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6. IL PRINCIPATO
DI AUGUSTO
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1. Introduzione Come già
è accaduto a Giulio Cesare, anche Ottaviano si trova (una volta
divenuto l'uomo più potente di Roma) nell'imbarazzante condizione
di dover giustificare la propria posizione di preminenza nello Stato
e nell'Impero.
Rispetto a Cesare però, egli gode di un appoggio e di una fiducia
molto maggiori da parte delle autorità repubblicane, con le quali
ha precedentemente stretto un'alleanza - nata dalla necessità
di sostenere una decisa politica anti-orientale - finalizzata alla restaurazione
e al consolidamento delle antiche istituzioni patrie contro i venti
di rinnovamento che percorrono l'Impero.
Ottaviano tuttavia
si trova in una posizione ancora più ambigua rispetto al suo
predecessore: se da una parte infatti egli si pone formalmente come
il restauratore dell'antica oligarchia senatoria e della tradizione
repubblicana, dall'altra e nella sostanza egli inaugura invece una politica
radicalmente nuova: una politica che si adatta alla realtà di
un Impero divenuto oramai virtualmente universale.
Quest'ultimo si è difatti col tempo trasformato in un'ecumene
di popoli e di tradizioni diverse, che trovano in Roma e nell'Italia
il proprio centro direttivo, e che comprendono praticamente tutto il
mondo civile conosciuto (ad eccezione dei territori partici).
E' appunto in questa mutata situazione che si radicano le ragioni fondamentali
della politica esterna e interna di Ottaviano Augusto, politica consistente
in:
- azioni militari di mero consolidamento territoriale;
- la rinuncia (o quasi) a qualsiasi velleità espansionistica;
- e l'inaugurazione di un lungo periodo di pace interna (Pax augusta),
dopo i molti decenni dominati da guerre civili e da lotte intestine.
L'Impero - oramai virtualmente universale - non ha difatti più
né l'interesse né le risorse (economiche e militari) necessarie
e sufficienti per portare avanti un processo di estensione territoriale.
Al contrario, diviene per esso una necessità primaria garantire
al proprio interno la sicurezza degli spostamenti, e con essa la facilità
degli scambi commerciali (oltre che culturali); e ciò appunto
attraverso il mantenimento della pace e dell'ordine all'interno dei
suoi confini.
Ma Ottaviano si
impegna anche in un'opera di trasformazione e di rinnovamento delle
cariche statali.
E' ammirevole come egli riesca - attraverso degli abili equilibrismi
politici - a rivoluzionare il sistema delle cariche costituzionali,
pur restando formalmente fedele (quantomeno il più possibile)
alla vecchia organizzazione repubblicana.
Se da un lato egli si pone come un 'princeps', ovvero come il primo
nello Stato, dall'altra però rifiuta più volte il titolo
di dittatore e di imperatore, ovvero di capo assoluto.
Il termine 'princeps' sta difatti a significare 'primo tra individui
di pari dignità' e sanziona contemporaneamente la sua posizione
di privilegio rispetto agli altri senatori, ma anche la sua condizione
d'eguaglianza rispetto a essi dal punto di vista costituzionale. Nelle
proprie memorie (Res gestae) egli potrà così vantarsi
di non aver rivestito mai alcuna magistratura contraria al costume degli
avi.
Tuttavia, oltre ai vantaggi che gli derivano dal titolo di Augusto (titolo
conferitogli dal Senato stesso, e che ne decreta in buona sostanza l'autorità
somma in Roma), Ottaviano riuscirà anche a istituire una serie
di magistrature - dette 'imperiali' - attraverso le quali potrà
controllare praticamente tutti i territori dell'Impero oltre a quello
della stessa capitale.
Anche se in modo non scoperto, cioè forzando il ruolo delle più
antiche istituzioni repubblicane e cittadine, egli riuscirà così
a detenere un dominio pressoché incontrastato su Roma fino alla
propria morte.
Tuttavia (lo si
è già visto nei precedenti articoli) i poteri politici
interni all'Impero si basano in gran parte sul fattore clientelare,
data l'inadeguatezza strutturale delle istituzioni repubblicane (ancora
essenzialmente legate a un contesto di potere di tipo cittadino) ad
assolvere un compito vasto come quello di governare l'Impero. Tali poteri
sono perciò di natura essenzialmente personalistica.
E nonostante Ottaviano tenti - come ovvio - di far convergere questi
due opposti poli (istituendo appunto nuove magistrature e nuove strutture
politico-amministrative), un'ambiguità tanto radicata a livello
storico non può certo essere estirpata in pochi anni. Ed è
per questo che i poteri economici politici e militari del princeps tendono,
ora più che mai, a confondersi con quelli stessi dello Stato.
Ne è un esempio la nuova amministrazione finanziaria dell'Impero,
il fisco, all'interno della quale rimane incerta la distinzione tra
ricchezza di Augusto e ricchezza di Roma.
Anche le tradizionali
istituzioni cittadine inoltre, usciranno profondamente trasformate nei
loro effettivi attributi: il Senato, riformato da Augusto, tenderà
a divenire sempre di più un organo consultivo (laddove invece
i singoli senatori diverranno spesso degli 'emissari' che agiscono per
conto del princeps); i comizi centuriati invece - da sempre voce dei
desideri della plebe urbana - perderanno gradualmente i propri poteri
decisionali.
Non può infatti, la plebe della sola città di Roma, interpretare
e promuovere gli interessi di tutto il popolo romano, la cui estensione
va ormai ben oltre l'Italia e la stessa Europa.
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La società romana
sotto Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) 2.
La
nuova organizzazione dello Stato
Alla base della
trasformazione di Roma operata da Augusto sta l'instaurazione di un
nuovo assetto amministrativo, attraverso una più ampia distribuzione
delle cariche statali. Proviamo brevemente a delineare questa nuova
conformazione.
Per comprenderla, bisogna innanzi tutto tenere presente il fatto che
Roma, negli anni del principato di Ottaviano, si avvia a diventare il
punto dell'Impero dal quale si irraggiano le decisioni concernenti tutte
le province: sempre di meno quindi una città egemone e sempre
più il centro amministrativo di una vastissima compagine politica
e sociale.
Conseguenza di un tale processo è che i vecchi istituti repubblicani
e cittadini decadono gradualmente a organismi consultivi quando non,
addirittura, meramente rappresentativi (ovvero privi di reali funzioni
amministrative).
Il potere amministrativo effettivo, invece, si concentra sempre di più
nelle mani dello stesso Augusto, dal momento che le antiche cariche
repubblicane - assieme alle nuove da lui stesso istituite - tendono
a diventare fondamentalmente strumenti di dominio dell'imperatore.
Nonostante ciò, Augusto rifiuta con decisione ogni attribuzione
esplicita di predominio. Il suo potere si basa in sostanza sull'attribuzione
da parte del Senato di alcune cariche permanenti (cioè a vita),
ovvero su poteri di tipo straordinario (contemplati per altro già
dai tempi della Respublica, come dimostrano ad esempio le vicende di
Silla e Cesare) ritenuti giustificati in situazioni eccezionali.
Oltre che di tali attribuzioni, egli gode poi delle enormi influenze
politiche accumulate negli anni della guerra civile contro Antonio.
Tra di esse spiccano sia la fedeltà degli eserciti (di cui inoltre
egli detiene anche ufficialmente il comando) sia gli enormi capitali
finanziari.
Oltre a ciò, tra il 27 a.C. (anno dell'incoronazione ad Augusto)
e il 14 d.C. (anno della morte) Ottaviano riceverà più
volte magistrature di primissimo piano, tra cui: il consolato (che dal
19 a.C. diventerà carica a vita), la censura (con la quale potrà
ricomporre il Senato), la carica di sovrintendente dei costumi, il Pontificato
Massimo, e altre ancora.
E tuttavia egli
fonderà la propria auctoritas essenzialmente su due attribuzioni
stabili: la potestà tribunizia e l'imperium proconsolare - cariche
che, data la loro importanza, è necessario ora analizzare più
in dettaglio.
- La potestà
tribunizia
Tale prerogativa
istituzionale - già conferita negli anni passati a Giulio Cesare
- dà a colui che la detiene il controllo virtuale della vita
politica della città di Roma.
Non è un caso quindi che su di essa Ottaviano basi gran parte
del proprio potere sulla capitale dell'Impero, e non solo su essa… (si
ricordi che Roma è, tra le altre cose, anche il centro di irraggiamento
delle decisioni politiche riguardanti tutto l'Impero.)
Sicuro, attraverso una tale carica, delle proprie prerogative, egli
potrà così lasciare ai senatori molte delle altre magistrature
fondamentali (tra le quali il consolato) e salvare così le apparenze
dello stato repubblicano.
Tuttavia Ottaviano
non si limiterà a occupare un posto istituzionale di prestigio:
attraverso la propria opera difatti (e servendosi dei propri poteri
'eccezionali') egli amplierà notevolmente il raggio d'azione
delle antiche cariche amministrative, sia di quelle urbane sia di quelle
concernenti l'intera penisola, introducendone poi delle nuove, gravitanti
ovviamente nell'orbita dei suoi poteri.
Tra queste ultime vi sono principalmente le cariche prefettizie, con
le quali il princeps può controllare i vari aspetti della vita
politica dell'Urbe, a partire da quelli giudiziari per giungere sino
a quelli amministrativi.
Ad occuparle inoltre sono spesso non esponenti dell'antica oligarchia
senatoria, bensì della classe equestre! (E infatti uno dei punti
forti del programma augusteo è quello del rinnovamento della
classe dirigente di Roma, attraverso l'inclusione di quelle classi commerciali
e finanziarie che già in passato avevano avuto un ruolo di primo
piano nel finanziamento degli appalti pubblici).
Introduce inoltre il corpo dei vigili, una sorta di polizia di Stato,
guidata da un apposito prefetto; e infine crea la guardia pretoriana,
l'unico esercito presente sul suolo italico, a sua volta comandata da
un prefetto (prefetto del pretorio).
- L'Imperium proconsolare
Al predominio istituzionale
su Roma, Ottaviano assomma poi quello su gran parte delle province.
Mentre difatti al Senato spetteranno quelle più tranquille e
più facilmente governabili, chiamate appunto province senatorie,
il suo imperium si estenderà invece sulle zone di più
recente acquisizione o comunque più difficili da gestire. In
tali zone vengono accampati stabilmente dei presidi militari, costituiti
da truppe imperiali il cui compito è la difesa dei territori.
Augusto delega il comando militare delle proprie province a uomini che
godono della sua fiducia. Tali uomini rientrano essenzialmente in due
categorie: da una parte i legati, esponenti dell'aristocrazia senatoria;
dall'altra i procuratori, esponenti dell'ordine equestre.
Questi ultimi, all'inizio solo una minoranza, aumenteranno molto con
gli anni. Ciò perchè, non avendo alle spalle altra autorità
che li sostenga (quale ad esempio quella del Senato) oltre a quella
del princeps, sono da quest'ultimo ritenuti più affidabili e
preferiti perciò ai legati senatori.
All'Egitto infine, il paese che Cleopatra ha lasciato in eredità
a Roma, verrà riconosciuta una particolare dignità, rientrando
nel dominio romano come possesso personale di Augusto, ed essendo governato
(seppure con notevoli difficoltà) da un apposito prefetto.
Altre innovazioni
nell'organizzazione dello Stato dovute a Ottaviano saranno la definitiva
trasformazione dell'esercito da mercenario a professionale (cioè
stabile), e la nascita del fisco.
Questo secondo punto è di particolare rilevanza. Accanto all'erario
difatti, che fino ad ora è rimasto l'unica base dell'amministrazione
finanziaria della Res-publica, egli crea una nuova cassa, un tesoro
statale parallelo. Mentre i proventi dell'erario derivano dalle province
senatorie, quelli del fisco provengono da quelle imperiali.
E' da notare come questi ultimi vengano gestiti direttamente da Ottaviano,
e che come tali essi sono una via di mezzo tra una proprietà
privata dell'imperatore e un possesso dello Stato romano. Ciò
mostra chiaramente come lo Stato repubblicano sia oramai sorpassato,
e come dietro la sua apparenza si celino in realtà gli interessi
personalistici del principe, oltre che i suoi poteri clientelari e le
sue enormi ricchezze.
Prova ulteriore di ciò sarà il fatto che con la morte
di Ottaviano - nel passaggio dei poteri politici a un altro individuo
- tutto il patrimonio privato dell'Imperatore, che è poi una
delle basi del governo, verrà trasferito nelle mani del suo successore,
anche se questi non sarà nemmeno un suo parente diretto.
La gestione della domus imperiale si confonde dunque con quella della
stessa cosa pubblica, fatto molto eloquente sullo stato delle istituzioni
romane.
Ma l'ascesa politica
di Ottaviano - pur impetuosa e inarrestabile - non è del tutto
priva di ostacoli. Tra di essi troviamo l'opposizione di molti senatori,
rimasti legati ancora a una vecchia visione di Stato, e con i quali
spesso egli si dovrà scontrare.
Nonostante ciò, il movimento di graduale dissoluzione delle istituzioni
repubblicane è inarrestabile, come prova il fatto che lo stesso
Senato diviene sempre di più un organo fondamentalmente consultivo,
per quanto estremamente prestigioso, mentre i singoli senatori (in special
misura quelli di nomina imperiale) tendono a trasformarsi in 'clientes'
del principe, essendo da lui favoriti - o meno - nel proprio avanzamento
politico.
Anche il popolo infine perde i suoi poteri originari, con la trasformazione
dei Comizi della plebe in istituti virtualmente insignificanti, divenendo
così sempre di più una massa indistinta, definibile come
'plebe urbana', la quale dipende dal principe - cui deve viveri, spettacoli
e danaro - in tutto e per tutto.
E' chiaramente visibile
dunque, come il potere di Ottaviano Augusto si ponga in sostanza al
vertice di una vastissima piramide di poteri clientelari e di interessi
privati, che su di esso si sostengono al tempo stesso sostenendolo.
Le antiche istituzioni urbane, viceversa, affondando il proprio reale
ambito di influenza poco oltre la città di Roma (divenuta ormai
un piccolo frammento di un territorio molto più vasto) sono poste
come tali di fronte a un'alternativa: o rinnovarsi entrando a fare parte
di tale piramide di poteri, oppure rassegnarsi a occupare un ruolo di
mera rappresentanza politica rimanendo, almeno in una prospettiva imperiale,
prive di poteri effettivi.
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3. La politica estera e le imprese belliche di Augusto L'idea guida della
politica di Augusto è essenzialmente quella di consolidare l'Impero
sia rispetto ai suoi nemici interni (in relazione ai focolai di rivolta
che covano soprattutto nei territori assoggettati più di recente)
sia rispetto a quelli esterni (i popoli barbari, cioè non romanizzati).
Una tale politica viene da lui perseguita da una parte attraverso il
vastissimo programma di riassetto istituzionale che abbiamo appena visto,
dall'altra attraverso azioni militari finalizzate a rafforzare la compagine
imperiale.
Proprio per tale motivo la sua non sarà più - come lo
era stata prima - una politica 'avventurosa', tesa ad estendere ancora
di più i territori imperiali. Essendo difatti l'Impero ormai
virtualmente completo dal punto di vista territoriale, la missione che
esso dovrà assolvere non potrà che essere fondamentalmente
di natura civilizzatrice, volta cioè alla 'romanizzazione' dei
popoli testé sottomessi.
In generale Ottaviano, alla cultura romana di questi anni, appare come
l'erede delle aspirazioni universalistiche di Alessandro Magno nonchè
del suo tentativo di costruire un Impero mondiale attraverso la pacificazione
universale dei popoli sotto un unico dominio.
Le campagne militari indette da Augusto, infatti, si muovono nel solco
di un tale programma 'universalizzante', oltre che di quello - ben più
pratico e concreto - di consolidamento e di difesa territoriale dei
territori dell'Impero.
Le azioni belliche
di Augusto sono divisibili in tre diversi tipi: un primo finalizzato
al ristabilimento dell'ordine interno, in special modo laddove siano
presenti ormai da tempo semi di rivolta contro l'autorità centrale
(è il caso ad esempio della Spagna); un secondo tipo finalizzato
invece a rinsaldare la sicurezza dei territori imperiali con azioni
di natura militare nei territori di confine, azioni che spesso si concludono
inoltre con nuove acquisizioni (come ad esempio la conquista della Rezia
e del Norico e, nei territori danubiani, della Pannonia); e infine un
terzo tipo, che viene portato avanti più per motivi di prestigio
e di propaganda che non di difesa (ne sono un esempio le guerre contro
i Parti o contro le tribù germaniche).
Queste ultime, conclusesi fondamentalmente con un fallimento (seppure
dissimulato dalla propaganda augustea, che domina l'Impero e ne costituisce
in più un notevole fattore di unificazione), sono in realtà
quelle di minore importanza.
Gli altri conflitti si concluderanno invece positivamente e contribuiranno
quindi a rafforzare effettivamente la compagine imperiale.
Le campagne militari
di Augusto sono:
- la campagna di Spagna, volta a estirpare i semi di rivolta che vi
aleggiano fin dai tempi di Pompeo (Ottaviano combatte qui una guerra
lunghissima e logorante, che durerà fino al 19 a.C.);
- la campagna nel Nord Europa, combattuta nella zona alpina, per la
sicurezza della penisola italiana, conclusa nel 15 d.C. con l'annessione
di Rezia e Norico per mano di Druso e Tiberio;
- la campagna nell'Oriente danubiano, terminata nel 9 a.C. con l'occupazione
della Pannonia;
- infine le campagne (decisamente più lunghe e impegnative, e
i cui esiti sono essenzialmente negativi) contro Germani e Parti.
Le guerre contro
le tribù germaniche hanno inizio nel 10 a.C. e vengono combattute
a più riprese. Ma i continui insuccessi e i rari e precari episodi
positivi convinceranno la classe dirigente di Roma della necessità
di frenare la spinta espansiva verso il nord: dal 9 d.C. circa, in concomitanza
con una rivolta in Pannonia, diverrà chiaro infatti come tali
guerre di logoramento costino troppo all'Impero (le cui risorse non
sono per altro illimitate).
Da tale data in poi, quindi, le guerre contro i popoli germanici saranno
intese più che altro come guerre di contenimento, nonostante
la propaganda imperiale si sforzi di farle apparire come atti di conquista.
L'altro grande conflitto
in atto riguarda poi i territori partici. L'Impero dei Parti è
la sola realtà antagonistica che Roma conosca. Anche per questo
è costante il motivo della lotta contro di essa. Come noto, Marco
Antonio era arrivato nelle sue campagne a formare uno stato cuscinetto,
l'Armenia, ma non ad attaccare direttamente la potenza nemica.
La soluzione di Ottaviano e dei suoi generali non si distanzierà
molto in realtà da quella del loro predecessore. Nonostante i
ripetuti tentativi di assoggettare l'Armenia, essi riusciranno al massimo
a insediarvi dei sovrani (come Filarete II e IV) di orientamento filoromano,
e il cui dominio per altro non avrà mai vita né facile
né lunga.
Inoltre, nel 4 d. C. l'erede designato di Augusto, il figlio adottivo
Gaio, morirà proprio in uno scontro con elementi filopartici.
Anche in questo settore dunque, Roma si vedrà costretta a rinunciare
alle proprie mire espansionistiche (e ciò, di nuovo, avverrà
in modo non conclamato).
I veri successi
di Ottaviano riguardano dunque, fondamentalmente, le azioni di consolidamento
territoriale (talvolta comprendenti anche l'annessione di nuovi territori,
come Pannonia e Rezia) di quel vasto Impero da lui ricevuto in eredità
dai suoi predecessori, ma non certamente le azioni espansive.
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4. La questione della successione imperiale Un problema che
percorre tutta la vicenda di Ottaviano, almeno da che egli diviene princeps
e Augusto (e che si ripresenterà spesso nella storia a venire),
è quello della successione.
Non essendo infatti ufficialmente imperatore, egli non ha nemmeno diritto
legalmente a designare un successore. Tuttavia, trasferendo i propri
poteri nelle mani di qualcuno, può fare in modo che, alla propria
morte, questi si trovi virtualmente in una situazione identica alla
sua.
Si è visto inoltre come, in Roma, la soluzione imperiale sia
quella nettamente prevalente, nonostante si tenga a conservare una facciata
repubblicana. Non dovrebbe perciò essere difficile per l'Imperatore
predisporre la propria successione.
Il vero ostacolo a tale impresa sarà costituito tuttavia dalle
molte guerre, che causeranno la morte di tutti gli eredi putativi di
Ottaviano, a partire da Gaio per arrivare a Lucio e ad Agrippa (quest'ultimo
da sempre uno degli uomini di spicco del suo regime).
La loro morte, assieme agli scandali che coinvolgeranno la figlia Giulia
(e successivamente anche la nipote Giulia Minore) allontaneranno e renderanno
sempre meno praticabile la soluzione familiare e dinastica, che egli
ha progettato.
Sarà infatti Tiberio alla fine - uno dei suoi più validi
generali - a ricevere dallo stesso Augusto (anche se per motivi di mera
necessità politica, non per scelta) i poteri imperiali, nel 13
d.C.
In tal modo l'Impero passerà nelle mani di un'altra famiglia
di nobili romani: la dinastia Claudia.
L'instaurazione
nel 14 (alla morte di Ottaviano) di un nuovo sovrano, sarà segnata
subito dall'eliminazione dei molti rivali nella successione al trono;
e prima di tutto a morire sarà Agrippa Postumo, il figlio (a
sua volta candidato alla successione) del primo Agrippa.
L'Imperatore e la sua corte sono realtà troppo ambite perché
vi si rinunci facilmente. Inizia difatti una lotta spietata per la conquista
delle cariche più prestigiose dell'Impero, lotta che è
già di per sé il segno di quella nuova temperie - assolutistica,
appunto - che cova sotto l'immagine illusoria dell'antica Repubblica.
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CONCLUSIONI (27a. C. -
14 d. C.)
Merito e abilità
fondamentale di Ottaviano, subito dopo la proclamazione a Imperatore
e Augusto, è l'aver avuto la capacità di comprendere lucidamente
da una parte le reali esigenze (tanto quelle organizzative e istituzionali
quanto quelle militari) della compagine romana, dall'altra quella di
essere stato capace di rispettare le apparenze repubblicane, conservando
così l'approvazione dei ceti più tradizionalisti e del
Senato.
In una tale ottica si giustificano la scelta di non estendere ulteriormente
(e significativamente) i confini imperiali, come quella di cercare di
creare un nuovo apparato istituzionale (pur il più possibile
'mascherato' sotto le vesti dell'antico ordine) che abbia un raggio
d'azione molto più vasto di quello repubblicano e sanzioni a
livello politico e burocratico l'esistenza consolidata dei poteri clientelari
del princeps.
Il consolato di
Augusto, inoltre, prefigura chiaramente molti dei futuri problemi dell'Impero:
primo tra tutti quello della successione e della corsa sfrenata al potere
da parte dei generali e dei potentiores dell'Impero; ma anche i problemi
di carattere finanziario e quelli inerenti la gestione degli apparati
imperiali.
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Adriano Torricelli
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