STORIA ROMANA


IL TRAMONTO DELL'OLIGARCHIA SENATORIA

Introduzione

Il periodo di storia romana trattato in questo paragrafo si estende dagli anni delle riforme graccane fino ai primi imperi personalistici di Mario e di Silla, arrivando a toccare l'inizio del consolato di Pompeo.

A differenza del periodo delle guerre puniche esso ruota essenzialmente attorno agli eventi interni, dal momento che - come si vedrà - un'importanza solo marginale vi rivestono le guerre contro i nemici esterni.

Roma è impegnata in un gigantesco sforzo di riassestamento organizzativo, di ridefinizione delle proprie strutture politiche, come conseguenza dei profondi mutamenti sociali e strutturali introdotti dall'ampliamento territoriale dei decenni precedenti.

Non a caso, secondo gli storici, il secondo secolo è quello in cui giunge a compimento la trasformazione di Roma da semplice città-stato a Impero a tutti gli effetti, sia a livello territoriale sia a livello economico giuridico e politico.

Mentre gli anni compresi tra le guerre contro Cartagine (culminanti nella distruzione di questa nel 146) sono infatti caratterizzati da un enorme incremento territoriale, quelli seguenti (culminanti nella rivoluzione di Ottaviano) sono segnati dalla lotta per il potere tra due opposte fazioni politiche: quella oligarchica senatoria e quella popolare.

Ogni trasformazione, non solo sociale, implica un tramonto e un'alba, qualcosa che muore e qualcosa che sorge. In questo periodo di profondi cambiamenti, assistiamo dunque al declino dell'oligarchia senatoria e, contemporaneamente, all'affermazione progressiva di poteri di tipo personalistico ad essa antagonistici.

Cominciamo con il fare il punto sul Senato. Le trasformazioni interne e esterne hanno determinato esigenze profondamente nuove nella gestione dello Stato.

Il Senato (o meglio la parte più illuminata di esso) tenta in qualche modo di 'aggiornarsi' rispetto alla nuova situazione, per arginare il dilagare delle forze antagonistiche e rimanere quindi l'istituzione centrale.

Tuttavia appare evidente l'impossibilità di tale cambiamento. Esso infatti, nella sua radicalità, finirebbe per snaturare la sostanza stessa di una istituzione che, in quanto oligarchica e nobiliare, si basa sul principio di eguaglianza tra pari (residuo, proprio delle caste, dell'antico spirito gentilizio) e sul dominio, esercitato da questi in modo unidirezionale, nei confronti della società.

Questo sforzo, in gran parte contraddittorio, di conservazione e di rinnovamento appare evidente in tutta la sua complessità nella figura di Silla, ultimo esponente di spicco dell'oligarchia senatoria (anche se tale sforzo rimane incompreso: Silla verrà infatti guardato con sospetto dai suoi stessi colleghi, i senatori).

Nonostante il Senato, all'inizio di questo periodo, sia ancora l'autorità politica suprema in Roma (essendo riuscito tra l'altro, attraverso strategie politico istituzionali, ad ampliare ulteriormente il raggio della propria influenza sul sistema delle cariche istituzionali e di governo) esso apparirà già con Pompeo un'istituzione in profonda crisi, la cui supremazia - non più indiscussa - è minata da nuove forze politiche che premono sotto la cenere.

Analizziamo ora i grandi mutamenti, in gran parte interconnessi, che stanno minando il predominio politico di un tale istituto. Sul piano sociale questi appaiono i fattori più rilevanti:

a) la tendenza all'aggravamento della questione agraria;
b) i conflitti sempre più evidenti tra gli interessi senatori e quelli degli equestri (= cavalieri);
c) le aspirazioni sociali e economiche, ormai indipendenti da quelle della classe dominante, delle masse popolari;
d) le rivendicazioni politiche dei popoli alleati a Roma (genericamente gli Italici);
e) la trasformazione graduale dell'esercito in esercito di professionisti;
f) il notevole incremento degli schiavi (dovuto in gran parte alle recenti guerre puniche e orientali), e il conseguente sviluppo di un'economia schiavile: soprattutto per il lavoro nei campi.

Sul piano politico, invece, si afferma la tendenza (che verrà successivamente sanzionata da Ottaviano, con la trasformazione di Roma in Impero) verso l'affermazione di poteri personalistici. (Non a caso, la storia di questi anni è, dall'inizio alla fine, caratterizzata da conflitti e lotte per il potere tra singoli individui).

E' questo tipo di politica a minare l'autorità senatoria, e a decretarne più tardi la fine.

Storia di Roma dai Gracchi fino al consolato di Pompeo e Crasso

Tiberio e Caio Gracco

1- Il riformismo dei Gracchi

1-1 La situazione socio-politica

Per comprendere l'azione riformistica dei Gracchi è necessario conoscere più in dettaglio il contesto politico e sociale in cui essa si sviluppa.

Sul piano politico, assistiamo in questi anni ad un ulteriore chiusura in se stessa della classe senatoria. E' sempre più difficile, per gli esterni, entrare a fare parte del Senato: ad esso accedono soltanto gli appartenenti a famiglie nobili, ovvero a quelle famiglie che già annoverano almeno un magistrato al proprio interno.

Inoltre la struttura politica e istituzionale di Roma è delineata in modo tale che le singole magistrature siano essenzialmente delle tappe di un più ampio cursus honorum, culminante con l'assunzione nel Senato.

Se a questo si aggiunge che quest'ultimo è l'unico elemento di stabilità all'interno di una costituzione basata sull'annualità e la non iteratività delle cariche, è facile capire come esso eserciti - in concreto - un'autorità pressoché assoluta su Roma.

Le Assemblee plebee inoltre, da sempre voce del popolo, perdono gradualmente la loro antica carica rivoluzionaria.

Le guerre infatti allontanano gran parte della plebe rurale da Roma, e ciò fa sì che soltanto la plebe cittadina abbia la possibilità di partecipare ai comizi.

Tuttavia - come noto - nelle città molto è estremamente diffusa la pratica clientelare. Il proletariato cittadino, essenzialmente una classe che vive alle spese dei potenti, diventa dunque per questi uno strumento di potere attraverso la pratica del voto concordato.

La plebe dunque, smettendo di affermare i propri interessi peculiari, decade a mero strumento politico nelle mani dei suoi patroni, i quali (come si è appena detto) dipendono a loro volta dal Senato per il proprio cursus honorum.

Mentre istituzionalmente si assiste al consolidamento delle più antiche strutture, a livello sociale si verifica un consistente cambiamento su tutti fronti:

  • le guerre hanno depauperato molti cittadini medi e moltissimi piccoli contadini;
  • l'afflusso continuo di schiavi (il cui utilizzo si diffonde per altro a tutti i livelli sociali!) rende sempre meno necessario il lavoro libero nei campi [è l'inizio dell'economia schiavile, in special modo di quella agricola];
  • quest'ultimo fattore alimenta ovviamente il divario fra poveri e ricchi, quindi la crescita del latifondismo e il fenomeno concomitante dell'inurbamento della plebe contadina, oppure il suo impiego nell'esercito;
  • la plebe stessa tende a dividersi in due realtà differenti, nonchè latentemente antagonistiche: quella rurale e quella urbana;
  • i cavalieri, che vivono di commercio e di appalti pubblici, sono sempre più spesso in dissidio con i senatori, più favorevoli di solito a politiche di carattere conservativo anziché a politiche espansive;
  • infine, le popolazioni alleate, gli Italici, sempre più vessati dal governo centrale, rivendicano una maggiore possibilità di partecipazione a livello politico (contro l'esclusivismo della classe dirigente di Roma).

E' in questo contesto che si inserisce la lotta, operata dai Gracchi e dal loro partito, in favore dei diritti dei ceti più svantaggiati.

1-2 L'azione dei Gracchi (133-122)

a) Introduzione

Come noto, quelle dei Gracchi sono tra le figure più discusse e controverse dell'intera storia romana. Non è facile esprimere un giudizio definitivo su personaggi così complessi, né è possibile farlo in poche righe di testo.
Tentando un bilancio delle loro vicende politiche, si può dire tuttavia che essi, con grande lungimiranza, abbiano individuato i limiti strutturali e profondi della società romana, e cercato di porvi rimedio attraverso nuove leggi.

Nessuno dei due riesce a far approvare i propri progetti e a vederne la definitiva affermazione, ma ciò non deve stupire: il Senato infatti, sebbene sia già entrato in crisi, non è comunque sufficientemente indebolito da permettere ai suoi avversari di minare seriamente il proprio predominio.

Le loro intuizioni però - soprattutto quelle del secondo - diverranno dopo la loro morte temi fondanti della politica repubblicana, pur essendo sempre contaminate da intenzioni demagogiche, né venendo inserite mai più in un programma di riforma organica della società romana.

b) Tiberio Gracco

Esponente di quella nobiltà 'illuminata' che è consapevole della necessità di un cambiamento strutturale, il giovane tribuno Tiberio Gracco propone nel 133 una riforma finalizzata a una ridistribuzione più equa delle terre dell'ager publicus.

Tale proposta, subito osteggiata dal Senato, in realtà non ha in sé nulla di rivoluzionario: è anzi ispirata al periodo arcaico della storia romana, nel quale non si era ancora creato un eccessivo divario tra i piccoli e i grandi proprietari.

Tiberio vuole che le terre pubbliche (ovvero le terre confiscate dai romani ai loro alleati e divenute di proprietà dello Stato, e da esso affittate a singoli cittadini) vengano ridistribuite in base a criteri di maggiore equità: egli stabilisce a 125 ettari il limite massimo di terreni assegnabili al singolo individuo, e propone di ridistribuire le eccedenze in lotti di circa otto ettari ai proletari urbani che abbiano perduto le loro terre (e in seconda istanza anche ai proletari rurali).

Egli inoltre, come risarcimento per gli espropriati, propone che questi divengano proprietari a tutti gli effetti (cioè senza il dovere di pagare l'imposta dell'affitto allo Stato) dei territori occupati.

Il Senato tuttavia, mostrando tutti i limiti di una classe abituata a esercitare il proprio imperio senza compromessi, rifiuta la proposta facendola cadere con l'aiuto del secondo tribuno, Ottavio.

E' a questo punto che l'azione di Tiberio subisce effettivamente una svolta rivoluzionaria, che fornirà ai suoi nemici un valido pretesto per distruggerlo.

Tiberio accusa Ottavio di aver tradito il suo mandato nei confronti del popolo, non riflettendone più gli interessi, e propone (sulla base di un principio non costituzionale) di sospenderne il mandato politico. Una simile proposta però non può non suonare come una sfida al Senato, anche per la sua incostituzionalità.
Assieme a essa poi, egli avanza un'altra proposta. Avendo Roma ereditato recentemente, dopo la morte del re Attalo, il regno di Pergamo (il quale, come si è visto, ruota attorno all'orbita d'interessi romani), chiede che la gestione delle terre acquisite sia affidata al popolo. Anche questo si scontra con le consuetudini dello Stato romano, fatto che il Senato non manca di rilevare al fine di delegittimare Tiberio.

Tiberio viene abbandonato difatti dai suoi alleati moderati, spaventati dall'idea di un attentato contro lo Stato. E' la sua fine: ormai rimasto senza sufficienti appoggi politici per proseguire la sua azione, e giunto alla fine del suo mandato - che non può rinnovare (non essendo consentita in Roma l'iteratività delle cariche) - si trova del tutto isolato.

Verrà ucciso poco dopo da una congiura senatoria (capeggiata da un suo stesso cugino, Scipione Nasica) nel 133.

Nonostante la sua parabola politica duri complessivamente meno di un anno, egli è riuscito ugualmente in così poco tempo a rivoluzionare la strategia politica anti-senatoria romana.

Scheda su Tiberio Caio Gracco

c) Gaio Gracco

Nel 125 un esponente del partito graccano, il console Fulvio Flacco, avanza un'altra proposta rivoluzionaria, la concessione della cittadinanza romana agli italici.

La proposta cade nel vuoto, non incontrando i favori del Senato, mentre la città di Flegelle viene addirittura distrutta per essersi ribellata.

La stessa proposta tuttavia verrà ripresa pochi anni dopo da Gaio Gracco, fratello di Tiberio e suo principale erede politico.

Rispetto a Tiberio, l'azione di Gaio Gracco si inquadra in un piano molto più vasto, che coinvolge non soltanto la plebe, ma tutti gli strati sociali i cui interessi siano almeno potenzialmente ostili alla classe dei senatori. Tra di essi troviamo: il ceto dei cavalieri romani, e in genere quello commerciale non solo romano, i proletari rurali assieme alla plebe cittadina, e gli Italici.

L'orizzonte del suo intervento si allarga dunque a tutto il mondo italico (e oltre, come vedremo), uscendo così dai limiti ormai angusti dei territori romani.

La sua azione politica si estende poi su un arco di due anni, avendo ottenuto il tribunato il principio dell'iteratività delle cariche. Ciò lo renderà più temibile del fratello.

Le fasi salienti della vicenda politica di Gaio sono:

- 123: Gaio avvicina a sé il ceto equestre, con una legge che ne favorisce la libera iniziativa nelle colonie orientali, minando il predominio politico dei senatori. Propone inoltre una legge frumentaria, per accattivarsi le simpatie delle masse cittadine.

E' l'inizio di una nuova stagione politica, basata sull'alleanza tra il proletariato e la classe equestre in funzione anti-senatoria, politica i cui esiti saranno però sempre incerti, data la facilità della seconda nel cambiare partito schierandosi con i senatori.

Gaio ha tuttavia intuito le potenzialità di questa strategia, che rimarrà anche in futuro una costante della politica repubblicana.

Sempre nel 123 egli propone di dare l'avvio a una nuova stagione di deduzione (ovvero di fondazione) di colonie sia in Italia sia fuori, in particolare a Cartagine. Il suo progetto è quello di fare della città fenicia non solo la residenza di cittadini romani depauperati, ma anche uno scalo marittimo che ravvii l'economia dei ceti commerciali romani e italici.

E' importante osservare come, accanto al tradizionale programma di collocamento dei romani espropriati delle terre, vi sia qui una nuova attenzione sia verso gli interessi commerciali dei cavalieri, sia verso le nuove prospettive internazionali e globali di Roma.

Per tutti questi motivi, la proposta di Gaio non può essere ben accetta ai senatori, favorevoli - coerentemente con quelle stesse tradizioni da cui essi traggono il proprio mandato politico - a conservare Roma come una città-stato, e molti restii a fare propria una prospettiva "internazionalistica". Questo episodio mostra chiaramente come il Senato, rimasto ancorato a una dimensione di tipo locale e regionale, segni oramai il passo rispetto ai tempi nuovi.

Il trasferimento di cittadini con diritti romani non solo fuori dal territorio di Roma ma anche fuori dall'Italia, significherebbe infatti ampliare immensamente il territorio che cade sotto la giurisdizione dell'Urbe. E significherebbe inoltre togliere a essi il diritto di esprimere le proprie preferenze politiche, rendendoli così in pratica cittadini solo formalmente.

Nonostante alcuni risvolti negativi del proprio progetto politico, Gaio dimostra qui una notevolissima lungimiranza. Egli difatti intuisce e prefigura con esso quella che entro pochi decenni sarà la dimensione politica dell'Impero romano: cioè una dimensione addirittura mondiale.

Il merito dei Gracchi, del resto, come già si è detto, è proprio la capacità di cogliere i punti di debolezza strutturali del vecchio sistema, e individuarne al tempo stesso delle possibili soluzioni!.

- 122: Essendo stato rieletto tribuno, Gaio ripropone - anche se modificandola lievemente - la legge sull'estensione della cittadinanza agli Italici proposta da Fulvio Flacco nel 125, e assieme ad essa un nuovo sistema di votazione nei comizi tributi che alleggerisce il peso delle classi di censo più alte.

E' chiara l'intenzione di ridimensionare il potere dei senatori e delle istituzioni tradizionali (sia attraverso la legge sulla cittadinanza, sia con quella elettorale).

Il Senato reagisce usando le stesse armi di Gaio: ovvero facendo ricorso, in modo demagogico, alla voce del popolo. Agitando alla plebe urbana lo spettro della condivisione dei privilegi agrari con quella rurale e con le popolazioni italiche, riesce a far perdere consensi a Gaio. Per riparare alla penuria di terre rilancia poi l'idea della deduzione delle colonie: ben 12, ma nella sola penisola italiana.

Usando armi simili a quelle del tribuno, dunque, esso riesce a togliere terreno alla sua politica.

Gaio non verrà rieletto tribuno nel 121 e, trovandosi completamente solo, sarà perciò costretto a rifugiarsi sull'Aventino. Lì si farà uccidere da un servo, per sfuggire alla persecuzione del Senato, che - attraverso una speciale misura repressiva - lo ha dichiarato sovvertitore dell'ordine dello Stato e equiparato quindi ad un fuorilegge.

Nonostante anche la parabola politica di Gaio (come, prima di lui, quella di Tiberio) sia di breve durata, essa avrà un'influenza forse ancora maggiore rispetto a quella del fratello sulle strategie politiche popolari degli anni successivi. Ciò per aver egli intuito sia le potenzialità politiche dell'alleanza tra i plebei ricchi (equestri) e a plebe urbana, sia per aver compreso e favorito la nuova dimensione globale di Roma - laddove Tiberio invece si era limitato a proporre una ridistribuzione delle terre demaniali, ispirata in gran parte al periodo arcaico.


2- Mario, l'uomo nuovo
3- Silla, il difensore dell'oligarchia senatoria
Scheda su Tiberio Gracco
Scheda su Cicerone
L. Perelli, I Gracchi, Salerno editrice, Roma
Adriano Torricelli

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 11/09/2014