LA STORIA CONTEMPORANEA
dalla prima guerra mondiale ad oggi


Il Novecento dell’Islam, una chiave di lettura:
quarant’anni in Egitto (1928-1966)

Stiamo discutendo l’oggettività del testo seguente”.

Ecco cosa trovereste andando a cercare su Wikipedia informazioni su Hasan al-Banna (1906-1949). Ecco in che termini si potrebbe riassumere un momento storico. Il nostro anonimo scrittore, che si è preso la briga di scrivere un articolo su un personaggio capitale dell’islam contemporaneo, è caduto in una trappola nella quale è facile cadere: affidarsi alle dicerie. L’errore gli costa caro, di certo in credibilità: paragonare un teorico del genere a Adolf Hitler pare davvero troppo.

I due personaggi sono messi l’uno accanto all’altro, dalla potente macchina propagandistica della Cia, tra i principali strumenti di distruzione delle correnti del nazionalismo arabo, ma in questo caso anche delle ideologie strettamente connesse alla religione islamica. Cercheremo di chiarire successivamente l’infondatezza di tale affermazione. Ma possiamo noi accanirci contro un anonimo facilmente impressionabile? Meglio sarebbe porre in termini storici la questione. Hasan al-Banna è il grande ideologo-fondatore dei Fratelli Musulmani, ovvero quel movimento politico-religioso che animò l’Egitto tra il1928 e gli anni ’60. Un movimento religioso fondato da un figlio di un imam di un villaggio a nord-ovest del Cairo, figlio di un ambiente artigiano e rurale, che si trova a vivere sotto re Faruq, soprattutto sotto gli inglesi. Cerchiamo di ricostruire quel mondo.

Sullo sfondo di questa riflessione c’è da tenere conto di un fatto fondamentale: la seconda caduta di Costantinopoli, che si concretizza il 29 ottobre 1923, data in cui viene fondata la Repubblica Parlamentare di Turchia. La prima volta cadde sotto i colpi assestati da Maometto II il 29 maggio 1453; la seconda provoca una destabilizzazione – nei confronti del mondo musulmano – in proporzione ancora più forte di quella precedentemente patita dal cristianesimo: colui che mena il colpo è Ataturk, albanese di nascita ma padre dei Turchi per la storia. Così egli distrusse l’impero ottomano, che se per l’Europa era una preda già malata, per l’islam era il Vaticano. Ciò vuol dire spezzare l’Umma, la comunità dei credenti, da allora destinati ad una diaspora infinita. L’Egitto viene colto dall’ondata: gli anni successivi sono quelli degli oppressori inglesi e degli intellettuali occidentalisti, successivamente di Nasser. Si cala sulle antiche istituzioni una burocrazia nuova, un centralismo amministrativo che colpisce la posizione dei notabili del periodo: gli ulema (dottori della legge islamica) musulmani.

Un giovane che si forma in quegli anni, proveniente da uno strato sociale basso, come al-Banna, figlio di un artigiano, sarà necessariamente portato dal padre ad una scuola coranica. La ragione? In parte politica, in parte religiosa. Re Faruq, salito al trono nel 1936, avoca a sé tutti i poteri. Ma un monarca non potrebbe essere meno assoluto, in quanto i poteri sono traghettati al colonizzatore inglese; così non si mette in discussione la base censitaria, cui è sottoposta la scuola pubblica.

L’educazione è un valore per i musulmani come per chiunque, ma è facile per un ulema ricordare che anche Muhammad era un affetto dall’ignoranza: la jahillyyia. Questa è un’ignoranza particolare: è anche lo Stato in cui nasce colui che non è in contatto con Allah.

Un occidentale è nato ignorante di Dio, tanto per attualizzare il discorso pur nel rispetto del vocabolario coranico, ma lo è involontariamente, proprio perché ci è nato. Ciò vuol dire che non si può accusarlo di essere tale, solo cercare di cambiarlo a parole.

In questo genere di ottica, il piccolo artigiano, l’operaio, il servo vede i propri figli destinati alla perdita del paradiso, qui entrano in gioco gli ulema che gratuitamente o per cifre irrisorie coltiveranno la crescita intellettuale del bambino. Quest’atto li salva dalla condanna cui li aveva sottoposti lo stato monarchico, e salva il prestigio sociale dell’insegnante-missionario. Naturalmente la dottrina religiosa respira a pieni polmoni l’aria e l’atmosfera di questi villaggi e nelle sue parole d’ordine troviamo: solidarietà, condivisione delle gioie e delle ristrettezze, pietismo. Il mondo delle comodità cittadine è additato come opposto nei confronti della loro condizione, la più diretta per ascendere del paradiso, in quanto quel benessere è il contrario della casta vita di campagna. Da questo argomento religioso, l’ulema può far comodamente discendere quello politico: chi ha reso così gli egiziani? La nobiltà serva degli Inglesi che consiglia il re, quegli aguzzini che ci affamano e che hanno corrotto il sistema monarchico in maniera definitiva. Allora anche il padre che non accetta le prediche oltranziste degli ulema, manderà il figlio a sentirli: è un atto anti-oppressore, e poi anche i “barbuti” dicono di voler cambiare lo stato in un modello più egualitario. Il figlio di un imam, troverà naturalmente molto attraenti quelle parole che fondono il religioso con il libertario. Inoltre è bene ricordare che l’Egitto di cui stiamo parlando è una terra povera, una terra dove l’artigiano è sottoposto ad un regime oppressivo, che lo vede come inferiore, ma lo domina da molto più che una generazione. C’è rassegnazione nelle fasce giovani e lavoratrici più che negli anziani.

Comunque l'impatto dell'inteligency statiunitense sull'opinione pubblica, si è mosso sin dall'infruttoso -per loro- asilo di al-Banna negli USA. Ammetto comunque di non aver letto la pagina in italiano, la prossima volta sarò più attento. Inoltre mettere quella frase circa la CIA è un rischio che mi sono voluto prendere, anche per gusto personale: ma so che è un rischio. Come non si hanno le prove fattuali che la CIA abbia dato le armi alla Savak iraniana -ad esempio-, si può comunque ritenere che ci sia stato almeno un coinvolgimento di settori dell'intelligence o dell'esercito nel loro addestramento di quelle squadracce. Così la pressione di questi organi come la CIA non è mai da escludersi parlando di personaggi come al-Banna, personaggi che non hanno mai dato plauso al petrol-islam saudita, il vero avamposto USA nel medio-oriente.

La Germania hitleriana fu vista da molti leader della lotta per l'indipendenza come la naturale "alleata" contro il dominio britannico. Vedi il leader nazionalista bengalese Subhas Chandra Bose che con l'aiuto dei tedeschi aprì Free India Radio e nel 1942 organizzò la Indian National Army, formata da prigionieri di guerra indiani, uzbechi, persiani che combattevano a fianco dei giapponesi. Lo stesso Gandhi visitò Mussolini nel 1931 e in alcune lettere espresse persino ammirazione per il governo fascista. Vi sono sue lettere da cui emergono giudizi sulla Germania, sugli ebrei, sui palestinesi che oggi ci stupirebbero se non le inquadrassimo nel periodo e nel contesto.

Una piega inaspettata viene data alla vita di al-Banna quando nel 1926, sposato, prende la dote della moglie che permette il trasferimento al Cairo. La città viene subito vissuta appieno dal giovane contestatore già con in testa concetti del religioso e del politico vaghi ma fortemente radicati; già nel 1919 manifesta contro la polizia coloniale. La città equivale alle opportunità, e queste portano al-Banna all’università: il luogo dove può coltivare le proprie speranze e la propria cultura. Si scontrerà presto con la quiescenza dei giovani universitari, di diversa estrazione e di diverso temperamento, a seconda dell’estrazione anche di diversa opinione nei confronti del colonizzatore.

Ecco che in lui si fa strada l’impellenza di modificare la propria contemporaneità: si muoverà riprendendo gli insegnamenti precedentemente appresi dagli ulema paesani, ma li fonderà con una più approfondita critica del sistema statuale compromesso con una potenza straniera e praticante odiose discriminazioni. Il suo linguaggio si pone spesso a metà tra quello dell’ulema e quello del filosofo politico, facendosi lui impressionare dalle figure e dal vocabolario del marxismo, ad esempio. Naturalmente non potrà non criticare i contenuti di questi occidentali “atei e colpevoli di render tali gli egiziani. Allora si avvicina anche alla rivista dei riformisti musulmani Rida, ispirata all’insegnamento del maestro del padre di al-Banna, Muhammad ‘Abduh.

Questo è il primo assaggio dell’avanguardia ideologica, di cui farà parte il giovane uomo, ma presto ascenderà alla guida dell’avanguardia dell’Umma. La Ikhwan al-muslimun (Congrega dei Fratelli Musulmani) nasce con questa tensione, l’intento mai nascosto di salvare le anime dei musulmani, di rendere loro la dignità offesa. Ecco che nasce il condottiero, dallo studente figlio di un comune imam. Così sarà ricordato l’uomo che ha dato vita al primo movimento islamista, colui che ha la responsabilità della creazione di una ideologia sociale, ma che ha il difetto di non riuscire mai a conciliarsi con l’elemento pubblico dello Stato: che ha la colpa di godere di quest’ambiguità. La riscossa che il nostro vuole istillare nei fedeli è, appunto, religiosa ed umana, ma non diviene mai civile e se questo gli permette di mantenersi lontano dai modelli occidentali non lo aiuta a creare una propria declinazione dell’aspetto comunitario allargato in cui un cittadino di una nazione è chiamato a vivere. Le predicazioni di al-Banna non dimenticano mai le proprie origini, sanno di trovare humus fertile nelle periferie ed in quella classe medio-bassa e bassa che abbraccia la quasi totalità dei fedeli: persone economicamente autosufficienti e giovani, che non vogliono patire le umiliazioni dei genitori e dei nonni.

Le posizioni apparentemente radicali, in materia di egualitarismo sociale, faranno sì che gli ulema scaccino dai propri circoli il loro antico allievo. Ma la strada è tracciata: il movimento islamista ha appreso la lezione. I giovani universitari sono il serbatoio delle alte sfere, la società nei suoi strati medio-bassi è il corpo del movimento. Unendo queste due parti è possibile far sopravvivere l’islam oltre la vita privata, è possibile ricostituire uno Stato religioso. Questa dottrina fonde un nocciolo duro di revisionismo con una scorza modernista. Perché revisionismo: siamo di fronte ad una appropriazione ed attualizzazione delle parole del Profeta, certo spesso indebita ma il fine pare giustificare i mezzi. Qui si gettano le basi per l’interpretazione del Corano, ma il testo sacro, per sua definizione non ne prevede. Queste interpretazioni sono necessarie per trovare questa via nuova di predicare a masse nuove, tutte posizioni estranee all’operato degli ulema, assimilati quindi ad una casta retrograda e solo diversamente colpevole dell’arretratezza del mondo islamico.

Nel caso specifico ciò che viene operato è uno spostamento di significato: per esempio la parola mujahiddin, colui che compie la jihad, ambedue inquadrate nello spettro più ampio del termine fondamentale, muslim. Il muslim è il servo di Dio, colui che volontariamente si assoggetta a Dio, per godere dell’unica libertà possibile, quella al suo fianco. Ma dato questo assunto, tutto ciò che comporta una violenta oppure imposta professione di fede (primo pilastro dell’Islam) è una violazione del pilastro stesso, in quanto non si agirebbe in maniera conforme alla parola del Corano. Si deve dare l’assunto della volontarietà in quanto altrimenti la libertà che offre Allah sarebbe paragonabile a quella umana, teologicamente si deve mettere l’uomo davanti alla cessione estrema delle proprie facoltà onde godere della ricompensa assoluta. È un atto di fede, appunto.

Conseguentemente analizziamo il termine jihad: la guerra, questa è una traduzione possibile ma nell’accezione italiana fuorviante. Molto meglio intenderla come sforzo, tentativo, sfida magari: in realtà colui che compie la jihad è anche l’uomo che lavora, suda, per portare il pane a casa e per compiacere Allah. Quindi qui abbiamo una riduzione, uno svilimento dell’originaria complessità del termine. Non si può addossare fisicamente alla memoria di al-Banna tale distorsione dei termini, ma sono figlie del movimento modernista islamico, per cui anche della sua opera.

Negli anni l’intento di al-Banna e della sua creatura politica si fanno molteplici e divengono autonomi dalle gerarchie ecclesiastiche. Crescono in maniera esponenziale i loro accoliti, nel 1933 possono aprire i lavori del primo congresso al Cairo. Tra il ’36 ed il ’39 si profila un mutamento di strategia: si aprono le porte ad un intervento internazionale allo scoppiare della prima rivolta palestinese (la comunità sionista patrocinata prima dall’Inghilterra e poi dagli Usa si era rapidamente espansa) tesa a difendersi dall’imposizione di uno stato totalmente ebraico, obbiettivo caldeggiato da Churchill in un memorandum del 1922. I Fratelli decidono di essere al fianco della comunità, anche perché i fondi dei fedeli cominciano ad affluire.

Dato l’esito in parte positivo della rivolta, infatti l’Onu progetterà uno stato a doppia nazionalità con l’etnia araba maggioritaria, la fortuna della predicazione aumenta e si crea una base sociale ampia. Il movimento pare ormai avviato a raggiungere un peso sufficiente per la rivoluzione e rifondazione in senso islamico del paese. Ma la coscienza data ai partecipanti alla cerchia ristretta dei Fratelli fa sì che essi notino un progressivo affievolimento di questa carica rivoluzionaria, quando al-Banna risponde positivamente al re Faruq per allearsi contro il partito nazionalista (Wafd), da sempre vicino all’idea occidentale di stato ed accusato di collaborazionismo con la corona inglese, presso la quale i suoi fondatori erano impiegati dal re come ambasciatori. Alla fine del 1939 una branca di giovani, “La Gioventù del nostro signore Maometto” si stacca, accusando il vecchio leader di essersi compromesso col potere che avrebbero dovuto avversare. Qui si manifesta la grande ambiguità cui facevo riferimento precedentemente: che ruolo il musulmano deve svolgere nello stato? Oppure, rovesciando la domanda: che genere di autorità secolare può essere accettata dal musulmano?

La predicazione di al-Banna non riesce mai a disegnare una via precisa tra la negazione dell’autorità e l’anima totalizzante dell’adesione che si chiede al musulmano già nella realtà ristretta dei Fratelli, ma ancor di più nello stato a venire. Soprattutto si misura un divaricamento interno all’ideologia nei confronti di quella libertà e quegli ideali sociali, in parte derivati dalle predicazioni e dagli ambienti degli ulema, in parte da quelle tanto vituperate letture occidentali e da quell’idea di stato sentita come aliena, però razionalizzata come necessaria all’unione di una comunità fattasi tanto vasta, eppure mancante di un centro naturale del suo essere religioso.

Si giunge rapidamente – troppo per una nazione debole sul piano socio-economico – al tempo della seconda Guerra Mondiale, che vede ancora vigente il trattato anglo-egiziano del 1936. Una situazione che porta ad una valutazione probabilmente più utilitaristica che ideologica, delle manifestazioni a favore dell’Asse nel 1941 guidate da Sadat, futuro successore di Nasser ma già ai vertici delle sfere militari. La situazione nel 1942 torna allo status ante quem con l’arrivo dei carri armati inglesi a ripristinare il dominio regio mutuato dal Wafd. Ma una connivenza Sadat-Fratelli è impensabile a quest’altezza, dimostrazione è la necessità di al-Banna di creare un’agenzia segreta per sopravvivere. Per cui anche le accuse della vicinanza ideologica con Hitler appaiono quanto meno indifendibili.

Questa mossa si rivelerà vincente: alla fine del conflitto mondiale, con rinnovata convinzione e questo strumento segreto, si potranno organizzare scontri e fomentare disordini. La nuova tattica violenta viene premiata – qui naturalmente si deve ricordare quanto prima scritto sulla formazione di quelle interpretazioni circa la parola jihad. Il re si vedrà costretto a chiede l’emancipazione dal trattato del ’36. Nel 1947 viene approvata la spartizione della Palestina, ma quest’anno è importante perché l’iniziativa e quindi l’influenza della parte ufficiale dei Fratelli perde definitivamente terreno nei confronti della segreta. Appare chiara la fisionomia raggiunta in questo stadio dal movimento islamista: una struttura che prefigura i più moderni gruppi-partiti armati, ma definisce anche la definitiva perdita di slancio teorico da parte della figura di al-Banna, che si conferma un personaggio essenzialmente carismatico ma del tutto privo di sistematicità, cosa – come vedremo – propria del suo successore Sayyid Qutb.

Il 1948 non è solo l’anno del conflitto contro Israele, da qui i gruppi violenti di ispirazione islamista vedranno nello Stato sionista un nemico naturale, un’offesa ulteriore portata da l’Onu contro di loro, quindi una dimostrazione del fatto che l’occidente sia loro avverso. Assistiamo inoltre ad una situazione particolarmente difficile da analizzare a quest’altezza: se in patria i primi mesi dell’anno sono occupati dalle indagini che porteranno nel Novembre alla scoperta dell’apparato segreto, sul fronte si hanno contatti tra Nasser ed il suo entourage ed i gruppi paramilitari dei Fratelli. L’anno si concluderà con lo scioglimento dei Fratelli per attentati all’ordine pubblico ed i difficili colloqui per l’armistizio. Passano due mesi e la polizia politica assassina al-Banna. Era il febbraio del 1949.

Qui si consuma la prima pesante battuta d’arresto del movimento, che apre ad anni di interregno fattuale, di leadership nominale da parte di Hudaybi. La guida dei Fratelli si fa oltre che difficile in senso pratico, ormai il re non ha dubbi sul potenziale eversivo della comunità, anche in senso ideologico: si deve o no segnare un passo indietro? Arrivano delle dichiarazioni che accusano la base di essersi allontanata dalla predicazione dei Fratelli, naturalmente ciò è segno di una debolezza momentanea del gruppo che ha perso il proprio leader naturale, non vede un esito positivo possibile dello scontro contro gli ebrei o gli occidentali: è vittima della propria politica oltranzista. Dobbiamo però sottolineare che gli scontri dell’immediato dopoguerra non sono adesso riproducibili, con quei numeri e quell’incisività e questo è anche grazie alla cappa che la polizia politica ha fatto calare sul paese. Possiamo supporre che l’insofferenza verso la monarchia nell’opinione pubblica ormai si alimenta da sola, inoltre l’operato della branca segreta dei Fratelli deve essere apparsa molto simile alla polizia politica del regno. Insomma si crea un vuoto alla guida dell’opinione pubblica, che comunque è pronta per un cambiamento di regime. Re Faruq, nel 1951, tenta di riprendere credibilità denunciando il trattato del 1936 in modo unilaterale, ma ormai siamo alle porte dell’anno del putch.

Dopo qualche mese di tensione ed un attacco ad un battaglione britannico di stanza in Egitto, il 23 giugno 1952 si concretizza il colpo di Stato degli Ufficiali Liberi, capitanato da Nasser. Il generale non deve far altro che raccogliere cosa aveva seminato nel conflitto contro Israele, potendo così tenere calma un parte della popolazione sulla quale altrimenti non avrebbe giurisdizione. Questo avvenimento spacca definitivamente i Fratelli già minati dalla spaccatura aperta, ma non risolta, dallo scisma del 1939. Una parte di essi andrà a sostenere gli Ufficiali, sperando in una legittimazione sotto il nuovo regime, i fedeli al debole leader Hudaybi si occulteranno. Nel 1953 le rimanenze del movimento, che con forze politiche diverse (anche comunisti) ha appoggiato il generale, vengono epurate ed i Fratelli vengono dichiarati fuorilegge.

Ecco la breve ma assolutamente capitale esperienza di Sayyid Qutb come anima dei Fratelli. Gli ultimi esponenti sono arrestati, uccisi o mandati nei compi di concentramento nasseriani, tra questi il pensatore che sarà il vero erede dell’eredità di al-Banna.

Questi è il figlio di un notabile terriero in declino, nato nel 1906 ad Asyut, nel Medio Egitto. Il padre è esponente locale del partito nazionalista ed abbonato al giornale ufficiale del partito Lo Stendardo. Date queste premesse e le frequenti riunioni cui assiste in casa propria, l’acuto giovane si identifica presto nell’odio anti-inglese e nel nazionalismo, frequenterà addirittura la scuola pubblica, avendo in odio il Kuttab (scuola coranica). In cerca di soldi per la famiglia, nel 1918 giunse al Cairo. Dopo la rivolta nazionalista del 1919 studiò molto e costantemente fino al 1930, quando ottenne la laurea al Dar al- ‘ulum, la Casa delle Scienze, frequentata anche da al-Banna. In questi anni visse nella casa di uno zio giornalista wafdista. Per sedici anni insegnerà in provincia e poi nei dintorni del Cairo, portandosi dietro la propria famiglia. Sono anni però di grande sforzo intellettuale: sperava di far passare progetti di riforma della Scuola in senso democratico, ma tutti i progetti sono cestinati. L’amarezza è resa più grande dal fatto che il ministero è in mano al grande scrittore Taha Hussein, che si era anche formato in Europa.

Successivamente, ormai negli anni ’30, il Wafd viene sotto la leadership di Pasha, che si comporta da demagogo, quindi Qutb lo accusa di frustrare le attese democratiche e nazionaliste dei seguaci del partito. Quest’esperienza lo allontanerà dalla politica prettamente secolare, generalizzando il giudizio su Pasha a tutta la classe politica, deciderà quindi di scrivere solo apologie dei grandi uomini dell’Islam.

Ecco un comportamento analogo probabilmente alla maggioranza dei giovani uomini del periodo. Avendo speso energie e tempo nella causa del Wafd che li tradisce, non permettendo il regime l’attecchimento di nessun altro partito di massa, essi si rifugiano nella consolazione del Corano. Probabilmente è questo l’anello fondamentale per spigare, anche oggi, la presenza di questi gruppi armati con una struttura para-partitica: il fallimento della politica ufficiale negli anni della colonizzazione ha spinto masse di persone a confidare nella tradizione religiosa, prima di poter assimilare appieno una propria idea di stato moderno. Naturalmente le colpe dei colonizzatori, delle organizzazioni sopranazionali sono palesi.

L’occidente è rimasto per molti anni uno spettro, che aveva come unica faccia concreta quella della repressione propria di ogni regime coloniale, permettendo così per converso, alle fazioni più eversive e misticheggianti di insinuarsi negli strati più bassi della società. Facendo leva sui numeri a tratti, con alti e bassi, ma ripetutamente questi gruppi, ideologicamente figli dell’opera di al-Banna e di Qutb, hanno strada facendo estremizzato quelle categorie teologiche che citavo prima, propagandando una lotta senza quartiere diretta indistintamente verso un nemico sempre diverso. Ma questo nemico finisce, nell’opera di Qutb questo è chiaro, per essere il parlamentarismo in quanto tale. Si tenderà ad accusare il parlamentarismo di essere un ente obsoleto, prima ancora che esso sia potuto cresce ed arrivare alla propria forma completa: prima che un’idea sociale laica e razionale, si sia potuta affermare tra le persone, come collante alternativo all’idea di religione. A questo punto è facile spiegarsi la ricettività degli strati bassi verso personaggi come Khomeini, i politici del partito islamista malaysiano (che ad oggi ancora proibisce matrimoni religiosi misti), ai richiami della lotta in Afghanistan e molti altri casi noti, ma mai analizzati con la dovuta profondità storica né con il giusto rispetto.

Naturalmente non si intende qui scrivere apologie verso un tale atteggiamento, ma si cerca semplicemente di ricostruire i fatti in una maniera plausibile e fruttuosa per l’analisi del nostro periodo storico.

La sua attività di scrittore lo porta in odio al regime, riuscirà a scappare solo grazie ad antiche amicizie, proprio dentro il Wafd. Passerà il periodo 1945-1951 nel luogo che ha spinto molti afro-mediorientali a costruire una politica anti-occidentale: gli Usa. Trova rapidamente impiego presso il Ministero dell’Istruzione, che sogna di trovare un fecondo alleato quando tornerà in patria, per inneggiare all’american way of life. Invece si sentirà solo, sperduto e breve è il passo che lo porta verso un’attenzione maniacale ai precetti dell’ortodossia islamica, pregando come mai prima di allora. Vedrà con occhio sempre più intransigente la dissolutezza e la promiscuità sessuale in versa il mondo statunitense. Passerà poco tempo e comincerà a compiere accese requisitorie anti-americane in pubblico, poco dopo è costretto a dimettersi ed a tornare in patria.

Successivamente dirà “sono nato nel 1951”, questo spiega il suo sentire quella data come una svolta nella propria esistenza. Tornato viene subito accolto da Hudaybi come nuovo ideologo e viene fatto redattore del gazzettino ufficiale dei Fratelli. È regolarmente in contatto con Nasser tra il 1952 ed il 1954, per Qutb questa alleanza è sintomo dell’emancipazione intellettuale e sensoriale dell’islam. Al solito quando al vertice di una formazione oltranzista si tenta un patteggiamento con l’odiato nemico – in questo caso lo stato occidentalista – qualcuno dalla base tenterà di riportare le cose a posto: nel 1954 un Fratello spara in diretta nazionale a Nasser durante un comizio ad Alessandria. Sei colpi di pistola scuotono l’Egitto da un microfono. La mira dell’attentatore è scarsa, ma precisa e fulminea la reazione del generale, che ha sempre mal tollerato una formazione tanto radicata nella popolazione al suo fianco. Si può ben parlare di repressione: locali in fiamme, uccisioni ed i supersiti, come Qutb, sono spediti nei campi di prigionia a spaccare pietre.

Tornando all’inizio di questo excursus storico, qui si nota come non si possa mai far coincidere diverse personalità/ideologie nell’analisi storica. Nessuno dei Fratelli Musulmani può mai esser detto nazista: siamo di fronte ad una formazione che per quanto violenta ha in odio regimi auto-imposti, quell’attentato è il sintomo della profondità della predicazione: si arriva a criticare i propri leader se questi vengono meno ai propri precetti. Il culto della personalità, in queste formazioni del primo momento del pensiero islamista modernista, non è mai così assoluto come in un qualsiasi regime occidentale o percepito come di stampo similare. Il leader è visto come un mezzo tramite il quale far parlare, rendere concreti determinati precetti: è sempre un’astrazione. Khomeini pur nella propria personalissima iconografia da asceta irreprensibile, rappresenta un momento diverso ed una nuova idea di potere nel mondo islamista novecentesco. Ma anche in questo caso, si deve sottolineare come l’iconografia sia successiva alla presa del potere, inizialmente tutti questi leader si affidano ad una comunicazione che metta sempre in risalto le parole contro la propria immagine.

L’esperienza del carcere è lo spettro dal quale Qutb guarda il mondo ed i suoi contemporanei. Vede nell’opera del predecessore la luce del movimento islamista, chiara la contrapposizione e la messa nel peccato dei loro avversari. Egli concretizza il proprio pensiero nei quaderni della prigionia, pubblicati col titolo di Pietre Miliari. Oltre a riprendere il concetto di jiahillia pre-islamica in cui il mondo sarebbe ripiombato si pone un’ulteriore evoluzione del concetto. Ancora si parte dalla terminologia coranica, ancora se da una rilettura: kufr “empietà” e takfir “empio”.

Adesso l’accusa è rivolta non contro i non-muslim ma contro chi pretende di chiamarsi tale, senza esserlo. Allora, chi sarà accusato di tale colpa, sarà automaticamente al bando ed estromesso dall’Umma, chiaro è il pensiero nei riguardi del takfir, quando Qutb dice che “il sangue è lecito”. Ma manca il passaggio che legherebbe, secondo i suoi epigoni jahilliyya-kufr, naturalmente di importanza capitale per la liceità del conflitto che alcune frange dell’islamismo continuano a rivolgere contro i muslim come contro i non-muslim. Il pensatore, morto prematuramente, non si espresse mai nettamente in merito. Infatti Hudaybi, esiliatosi propese per relegare tale concetto allo spirituale, senza prenderlo come passibile di applicazione materiale.

Si ricordi che per il Corano, l’essere umano è proprietà divina, quindi per tale assunto fatto nella maniera migliore possibile, non dovrebbe mai essere ucciso da altro uomo, tutte le uccisioni fatte in Suo nome, sarebbero quindi posticce e non difendibili sul piano teologico.

Al solito permane l’ambiguità alla quale nemmeno questo secondo pensatore sfugge, sebbene per motivi non personali. Comunque pare ormai chiaro un punto: l’ideologia islamista non accetta uno stato nazionalista, perché portatore di ideali occidentali, quindi empio. Coloro che sono i fautori del socialismo arabo (di cui Qutb conosce solo quei campi di lavoro) mettono devozione in un secondo Dio oltre Allah, donde l’accusa di idolatria: la jahilliyya su è finalmente incarnata nello stato totalitario e nazionalista, non è più il colonizzatore.

È jahilita qualsiasi società che non è musulmana […] di fatto qualsiasi società dove venga adorato un qualsiasi un oggetto altro da Dio e da Lui solo. […] Dobbiamo quindi classificare così la totalità delle società che esistono ai giorni nostri sul nostro pianeta!

Qui di fatto il pensatore ha fuso la radice dell’obbedienza alla religione a quella verso l’autorità. Sia la devozione al-‘ubuddiyya sia il potere al-hakimmiyya sono da vedere in funzione della divinità. Quindi non ci può essere politica se non nel rispetto di Allah. Ma queste due categorie non sono prese dal Corano, come fa notare anche lo storico del mondo arabo-musulmano Gilles Kepel, ma sono prese dall’ideologo pakistano Mawdudi. Ecco il segno lampante della nuova strada presa dalla parte più forte dei Fratelli, una visione oltre il Corano, una nuova visione del rapporto uomo-Dio, in questo caso di sottomissione e cieca appartenenza. Il moderato, ma inascoltato, Hudaybi lo rimprovererà, prevedendo la piega pericolosa presa dalla predicazione. Dato questo rapporto totalizzante, anche lo Stato nella sua gestione e legislazione dovrà sottomettersi: ecco la shari’a come valore unico ed incontestabile. Allora tutti coloro che sono animati da una pura fede musulmana dovranno obbligatoriamente sforzarsi (divenire mujahiddin) per redimere gli ignoranti di Dio, ma Qutb ricorda che questi avversari hanno il potere dalla loro: solo la violenza si farà cadere.

Qui siamo di fronte alla miccia che farà esplodere interi paesi, come l’Afghanistan ed il Sudan. Il tutto supportato dalle politiche di potenza delle nazioni occidentali, che hanno alternativamente sfruttato queste correnti per modificare la posizione della bilancia a proprio favore, nell’ambito dell’equilibrio mondiale. Questi apparenti giochi di parole sono resi possibili dalla differenza linguistica che intercorre tra il Corano e molte lingue che hanno l’alfabeto arabo: l’oblio ha colto i versetti originali del Q’ran lasciano in vita solo le interpretazioni. Inoltre ancora lo sfacelo portato da paesi come il Regno Unito, la Francia o l’ex-Urss ha reso ancor più facile il lavoro di chi faceva questi slittamenti di significato. A completare il quadro la casta degli Ulema, veri dottori in legge Coranica –istituita per emettere giudizi a favore, ma spesso contro, il regnante- era già da tempo in catalessi.

Al solito in sordina, ma comunque preciso ed acuto, il giudizio di Hudaybi: egli confuta le fondamenta delle Pietre Miliari e sicuramente questo processo gli è costato caro, fu lui infatti a dare la benedizione a Qutb. La sua confutazione è proprio verso quel termine di Mawdudi, mutuato da Qutb: la hakimmiyya. Questa oltre a non apparire nel Q’ran, si deve riferire ad un rabb, un signore, padrone ma in carne ed ossa. Cosa ci vuol dire allora Qutb? Che dobbiamo scacciare un dittatore per averne un altro più assoluto e più empio? Poi, nel libro scritto in prigionia si pone una coincidenza tra la società e l’empietà, secondo lo schema posto dai kharigiti (coloro che escono).

Inizialmente sciiti uscirono anche da quella fazione, accusando il leader di essersi alleato con il nemico sunnita. Ma allora, domanda Hudaybi, come potremmo predicare se uscissimo dalla società? Gettando lo sguardo in avanti, possiamo misurare la bontà dell’intenzione del moderato: infatti quei gruppi che hanno scelto tale via si sono completamente sclerotizzati, lasciamo l’iniziativa alle bande armate ed ai signori dell’oppio (jihad afgana). Il giordano al-‘azm tenterà di dare nuova credibilità a Qutb ammettendo la sua natura umana, quindi fallibile ma per questo discutibile in senso positivo e correttivo. La vita del successore spirituale di al-Banna terminerà violentemente e prematuramente come quella del maestro: sarà impiccato dal regime nasseriano.

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L’intendimento era cercare di ricostruire il quarantennio egiziano, che in linea con i moderni ed approfonditi studi di Kepel, possiamo porre alla base del movimento jihadista. Ma sottolineando che questo movimento violento, ne è la risultante parziale, non necessaria né univoca. I nostri media non offrono – quasi mai – i pochi spunti che scaturiscono da queste poche pagine che sono da intendersi come un’analisi della disperata lotta per la sopravvivenza che le religioni, in senso collettivo, hanno combattuto in silenzio o apertamente, nel XX secolo. Cercando di definire come esse siano riuscite a insinuarsi nel dibattito sullo Stato, come siano riuscite ad apparire necessarie nel campo politico.

Questa caratura di necessarietà è posticcia, anzi evitabile. Comunque per ogni esempio o spunto sopra riportato, se non trovano altrettanti nel mondo che ci è proprio. I fatti della politica italiana non sono mai stati scevri da intromissioni dello stato Vaticano. Solo ultimamente alla presentazione dell’anno accademico all’università la Sapienza, il ministro all’Istruzione di un governo sovrano era pronto a negarsi il proprio diritto-dovere istituzionale, a favore di una lezione da parte di un governante straniero, per quanto giuridicamente vescovo di Roma. Situazione giuridica sancita dai patti Lateranensi prima e dalla loro revisione sotto il governo Craxi (1984), non certo dei bei precedenti.

Nel proseguimento di questi interventi sulle pagine di questa rivista, sarà utile portare a termine una breve e sicuramente lacunosa, ma forse stimolante, analisi sul mondo arabo-mediterraneo e sull’elemento islamico.

Fonte:
Guglielmo Menichetti - Resistenza Laica (febbraio 2008)


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 04/12/2012