STORIA ROMANA


Fine dell'unità imperiale romana

1. L'Impero dopo Costantino

Con Diocleziano e Costantino, l'Impero ha subito una consistente ristrutturazione di carattere istituzionale, al termine della quale due sono divenuti i cardini dello Stato: gli eserciti da una parte e dall'altra la corte imperiale (al cui vertice si pone chiaramente proprio l'Imperatore).

Se i primi infatti sono sempre più indispensabili per il mantenimento dell'integrità territoriale e politica dell'Impero, la seconda invece - convergente tutta nella figura dell'Imperatore - è impegnata, con l'aiuto peraltro di apparati di natura burocratica sempre più vasti e onerosi (…ed anche militari: si ricordino i reparti mobili alle dipendenze dirette del potere centrale dello Stato), a governare la totalità dei territori imperiali, e a impedire nello stesso tempo l'insorgere di movimenti di carattere autonomistico e separatistico a livello regionale.

Ma gli anni che faranno seguito alla morte di Costantino, vedranno anche il radicalizzarsi di un'altra tendenza dei decenni precedenti, quella verso la separazione politica e istituzionale tra le zone orientali e le zone occidentali (da sempre, peraltro, latentemente in conflitto tra loro a causa della profonda diversità di strutture e di tradizioni politiche).

Imperatore Onorio

Una tendenza, quest'ultima, le cui origini vanno ricercate nella trasformazione interna dell'Impero in questi ultimi decenni: nell'ulteriore divergere cioè delle due linee di sviluppo.

Se ai tempi di Ottaviano, infatti, era l'Occidente a prevalere - tanto militarmente quanto economicamente - sull'Oriente, ora al contrario è vero l'opposto!

Mentre le zone occidentali (nelle quali più radicale si manifesta la crisi dei commerci, dei ceti medi e delle città, e di conseguenza anche quella dello Stato e dei suoi apparati) mostrano segni sempre più evidenti di affaticamento e stanchezza, meno radicali si mostrano quegli stessi fattori nelle zone orientali (ancora crocevia, tra le altre cose, di molteplici scambi commerciali tra il mondo mediterraneo e l'entroterra asiatico), zone all'interno delle quali la soluzione avviata da Diocleziano e Costantino, pur con le dovute difficoltà, incontra obiettivamente meno ostacoli ed ha quindi anche, rispetto all'Occidente, maggiore fortuna.

In tali regioni difatti, la corte (chiamata ora consostiorum) ovvero la base direttiva dello Stato, riesce ancora a prevalere, pur con molte incertezze, sulle spinte autonomistiche originate dai poteri militari: risultato, ciò, della maggiore stabilità in tali aree delle strutture imperiali!

Si delineano quindi, gradualmente, due situazioni estremamente differenti: quella della crisi e della disintegrazione politica occidentale (situazione il cui culmine sarà costituito dalla caduta stessa dell'Impero d'Occidente, e dalla nascita dei regni romano-barbarici), e quella della (relativa) coesione e stabilità delle zone orientali.

Non deve stupire poi il fatto che queste ultime - le quali, oltre a dovere fronteggiare i propri problemi interni, vedono sempre più vani i propri sforzi per sostenere l'Occidente - tendano col tempo a prendere le distanze da esso, accelerandone in tal modo il processo di dissoluzione.

Non a caso, la situazione della parte occidentale e latina inizierà a precipitare proprio dopo la morte di Teodosio, con la prima esplicita ammissione di indipendenza a livello politico (anche se non giuridico e 'morale') tra le due zone, l'Impero venendo diviso in due parti autonome: quella di Onorio e quella di Arcadio.

Ma anche prima della definitiva caduta dell'Occidente (la quale si colloca, più che altro per convenzione storica, con la deposizione di Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore occidentale, nel 476) i barbari si sono infiltrati oramai - seppure ufficialmente come 'foederati' - un po’ in tutte le sfere della società romana occidentale, e innanzitutto in quella militare.

Non può quindi destare una grande sorpresa il fatto che la nascita vera e propria dei regni romano-barbarici sia accolta, dalle popolazioni indigene, con una sorta di rassegnata apatia che sfiora la 'volontà di non vedere'. E ciò anche in considerazione del fatto che tali popolazioni - sia urbane sia rurali (queste ultime, in più, abituate oramai da tempo a condurre vita separata) - si mostrano essenzialmente indifferenti al problema di chi governi effettivamente l'Impero e le province.

2. L'Impero fino alla morte di Teodosio (337-395)

Intendiamo, qui di seguito, occuparci in primo luogo degli eventi politici e militari più rilevanti del periodo che va dalla lotta per il potere scatenatasi con la morte di Costantino (337) fino alla morte dell'Imperatore Teodosio (395), soffermandoci poi più in dettaglio su personaggi, vicende e risvolti socio-culturali particolarmente rilevanti della storia di questi anni e, più in generale, di questo nuovo periodo della storia romana.

1) Eventi principali

- Da Costantino a Giuliano Apostata (337-363)

La morte, inaspettata, di Costantino scatena da subito un problema antico, quello della successione.

L'anziano imperatore infatti, per ragioni in parte misteriose, non si è preoccupato di designare alcun successore, lasciando così implicitamente ai figli la possibilità di spartirsi i territori imperiali, secondo una soluzione di potere di tipo 'pluralista' che è stata estranea alle sue scelte politiche.

Dei suoi tre figli, soltanto il più giovane, Costante, rimarrà inizialmente escluso dal titolo di Augusto, andando infatti la parte occidentale a Costatino (II) e quella orientale a Costanzo (II).

La morte improvvisa - e forse violenta - di Costantino, farà tuttavia di Costante l'erede dell'Occidente (340).

Sarebbe superfluo descrivere in dettaglio i vari avvicendamenti al potere degli imperatori di questi anni, che vanno dal 337 al 363.

Ci limiteremo quindi a dire che, in questi come nei decenni precedenti, si avranno sia episodi di usurpazione (in particolare quello che vedrà Magnenzio, nel 350, occupare l'Italia e la Gallia, dopo aver eliminato Costante, venendo poi sconfitto da Costanzo nel 353), sia di larvato indipendentismo (quale quello di Treboniano Gallo, un parente di Costanzo cui questi ha affidato la sorte delle regioni orientali, ma che ha poi fatto giustiziare per il sospetto di mire separatistiche e indipendentiste…).

Ma tra tutti i personaggi di questi anni, è senza dubbio la figura di Giuliano (detto l'Apostata, a causa della sua scelta di ripudiare quell'indirizzo filo-cristiano che l'Impero ha oramai definitivamente preso) a emergere, sia per l'originalità delle proprie vedute che per la propria abilità militare.

Eletto da Costanzo II Cesare delle Gallie, col compito di tutelarne l'integrità territoriale contro i tentativi di penetrazione dei popoli germanici (Alamanni e Franchi), Giuliano darà subito prova delle proprie capacità militari ottenendo più di un successo, e guadagnandosi così anche la fiducia e l'approvazione delle popolazioni indigene locali.

Tuttavia non saranno tali imprese a guadagnargli una fama duratura a livello storico, bensì piuttosto le sue originali concezioni religiose e politiche, che si concretizzeranno in un programma di riforma sia istituzionale che culturale.

Se infatti da un lato egli promuoverà nuovamente la diffusione dei culti pagani nell'Impero, negando quindi alla religione cristiana quel primato che essa aveva gradualmente acquisito a partire dai tempi di Costatino, dall'altro invece spingerà per una politica di tipo tradizionalista, volta allo smantellamento di gran parte degli apparati statali (e al ridimensionamento della stessa corte imperiale), nonché alla rivalutazione dei buoni rapporti tra lo Stato e i ceti ricchi, attraverso una diminuzione della pressione fiscale.

La sua sarà insomma un'azione in favore delle forze più antiche (ma oramai anche irrimediabilmente in declino) della società romana, legata peraltro alla sua personale concezione del potere e dell'Impero - una concezione decisamente in controtendenza rispetto alle tendenze degli ultimi decenni.

Gli eventi che porteranno Giuliano a divenire Imperatore unico, passeranno attraverso lo scontro con Costanzo II, avvenuto a causa di una richiesta di quest'ultimo non soddisfatta dal giovane Cesare.

Impegnato sul fronte orientale, difatti, Costanzo richiederà a Giuliano un massiccio invio di truppe, al fine di poter sferrare un nuovo attacco contro la potenza persiana. Al rifiuto di Giuliano - dovuto sia alla propria volontà, temendo egli molto probabilmente di rimanere sguarnito militarmente sul proprio fronte, sia a quella delle sue truppe - l'Imperatore Costanzo reagirà entro breve tempo con una vera e propria dichiarazione di guerra, muovendo poi incontro al suo rivale.

Una battaglia, quella tra i due duci romani, che tuttavia non verrà mai combattuta, a causa della morte di Costanzo nel 360 a soli 34 anni d'età.

Dopo tale evento, dunque, l'Impero passerà nella sua interezza nelle mani di Giuliano, che potrà così finalmente portare avanti a livello globale i suoi progetti di riforma.

Nei due anni del proprio principato infatti (361-363), egli condurrà una politica fondamentalmente anti-cristiana sul piano religioso e tradizionalista su quello economico e politico, che gli frutterà peraltro l'odio della Chiesa e, con esso, il soprannome di Apostata (cioè di rinnegato).

Nonostante poi la profondità della sua visione (che analizzeremo meglio più avanti), l'intrinseca anacronisticità del suo progetto politico farà in modo che i suoi successori rinneghino praticamente tutte le sue riforme - anche se ciò non toglie che esse siano espressione di un clima culturale e di tensioni reali che attraversano la società romana di questi anni.

- Da Gioviano a Teodosio (363-395)

Dopo la morte di Giuliano, avvenuta nel corso di una campagna contro i Parti, è un personaggio della corte, Gioviano, a prenderne il posto; questi governerà per soli tre mesi, facendo però a tempo a concludere una pace con l'Impero partico.

Dopo Gioviano, il potere supremo passerà a Valentiniano (364-375), il quale sceglierà di dividerlo con il fratello Valente (364-375), assegnando a se stesso la parte occidentale e a suo fratello quella orientale (la cui capitale è divenuta oramai Costantinopoli).

Successivamente egli assocerà al titolo imperiale anche il figlio sedicenne Graziano (367-383), dimostrando in tal modo come anche la soluzione diarchica sia oramai superata in favore di un altro tipo di divisione, dettata essenzialmente dalle esigenze del momento.

Con Valentiniano l'alleanza tra l'Imperatore e gli eserciti verrà rafforzata ulteriormente, contribuendo egli in tal modo a una ulteriore militarizzazione della parte occidentale, ovvero a una prevalenza degli elementi militari anche tra le più alte sfere dello Stato: un dato che anche in futuro distinguerà, come si è detto, l'occidente dall'oriente!

Graziano, invece, sarà il primo imperatore romano a rinunciare al titolo di Pontefice Massimo (una carica religiosa legata alle antiche tradizioni pagane), contribuendo così all'allontanamento dello Stato dalle consuetudini pagane.

Nel 378 poi, si avrà la celebre sconfitta dei romani presso la città di Adrianopoli, in Tracia, in una battaglia nel corso della quale perderà la vita lo stesso Imperatore d'Oriente Valente, e che rappresenterà uno dei più grandi smacchi di tutta la storia dell'Impero, costituendo inoltre - a causa del dilagare incontrollato delle popolazioni gotiche nelle zone danubiane - un rischio enorme per la stessa sopravvivenza politica di tali zone.

Alla morte di Valente, rimasta vacante la reggenza in Oriente, Graziano affiderà quest'ultima (379) a un certo Teodosio, un valoroso generale, figlio di un ufficiale che si era a sua volta distinto in Britannia al servizio di Valentiniano.

L'azione di quest'ultimo seguirà essenzialmente le seguenti fasi: in una prima (380) egli riguadagnerà a Roma quelle regioni danubiane che erano andate perdute subito dopo la battaglia di Adrianopoli (arruolando poi un grande numero di elementi barbarici tra i reparti militari di frontiera, e permettendo inoltre a essi di insediarsi stabilmente in alcune regioni definite dell'Impero); in un secondo momento egli si impegnerà in un'opera di radicamento ulteriore della Chiesa all'interno dello stato imperiale (nel 382 per esempio, egli proibirà la pratica dei culti pagani in luoghi pubblici, mentre nel 394 estenderà tale proibizione anche ai luoghi privati); infine tra il 388 e il 394 combatterà e sconfiggerà due usurpatori del trono imperiale: Massimo (asceso alla dignità imperiale dopo avere eliminato Graziano nel 384), e Eugenio (sostenuto dal generale Abrogaste, uomo d'armi molto potente nelle zone occidentali).

Teodosio morirà nel 395, essendo stato in realtà Imperatore unico ufficialmente soltanto nel breve periodo che va dal 394 (anno della sconfitta di Eugenio) al 395, ma avendo in pratica dato all'Impero un'impronta decisiva per ciò che riguarda i decenni futuri.

Alla sua morte, inoltre, quest'ultimo sarà - per la prima volta - diviso in due parti indipendenti: quella occidentale retta da Onorio e quella orientale retta da Arcadio.

2) La figura di Giuliano (355-361-363)

L'ultima figura di imperatore-filosofo che Roma conosca è quella di Giuliano.

Pur avendo rifiutato la religiosità cristiana in favore delle più antiche tradizioni pagane, Giuliano non ha - a dispetto di ciò che si potrebbe immaginare - ricevuto in giovane età un'educazione pagana, bensì al contrario rigidamente cristiana (i suoi precettori essendo stati scelti proprio dal suo parente e tutore Costanzo II).

E' piuttosto la sua vasta cultura, che spazia dagli ambiti religiosi a quelli più propriamente filosofici, a portarlo col tempo ad avvicinarsi alle concezioni neoplatoniche, con le quali difatti egli condivide tanto le tendenze ascetiche e misticheggianti quanto l'ispirazione profondamente anticristiana.

Anche politicamente poi, Giuliano si pone in profondo contrasto con le tendenze dominanti nei suoi anni, opponendosi sia all'orientamento generale verso una sempre più accentuata 'simbiosi' politico ideologica tra Stato e Chiesa; sia alla crescita spropositata degli apparati burocratici (oltre che a quella della corte e del suo sfarzoso cerimoniale) e al conseguente aumento della fiscalità (due tendenze queste, che - come si sa - già da tempo fanno sentire i loro effetti negativi sull'economia imperiale, effetti tra i quali vi è in primo luogo il ripiegamento di gran parte della popolazione all'interno delle grandi proprietà latifondistiche).

Negli anni della sua attività dunque, Giuliano spingerà fondamentalmente in direzione di un rovesciamento della situazione in atto, all'insegna di un ritorno agli antichi fasti del periodo di Traiano e dell'età aurea, cercando di favorire un riavvicinamento politico tra i ceti più ricchi e le istituzioni dell'Impero.

Si noti inoltre come lo sfarzo della corte e i poteri sempre più estesi e radicati della classe burocratica (la quale si è trasformata col tempo in una sorta di casta chiusa, capace di grandi arbitri ai danni delle popolazioni locali, quali ad esempio enormi sprechi delle risorse comuni) muovano molte proteste da parte dei comuni cittadini: un fattore che, con ogni probabilità, finisce per sostenere anche tra la popolazione il suo programma di rinnovamento!

Ma anche credere che Giuliano si ponga a capo di un vasto movimento di rinascita politica e culturale, trovando l'appoggio entusiastico - ad esempio - delle antiche famiglie senatorie, rimaste in gran parte legate alle antiche tradizioni pagane, sarebbe decisamente fuorviante e semplicistico.

L'ispirazione filosofica alla base delle sue riforme infatti, la cui impostazione è largamente debitrice alle tradizioni elleniche, non va certo a genio alla nobiltà terriera occidentale, abituata da sempre a idee e concezioni più di grana grossa, e diffidente quindi nei confronti di una tale impostazione.

Piuttosto - e paradossalmente - molti aspetti della personalità e delle scelte di Giuliano, avvicinano quest'ultimo proprio a quella cultura cristiana dalla quale vorrebbe prendere risolutamente le distanze.

Si pensi ad esempio alle sue forti inclinazioni verso l'ascetismo (queste ultime alla base, tra l'altro, della rinuncia al lusso e alla sfarzosità della corte: un atteggiamento che come si è visto ha, anche sul piano politico, implicazioni notevoli), o al tipo di riorganizzazione da lui auspicata per le istituzioni religiose pagane, largamente debitrice alle strutture stesse della Chiesa cristiana e cattolica.

Un breve cenno va fatto infine a quelle che sono le riforme effettivamente promosse da Giuliano - quasi tutte poi revocate dai suoi successori - negli anni del proprio mandato imperiale.

Da un punto di vista amministrativo e politico - oltre a restituire alla nobiltà senatoria una parte almeno del prestigio sociale e dell'autorità decisionale che le era stata tolta nei decenni precedenti - Giuliano introdurrà una nuova moneta, la siliquia, il cui valore sarà di 1/24 rispetto al solidus auerus (la moneta interamente in oro introdotta da Costantino) e la cui più facile utilizzabilità avvantaggerà i ceti commerciali, facendo parte inoltre di un più ampio progetto di rilancio dell'economia di mercato, oramai in declino.

Da un punto di vista religioso, pur non ponendo egli in atto una vera e propria persecuzione ai danni delle comunità cristiane (anche perchè tali provvedimenti sarebbero ormai impensabili, dopo le trasformazioni degli ultimi anni), Giuliano porrà in atto comunque alcune misure volte a ridurre drasticamente la loro presenza nelle più alte sfere dello Stato, e promuoverà al tempo stesso un ritorno al paganesimo come religione di Stato.

Ciò attraverso le seguenti misure: restaurazione degli antichi templi pagani, abolizione dei privilegi concessi da Costantino (e dai suoi successori) alla Chiesa cristiana, e proibizione dell'insegnamento ai maestri di religione cristiana.

E' ovvio tuttavia come la situazione oramai mutata sia da un punto di vista politico e sociale che culturale, renda impossibile il perdurare di simili provvedimenti.

Già Gioviano, il suo successore, si affretterà difatti a smantellare il complesso di tali misure in direzione di una politica più realistica, ovvero di un ritorno all'alleanza tra Stato Chiesa nonché alle recenti misure economiche e amministrative.

3) Il cristianesimo e la fine dell'uomo antico

Non è un caso che, secondo Giuliano, la restaurazione del vecchio ordine debba passare attraverso due tipi di riforme: quelle amministrative e quelle religiose.

Non sono difatti soltanto le trasformazioni di natura sociale (quali l'allargamento delle proprietà fondiarie, lo svuotamento graduale delle città, ecc.) a concorrere alla trasformazione del mondo antico in mondo feudale. Stanno avvenendo infatti cambiamenti molto profondi anche a livello culturale e, prima di tutto, a livello religioso: cambiamenti dovuti fondamentalmente all'affermarsi di una nuova temperie, segnata in modo essenziale dalla presenza del cristianesimo.

Pur essendo cosa universalmente nota il fatto che il messaggio della Chiesa cristiana sia stato portatore di una nuova concezione morale e, più in generale, di una nuova visione dell'essere dell'uomo e della natura, può apparire strano che essa sia riuscita a rivoluzionare quella visione di fondo che si suole definire - un po’ schematicamente - come antica, fino a decretarne addirittura la scomparsa.

La realtà di una tale affermazione, tuttavia, può essere dimostrata anche attraverso un'analisi approssimativa di un tale messaggio e dei suoi contenuti, soprattutto se essi vengano posti a confronto con le idee più generali e universalmente condivise delle culture, pur tra loro molto differenti, che siamo soliti far rientrare sotto la denominazione comune di 'civiltà pagane'.

Mentre - ad esempio - nella visione tipica delle civiltà antiche l'uomo e la natura (ovvero lo spirito e la materia, il soggetto e l'oggetto…) sono concepiti come due realtà che si compenetrano a vicenda - ponendosi tra loro in un rapporto sostanzialmente armonico nel quale nessuna delle due riesce mai a 'sopraffare' l'altra -, la concezione propria del messaggio cristiano rompe una tale armonia in favore delle componenti più propriamente umane e spirituali.

In una tale visione, infatti, lo spirito finisce per prendere il sopravvento sulla natura, ponendosi rispetto a essa come un qualcosa di assolutamente al-di-là, che rimane per essa fondamentalmente inaccessibile: si determina così - come già si è detto - una frattura, fino ad oggi non più ricomposta, tra tali dimensioni!

Ma anche altri elementi, oltre a quello riguardante il rapporto tra uomo e natura, manifestano chiaramente la profondo differenza che separa gli 'antichi' dai 'moderni'.

Se, ad esempio, nella visione antica il mondo stesso era divino (esso, per esempio, veniva immaginato come "pieno di dei"), nella visone cristiana invece esso rimane soltanto un tenue riflesso - seppure in se stesso sublime e grandioso - della divinità, mentre quest'ultima si pone in una dimensione di assoluta trascendenza.

Allo stesso modo, mentre l'esistenza terrena è - per gli antichi - un fine in se stessa, essa diviene - nella concezione religiosa e escatologica cristiana - una prova o una lotta: qualcosa che rimanda comunque nella sua più piena realizzazione a un'altra vita, nella quale verranno distribuiti premi e castighi per le azioni compiute in quella precedente.

Si rende quindi evidente da queste - come da altre - considerazioni la profonda differenza che intercorre tra l'uomo antico e l'uomo cristiano (ovvero, in certo senso, moderno): se il primo vive infatti in una dimensione che è essenzialmente terrena e carnale (un termine, quest'ultimo, col quale non si intende certo negare ogni valore alla dimensione più propriamente umana e spirituale, ma che non conferisce comunque ad essa una predominanza assoluta su quella naturale), il secondo si pone invece nei confronti della natura in un rapporto di opposizione, che si traduce poi nel supremo sforzo di trascenderla.

Di nuovo, come si è già detto, mentre l'uomo antico vive ancora in armonia con il mondo delle forme sensibili, quello cristiano (che vogliamo qui definire, anche se un po’ arbitrariamente, come 'moderno') vive con esse in un rapporto conflittuale, secondo il quale la sola possibile relazione tra questi due termini consiste nella prevaricazione e nell'annullamento di uno di essi per l'azione dell'altro [un fattore questo, ancora più evidente rispetto al cristianesimo in altre forme di religiosità a esso concomitanti: ad esempio in quella manichea e iraniana, nella quale ancora più estremizzata è l'opposizione tra corpo e spirito - identificati rispettivamente con il male e il bene].

Il prevalere poi di questa seconda visione della vita non può non decretare il tramonto della precedente, data la loro sostanziale inconciliabilità, e con essa la fine - almeno nell'immediato - dei valori naturalistici ed edonistici che l'avevano caratterizzata.

Ma - si obbietterà giustamente - l'uomo che qui definiamo 'moderno' (in base a una categoria che comprende anche noi stessi) non è frutto soltanto della rivoluzione cristiana, ma anche di tutte quelle che a essa sono succedute (a partire dalla rinascita cittadina del XIII secolo, per giungere alla rivoluzione industriale del XVIII, e così via…).

Anche se ciò è vero, si può dire tuttavia che sia la prima di tali rivoluzioni, quella connessa cioè con l'affermarsi del messaggio cristiano (con tutte le sue implicazioni) a porsi a base di tutte le altre e a renderle possibili. E ciò dal momento che essa sposta l'asse dell'esistenza umana in direzione del controllo anziché della convivenza, del dominio anziché della fusione tra l'uomo e la natura!

In tal modo quindi, essa pone le basi stesse delle future trasformazioni della civiltà moderna: di quella civiltà che nasce cioè con quel processo di 'spiritualizzazione' le cui origini si collocano appunto a partire dalla diffusione del messaggio - religioso sì, ma anche culturale - cristiano.

Alla fine del Medioevo, difatti, molti fenomeni che avevano già caratterizzato la civiltà antica (soprattutto ai suoi apici: ovvero la civiltà ellenistica e quella romana) quali ad esempio il commercio su base monetaria, lo sviluppo della vita cittadina e delle grandi vie di traffico, ecc. faranno nuovamente la propria comparsa, ma stavolta su basi molto mutate, perché potenziate da nuovi strumenti di carattere tecnico (sia in senso più propriamente tecnologico, ovvero i nuovi strumenti produttivi, sia in senso finanziario, ad esempio le banche e le altre forme di organizzazione del credito).

Né vi è poi bisogno di sottolineare come questi ultimi traguardi siano stati resi possibili, in sostanza, da quel tipo di mentalità che proprio la rivoluzione cristiana aveva inaugurato, una mentalità tesa tutta a trascendere la dimensione fisica e naturale, che non accetta più cioè di "coabitare" con essa.

Non è un caso, infine, che la crisi più radicale della mentalità 'antica' si verifichi in concomitanza con quella del più avanzato sistema produttivo e sociale del cosiddetto 'mondo antico', cioè dell'Impero romano.

La crisi di quest'ultimo infatti, determinerà un po’ a tutti i livelli (tanto economici, quanto politici e culturali) la scomparsa stessa del mondo antico propriamente detto!

4) L'Impero sotto Teodosio

Oltre ai meriti cui già si è accennato - ovvero l'aver difeso l'Impero dal dilagare delle orde barbariche, in particolare dopo la catastrofe di Adrianopoli del 378, e l'aver portato avanti un processo di ulteriore avvicinamento tra lo Stato romano e la Chiesa cristiana - vanno ascritti a Teodosio alcuni sviluppi di carattere politico e sociale, attuati attraverso disposizioni che pongono un suggello istituzionale e ufficiale a tendenze latenti oramai da alcuni decenni.

- I barbari e l'Impero

Primo tra tutti, vi è il provvedimento inerente la riforma degli eserciti e della loro composizione.
Avendo infatti compreso come, oramai, non sia più possibile arginare le incursioni barbariche sui territori imperiali, Teodosio opta per una soluzione scopertamente di compromesso con tali popoli, iniziando così una trasformazione in senso "barbarico" delle forze armate.

A un tale provvedimento (certo non del tutto originale, in quanto praticato fin dai tempi di Marco Aurelio, ma perseguito comunque da Teodosio con una sistematicità e una fermezza assolutamente inedite) se ne aggiunge poi un altro (anch'esso non nuovo), ovvero l'insediamento dei barbari in alcune zone, ben delimitate, dell'Impero.

Una strategia di 'addomesticamento' delle forze estranee all'Impero, insomma, finalizzata a utilizzarne la forza militare ai fini del consolidamento dell'Impero stesso, ma che - come dimostrerà chiaramente la vicenda della parte occidentale - comporta inevitabilmente anche molti rischi per quanto concerne l'identità culturale e la stabilità politica degli stessi apparati statali. Così, se le zone orientali potranno conservare fondamentalmente integra la propria identità politica e culturale (anche se a prezzo - a volte - di patteggiare la pace con le popolazioni ostili dietro il pagamento di forti somme in danaro, o addirittura di indirizzare le loro mire espansive sulle zone occidentali), quelle dell'occidente latino, già intrinsecamente più deboli, vedranno - anche in conseguenza della linea di 'integrazione' inaugurata da Teodosio - lo sfaldamento delle proprie istituzioni e il tramonto stesso della propria civiltà.

- La nascita dello stato cristiano e le prime dispute tra Stato e Chiesa

Un secondo aspetto caratterizzante il principato di Teodosio è, da una parte, il consolidamento dell'alleanza tra lo Stato e le istituzioni ecclesiastiche (si pensi ad esempio agli editti del 382 e del 394, che dichiarano illegali le pratiche religiose pagane); dall'altra - al tempo stesso - l'emergere dei primi attriti tra essi.

Se è difatti vero che il primo tende a porsi come guida e tutore della seconda (soprattutto laddove, tanto in occidente quanto in oriente, insorgano dei dissidi dottrinali che destabilizzano l'unità della Chiesa e con essa la stessa quiete sociale) è vero anche che la seconda si dimostra un fattore essenziale di integrazione e di incivilimento per un mondo come quello romano, percorso ovunque in questi anni da grandi tensioni, dovute soprattutto alla presenza del 'pericolo barbarico' (si pensi solo per esempio al problema della convivenza pacifica, che nelle zone occidentali diverrà col tempo sempre più pressante, tra i barbari e le popolazioni indigene…).

Queste due realtà quindi, pur svolgendo delle attività tra loro complementari, finiscono anche per sviluppare una certa conflittualità di fondo: la stessa che nel periodo medievale sfocerà, in occidente, nel conflitto Stato-Chiesa e nella lotta per il predominio tra le autorità ecclesiastiche e quelle laiche.

Di una tale tendenza, è espressione il dissidio sorto in questi anni (390) tra l'Imperatore Teodosio e il vescovo di Milano, Ambrogio, a causa di un decreto del primo, non approvato dal secondo.

Alla base di una tale vicenda vi è un editto promulgato da Teodosio ai danni della comunità di Tessalonica: colpevole di essersi ribellata a una legge promulgata dall'Imperatore, che proibisce la pratica dei 'vizi contro natura', essa viene difatti condannata da questi ad essere rasa al suolo, e a divenire così un esempio e un monito per coloro che volessero ribellarsi alle decisioni imperiali.

Ma un tale provvedimento incontra subito l'opposizione e la condanna della Chiesa, e in particolare del vescovo Ambrogio (già consigliere dell'Imperatore su questioni religiose), scatenando in tal modo una lotta furiosa tra i due personaggi.

Una lotta vinta poi dall'autorità religiosa di Ambrogio, il quale (attraverso la minaccia della scomunica, ovvero dell'esclusione dai sacramenti - una misura davvero grave, data l'autorità sviluppata negli ultimi decenni dalla Chiesa!) riuscirà a piegare il suo avversario, costringendolo nel natale dello stesso anno a una pubblica penitenza.

Ma anche l'opposizione pagana e tradizionalista non è del tutto morta, come dimostra l'insorgere dei moti separatistici, a seguito delle recrudescenze della lotta (che conosce peraltro un ulteriore inasprimento dopo la vicenda del 390) contro il paganesimo.

Di un tale fenomeno sarà espressione ad esempio l'elezione di Eugenio, un Imperatore non riconosciuto dalla corte, ad opera del Senato e delle forze dell'aristocrazia occidentale nel 392, e sconfitto sulle Alpi orientali nel 394 dalle truppe di Teodosio.

- Cultura pagana e cultura cristiana

Parallelamente allo svilupparsi dell'annoso conflitto tra paganesimo e cristianesimo (di cui è un esempio in questi anni, una querelle tra Ambrogio e Simmaco, un nobile senatore occidentale di orientamento pagano, per l'eliminazione o la conservazione dell'altare della Vittoria - antico monumento risalente ancora al periodo repubblicano - nell'aula senatoria), si verifica anche un avvicinamento tra le due opposte tradizioni culturali.

Soprattutto la tradizione dell'oratoria antica tende infatti a confluire in quella della predicazione cristiana. Sempre di questo periodo poi, è la compilazione della prima traduzione integrale in latino della Bibbia (passata alla storia come Vulgata) ad opera di S. Gerolamo: uno dei capisaldi della spiritualità cristiana occidentale, che favorirà l'affermarsi tra le masse latine delle tradizioni ebraiche e cristiane.

3. La separazione tra Oriente e Occidente

1) Due diversi destini

Per la prima volta nella sua storia, con la morte di Teodosio, l'Impero romano viene diviso ufficialmente in due zone indipendenti, assegnate ai due figli di Teodosio: quella occidentale (comprendente anche le zone balcaniche) a Onorio, e quella orientale ad Arcadio.

Alla base di una tale decisione sta il fatto che tali aree abbiano conosciuto (e conoscano tuttora) due tipi di evoluzione estremamente diversi, e abbiano così sviluppato differenze tanto marcate da rendere sempre più superfluo il mantenimento dell'antica unità politica. A fondamento di quest'ultima vi era difatti la possibilità di comunicazione e di interazione tra due aree culturali e politiche che - pur certo non omogenee - condividevano comunque alcuni assunti fondamentali.

Ma ora che i diversi sviluppi sociali e istituzionali hanno ulteriormente accresciuto il divario tra esse, non ha più senso - quantomeno oltre certi limiti - il mantenimento di una tale unità, anche visti i costi che essa inevitabilmente comporta attraverso il mantenimento di varie e onerose infrastrutture.

- Sviluppi delle zone occidentali

Come già si è detto, la caratteristica distintiva delle zone occidentali rispetto a quelle orientali è il maggiore indebolimento delle strutture economiche e commerciali, e di conseguenza il forte ripiegamento della popolazione all'interno dei latifundia, le grandi proprietà che - pur da sempre caratterizzanti il mondo latino - finiscono ora per costituirsi praticamente come entità economiche e sociali autonome.

Un tale fenomeno non può non comportare poi un notevole indebolimento dello Stato, dal momento che - parallelamente peraltro alla crescita per quest'ultimo delle esigenze sia burocratiche che militari - sottrae ad esso preziose energie, sia umane che economiche.

Non è un caso quindi, che in queste aree gli apparati statali - già di per sé più deboli che in Oriente - vengano ulteriormente indeboliti da forze particolaristiche e militari su cui lo Stato stesso, per forza di cose, non può avere un controllo eccessivo.

Sono infatti i grandi generali, in occidente, i veri capi di Stato, coloro cioè cui spetta la fetta maggiore di autorità a livello decisionale - e ciò a scapito ovviamente della corte imperiale.

La crescita spropositata degli eserciti inoltre, dovuta alle sempre maggiori esigenze difensive, non può non minare ulteriormente la stabilità dell'economia interna all'occidente, e con questa di nuovo quella dei suoi stessi apparati statali.

Un altro elemento poi che è al tempo stesso sintomo e causa della debolezza di tali aree, è la politica di integrazione, portata avanti sia a livello politico che a livello militare (gli eserciti occidentali, per esempio, saranno composti negli ultimi decenni dell'Impero praticamente soltanto da barbari) tra le popolazioni autoctone e quelle barbariche. Accanto al vantaggio di contenere le spinte aggressive e distruttive dei popoli invasori, infatti, essa determinerà l'inesorabile declino delle strutture e delle tradizioni civili e statali romane, preparandone così il collasso finale.

Infine in occidente molto più che in oriente, sarà forte la tendenza dello Stato a delegare alle istituzioni ecclesiastiche, e soprattutto a personaggi di spicco al loro interno, il compito di favorire (e in alcuni casi finanche di rendere possibile) un'integrazione pacifica tra le popolazioni indigene e quelle degli invasori.

A proposito della Chiesa inoltre, bisogna notare che anch'essa, in questi e nei prossimi anni, seguirà la tendenza generale verso la separazione in due tronconi indipendenti.

In occidente infatti, come si vedrà, essa farà proprio anche formalmente l'indirizzo niceano (che si richiama cioè ai decreti del concilio di Nicea, indetto da Costantino nel 325), mentre in oriente finiranno per prevalere prima la dottrina ariana e successivamente quella monofisita.

- Sviluppi delle zone orientali

La maggiore solidità dello Stato in Oriente, dovuta in gran parte al persistere in esso di più floride condizioni sia commerciali che cittadine (si ricordi che queste regioni hanno tradizioni civili molto più antiche rispetto all'Occidente, che risalgono al periodo delle città-stato greche o a quello delle civiltà, ancora più antiche, della Mezzaluna fertile e dell'Egitto), e quindi a un minor sviluppo della grande proprietà, porterà come risultato una capacità molto maggiore di arginare le spinte centrifughe interne ed esterne. Una capacità difensiva che passerà a volte attraverso stratagemmi poco 'nobili', e tuttavia efficaci: ad esempio - come si è già detto - la pratica di deviare (come avverrà con le popolazioni Ostrogote di Teodorico) le mire territoriali barbariche sul fronte occidentale, o lo scendere a patti con esse attraverso il pagamento di tributi, ecc.

In tali aree inoltre, e a differenza che in Occidente, la politica di 'integrazione' con i barbari non verrà mai - e non a caso - perseguita (se non in minima parte), e ciò con evidenti vantaggi sia per la loro solidità amministrativa e politica che per la loro integrità culturale.

Senza contare che le più contenute esigenze difensive impediranno che le forze militari prendano il sopravvento su quelle della corte imperiale, la quale infatti consoliderà il suo potere e la sua influenza sui territori divenendo uno dei maggiori fattori di stabilità e di continuità, assieme agli apparati burocratici, dell'Impero bizantino.

In sintesi dunque, possiamo dire che in questi decenni la graduale trasformazione dell'Occidente in un'area economicamente depressa e politicamente alquanto instabile, renderà superfluo il mantenimento effettivo (anche se non formale) dell'unità dell'Impero.

Ciò varrà in special modo inoltre per le zone orientali, decisamente più floride da una parte e interessate dall'altra a stornare da sé le mire espansionistiche delle popolazioni barbariche, anche a danno delle loro gemelle occidentali.

2) Eventi principali delle zone europee occidentali da Onorio alla caduta (395-476)

Il periodo di storia romana che fa seguito alla morte di Teodosio è caratterizzato da una notevole complessità a livello politico, tanto a oriente quanto a occidente.

Mentre nelle regioni orientali saranno le lotte per il predominio a livello religioso e ecclesiastico tra diverse sedi episcopali (ad esempio quelle di Alessandria e di Costantinopoli) la principale causa di tale complessità; in quelle occidentali (nelle quali la Chiesa avrà minori difficoltà a mantenersi coesa, nonostante la presenza di alcuni movimenti ereticali: da quello donatista a quello ariano, per altro diffuso principalmente tra i Barbari) saranno le continue lotte tra lo Stato romano e le popolazioni barbariche il fattore essenziale alla base dei continui rivolgimenti interni, nonché della conseguente cronica instabilità a livello politico e istituzionale.

Qui di seguito, in linea peraltro con quella che è l'intenzione di fondo di tutta l'opera, si tenterà di descrivere le fasi e i meccanismi salienti che sono alla base delle trasformazioni dell'Impero dopo Teodosio, sia per la parte a occidente che per quella asiatica.

Bisogna però anche tener presente come la realtà di tali vicende sia decisamente più articolata e complessa di come qui verrà presentata.

- Il periodo di Stilicone (395-408)

Sono gli eserciti e i loro comandanti a detenere, nelle zone occidentali, il maggiore potere direttivo. E ciò perché - rispetto a quelle a est - ancora più urgente e pressante è per esse il problema della difesa dei territori.

Alla morte dell'Imperatore Teodosio, infatti, tali regioni saranno gestite, più che dal suo giovanissimo figlio e successore, Onorio, dal generale in capo delle truppe occidentali, Stilicone, un uomo di origini vandaliche, entrato a fare parte (come del resto molti altri, prima e dopo di lui) dei più alti quadri dell'esercito.

La sua politica si distinguerà per una grande abilità militare e difensiva, nonché per la capacità di contenere - attraverso accordi e patteggiamenti, ma anche con collaborazioni militari - l'aggressività dei barbari, entrati oramai a fare parte della compagine degli Stati occidentali.

Un altro elemento poi, che caratterizzerà gli anni del dominio di Stilicone sarà l'ostilità della corte imperiale, un'ostilità dovuta tanto a motivi di carattere politico (ovvero l'espropriazione da parte di quest'ultimo del suo effettivo predominio politico), sia a motivi di carattere culturale e ideologico (essenzialmente due visioni molto diverse del tipo di rapporti da tenere con le popolazioni esterne all'Impero).

Per una tale ragione Stilicone, preoccupato di difendere la propria posizione dall'avversione feroce della corte (la quale tuttavia avrà alla fine la meglio su di lui, con risultati - come si vedrà - per nulla positivi sulla solidità dell'Impero) tenderà a cercare l'alleanza delle classi nobiliari, espropriate a loro volta di molti dei propri poteri dagli apparati statali imperiali.

Sul piano militare, Stilicone si impegnerà fondamentalmente nell'opera di arginamento dei Visigoti (guidati da Alarico), degli Alani, degli Svevi e dei Vandali (tutti popoli che, negli anni futuri, riusciranno a insediarsi stabilmente all'interno dei confini imperiali).

Sconfiggerà difatti i primi - nel corso della loro prima discesa in Italia - in due battaglie presso Pollenza e presso Verona, nel 402.

Il suo senso di realtà, inoltre, lo porterà a stipulare con essi degli accordi in base a cui verranno assegnati a essi dei territori su cui insediarsi stabilmente nelle zone pannoniche, in cambio chiaramente della loro non belligeranza.

E sarà appunto una tale strategia di accordo con l'elemento barbarico (i cui risultati saranno tra l'altro sempre molto precari) uno dei fattori principali che susciteranno l'ostilità della corte imperiale, essendo al tempo stesso chiara manifestazione della profonda diversità di vedute di quest'ultima rispetto alle componenti militari - peraltro oramai essenzialmente barbariche - occidentali!

Ma un tale tipo di politica costituirà anche, in ultima analisi, l'unica possibilità rimasta all'Impero d'Occidente di prolungare la propria esistenza, data l'evidente fragilità delle sue fondamenta… e gli anni che seguiranno la morte di Stilicone dimostreranno appunto la verità di una tale affermazione.

Oltre a tali imprese, Stilicone sposterà, sempre nel 402 ed essenzialmente per ragioni di maggiore difendibilità territoriale, la capitale occidentale da Roma a Ravenna, arginando poi nel 406 le incursioni di Vandali Svevi e Alani nelle regioni nord-orientali.

Nel 408, tuttavia, la corte - quasi sicuramente irritata dalla politica eccessivamente filo-barbarica portata avanti dal generale vandalico - fomenterà una rivolta tra le sue stesse truppe, a seguito della quale egli perderà la vita.

- Declino e ripresa dell'Impero d'Occidente (408-421)

Gli eventi che seguiranno alla scomparsa di Stilicone, segnati dalla ripresa del potere direttivo da parte della corte imperiale, dimostreranno chiaramente l'incapacità di quest'ultima (per motivi essenzialmente strutturali, l'essere cioè troppo distante dai problemi più veri dello Stato, di carattere essenzialmente militare) a tenere saldamente in pugno la situazione nelle regioni occidentali.

Si assiste infatti in questo periodo al primo sacco di Roma (410), da parte dei Visigoti di Alarico, e all'esplosione conseguente di alcuni moti indipendentistici, soprattutto in Armorica e in Britannia.

Il primo episodio sarà il momento culminante di un più lungo dissidio tra la corte e le popolazioni visigotiche stanziate in Pannonia, ancora al tempo di Stilicone: un dissidio dovuto alla politica scopertamente anti-barbarica della corte, che ha tolto a tali popolazioni molte delle concessioni che avevano ricevute dallo stesso Stilicone.

Dopo un primo tentativo di invasione dell'Italia e della sua storica capitale, sventato nel 408 (anche grazie al pagamento di una forte somma in danaro e alla liberazione di alcuni schiavi), nel 410 - a seguito di un nuovo dissidio tra Alarico e la corte romana - si avrà invece il primo vero sacco di Roma, che verrà messa a ferro e fuoco dai barbari per tre giorni.

Un episodio questo, il cui effetto sulla coscienza dell'epoca sarà - paradossalmente, almeno dal punto di vista di noi moderni - molto più eclatante di quello della vera e propria caduta dell'Impero occidentale, che avverrà nel 476 con la deposizione di Romolo Augustolo, l'ultimo imperatore, su iniziativa del generale barbarico Odoacre.

Ciò poiché un tale avvenimento verrà interpretato come il trionfo stesso della civiltà barbarica su quella più antica dei romani, costituendo così per i cittadini dell'epoca un evento di portata incalcolabile - come dimostra inoltre il fatto che la prima grande riflessione cristiana - escatologica e predestinante - sulla storia e sul suo significato, verrà realizzata da Sant'Agostino proprio alla vigilia del Sacco del 410, nel suo celebre scritto intitolato la "Città di Dio". [Un'opera che costituirà a sua volta l'inizio di una rivoluzione, ovvero la nascita di una nuova concezione del tempo, inteso in senso lineare e progressivo, e convergente tutto verso un unico fine: quello della redenzione finale, anziché, come nella concezione più propriamente antica (dipendente dalla ciclicità degli eventi naturali), come una realtà circolare e un "eterno ritorno"].

Ma gli effetti della nuova strategia politica della corte non si faranno sentire soltanto a livello peninsulare, bensì anche nelle zone periferiche dell'Impero, soprattutto - come si è accennato - in Armorica (regione coincidente più o meno con l'attuale Normandia) e in Britannia (funestata in questi anni dalle invasioni di Scoti, Sassoni, e di altri popoli barbarici), laddove l'impressione dell'abbandono da parte delle forze centrali incoraggerà ancora una volta l'instaurazione di regimi indipendenti.

La rivolta britannica inoltre, guidata da un certo Costantino (III), si estenderà poi - dopo che questi sarà sbarcato sul continente - anche su parte delle regioni galliche.

Sarà per merito di un nuovo condottiero, nella persona questa volta di Costanzo, che Roma riuscirà - dopo questi ultimi anni bui, che sembrano decretarne la fine stessa - a risollevarsi dalla profonda crisi nella quale è caduta dopo la morte di Stilicone.

Un dato che costituisce l'ennesima prova del fatto che, se la parte occidentale dell'Impero potrà nei decenni futuri prolungare la propria 'agonia politica', ciò si deve essenzialmente - oltre che alla disorganizzazione dei barbari, spesso posti l'un contro l'altro dall'astuzia dei romani - alla presenza nelle regioni occidentali di abili generali (come appunto Stilicone e Costanzo e, in futuro, Ezio e Ricimero), ma non di certo alla presenza della corte imperiale, né a quella del giovane imperatore Onorio (che resterà peraltro una figura sbiadita e politicamente quasi del tutto ininfluente, come del resto la maggior parte degli ultimi imperatori occidentali, e di buona parte di quelli orientali).

Nel corso dei dieci anni del suo effettivo primato (411-421), Costanzo riuscirà nelle seguenti imprese: decretare la fine di Costantino e del suo stato indipendente; cercare e trovare l'alleanza dei Visigoti, guidati ora da Wallia, contro il dilagare dei popoli Alani e Vandali nelle regioni iberiche (in cambio peraltro della costituzione per i primi di un regno indipendente (418) in Aquitania, una regione situata tra la Spagna e l'attuale Francia); autorizzare infine l'insediamento dei popoli Burgundi nella zona tra Worms e Magonza.

Ma tali provvedimenti, che pure risolleveranno le sorti dell'Occidente, portano in sé anche il seme della propria rovina: essi infatti comportano per lo Stato sia delle enormi spese, sia la creazione sul suolo imperiale di stati barbarici indipendenti dal dominio romano, i quali costituiscono gli antecedenti delle future formazioni politiche 'miste' tra romani e barbari…

Vogliamo qui infine soffermarci - per un attimo - sulla vicenda visigotica, in quanto essa ci appare sintomatica e esemplare del tipo di relazioni instauratesi in questi decenni tra i Barbari e lo Stato d'Occidente.

I rapporti tra tali popolazioni e le autorità romane saranno difatti sempre estremamente instabili, come dimostrano sia le vicende appena narrate (ovvero: la guerra contro Stilicone e i successivi accordi, il Sacco di Roma, ed infine l'alleanza contro i Vandali e gli Alani), sia quelle future, caratterizzate da continue esplosioni di violenza e da successive e provvisorie riappacificazioni. Una situazione alquanto altalenante, insomma, che troverà una soluzione definitiva soltanto con il crollo stesso dell'Impero.

- Gli anni di Ezio (421-454)

Dopo la morte improvvisa di Costanzo - seguita, dopo due anni, da quella dell'Imperatore Onorio (423) - emerge come guida dello Stato occidentale un altro generale, Ezio.

Il periodo di questi verrà ricordato essenzialmente per due ordini di motivi: l'alleanza - che diverrà poi scontro - con gli Unni (un popolo estremamente feroce e aggressivo che, prima di rivoltarsi contro Ezio, avrà insediato e razziato le zone orientali dell'Impero); e il forte dissidio con la corte (dissidio che gli costerà inoltre - come già è accaduto a Stilicone - la vita), oltre che l'accordo politico con la nobiltà romana e italica in funzione anti-imperiale.

(a) Ezio e gli Unni

Il rapporto con i popoli Unni (guidati in un primo tempo da Ruas, e successivamente da Attila) conoscerà due distinte fasi: la prima di collaborazione in funzione difensiva, l'altra segnata invece da una repentina inversione di tendenza e da un'ostilità feroce.

Le campagne militari portate avanti vittoriosamente da Ezio contro i Vandali di Genserico, i quali nel 438 hanno invaso la parte settentrionale dell'Africa, ma che verranno poi confinati in una ristretta zona occidentale sotto autorizzazione del governo romano in qualità di federati (440); contro i Visigoti e i Burgundi in Gallia (436); e infine contro gli Svevi in Spagna (439), avranno tutte come denominatore comune l'alleanza e l'aiuto degli Unni (un popolo che Ezio conosce peraltro molto bene, in quanto durante la sua infanzia egli ha passato con essi molto tempo, in qualità di ostaggio romano).

Pur conclusesi tutte con l'instaurazione di autonomi regni barbarici sul suolo imperiale, esse risolveranno la situazione in favore dello Stato romano, determinandone così un'ultima effimera ripresa.

Riguardo ai regni barbarici, si deve notare come questi nascano spesso anche dalla collaborazione tra la nobiltà locale e i capi militari dei popoli invasori, decisi a spartire tra loro il potere, a scapito chiaramente dell'esosa amministrazione imperiale. Le spinte centrifughe, quindi, non nascono in questi anni soltanto dall'esterno, ma anche dall'interno dell'Impero!

Inoltre, si deve ricordare una volta di più come sia molto spesso l'azione di vescovi illuminati e coraggiosi, a permettere l'integrazione tra gli invasori e le popolazioni indigene (è il caso ad esempio della Spagna, dove lo Stato sarà impotente a frenare le devastazioni degli Svevi, pacificati e convinti a desistere invece da Idazio, il vescovo locale).

A partire dal 449, però, la situazione tra Roma e gli Unni cambia bruscamente.

Questi ultimi infatti, oramai stanchi di razziare le zone orientali dell'Impero, stringono con esse degli accordi di non belligeranza spostando poi le proprie mire su quelle occidentali.

Nel 451 Attila - usando come pretesto delle promesse, mai mantenute, del governo occidentale - inizierà così la sua discesa in Gallia, dove incontrerà però la resistenza di Ezio. Pur uscito sconfitto per opera di questi nella celebre battaglia presso i Campi Catalaunici sempre nel 451, continuerà poi la sua marcia verso l'Italia.

Senza più incontrare ostacoli, Attila si dirigerà infatti verso Roma, venendo fermato prima di portare a termine la propria impresa sia dall'incontro (ormai mitico) con il papa Leone, sia - e soprattutto - dalla peste che affliggerà i suoi soldati.

La morte di Attila infine, nell'anno successivo (452), porrà termine al pericolo unno, determinando - entro pochissimo tempo - lo sfaldamento della loro compagine.

(b) Ezio e la corte occidentale

Dopo la morte di Onorio, la parte occidentale dell'Impero rimarrà sguarnita per alcuni mesi di un reggente ufficiale. A una tale carenza rimedieranno inizialmente le milizie, nominando nuovo sovrano - con l'appoggio peraltro di Ezio - un certo Giovanni.

Ma la corte orientale, sotto pressione di Galla Placidia (una delle ultime esponenti della dinastia teodosiana) eleggerà nuovo augusto Valentiniano III, figlio della stessa Galla e di Costanzo. Sceso in occidente e sconfitto il proprio rivale con l'aiuto delle truppe orientali, questi prenderà allora - con un certo disappunto di Ezio - il possesso del trono.

Nonostante un periodo di pace e di accordo tra Ezio e la madre del nuovo imperatore, sarà proprio quest'ultimo - incitato peraltro dagli esponenti del suo seguito - a uccidere il suo rivale durante un pubblico colloquio nel 454.

Anche Valentiniano poi, verrà trucidato per vendetta dalle truppe di Ezio, l'anno successivo.

Con la morte del grande generale romano, l'Impero occidentale piomberà in una situazione di prostrazione - simile peraltro a quella seguita alla fine di Stilicone - nel corso della quale Roma subirà un secondo assalto da parte di popoli barbarici (che durerà, stavolta, per ben due settimane).

Dopo la sua scomparsa, inoltre, non vi saranno più grandi condottieri (se si eccettua forse Ricimero) capaci di risollevare le sorti dell'Occidente: gli ultimi due decenni vedranno infatti il suo rapido declino, un declino che culminerà - come noto - nel 476, con la caduta definitiva dello Stato romano d'occidente.

- Gli ultimi anni dell'Occidente (455-476)

Nel 455 saranno le truppe vandaliche guidate da Genserico, ad assediare e a prendere d'assalto la capitale morale e storica dell'occidente: la città 'eterna' di Roma. Un evento che è un chiaro segno di come oramai le forze barbariche, ostili all'Impero, abbiano preso definitivamente il sopravvento su di esso.

Non è un caso che gli ultimi reggenti siano più o meno tutti espressione o degli interessi regionalistici-barbarici (gli invasori si sono infatti 'spartite' tra loro le regioni occidentali), o della volontà politica della corte orientale (ancora relativamente salda alla direzione del potere).

Gli ultimi augusti della storia occidentale saranno: Maggioriano (461-465), Libio Severo (461-465), Antemio (467-472), Giulio Nepote (474-475) e infine Romolo Augustolo (476).

Il primo di essi, Maggioriano, sarà l'ultimo imperatore concretamente e 'attivamente' impegnato nel governare l'Impero (indirà difatti una riforma - peraltro mai posta in essere - ai danni dei privilegi fiscali dei grandi proprietari); Antemio e Nepote, invece, verranno scelti direttamente dalla corte orientale e imposti poi sul trono d'Occidente.

Il 476, infine, vedrà la fine stessa dello Stato occidentale, con la deposizione dell'ultimo imperatore ad opera di Odoacre, un capo militare dell'esercito occidentale, rivale peraltro di Oreste, un altro capo militare occidentale (padre e 'elettore' dell'ultimo sovrano, in carica per soli pochi giorni…).

Odoacre, incoronato re dalle proprie truppe, eserciterà un effettivo dominio sull'Italia per alcuni anni, fino cioè al 493.

Ma di fatto l'Impero d'Occidente - oramai smembrato tra vari stati indipendenti, detti "romano-barbarici" - non esiste più!


Introduzione
1. I cinquant'anni di anarchia militare (236-284)
2. L'Impero sotto Diocleziano (284-305)
3. Costantino e la 'conversione' dell'Impero (305-337)
5. Il crollo dell'impero romano
6. Il V sec. in Oriente
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014