L'INSURREZIONE EBRAICA DI VARSAVIA
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Quando i nazisti entrarono in Polonia, il 25 settembre 1939, gli ebrei di questo paese erano oltre tre milioni, circa il 10% dell'intera popolazione. Nessun altro paese europeo reggeva il confronto. Nonostante l'antisemitismo (di origine cattolica) fosse assai diffuso anche in Polonia, i nazisti sapevano bene che qui i provvedimenti discriminatori presi in Germania non avrebbero potuto sortire un effetto significativo. Per poter spogliare gli ebrei di tutti i loro beni l'unica strada possibile era quella dell'eliminazione fisica. Ma, poiché non si poteva rischiare che una popolazione così numerosa si ribellasse mentre la Wehrmacht combatteva in Russia, si decise una soluzione transitoria: l'istituzione dei ghetti all'interno di tutte le città, soprattutto in quelle più grandi. Per gli ebrei fu uno choc terribile, sia perché in nessun paese dell'Europa orientale essi erano mai stati separati con dei muri dai cristiani, sia perché l'idea stesso di "ghetto" appariva assurda nel XX secolo, caratterizzato non solo da una diaspora praticamente mondiale degli ebrei, ma anche dal fatto che tantissimi di loro tendevano a esserlo sempre meno, preferendo un'identità più laica: da tempo p.es. a Varsavia gli ebrei ascoltavano musica "ariana" o recitavano anche in polacco, per non parlare del fatto che molti dei gruppi politici erano socialisti e comunisti. Il fattore religioso si faceva sentire più che altro nell'istruzione o nell'assistenza. In questo processo di ghettizzazione (che comportava ingenti trasferimenti di cittadini da un quartiere a un altro) i nazisti incontrarono, generalmente, in Polonia, scarsissima opposizione da parte polacca, anzi, furono in grado di avvalersi del collaborazionismo persino di alcune frange ebraiche. La convinzione generale era che il vero nemico dei nazisti non fossero gli ebrei né i polacchi, bensì i russi, per cui si supponeva che a guerra finita, i nazisti, vittoriosi, avrebbero ripristinato con gli ebrei delle relazioni più normali. Si trattava quindi di aspettare con pazienza la realizzazione del piano "Barbarossa". In meno di un anno quasi tutte le città polacche avevano il loro ghetto, il quale però non serviva tanto, come nel passato, in altre zone europee, alla segregazione, quanto piuttosto alla decimazione. Infatti dal ghetto venivano costantemente prelevate migliaia di persone, destinate ai lager di Treblinka, Auschwitz, Chelmno, Sobibor, Ponary..., per essere destinate alla fucilazione e successivamente alla gasificazione. Gli ebrei non opponevano resistenza perché si faceva credere loro che i trasferimenti servivano per farli lavorare altrove, in condizioni migliori. Solo quando cominciarono a capire che il trasferimento serviva per la decimazione, avvennero, tra il 1942 e il 1943, le prime ribellioni in tantissimi ghetti: Lublino, Leopoli, Czestochowa, Vilna, Mir, Krushon, ecc. La più tragica di tutte le vicende fu indubbiamente quella del ghetto di Varsavia, dove gli ebrei, nel settembre del 1939, erano 393.000, quasi 1/3 della popolazione e dove l'area in cui furono destinati (contenente solo case e officine) era appena 1/20 della superficie urbana. Sulla vita che si svolgeva in questo ghetto abbiamo ampia documentazione (prevalentemente diari), elaborata dalle stesse vittime, trovata sepolta nel terreno della capitale nel 1946 e nel 1950. I nazisti cominciarono a prendere misure antisemite sin dall'ottobre del '39: obbligo di indossare un bracciale bianco con stampigliata la stella di Davide, confisca dei beni, divieto di usare i mezzi di trasporto pubblici (per gli ebrei della capitale restava solo una linea di tram a cavalli), di spedire o ricevere posta, di possedere apparecchi radiofonici, costrizione ai lavori forzati e all'assenza per intere settimane di luce e gas. Vi erano a Varsavia 14 campi di lavoro, dove gli ebrei venivano impiegati per pavimentare strade, bonificare paludi, costruire fortificazioni. Quando andavano a lavorare erano scortati da sorveglianti polacchi, ucraini e lettoni. L'arianizzazione delle imprese e la concentrazione degli ebrei soprattutto nelle città più grandi, doveva avvenire col concorso del Servizio ebraico per il mantenimento dell'ordine pubblico: i Consigli ebraici (Judenrat) e la polizia ebraica (Ordnungsdienst), i cui membri dirigenti venivano designati sia dai tedeschi che dalle vecchie comunità ebraiche, che ovviamente segnalavano i personaggi più popolari del ghetto, destinati ad avere un trattamento di favore. Incaricato di dirigere il traffico nel ghetto, di pulire le strade, raccogliere l'immondizia, tenere l'ordine pubblico, amministrare la sanità e le sepolture ecc., lo Judenrat poteva avvalersi di circa 6.000 dipendenti. Alcuni di costoro, nei primi mesi dell'occupazione nazista, erano riusciti a partire per la Palestina. Nel gennaio 1940 tutti gli ebrei dai 12 ai 60 anni vennero invitati a iscriversi in uno speciale registro anagrafico, con la promessa di trovare migliori condizioni di vita a Trawniki: in realtà perché i nazisti potessero capire chi era senza risorse o con poche capacità di lavorare, in modo da poterli destinare al lager di Treblinka. Appena 200 persone accettarono di iscriversi. Nel marzo successivo il quartiere ove risiedevano gli ebrei fu dichiarato "zona di epidemia" e lo Judenrat fu incaricato di sbarrare le vie di accesso con palizzate e filo spinato. In agosto la città era sostanzialmente divisa in tre quartieri: tedesco, polacco ed ebraico. Il 12 ottobre 1940 i tedeschi annunciarono la creazione del "quartiere giudaico", come già era avvenuto a Piotrkov e Lodz. A partire da quella data gli ebrei non potevano più accedere agli altri quartieri, né gli ariani entrare in quello ebraico. Lo spostamento simultaneo, forzato, nei rispettivi quartieri coinvolse 113.000 polacchi e 138.000 ebrei. Il 16 novembre il ghetto era completamente isolato: nessuno poteva entrare o uscire senza un permesso speciale. Vi continuavano tuttavia ad affluire ebrei provenienti da altre città o villaggi della Polonia, della Germania, dell'Austria... Agli inizi del 1941 il ghetto, situato nella zona nord-ovest di Varsavia, era edificato su un'area di quattro km per due, aveva un muro in pietre e mattoni alto fino a 3-4 metri, lungo 18 km e contava una popolazione oscillante tra i 470.000 e i 590.000 abitanti (circa 60.000 ab. per kmq). In ogni appartamento vivevano almeno 15 persone (6 o 7 per stanza). Tra il gennaio 1941 e il luglio 1942 la fame e il tifo uccisero circa 61.000 persone (le medicine più essenziali erano inesistenti). I viveri riforniti dai tedeschi erano del tutto insufficienti: ai tedeschi di Varsavia spettavano 2.310 calorie, agli stranieri 1.790, ai polacchi 634, agli ebrei 184 e nel settembre 1941 la razioni diminuirono ancora. Prima della deportazione i nazisti avevano adottato la strategia d'indebolire completamente la popolazione. Si provvedeva pertanto, non senza la complicità delle guardie, col contrabbando e il mercato nero, grazie soprattutto ai ragazzini, facilitati dal fatto che non erano costretti a portare il bracciale con la stella di Davide. Spesso dal tram che percorreva la strada ariana lungo il muro i bambini gettavano dei pacchi nel ghetto. Quando i membri dello Judenrat vennero incaricati di reprimere il contrabbando, la loro immagine cominciò a screditarsi notevolmente. Nonostante questo la vita culturale continuava (teatri, biblioteche, accademie talmudiche, una facoltà clandestina di medicina, le funzioni religiose) e in parte anche quella politica, in forma per lo più clandestina e ovviamente in misura fortemente ridotta. Ad agire contro i tedeschi sono per primi i sionisti, poi il Bund (1) e dopo l'invasione nazista della Russia anche i comunisti. Non c'era comunque, all'inizio, alcun piano di resistenza armata. Vennero creati persino degli ambulatori, degli orfanotrofi, dei centri di accoglienza per i profughi, degli spacci popolari e soprattutto un'efficiente rete di comitati di caseggiato. L'apertura del fronte orientale nel 1941 aveva indotto gli ebrei a cadere nel tranello dei nazisti, secondo cui le disumane condizioni di vita venivano imposte per cause di forza maggiore, ma, una volta vinti i russi, gli ebrei, anche se declassati a cittadini di seconda categoria, sarebbero potuti tornare a vivere una vita relativamente normale. Abituati da secoli a sopportare l'antisemitismo cattolico, gli ebrei presero ad affrontare la loro situazione, in un primo momento, con un certo spirito di rassegnazione. Nell'autunno 1941 arrivano nel ghetto i primi racconti di esecuzioni di massa perpetrate dai nazisti. Abituati per secoli ai pogrom, gli ebrei del ghetto ancora non ritengono che questa cosa possa riguardarli, poiché fino a quel momento essi erano convinti di aver eseguito scrupolosamente ogni ordine dato dalle SS della capitale, il cui numero peraltro era risicato, pur avvalendosi di circa 500 collaborazionisti. Tra l'inverno del 1941 e l'estate del 1942 i 22 gruppi politici ebrei, di cui 14 sionisti, 4 socialisti e 4 comunisti, cominciano a preoccuparsi seriamente della sorte dei loro concittadini "delocalizzati" dai nazisti (circa 6.000 al giorno), giungendo alla conclusione che sarebbe stata necessaria una qualche forma di opposizione attiva, anche armata e possibilmente in accordo con la resistenza polacca. L'obiettivo era quello di far giungere in occidente le prove di quanto i nazisti stavano facendo. Le SS, che nei primi mesi del 1942 avevano sottovalutato la pericolosità di questi gruppi politici clandestini, decisero improvvisamente, il 22 luglio 1942, di affrettare le deportazioni di massa dal ghetto, tanto che a partire da quella data sino all'ottobre successivo praticamente sparirono oltre 300.000 ebrei. A causa di queste deportazioni lo Judenrat divenne l'istituzione più odiata dagli ebrei. Fu un emissario del Bund, spedito clandestinamente, nell'agosto del 1942, sulle tracce dei deportati nel lager di Treblinka, a 70 km da Varsavia, a dare la conferma degli eccidi di massa. In quel lager infatti erano stati gassati in sette settimane da 265.000 a 310.000 ebrei. Nel gennaio 1943 erano rimasti a Varsavia circa 70.000 ebrei, di cui 33.400 registrati ufficialmente e per buona parte impiegati nelle industrie utili ai nazisti; altri 6.000 appartenevano allo Judenrat; altri 30.000 erano clandestini; circa 8-9.000 erano riusciti a passare dalla parte ariana del muro. Il ghetto, ove prima si faceva fatica a camminare per le strade, s'era trasformato in una città fantasma, con una popolazione stravolta dalla fame. L'organizzazione della resistenza polacca, che dipendeva dal governo polacco in esilio, con molta esitazione consegnò dieci pistole ai 600 membri dell'Organizzazione ebrea di combattimento del ghetto, che se ne servirono per cominciare ad eliminare i membri filotedeschi dello Judenrat e gli ebrei agenti della Gestapo. Si allestirono rifugi e nascondigli nelle cantine, nei sotterranei, nelle fognature. Il 9 gennaio Himmler, capo della Gestapo, dopo aver visitato il ghetto e costatata la presenza di 40.000 ebrei, aveva dato ordine di deportarne altri 8.000. Il 18 gennaio la prima ribellione armata, che si protrasse per quattro giorni, comportò la morte dei 4/5 dei combattenti ebrei, ma anche il blocco dell'iniziativa nazista. Da quel momento lo Judenrat viene esonerato da tutte le funzioni. Per i nazisti diventava pericoloso entrare nel ghetto e deportarne gli abitanti. Ed era finalmente maturata l'idea che il ghetto, secondo i nazisti, avrebbe dovuto essere liquidato con o senza resistenza da parte ebraica. L'Organizzazione di combattimento ricevette dalla resistenza polacca altre 49 nuove pistole, raccolse denaro per comprare nuove armi nel quartiere polacco (per ottenerle si usavano le fognature, i tunnel sotto il muro o ci si nascondeva nei cortei funebri per le sepolture al cimitero ebraico fuori del ghetto). Si eliminarono una dozzina di collaborazionisti e si prepararono bunker di difesa. Per i tedeschi era chiaro che gli ebrei non avrebbero più abbandonato spontaneamente il ghetto. Il 19 aprile, vigilia della pasqua ebraica, il tenente generale delle SS, Jürgen Stroop, con 2.090 giovani soldati varca il muro e comincia la battaglia. Gli ebrei avevano innalzato le bandiere ebraica e polacca e cominciarono a sparare e a gettare molotov e granate contro le truppe incolonnate e i carri armati. Il giorno dopo Stroop decise una nuova tattica: prendere i palazzi uno per uno, poi le case, incendiando tutto e impiegando i gas velenosi per i 180 tombini. Il 21 aprile vengono catturati 5.000 ebrei; il 24 altri 25.000: tutti vengono uccisi sul posto o mandati a Treblinka e Majdanek. In 456 si rifugiano nelle fabbriche "Schultz" e "Tobbens", convinti, illusoriamente, che i nazisti non le avrebbero bombardate. L'8 maggio vengono catturati altri 4.000 ebrei; quasi tutti i membri del comando dell'Organizzazione di combattimento, una volta scoperti, si uccidono. Il 16 Stroop fa distruggere la più grande sinagoga di Varsavia e annuncia la fine del ghetto della città. Praticamente gli ultimi spari cessano il 23 maggio. I nazisti, in tutto, ebbero solo 16 morti, ma avevano dovuto consumare più munizioni in questa battaglia che durante l'occupazione della capitale. Nel luglio successivo i tedeschi impiantarono nel ghetto un piccolo lager, dove vi furono trasferiti circa 3.000 detenuti di Auschwitz, per recuperare i beni degli ebrei di Varsavia e spianare le rovine. Nessuna traccia del ghetto doveva rimanere. Qualcuno, nascosto nelle fogne, riuscirà a sopravvivere sino ad agosto, morendo poi o nelle unità partigiane della resistenza polacca o nella successiva insurrezione polacca di Varsavia. Gli anglo-americani non fecero assolutamente nulla per scongiurare questa carneficina. Quando Varsavia fu liberata dai russi, il 29 luglio 1944, i sopravvissuti del ghetto erano rimasti solo una dozzina, altri 8-9.000 furono ritrovati fuori del ghetto, i cui lavori di spianamento, quasi ultimato, furono sospesi proprio a causa dell'arrivo dei russi. Di quegli ebrei fatti giungere per lo sgombero del ghetto e poi rimandati a Dachau, in Baviera, solo 15 furono trovati vivi dagli americani nell'aprile 1945. Il quartiere su cui sorgeva il ghetto è stato interamente ricostruito dopo la guerra, ma la capitale polacca è una delle città europee dove attualmente vive una comunità ebraica con pochissimi componenti. La rivolta del ghetto diventerà per intere generazioni un riferimento fondamentale per la ricostruzione di una nuova immagine dell'ebreo che si riscatta dall'accusa di pavidità. Un milione e mezzo di ebrei parteciparono al secondo conflitto mondiale contro il nazismo. (1) Il Bund era l'unione generale operaia ebraica di Lituania, Polonia e Russia, nata nel 1897. Il Bund svolse una politica opportunistica, menscevica, fortemente influenzata dalla borghesia ebraica nazionalista. Tendeva a isolare gli operai ebrei dagli operai delle altre nazionalità della Russia. Dopo la vittoria della rivoluzione (ottobre 1917), i capi del Bund, insieme alla controrivoluzione borghese, lottarono contro il potere sovietico. Si sciolsero nel 1921. (torna su) |