanti, Milano
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014