Perché crollò l'impero romano, visto che era molto più avanzato, sotto vari aspetti tecnico-scientifici, del feudalesimo?
Se guardiamo i conflitti di classe, le insurrezioni schiavistiche e le ribellioni delle colonie di quel periodo, dovremmo dire che l'impero è crollato quando meno c'era da aspettarselo. Dal punto di vista della lotta socio-politica, la resistenza delle classi oppresse (se si escludono gli ebrei e i cristiani) era molto più forte tra il II sec. a.C. e il I sec. d.C. che non nel III e IV sec. d.C.
Se dovessimo pensare solo ai motivi endogeni dovremmo dire che l'impero è caduto non quando era più debole, ma quando sembrava più forte (almeno in apparenza). Certo, sotto l'impero era aumentata la corruzione, la decadenza dei costumi, l'immoralità, ma fortissimo era il potere politico, amministrativo e militare.
Un impero non può crollare solo perché i costumi sono corrotti. Né ha senso affermare che l'impero è caduto a causa della irriducibile resistenza dei cristiani, i quali tutto erano meno che "rivoluzionari". Costantino, infatti, ad un certo punto lo comprese perfettamente.
Peraltro, va detto che non tutto l'impero crollò, ma solo la parte occidentale (quella più sviluppata), poiché quella orientale, ribattezzata nel nome di Cristo, sopravvisse per altri mille anni. Il che può forse indurci a credere che non tutto l'impero era uguale, cioè che la debolezza (più morale che politico-militare) della parte occidentale era maggiore di quella della parte orientale.
Uguali infatti erano l'odioso fiscalismo, la coscrizione militare, le leggi inique... Semmai anzi potremmo dire che le regioni orientali avrebbero avuto un motivo in più per distruggere le fondamenta dell'impero, poiché qui erano senz'altro maggiormente vessate da Roma.
Il motivo per cui la parte orientale dell'Impero non solo non sia crollata ma addirittura sia sopravvissuta per altri mille anni, non è mai stato sufficientemente spiegato dagli storici.
Probabilmente le popolazioni delle regioni orientali avevano nei confronti delle cosiddette "popolazioni barbariche" un atteggiamento meno ostile, più aperto di quello che avevano le popolazioni delle regioni occidentali, che erano più ricche e quindi meno disposte a dividere le loro ricchezze.
L'impero romano è crollato non solo per motivi interni (corruzione morale, fiscalismo, militarismo ecc.), ma anche perché, espandendosi, tolse ingenti beni e proprietà alle popolazioni limitrofe, che ad un certo punto ritennero opportuno ribellarsi.
Quando i valori morali di un impero si indeboliscono progressivamente, il rimedio che solitamente si prende è quello dell'autoritarismo istituzionale, che diventa tanto più forte quanto più è debole la coesione sociale sui valori comuni.
E' dunque probabile che le popolazioni occidentali, abituate a vivere anche in forza dello sfruttamento di quelle orientali (quest'ultime temute da Roma assai meno, essendo più lontane), non fossero ben disposte a lottare contro i cosiddetti "barbari" per difendere i "valori" della civiltà romana; si lottava contro il nemico (e solo i mercenari, peraltro, lo facevano) più che altro per difendere un certo livello di benessere.
Viceversa, le popolazioni orientali da tempo dovevano aver capito che il modo migliore per difendere i veri valori della vita non era quello di stare dalla parte di Roma, che, in cambio della difesa contro i nemici, non offriva che ulteriori vessazioni e soprusi, ma era quello di mettersi direttamente dalla parte degli invasori.
Quando un invasore vede che il nemico si arrende senza combattere, non ha motivo di infierire. E' stato forse questo che ha permesso una facile integrazione fra culture, etnie e religioni così diverse.
In occidente invece la resistenza all'integrazione culturale e sociale è sempre stata fortissima. Ciò non poteva che esasperare gli animi di quelle popolazioni che, costrette da secoli a vivere in condizioni precarie, premevano ai confini dell'impero.
Roma dunque è caduta non solo per motivi endogeni, dovuta alla grande corruzione che la caratterizzava, ma anche per motivi esogeni, dovuti all'incapacità di gestire democraticamente i rapporti con le popolazioni confinanti.
Quando queste popolazioni entrarono nell'impero distrussero praticamente tutto, anche quello che avrebbero potuto utilizzare per migliorare i loro standard vitali. Ciò sta a significare che l'odio accumulato nel corso dei secoli nei confronti della potenza romana, specie di quella dell'area occidentale, aveva raggiunto livelli altissimi.
I
La storia dell'impero romano inizia con un omicidio leggendario (quello di
Remo da parte di Romolo) e finisce con un'ecatombe, quella della fine della
civiltà latina classica.
Si era iniziato con lo scontro tra allevatori e agricoltori, si era
proseguito con quello tra patrizi e plebei, tra latini e italici, tra liberi e
schiavi, tra pagani e cristiani, tra proprietari terrieri e mercanti, tra
senatori e imperatori, e si finì col ripristinare quei rapporti di economia
naturale che nel corso di tutta la Repubblica e di tutto l'Impero si era cercato
di sostituire con quelli dell'economia mercantile e schiavile.
Tuttavia nel momento in cui si cominciò a ripensare al valore del mercato in
favore di quello dell'autoconsumo, non si fu più in grado di resistere alla
pressione delle cosiddette popolazioni "barbariche". Questo perché in un sistema
di autoconsumo non esiste più un potere centralizzato in grado d'imporre
sacrifici disumani ai propri sudditi (in termini di tasse, servizio militare
ecc.). E i cosiddetti "barbari", avendo dovuto subire per secoli il dominio o
comunque la pressione romana, che li indusse letteralmente a cambiare stile di
vita, non si fecero tanti scrupoli quando riuscirono a sfondare le porte
dell'Impero.
L'ultimo grande tentativo che il potere imperiale fece d'imporre la propria
volontà dispotica fu quello di Diocleziano, che non tenne in alcuna
considerazione il senato, che decentrò la capitale dell'impero in quattro sedi
più utili per la difesa dei confini, che creò forzosamente il servaggio dei
contadini e che perseguitò duramente il cristianesimo.
Dopo di lui, gli imperatori, se volevano continuare a fare le stesse cose,
dovevano come minimo cercare il consenso dei cristiani. E fu così che Costantino
ebbe la meglio.
La sua storia merita un capitolo a parte. Costantino non era amato in Italia
ed era figlio illegittimo di Costanzo Cloro. Per ottenere dai cristiani il
consenso politico-militare con cui eliminare il rivale Massenzio, che veniva
visto dal senato e dal popolo di Roma come occasione di riscatto dalla dittatura
di Diocleziano, aveva dovuto promettere di concedere loro piena libertà di culto
e la restituzione dei beni confiscati dai precedenti tetrarchi.
Cioè in pratica Costantino, acclamato Augusto dalle proprie legioni in
Gallia, voleva proseguire le riforme di Diocleziano proprio con l'aiuto di
quanti avevano odiato quest'ultimo più di tutti: i cristiani. La Roma pagana e
imperiale, le cui istituzioni volevano imperatori a proprio uso e consumo, non
avrebbe tollerato né una riedizione di quelle riforme né, tanto meno,
un'eccessiva tolleranza nei confronti dei cristiani. Nessuna riforma dei
tetrarchi era piaciuta e infatti tutta la loro impalcatura era in procinto di
cadere rovinosamente.
D'altronde anche Costantino era dell'avviso che nessuna tetrarchia avrebbe
potuto sussistere se qualcuno dei quattro sovrani - come ad un certo punto
avvenne - avesse cominciato a rivendicare il principio della successione
ereditaria o se qualcuno di loro avesse pensato di farsi portavoce di interessi
esclusivi da parte della corrotta Roma.
Costantino era un sovrano molto intelligente ma non era certo un diplomatico.
Con l'Editto di Milano del 313 mantenne le sue promesse nei confronti dei
cristiani, ma decise anche di eliminare tutti i rivali alla sua idea di
monarchia assoluta e semidivina. A sorpresa fece fuori Licinio (e tutta la sua
famiglia), col quale aveva firmato il suddetto editto e combattuto contro
Massenzio.
Avendo ottenuto il pieno appoggio da parte delle autorità ecclesiastiche, si
sentì autorizzato a imporre una monarchia assolutistica, compiendo persino
stragi ingiustificate in ambito familiare, che mai l'autoritario Diocleziano
s'era sognato.
Certo è che quando trasferì la corte da Treviri a Bisanzio (330), chiamando
quest'ultima "Nuova Roma" (poi Costantinopoli), non dovette suscitare molti
entusiasmi presso la sede pontificia, anche se da tempo si era abituati a vedere
gli imperatori snobbare la città di Roma. Già Cesare aveva avuto l'intenzione di
spostare la capitale ad Alessandria o ad Ilio (Troia).
Tuttavia, siccome era astuto e non voleva noie da parte dei cristiani, che
costituivano la base del suo consenso politico, Costantino cercò di far
inghiottire al clero romano il boccone amaro di Bisanzio, favorendo la sua sede
e la cristianità in generale in tutti i modi. P.es. esentò dalle imposte le
proprietà ecclesiastiche; riconobbe alla chiesa la capacità di ricevere legati;
stabilì tribunali speciali per il clero; permise agli accusati di sottrarsi alla
giurisdizione dei magistrati ordinari e di ricorrere al foro ecclesiastico;
accolse i vescovi alla propria corte; riconobbe la domenica come giorno festivo
per tutti; donò al pontefice vari edifici e gliene costruì altri a proprie
spese. La chiesa ricambiò proclamandolo "santo" e "pari agli apostoli" (isoapostolo).
Forse il suo colpo da maestro fu quando a Nicea convocò il I concilio
ecumenico, nel 325, con cui mise fuori legge l'eresia ariana: cosa che piacque
molto al papato, anche se questi apprezzò meno la decisione di mettere sullo
stesso piano, in uno dei decreti collaterali, la preminenza dei vescovi di Roma
con quella dei vescovi di Alessandria.
Servì comunque a poco all'impero il fatto che Costantino volesse tenere in
piedi l'idea dell'assolutismo monarchico, cercando un'alleanza col
cristianesimo. Alla sua morte i tre figli fecero di nuovo ripiombare l'impero
nel caos, al punto che si ripristinò la prassi della nomina dell'imperatore da
parte del proprio esercito. Questi contrasti interni indebolirono enormemente
l'impero, che non fu più in grado di resistere alle pressioni barbariche.
Il II concilio ecumenico, quello di Costantinopoli (381), fu dettato dalla
disperazione, esattamente come l'Editto di Tessalonica dell'anno prima, con cui
Teodosio e Graziano vollero imporre il cristianesimo "ortodosso" come religione
di stato, contro qualunque forma di eresia o di paganesimo. La libertà di
pensiero era finita.
Teodosio tuttavia non s'era reso conto che, concedendo così ampi poteri alla
chiesa, questa avrebbe potuto approfittarne per ridurgli le pretese
assolutistiche o comunque l'indipendenza civile. Cosa che appunto fece, con
Ambrogio, che parlava a nome della chiesa romana, pur essendo titolare della
cattedra milanese, e che lo scomunicò per i tragici fatti di Tessalonica.
Ambrogio d'altra parte non vedeva l'ora di coglierlo in fallo, poiché proprio
col II concilio ecumenico era stato proclamato che la sede episcopale di
Costantinopoli non aveva meno importanza di quella romana.
Fu proprio per le accresciute pretese politiche della sede pontificia che
l'autorità imperiale di Bisanzio si staccò progressivamente dall'area
occidentale dell'impero, indebolendola in maniera irreparabile nello scontro coi
barbari.
II
Tutti i tentativi degli imperatori di risolvere la crisi dell'economia
schiavile-mercantile fallirono miseramente, per la semplice ragione che ogni
volta si finiva col centralizzare ulteriormente il potere politico.
Il durissimo scontro tra senato e imperatori era dovuto al fatto che i
senatori (all'inizio proprietari terrieri, poi anche equites, funzionari
di stato ecc.) si erano arricchiti enormemente in seguito all'espansione
dell'impero, speculando sulle sue risorse umane e materiali e mandando in rovina
i piccoli e medi agricoltori e artigiani, che divennero ad un certo punto, da
"cittadini liberi" che erano, degli operai salariati e spesso addirittura degli
schiavi.
Quando si creò un'imponente massa di diseredati, emersero dalle file degli
eserciti delle figure carismatiche che dissero di voler difendere la causa degli
oppressi contro gli egoismi e le prepotenze dei senatori, dei latifondisti,
degli speculatori, degli affaristi senza scrupoli. La figura dell'imperatore fu
una conseguenza della crisi economica che i grandi proprietari avevano creato
proprio grazie all'espansione dell'impero, di cui le guerre puniche e le
conquiste di Cesare furono l'anello principale. Quanto più l'impero di
espandeva, tanto più le ricchezze si concentravano nelle mani di poche persone.
Questo in un certo senso è paradossale, poiché in teoria il benessere dovuto
alle conquiste avrebbe dovuto essere distribuito a una gran parte di
popolazione. In realtà gli sforzi per ottenere le vittorie militari venivano
sostenuti da cittadini che poi ne beneficiavano solo in misura limitata, anzi,
spesso i contadini che partecipavano alle imprese belliche, trovavano, al
ritorno, che la concentrazione della proprietà terriera s'era ancor più
allargata a loro spese.
La professionalizzazione dell'esercito fu anche la conseguenza del fatto che
chi aveva famiglia non poteva permettersi il lusso di andare a combattere. Non
dipese solo dal fatto che quando si raggiunge un certo benessere, non si è più
disposti a fare sacrifici. Anzi, al tempo di Diocleziano l'esercito era enorme e
perennemente in stato di guerra, proprio perché ci si rendeva conto che, in
condizioni economiche particolarmente disagiate, l'arruolamento poteva essere
un'occasione di riscatto. E Diocleziano teneva in grande stima i propri
militari.
I senatori non erano contrari agli imperatori, ma li volevano al loro
servizio, affinché le loro ricchezze continuassero ad aumentare. Ma siccome per
le masse diseredate spesso non vi era altra soluzione che entrare negli
eserciti, furono proprio queste che ad un certo cominciarono a decidere chi
doveva diventare imperatore, cioè chi doveva detenere tutto il potere politico e
insieme militare.
Tuttavia, quando gli eserciti diventarono arbitri dell'impero, la situazione
economica era già in procinto di rovesciarsi da mercantile a naturale.
Diocleziano arrivò persino a riscuotere i tributi in derrate alimentari e a
pagare in natura i propri militari.
In un'economia naturale è molto difficile mantenere grandi eserciti, a meno
che il numero dei sottoposti non sia enorme, in un territorio molto vasto, e non
vi sia la volontà di ribellarsi alla rapacità fiscale dello Stato. I militari
devono accontentarsi di non essere pagati in denaro e bisogna trovare il modo di
tenere sotto controllo un'economia i cui centri di potere, amministrativo ed
economico, si decentrano sempre più, aspirando a una certa indipendenza. Ma
un'economia di autosussistenza tende a diventare autosufficiente sotto tutti i
punti di vista, ivi incluso quello della propria sicurezza. E' molto difficile,
in queste condizioni, mantenere un grande esercito di professionisti.
L'esercito romano era sempre più costretto a cercare compromessi col nemico;
ed è evidente che quando, per difendere i propri confini, si cercano compromessi
coi propri rivali confinanti (concedendo spazi di manovra, terre da gestire,
mura da edificare, collaborazione in campo militare), quest'ultimi, ad un certo
punto, si renderanno conto di poter alzare quanto vogliono il prezzo della loro
collaborazione. Se questo prezzo diventa troppo alto e il "romano" lo rifiuta,
l'invasione è inevitabile.
Ma perché la parte orientale dell'impero sopravvisse per altri mille anni?
Perché nei confronti delle popolazioni barbariche, tutto sommato, fu più
tollerante. L'altro motivo è che, in politica interna, mantenne la distinzione
tra potere civile e potere ecclesiastico, mentre, per quanto riguarda
l'economia, lo Stato cercò di tutelare i piccoli contadini contro le pretese dei
grandi latifondisti.
Lo Stato cioè si sforzò di non rappresentare soltanto gli interessi della
grande proprietà, ben sapendo, per esperienza, che in questa maniera si sarebbe
trovato debole sul piano militare. Lo Stato cercò invece di favorire
l'autonomia, anche militare, delle realtà locali autosufficienti, imponendo ai
proprietari terrieri il rispetto di regole comuni e il riconoscimento di
un'istituzione centralizzata, anche in nome di un'unica ideologia sociale: il
cristianesimo. In questa maniera erano le stesse realtà locali a essere
interessate a difendere i confini dell'impero contro gli invasori.
La morte dell'impero bizantino fu semplicemente dovuta al fatto che le realtà
locali, ad un certo punto, trovarono che gli invasori erano migliori del loro
proprio Stato.
Giustiniano
La Renovatio imperii di Giustiniano fallì nell'Europa occidentale perché egli costatò che concedendo ampi poteri politico-economici alla chiesa romana, questa, invece che sostenere il suo progetto, faceva di tutto per ostacolarlo. Quanto più la chiesa romana riceveva poteri da Bisanzio, tanto più se ne serviva in funzione anti-imperiale e anti-ortodossa.
L'ingenuo ottimismo del monofisita basileus s'incontrò con la disponibilità cattolico-romana al monofisismo, ma non tenne conto che tale chiesa, per affermare il proprio potere politico, aveva necessità di staccarsi dalla rivale chiesa ortodossa.