La guerra in casa:
i bombardamenti, la tragedia degli sfollati, "lassù sulle montagne"

L'ultimo giornale che riuscii a leggere fu 'La Voce Adriatica' del 7 gennaio, dove si annunciava 'la mobilitazione degli iscritti al Partito Fascista Repubblicano - i fascisti dai 17 ai 27 anni presi in forza dai centri entro il primo febbraio, i più anziani faranno parte della Guardia nazionale repubblicana'.

Il bollettino germanico annunciava che la pressione sovietica urtava contro la solida resistenza delle linee tedesche, mentre in Italia i nemici erano stati respinti, salvo alcune infiltrazioni locali, molto limitate. 81 aerei russi erano stati abbattuti in combattimento e anche 87 inglesi e 97 americani che bombardavano città tedesche, inoltre erano state affondate cinque navi e due guardiacoste.

Il solito articolo antiebraico affermava: 'Il nostro popolo - quello sano, genuino, composto di autentici lavoratori, non malati di criticismo intellettualistico fatto di spirito di contraddizione, ignora pur sempre i termini della tanto vessata questione ebraica che nel nuovo clima politico e sociale dell'Italia repubblicana sta per essere finalmente, energicamente e totalitariamente risolta, con la segregazione di tutti i pericolosissimi elementi ebraici nostrani. I provvedimenti di questa epurazione sono già in atto: relegazione di tutti gli ebrei in speciali campi di concentramento e sequestro dei loro beni'.

Ad Ancona, distrutta al 60% dai bombardamenti alleati, la situazione si faceva drammatica di giorno in giorno:

'Le condizioni create nel settore alimentare dalla particolare condizione nella quale le vicende belliche hanno posto Ancona e la provincia, hanno assunto in quest'ultimo periodo carattere d'estrema gravità che nessuno vuole e può tacere'.

Mentre il comando militare provinciale distribuiva volantini con ogni mezzo a disposizione:

"Il Decreto del 18 aprile scorso sancisce provvedimenti di estremo rigore contro i nemici della Patria (pena di morte, confisca dei beni contro i facenti parte di bande armate e loro partigiani operanti contro la Patria). Tali provvedimenti sono applicabili e saranno applicati dopo il 25 corrente contro coloro che, sordi alla ragione ed alle leggi dell'onore, non rientreranno nella legalità. Chi invece entro le ore 24 del 25 maggio si presenterà alle autorità costituite civili o militari, andrà esente da pena e potrà riprendere senza noie la sua attività civile e, se soggetto ad obblighi militari, adempiere al suo dovere senza conseguenze di carattere penale e disciplinare. Una vittoria degli anglosassoni-sovietici è lo smembramento e l'asservimento dell'Italia, perché essi sono impegnati con gli jugoslavi, con i francesi e con i greci a danno dell'Italia. Nessuno che abbia cervello non può non comprenderlo! La vittoria dei tedeschi è anche la vittoria dell'Italia, che rimarrà integra nei suoi confini di anteguerra e riavrà le sue colonie e il suo prestigio. Se tutti ci uniamo a cooperare alla vittoria con l'alleato col quale siamo entrati in guerra e che è sempre stato leale con noi, la vittoria è possibile, è certa! Italiani che state alla macchia, noi non vi possiamo odiare, non vi odiamo, ancora vi chiamiamo anzi fratelli'.

***

In Sicilia e nel sud d'Italia principalmente i bombardamenti aerei erano cominciati del 1943, salvo le sporadiche azioni nel 1940-42 su Genova, Torino e Milano, ma con la resa dell'Italia cominciarono realmente i bombardamenti in ogni città, in ogni paese, bombardamenti a tappeto, indiscriminati contro la popolazione civile, incluso dove non c'erano obiettivi militari, dove non c'erano difese antiaeree, né soldati fascisti o tedeschi.

Era una nuova tattica ideata dal generale d'aviazione inglese (RAF) sir Artur Harry, seguendo e attualizzando, con nuovi mezzi, le antiche tradizioni terroristiche anglosassoni in Asia e in Africa (mentre il generale americano Ira Eaker, comandante dell'8ª Army Air Force in Inghilterra, preferiva gli attacchi diurni di precisione, anche se si dimostrarono niente affatto precisi).

Si calcola che i bombardamenti criminali alleati in tutta l'Europa occupata dai nazisti fecero 3.500.000 vittime.

Tra gli esempi non italiani i più selvaggi furono i quattro bombardamenti di Amburgo, tra il luglio e l'agosto del 1943: 2.630 bombardieri vi presero parte, scaricando un totale di 8.759 tonnellate di bombe, di cui 4.378 incendiarie e 600.000 spezzoni alla termite. Esplose una tempesta di fuoco che correva alla velocità di 350 chilometri l'ora. La gente, in qualunque posto s'incontrava, persino nei rifugi, fu semplicemente volatilizzata. Vi furono 55.000 morti.

Dresda fu un altro caso spaventoso: la guerra stava per finire, era il 13 febbraio del 1945, l'antica e artistica città s'era salvata perché non aveva obiettivi militari importanti. In quei giorni aveva raddoppiato la sua popolazione, giungendo a 1.200.000, a causa dell'arrivo delle popolazioni dell'est che fuggivano di fronte all'avanzata delle truppe sovietiche. Gli attacchi dei 244 Lancaster, seguiti da altri 529, quindi da 311 fortezze volanti in due passate, furono calcolati con precisione per annullare i soccorsi che sarebbero giunti da altre città e impedire alla popolazione di salvarsi, radendo al suolo ogni fabbricato della zona. La tempesta di fuoco si scatenò improvvisamente, causata dalle tre mila tonnellate di bombe dirompenti e incendiarie. Non si è mai potuto calcolare con esattezza il numero dei morti, e si pensa che oscillarono tra i 150 mila e i 250 mila.

In Giappone poi, con le sue case di legno, cartone e bambù fu ancora peggio. I casi più barbaramente spettacolari furono quelli di Tokyo dove 332 superfortezze B.26 passarono a intervalli regolari, sollevando un mare di fuoco, che raggiunse i mille gradi di calore; anche l'erba fu bruciata (come all'epoca delle invasioni di Attila), e migliaia di persone s'accendevano e scoppiavano come fiammiferi. I morti furono 83.793, senza contare gli altri 120.000 circa che morirono successivamente per le ustioni riportate. Un'altra città martire fu Toyama, che fu distrutta per il 98%. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki causarono solo il 3% del totale di queste distruzioni.

Uno dei tanti esempi italiani, tra i più crudeli, fu quello di Gorla (Milano): tra gli edifici colpiti ci fu la scuola elementare Francesco Crispi: 194 bambini, la direttrice, 14 maestre, un'assistente sanitaria e 4 bidelli morirono sotto le macerie. Ma anche i casi dei bambini mitragliati nelle giostre a Grosseto e a Civitavecchia.

Così toccò anche a Fabriano che ebbe 636 allarmi aerei, quasi tutti seguiti da bombardamenti, con il proposito di distruggere un ponte ferroviario, che restò illeso finché fu minato dai tedeschi in ritirata; però il 25% degli edifici crollarono.

Dopo il mitragliamento, di cui accennammo, in una bella mattina di sole nel dicembre del 1943, che scioglieva le chiazze di neve che ancora restavano sui campi e sulle montagne, apparve altissimo, sul mezzogiorno, uno stormo d'aerei. Non era mai apparso così vicino: sembrava che seguisse la linea ferroviaria da est ad ovest. Poi vedemmo brillare, contro il sole, dei puntini che sembravano discendere.

Quindi sopraggiunse una specie di terremoto, alte nubi di polvere e di fumo si alzarono dalla zona della stazione. Fu il primo bombardamento. Scesi in città. Le bombe erano in effetti cominciate a cadere qualche chilometro prima dei sobborghi, avevano seguito la ferrovia, centrato la stazione, poi continuato a cadere diagonalmente sulla città, attraversandola da un lato all'altro e terminando su delle colline adiacenti.

Giunsi al finale del corso, dove apparivano le macerie delle case colpite, tra le quali si udivano lamenti e grida di persone sotterrate. Un'intera famiglia conosciuta, padre, madre, una figlia grande e una piccina, oltre a un fratello ufficiale che era in permesso natalizio e il padre e la madre di un mio compagno di scuola, loro amici, che erano stati invitati a pranzo in occasione dell'arrivo dell'ufficiale, erano stati sorpresi mentre scendevano le scale, all'udire gli scoppi delle bombe.

In simili frangenti non esistevano ancora mezzi adeguati, non c'era personale incaricato, solo gente accorsa a dare una mano, che più scavava e più polvere e detriti riempivano le buche. I lamenti durarono varie ore, poi più nulla, Tutti erano morti e con loro un centinaio di altre vittime in altre case, in altri rioni.

Qualcuno che aveva sofferto altri bombardamenti in altre città raccontava che aveva visto persone, già morte per lo spostamento d'aria, continuare a correre fino a schiacciarsi contro il primo muro che gli sbarrava il passo.

Da quel giorno, chi poté, sfollò nelle frazioni circostanti, in case coloniche sulle colline o sui monti dell'Appennino.

Siccome noi abitavamo a tre-quattrocento metri dalla periferia, restammo in casa. Ad ogni allarme si riuniva la gente, che scappava dalla città, nel nostro giardino e nell'aia dei nostri contadini, aspettando il cessato allarme.

All'aumentare dei bombardamenti decidemmo di sfollare anche noi, andammo in un casa di tre stanze, unita ad una casa colonica, proprietà di mia zia, vicina ad un paesetto quasi sulla sommità di una montagna, a una diecina di chilometri dalla città, e lasciammo la nostra casa a un cognato di mia zia, che non s'era mai occupato di politica, ma che aveva accettato l'incarico di podestà di Fabriano della Repubblica Sociale.

Si scendeva in città la mattina presto per presentare gli esami, si ritornava in montagna di sera, dopo l'ultimo allarme. Poi, non ci furono più esami, in città mancava l'elettricità, gli uffici e i negozi cominciarono a chiudersi. I giornali non uscirono più, senza luce non si poteva neppure ascoltare la radio. Sapevamo che gli alleati erano giunti a Roma, ma non potevamo comprendere perché avanzassero così lentamente. Compravamo il tabacco in foglie dai contadini e arrotolavamo le sigarette nella carta velina delle fodere delle buste.

Fu in quest'epoca che le mie idee cominciarono poco a poco a cambiare: consideravo ancora il pseudo esercito fascista come l'unico rappresentante d'Italia, e i tedeschi come nostri alleati, che realmente non conoscevamo per nulla (le notizie dei loro misfatti apparvero dopo la guerra), e gli angloamericani come gli assassini che bombardavano spietatamente in azioni terroristiche i civili inermi.

Mi resi conto che gli unici che stavano combattendo e rischiando la pelle per l'Italia erano i partigiani. Gli altri, anche se non se ne rendevano conto, in fin dei conti stavano combattendo e morendo per i tedeschi.

Nella zona cominciarono a formarsi gruppi di partigiani che scendevano in pianura, attaccavano posti tedeschi isolati o compivano sabotaggi e poi si ritiravano sull'Appennino o sul Pre-Appennino. Dopo la guerra si calcolò che sull'Appennino umbro-marchigiano ci furono 15 mila partigiani, di cui mille furono uccisi in combattimento, fucilati o impiccati.

Un giorno vidi salire dei camion pieni di soldati, su per la strada che conduceva al paese, e siccome avevo visto un certo Pecorelli (che diceva che era partigiano), arrivare in visita da noi, corsi ad avvertirlo. Lui scappò, i tedeschi e i fascisti giunsero a casa sua e non trovandolo, la bruciarono e rubarono tutto ciò che poterono portar via. Era stato denunciato da una commessa, amica sua, di un negozio della città, la quale poi fuggì al nord, coi suoi amici e non si seppe più nulla di lei.

Un altro giorno vedemmo da lontano che i tedeschi avevano piazzato dei cannoni nella pianura di Fabriano e cominciarono a sparare contro Moscano, una frazione situata in una montagna vicina. Sapemmo poi che dei tedeschi erano andati nel paese, avevano visto delle belle ragazze sfollate e cominciarono a infastidirle. Caso volle che nel paese ci fossero i partigiani, i quali li inseguirono e ne uccisero uno; gli altri avvisarono il comando, che, senza perder tempo, dette ordine di bombardare il paesetto, dove già non c'erano più i partigiani.

Mesi più tardi udimmo scariche di mitra, poi vedemmo qui e là salire del fumo e case in fiamme. Un austriaco era scappato (negli ultimi mesi della guerra era molto frequente che gli austriaci disertassero) e s'era consegnato ai partigiani. Ai tedeschi realmente importava poco se l'austriaco aveva disertato o era stato ucciso; ne mancava uno all'appello e questo era sufficiente per inviare un paio di camion con le SS in varie case coloniche vicine, riunire tutti gli uomini, dai 14 anni in poi, chiuderli nelle stalle insieme al bestiame, poi mitragliarli dalle finestre, gettare dentro bombe a mano e benzina e dar fuoco a tutto, Oltre ai contadini che vi abitavano c'erano anche famiglie di sfollati della città: tutti morirono senza sapere il perché.

In un'altra occasione giunsero dei tedeschi di un reggimento di guastatori. Non parlai con loro, non sapendo il tedesco, né loro l'italiano, e poi perché si comportavano come se stessero in un luogo solitario: gli abitanti del luogo erano semplicemente ignorati, ma uno di loro mi disse in francese che lui era dell'Alsazia e che l'avevano richiamato dopo la sconfitta francese; loro si stavano ritirando e dovevano distruggere ponti, fabbriche ed altre istallazioni e che il fronte si sarebbe fermato in una linea di fortificazioni da Pesaro fino a Pisa, più a nord, cosicché noi non dovevamo preoccuparci.

Ma il fatto stesso di avere tedeschi nell'aia e nei campi vicini fu sufficiente per indurre mio padre ad andarsene qualche diecina di chilometri più lontano e più in su; ce ne andammo così a La Venale, un paesetto di poche case sui monti, tra Sassoferrato e Genga.

Dopo un paio di mesi, giunse anche lassù una pattuglia tedesca. Furono riuniti tutti gli uomini del luogo, contro un muro, ma siccome io ero molto giovane, mi dissero d'andarmene via, mio padre che sapeva un po' di tedesco faceva da interprete. Gli dissero che avvisasse tutti gli altri che tra una diecina di minuti sarebbero andati casa per casa a cercar armi nascoste. E in effetti i tedeschi rovistarono casa per casa, e siccome le armi erano state già consegnate alle autorità da anni, capimmo che era una scusa e che realmente cercavano oggetti di valore e alimenti. E, dopo aver portato via salami, salsicce e formaggi, invitarono mio padre ed altre persone a mangiar con loro ciò che avevano rubato.

S'avvicinava la liberazione: un bel giorno passarono sulle nostre teste dei fruscii, che fendevano l'aria, erano delle cannonate che venivano chi sa da dove e andavano a colpire Genga, di rimpetto a La Venale. Poi una mattina vedemmo spuntare giù a valle, sulla strada bianca, una camionetta seguita da un'altra, ma, giunta ad un bivio, due o tre tedeschi con il panzerfaust le stavano aspettando. Partì un colpo e la prima camionetta restò immobilizzata, ne scesero due carristi che correndo raggiunsero la seconda camionetta, vi montarono su e scapparono. Dopo poco i cannoni lontani cominciarono a sparare precisamente dove c'era stato lo scontro. Ma i tedeschi se ne erano andati.

Questa storia continuò durante varie mattine: giungevano le camionette, i tedeschi le aspettavano ogni volta un centinaio di metri più indietro, quindi colpivano la prima, le altre tornavano indietro, poi arrivavano le cannonate. Finalmente dopo vari giorni le camionette passarono e i tedeschi non c'erano più ad aspettarle. Allora noi ci decidemmo di scendere a valle per ritornare a Fabriano, già liberata il 13 luglio del 1944. I soldati delle camionette erano polacchi, che quando ci videro ci dissero in italiano: 'Lo vedete dove vi ha portato Mussolini?'. Se avessi conosciuto la sorte che era riservata loro, quella di non poter più tornare in patria, sotto la dominazione russa, avrei risposto: 'Lo vedrete dove vi porteranno gli accordi Roosevelt-Churchill-Stalin'.

Giungemmo a Fabriano: sapevamo già che la nostra casa era stata colpita da una cannonata inglese, che aveva scoperchiato buona parte del primo piano, cosicché ci adattammo a vivere nel pianterreno.

Il 17 luglio, con gli alleati in città, giunse un aereo tedesco che lanciò alcune bombe sulla città, una delle quali colpì il 'Teatro Gentile'.

A San Donato, una delle frazioni del comune, il prete, all'annuncio dell'arrivo delle prime jeep alleate si mise a suonare le campane a festa. Ma le jeep tornarono indietro e ritornarono i tedeschi che cercarono il prete per fucilarlo, e non trovandolo, dato che se l'era data a gambe, minarono la chiesa e il campanile e tutto sparì in una nube di polvere.

Dopo qualche giorno i polacchi, ed anche gli italiani del nuovo esercito, continuarono il loro cammino verso nord e giunsero gli inglesi e i neozelandesi, gli indù, gli australiani e i sudafricani.

Un sudafricano mi disse che avevano occupato 'Noni' e 'Toni' e che stavano marciando verso Firenze. Non riuscimmo mai a capire che cosa erano Noni e Toni, sebbene ci dicesse che erano due città vicine a Roma. Solo al finale della guerra capimmo che si trattava di Narni e di Terni.

Gli indù alzarono le loro tende sui nostri campi, gli inglesi non volevano che abitassero nelle case italiane. Il comandante di una compagnia era di una casta inferiore a quella dei suoi soldati, cosicché questi dovevano ubbidirgli durante le ore di servizio, ma quando si trattava dei pasti, lui doveva essere allontanato e mangiare solo soletto.

Gli indiani mussulmani rispettavano puntualmente il mese di Ramadàn, ed effettivamente non portavano nulla alla bocca dall'alba al tramonto. Era un sacrificio che si poteva fare, ma non potevano restare senza fumare, cosicché escogitarono un bel sistema per raggirare la proibizione: mettevano la sigaretta tra l'indice e il medio della mano destra, chiudevano la mano in forma d'imbuto e aspiravano il fumo, senza toccar la sigaretta con la bocca, dalla parte superiore dell'imbuto, tra il pollice e l'indice.

I neozelandesi invece occuparono il secondo piano della casa, per ordine delle autorità, quello colpito dalla cannonata. Erano una ventina, coi loro carri armati nel giardino e nell'aia dei contadini. Non potevano vedere gli inglesi, li disprezzavano (però facevano la guerra per loro), erano orgogliosi di essere neozelandesi ed avevano uno strano concetto dei gradi militari: per esempio fuori servizio tutti erano uguali, ed era frequente il caso di un soldato che chiedesse un fiammifero o una sigaretta a un ufficiale superiore che non conosceva, che incontrava in un cinema o per strada. Se ad un certo punto mancava un ufficiale, il comandante nominava ufficiale un soldato, poi se arrivavano altri ufficiali dal comando superiore, allora si toglievano i gradi a colui che aveva avuto l'incarico precedentemente, il quale tornava ad esser soldato semplice.

In realtà ci trovammo bene con loro, in generale era gente simpatica e affabile.

Una sera ci presentarono un maggiore neozelandese che, con nostro stupore, non solo parlava benissimo l'italiano, ma lo parlava con l'accento fiorentino. Non ci volle dire il perché, ma sicuramente aveva vissuto molto tempo a Firenze.

Gli inglesi erano, in generale, i più antipatici e presuntuosi. Tutte le sere, dopo la libera uscita, si vedevano camminare a gatto per le strade principali della città, ubriachi fradici.

Gli ufficiali contattarono dei musicisti affinché suonassero per loro le solite canzoni classiche napoletane, mentre prendevano il te o cenavano, mio padre (con altre persone), fu invitato ad una di queste cene-musicali.

In ogni modo ricominciammo a mangiare la cioccolata, che già c'eravamo scordati com'era, ritornò lo zucchero, il caffé ed anche lo 'spam', la carne di maiale in scatola, che Malaparte scrisse che era 'l'orgoglio di Chicago', ed anche una specie di latte o crema in polvere che sembrava calcestruzzo. In cambio i neozelandesi cercavano uova fresche che il Commonwealth non poteva inviar loro.

Quando la divisione neozelandese giunse a Fabriano, aprì i suoi carri armati e cominciò a vendere o a regalare tutte le cianfrusaglie che aveva preso o rubato nelle case abbandonate o diroccate del sud d'Italia: navi in miniatura, portaceneri e statuette d'alabastro. Poi i soldati cominciarono a vendere le coperte che avevano avuto in dotazione; erano molti mesi che non avevamo più stoffe, cosicché quasi tutti comprammo quelle coperte di pura lana per poi andare dal sarto affinché ce ne facesse un abito. L'unico inconveniente fu che la M.P. (polizia militare) aveva l'obbligo di requisire le coperte, anche quelle trasformate in abiti, che ci avevano vendute.

***

"Un paese, un popolo, un capo", questo fu uno dei motti di Hitler. Un paese era la grande Germania, che doveva includere tutto il popolo germano-ariano, sano di mente e di corpo, di lingua tedesca, che abitasse non importa in che altra nazione europea e che avesse come fede unica l'ideologia nazista. Il capo era lui. Questo popolo era formato da superuomini, dominatori, unici ad avere il diritto di comandare sugli altri popoli inferiori. Con queste idee era necessario eliminare fisicamente tutti quelli che, in Europa, non entravano in tale schema: i tedeschi inabili (fatti uccidere negli ospedali, manicomi e case di cura), gli omosessuali, gli storpi, gli ebrei [1], gli zingari, gli slavi, quei tedeschi che consideravano la religione o altre ideologie politiche al di sopra o contro quella nazionalsocialista hitleriana, come i protestanti e i cattolici e gli antinazisti, come i comunisti, i liberali, i socialisti, i democratici e tutti gli altri. Di questi, quelli che erano adatti al lavoro dovevano essere schiavi al servizio dei tedeschi ed essere educati ad essere schiavi sin da piccoli: non si doveva insegnar loro né a leggere né a scrivere più dello strettamente necessario per il lavoro.

I professionisti, gli intellettuali, i nobili dei paesi occupati dai tedeschi dovevano essere eliminati. La Gestapo (polizia dello stato) e le SS avevano tale compito.

Logicamente tali idee lunatiche potevano aver successo solo se i tedeschi si fossero armati in modo tale che nessuna nazione europea avrebbe potuto batterli sul campo di battaglia e soprattutto se queste idee fossero state accolte da un popolo ingenuo, credulone, che sentiva la necessità di essere comandato a bacchetta.

In ogni nazione vinta e occupata s'ingaggiavano persone disposte a collaborare per dominare il proprio popoli, anche per formare le SS straniere: belghe, francesi, russe, italiane, croate ed altre. La sola eccezione fu la Polonia e per questo le fu riservata una sorte delle peggiori.

Ma poi le cose cominciarono ad andar male sui campi di battaglia. Allora sorsero, nelle nazioni dominate, resistenze sempre più forti e decise. Persino nella stessa Germania alcuni uomini saggi e umanitari, che non s'erano decisi a ribellarsi finché la Germania stava vincendo, si resero conto che quel 'capo' con le sue idee diaboliche, stava portando tutto il popolo tedesco all'inferno.

Già nel 1941 Hitler aveva detto: 'La guerra partigiana offre il vantaggio di permetterci l'eliminazione di tutti coloro che ci si oppongono'.

Ma fu un pessimo profeta, la guerra partigiana consumò una buona parte dell'esercito tedesco, soprattutto in Russia e in Jugoslavia, ma anche in Francia, in Italia, in Grecia, in Olanda, in Belgio, in Cecoslovacchia, in Polonia, in Norvegia: molti dei capi partigiani avevano sulle spalle l'esperienza acquistata nelle brigate internazionali durante la guerra civile spagnola.

La reazione tedesca fu feroce, come sempre. Uno dei casi più famosi fu quello di Lìdice in Cecoslovacchia: un piccolo gruppo di donne fu portato e ucciso a Praga, alle 195 rimaste si ordinò di portar con loro danari e oggetti preziosi, quindi furono inviate a Ravensbrück, dove 40 morirono a causa delle sevizie subite, 7 furono gassate e tre scomparvero, altre 4 partorienti furono portate al lager, dopo che si uccisero i loro neonati.

I bambini furono separati dalle loro madri, 190 furono inviati al lager di Gneisenau e non si seppe più nulla di loro. Alcuni, molto piccoli, furono inviati all'ospedale di Praga e, dopo esser stati esaminati da 'esperti razziali' per rendersi conto se le loro misure coincidevano coi parametri raziali-ariani, furono adottati da famiglie tedesche, con nomi tedeschi e non furono più rintracciati; quelli che non passarono l'esame furono inviati in Polonia e gassati a Treblinka. Al sacerdote di Lìdice, Sternbeck di 73 anni, lo avrebbero lasciato vivere se avesse abbandonato il sacerdozio, ma al suo rifiuto fu torturato e poi ucciso con altri 172 uomini.

Prima di andarsene i tedeschi bruciarono il villaggio. Poche furono le donne che ritornarono dai lager dopo la guerra e solo 16 bambini furono ritrovati miracolosamente vivi.

Ad Oradour-sur-Glane, in Francia, la divisione SS 'Das Reich' uccise tutti gli uomini, poi rinchiuse 642 donne e bambini in chiesa, gettò benzina dalle vetrate e quindi incendiò tutto con le bombe a mano. Il paese non fu più ricostruito, resta attualmente come monumento perenne delle barbarie tedesca.

(In Francia ci furono 400 mila soldati tedeschi come forza d'occupazione, che costarono al governo francese 300 milioni di franchi al giorno; mentre un milione e mezzo di soldati francesi prigionieri erano tenuti in ostaggio in Germania, obbligati a lavorare come schiavi).

Il ghetto di Varsavia ebbe un trattamento speciale: 450 mila ebrei vi furono rinchiusi: a causa della fame e delle malattie, 100 mila ne morirono in due anni. Ma il sistema parve troppo lento, così si dette ordine di eliminare 6 mila persone al giorno. Nemmeno questo fu sufficiente, allora si ordinò la deportazione ai lager di 100 mila persone in sei giorni. Ma restarono ancora nel ghetto diecine di migliaia di ebrei: uomini, donne, bambini. Entrarono i soldati tedeschi con cannoni e mitragliatrici, coadiuvati dalla polizia ucraina, polacca e baltica; gli ebrei che riuscirono ad avere qualche arma resistettero fino alla fine, casa per casa, strada per strada, finché il ghetto sparì, spianato dalle bombe e con esso gli ultimi ebrei rimasti.

Feroce fu la repressione in Germania, dove il 20 luglio del 1944 alcuni generali tedeschi, tra cui Rommel, cercarono di metter in pratica un progetto d'assassinare Hitler, ma riuscirono solo a bruciargli i pantaloni. Tutti furono uccisi, o nelle celle, od obbligati a suicidarsi, o giudicati ed impiccati in ganci da macellaio.

Mussolini gioì: anche Hitler aveva i suoi 'traditori'.

***

Torniamo in Italia: i primi nuclei partigiani nacquero dopo l'8 settembre del 1943 nell'Italia centrale, sui colli Albani, sulle montagne di Sabina e dell'Abruzzo, sull'Appennino umbro-marchigiano, umbro-toscano e tosco-emiliano, sui monti tra le Marche e la Romagna, sul monte Amiata, nella pianura padana, sui valichi alpini ed appenninici. Molti erano comunisti, ma anche del Partito d'Azione, socialisti, democristiani ed anche monarchici e liberali. All'inizio furono 20 mila, poi crebbero fino a 200 mila circa.

Si formarono i GAP (gruppi di azione patriottica) nelle città e le SAP (squadre d'azione patriottica) nelle campagne. Ricevevano armi aereolanciate dagli alleati e in breve si moltiplicano gli atti di sabotaggio a danno dei tedeschi e dei fascisti, che con scarso risultato cercarono di formare un nuovo esercito fascista-repubblicano, malgrado le drastiche minacce di fucilazioni per chi non si presentava alla chiamata, inclusi i genitori e i parenti. E in generale quelli che si presentarono disertavano alla prima opportunità, anche perché nelle caserme mancava di tutto, dagli indumenti alle armi.

Le radio alleate trasmettevano continuamente i messaggi speciali diretti a loro: 'I portici sono lunghi', 'Gli alberi sono alti', 'La neve cade sui monti', 'Giovanni ha la barba', 'Maria si prepari', 'Enrico non studia', 'Martino non parte' e molti altri che solo i partigiani a cui erano diretti ne comprendevano il significato.

Tedeschi e fascisti organizzarono rastrellamenti un po' ovunque e chi cadeva nelle loro maglie era fucilato, come trucidati erano anche i civili (uomini, donne e bambini) che si sospettava li avessero aiutati, oppure li si uccideva per vendetta o perché ostaggi [2].

Nelle strade poco sicure che portavano alle montagne i tedeschi affissero dei cartelli : 'Achtung banditi' (Attenzione, banditi) o 'Zona infestata da banditi'.

E sulle montagne si cominciarono a cantare le canzoni dei partigiani, come 'Bella Ciao', 'la Badogliera', 'l'inno di Mameli', 'Con Garibaldi', 'l'inno del Piave'.

Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia, fu processato da un tribunale alleato dopo la guerra (condannato e poi, all'uso americano, rilasciato): aveva affermato che gli italiani avrebbero dovuto fargli un monumento, per le numerose vite che aveva salvato.

Piero Calamandrei rispose: "Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani. Ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi. Non coi massi affumicati dei borghi inermi, straziati dal tuo sterminio, non colla terra dei cimiteri dove i nostri compagni giovinetti riposano in serenità. Non colla neve inviolata delle montagne che per due inverni ti sfidarono. Non colla primavera di queste valli che ti vide fuggire, ma soltanto col silenzio dei torturati, più duro d'ogni macigno, soltanto con la roccia di questo patto giurato tra uomini liberi, che volontari si adunarono per dignità, non per odio, decisi a riscattare la vergogna e il terrore del mondo. Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi con lo stesso impegno. Popolo serrato intorno al monumento che si chiama, ora e sempre: Resistenza!".

Il 4 dicembre questa lapide 'ad ignominia' fu collocata nel palazzo comunale di Cuneo in occasione della scarcerazione dell'ex-maresciallo nazista.


(1) In un primo momento gli ebrei furono espulsi (più tardi con lo scoppio della guerra cominciò la 'Endlösung' (la soluzione finale, che consisteva nello sterminio di tutti gli ebrei: uomini, donne e soprattutto bambini che sarebbero stati gli ebrei adulti del futuro), e siccome non potevano portar via nulla, e nessuno voleva accogliere degli ebrei poveri (erano mezzo milione) molti furono costretti a restare, salvo quelli famosi o molto ricchi che, pagando ai nazisti, poterono espatriare ed esser ben ricevuti in altre nazioni: come Freud, Rotshild e molti altri.

Si disse che gli USA aprirono loro le porte. In realtà furono ricevuti solo quelli che avevano soldi per pagare il visto e con parenti in America che li potevano mantenere, come scrisse John van Houtten Dippel in "Bound upon a wheel of fire: why so many German Jews made the tragic decision to remain in nazi Germany". Anche l'emigrazione ebrea fu molto difficile dopo la guerra, come scrive Alan Rosenbaum in "Prosecuting nazi war criminals", e più facile quella dei criminali ex-nazisti. (torna su)

(2) Nell'Italia centrale i partigiani compirono più di mille azioni di sabotaggio. Nel Piemonte, durante il 1944, la lotta antipartigiana tenne impegnate cinque divisioni fasciste e cento mila tedeschi. Dal marzo del 1944 all'aprile del 1945 i tedeschi trucidarono 8 mila uomini, donne e bambini.

Nel 1944 il maresciallo Alexander e nel 1945 il generale Clark ordinarono ai partigiani di sospendere le attività belliche, e sospesero l'invio di armi: alcune bande eseguirono gli ordini, altre passarono ad ingrossare le file della VIII armata, altre ancora non obbedirono e continuarono la lotta sulle montagne.

Ferruccio Parri dichiarò: 'Era una guerra di liberazione e di riscatto, sorta dal popolo e alimentata dal sangue del popolo: volevamo l'insurrezione, proprio ciò che gli alleati non volevano'. (torna su)


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 14/09/2014