STORIA LOCALE DELLA ROMAGNA
Ravenna - Forlì-Cesena - Rimini


BREVE STORIA DELLA ROMAGNA
nel I° millennio a.C.

Premessa

Da un po’ di tempo mi interesso di storia e costumi della Romagna, in modo molto fai da te e quindi da dilettante. In particolare mi piace ricercare elementi di storia antecedente l’era moderna poiché di scritti, ricerche ed altre opere, narranti il periodo che inizia dall’anno zero fini ai nostri giorni ce ne sono a centinaia.

In questi primi anni del terzo millennio è balzata d’attualità la “questione” Romagna. La Romagna deve essere regione distinta dall’Emilia oppure no?

Sull’argomento si scontrano due posizioni quelli del SI e quelli del NO. Non nego che la mia posizione è fermamente a favore della Romagna, sia perché la popolazione avrebbe notevoli benefici, sia perché il vero federalismo si basa sul “controllo” dei piccoli territori e la Svizzera ce lo insegna.

Non entro nell’argomento del Si o del No, ma considerato che, alcuni oppositori della Romagna cercano o tentano di svilirne l’identità culturale e soprattutto la sua storia, mi accingo a scrivere un qualcosa che non ha la pretesa dell’esaustività e tantomeno del “verbo”. Alcuni pseudostorici hanno detto che la Romagna è una invenzione nata poco prima dell’Unità d’Italia, con argomentazioni che lo storico quanto tale mai si sognerebbe di fare.

Altri, individuabili fra i politici d’assalto, che non riescono a togliere un ragno da un buco (solo perché non riconoscono quale sia il buco e quale il ragno) asseriscono addirittura che la Romagna non esiste e non è mai esistita perché mai è stata determinata nei suoi confini.

Roba da neurodeliri! Quando si cerca di produrre una rappresentazione storica, ci si riferisce ai documenti disponibili, ma si cerca pure di contribuire con un qualcosa di proprio ed io cerco di dare il mio contributo nel migliore dei modi. Nelle affermazioni o nelle mie tesi mi limiterò nell’indicare autori e testi, che poi sono i soliti, anche perché si creerebbe confusione fra i lettori. Si pensi poi che uno “studioso” di quelli che insegnano all’Università, durante una serata culturale dedicata alla Romagna, mi ha contestato affermazioni di Tito Livio perché, secondo lui non è credibile. Come se a quei tempi gli storici o i “cronisti” fossero centinaia.

Comunque, mi sono servito a parte di Tito Livio, Erodoto, Polibio, Dionigi di Alicarnasso, Plutarco, Strabone, Diodoro Siculo, Plinio il vecchio ed altri che ho letto o che ho desunto da altri testi, anche di molti altri scritti e ricerche, quali quelle della Società di Studi Ravennati, di Mario Pierpaoli, di Arnaldo Roncuzzi, di Anselmo Calvetti, di Giuseppe Cortesi di Jacques Eurgon, di Andrea Palmucci, oltre a diverse enciclopedie.

Non ritenendomi uno studioso, ma uno studente attempato, cercherò di essere il più chiaro possibile in questo compito che desidero sia recepibile da tutti, specialmente dai giovani. Non ricordo chi asseriva che: “per organizzare il proprio futuro è necessario conoscere le proprie origini e la storia del proprio passato”.

Quindi : Un popolo che non conosce la propria storia è un popolo che non avrà futuro. Quando viene a mancare la conoscenza delle proprie radici qualsiasi individuo non ha alcun coinvolgimento emotivo e tantomeno interesse nell’essere se stesso. Anche colui che pur sapendo, rinnega o “vende” le fondamenta create dai suoi avi, non è degno di proclamarsi
erede della sua stirpe. La storia non è acqua passata, come molti vogliono farci credere, ma è il passato, che è cosa ben diversa.

Forse i miei argomenti saranno sconfusionati o confusionati, come meglio li vorrete interpretare, ma in ogni caso sappiate che mai ho pensato di affermare cose non veritiere, ma semmai dettate dal mio pensiero, basandomi sullo “sgond a me” (secondo me) già coniato dall’amico Avv. Riccardo Chiesa, romagnolista DOC. Intendo fare questa mia esercitazione come un grande ripasso di storia, che inizia dal XII secolo a.C. per arrivare al 51 a.C. data in cui Giulio Cesare sottomise definitivamente i pochi nuclei di galliitalici rimasti nella cispadania, indicando gli accomunamenti dell’attuale Romagna con i tempi d’allora e facendo quindi trarre le conclusioni al lettore. Mi riferirò al territorio dell’Emilia e della Romagna, con particolare riguardo alla bassa in cui abito e di cui conosco maggiori particolari.

Tutte le date che di seguito riporterò, salvo diversa indicazione, devono intendersi avanti Cristo.

I LUOGHI E LA GENTE

Già dalla preistoria si manifesta una linea di demarcazione fra due differenti aree geografiche e culturali. Il fiume Panaro ne evidenzia lo spartiacque e cioè nella parte nord quella che viene chiamata la civiltà delle terramare, con abitati protetti da arginature di terra, con capanne su palafitte e cosa importante, dal punto di vista dello studio, la cremazione dei morti.

Nell’altra area geografica a sud e ad est del Panaro troviamo la civiltà villanoviana (nome derivante da ritrovamenti a Villanova di Castenaso) con una maggiore urbanizzazione mista su terra e palafitta e con due differenti culti dei morti, sia la cremazione (con la posa delle ceneri in urne di terracotta a forma di doppio cono, deposte nelle tombe insieme con oggetti personali del defunto), che l’inumazione.

Da precisare che il Panaro rappresenta una antica linea geografica ed anche geofisica, ma non necessariamente la linea di delimitazione dei territori emiliani e romagnoli, come poi indicherò di seguito. Un insediamento villanoviano, con il passaggio della lavorazione dalla selce al bronzo poi al ferro, lo abbiamo trovato, durante scavi organizzati da una associazione amatoriale, di cui anche io facevo parte, guidata dal compianto Signor Marino Marini, nei primi anni del 1980 nei pressi di Longastrino di Argenta nella zona chiamata Bocca Grande che, in epoca villanoviana e fino ai primi secoli della nostra era, rappresentava la foce del ramo maggiore del Po.

Già dal V secolo a.C., troviamo nelle nostre zone una mescolanza di quattro tipi di popolazioni. Quella autoctona rappresentata dai padusi-villanoviani, gli spineti, gli etruschi ed i celti. Quattro popolazioni con lingue e costumi diversi, ma che vivevano in un unico territorio. Si tratta forse di una delle prime importanti integrazioni, cui ne seguiranno altre, come vedremo in seguito.

Mi soffermerò in particolar modo ad illustrare seppur succintamente, gli Spineti, gli Etruschi ed i Celti con la derivazione dei Galli. Delle prime due popolazioni (etruschi e spineti), sino ad oggi non si hanno molte informazioni se non sulla scorta dei pochi rinvenimenti, anche perché, a differenza di altre antiche popolazioni (sumeri, fenici, egiziani e greci) non ci sono pervenute tavole “informative” od altre forme di incunaboli. Anche le loro origini non sono certe ad hanno caratteri a volte leggendari ed a volte fantastici. Dei Celti, invece, si ha una maggior documentazione informativa.

Di certo è che la prima civiltà villanoviana si è fusa principalmente con la cultura etrusca e celtica, poi successivamente con quella romana, sviluppando l’identità che oggi è propria dei romagnoli. Nel presente lavoro ho cercato il miglior approfondimento possibile e certamente in seguito sarà oggetto di aggiunte e modifiche, ritenendo questo scritto un punto di partenza e non di arrivo.

Gli Spineti

Sulla storia e vita di questa popolazione ci sono due scuole di pensiero. La prima li definisce etruschi abitanti della città di Spina, fondata dagli stessi. Per diverse ragioni questa tesi è difficile da sostenere, se non indicare il fatto che gli etruschi occuparono la città di Spina in due momenti, nel X e nel VI secolo a.C.

L’altra scuola di pensiero, la più plausibile, si riferisce pure sui pochi ritrovamenti, che hanno messo in luce i modi di vita delle persone ed anche le loro caratteristiche fisiche. Questa scuola vuole che Spina sia stata fondata dai Pelasgi, antica popolazione originariamente non greca, presente in Grecia e nelle isole dell'Egeo già nel II millennio a. C. e migrata anche in varie regioni ed in particolare nella Samotracia, centro del culto religioso dei cabiri, culto che poi troveremo pure presso gli spineti.

Alcuni sostengono anche che una piccola parte di pelasgi seguì l’emigrazione lidica, sulle coste della toscana, dando poi vita alla popolazione etrusca. Sta di fatto che Spina mantenne sempre strettissimi legami con la Grecia ed in particolare con l’Attica che secondo la leggenda era divisa in 12 villaggi pelasgici. Dalle necropoli di Val Pega e di valle Trebba si è potuto rilevare il passaggio culturale di questo popolo che per un certo periodo cremava i morti (primo periodopelasgico) poi successivamente (periodo etrusco) li inumava. Anche i corredi funerari, composti soprattutto di recipienti in ceramica, delineano le due epoche con la presenza di ceramica attica con figure rosse, pregevole e ben lavorata, ed altra ceramica etrusca colorata in nero o solamente cotta.

Qualche manufatto in bronzo attesta l’occupazione di Spina da parte degli etruschi. Certamente la stessa Spina può essere divisa in due periodi, la prima Spina e cioè quella fondata dai Pelasgi e la seconda Spina, dopo la seconda occupazione etrusca.

Dionigi di Alicarnasso ci dice che Spina fu fondata circa nel 1514 a.C. dopo il diluvio di Deucalione, quando i Greci dall’Epiro salparono alla volta di Saturnia (Italia) per sbarcare alla foce del Po, in quella zona che poi fu chiamata “spinetica”. Sempre Dionigi ci dice che i Pelasgi per la loro sicurezza si ritirarono tra i luoghi bassi e paludosi del mare, andando a popolare le isolette che si erano rese scoperte qua e là tra le paludi padane.

Il declino della Spina occupata dagli etruschi inizia dal III secolo a.C. col cominciare del declino degli stessi etruschi e con l’assedio dei galli.

Gli Etruschi

Da dove venivano? Ci sono anche per loro due diverse scuole di pensiero. La prima, che secondo me è la più credibile, ritiene che gli etruschi siano di origine illiricoellenica, trasferitisi sulle coste delle attuali Toscana e Marche in diversi tempi e da diverse zone. I primi probabilmente furono i lidi, dopo una grande carestia che, nel XIII secolo a.C. aveva colpito la Lidia, stabilendosi poi oltre che nelle zone indicate pure in Sardegna. La Lidia era regione dell'Asia Minore sul mar Egeo, confinava con la Misia, la Caria e la Frigia. La sua capitale si chiamava Sardi.

Da questo deriva il nome “Sardinia” (Sardegna) terra del popolo di Sardi. Nel medesimo tempo (più o meno) anche una gran parte degli illiri emigrarono sulle coste settentrionali dell’Adriatico.
L’Illiria era una antica regione che occupava la parte occidentale della penisola balcanica, dal Danubio all'Epiro.

Si trattava di un popolo indoeuropeo che comprendeva quei dalmati e pannoni che successivamente diventarono pur essi celti Già queste popolazioni, una balcanica e l’altra greca, mischiate alle altre autoctone, avevano necessità di colloquiare fra di loro e quindi coniarono un nuovo idioma; un misto di dialetti i più disparati, che costituirono poi quello che venne chiamato Etrusco, ancora oggi per la maggior parte sconosciuto.

Da queste popolazioni nacquero pure gli Umbri ed i Piceni. Gli umbri erano una popolazione compresa fra in Tevere e l’adriatico che parlava una lingua chiamata osco-umbro, dove osco sta per etrusco. A seguito poi (circa VI secolo a.C.) dell’espansione etrusca da ovest, sannitica da sud e gallica da nord, gli umbri si collocarono nella zona corrispondente all’attuale regione Umbria.

I Piceni, anche loro di origine villanoviana, abitavano la regione compresa fra gli Appennini e l’Adriatico delimitata dei fiumi Esino e Salino. Fu circa nell’XI secolo a.C. che conobbero l’influenza culturale etrusca e balcanica.

La seconda scuola di pensiero ritiene che gli etruschi siano una popolazione indigena del centro Italia che abitava appunto la Tuscia e le zone limitrofe (attuale Toscana). Potrebbe anche essere, ma è difficile poter pensare e quindi riuscire a capire la complessità della cultura e degli usi, nonché i diversi modi di vita quotidiana, anche a distanza di pochi chilometri, di questa popolazione.

Ciò potrebbe essere se la popolazione si fosse colà formata fin dal Neolitico, ma è cosa molto difficile ed ardua da sostenere.

I Celti

I celti (keltoi) è il ceppo di quella popolazione che successivamente fu chiamata “galli” (galati). Tribù celtiche di piccole dimensioni erano già presenti nel nord dell’Italia già dal 700 a.C. ed avevano portato le prime conoscenze dell’età del ferro e successivamente nel V secolo la pratica della “pompa magna” nelle sepolture oltre alla fortificazione dei villaggi, che venivano invasi da altre popolazioni scese dal nord Europa.

In questo periodo si ebbe la maggior migrazione pacifica dei popoli celto-gallici, dall’attuale Francia, verso la Lombardia, venezie e terre etrusche. Le prime grandi invasioni di tribù galliche avvennero invece a partire dal V secolo e successivamente con la presa, nel 400 a.C., di Mediolanum (Milano) da parte degli “Insubri”, di Brescia da parte dei “Cenomani”, di Bologna da parte dei “Boi” e della nostra zona, fino alle Marche, da parte dei Senoni.

I galli Senoni e Boi si stanziarono principalmente nella zona a sud-est della pianura padana fino ai territori dei Piceni. Ci fu per circa tre secoli un andirivieni di tribù galliche che si mescolano alla popolazione locale già formata dalle precedenti mescolanze di villanoviani, etruschi, spineti e primi celti. Iniziarono dal IV secolo a.C. i contatti fra i Galli ed i Romani quasi esclusivamente caratterizzati da ostilità.

Si trattava di due popoli che cercavano la preminenza del controllo. In un primo momento furono favoriti i galli (dal 390 al 283 a.C.) e successivamente i romani cominciarono le campagne militari, sconfiggendo e ricacciando per circa un secolo le tribù galliche nei loro territori originari. La storia romano-gallica si conclude con la sottomissione, nel 51 a.C. ad opera di Giulio Cesare, dei galli non solo italici, ma anche galli-celtici nei loro territori del Nord Europa.

I Boi furono la tribù celtica più numerosa e potente, si spinsero pure in Boemia (che appunto vuol dire terra dei Boi) ed in Pannonia dove avevano fatto una coalizione con le tribù celtiche degli Aravisci e dei Breuci. Cambieranno il nome etrusco di Felsina (Bologna) in quello gallico di Bononia, lo stesso nome dell’altra Bononia, l’attuale Vidin, città della Bulgaria al confine con la Romania, quindi nell’antica Pannonia occupata dai Boi.

Secondo Strabone, i galli avevano la passione per la guerra, erano irascibili e se venivano stuzzicati si buttavano nella mischia. Non venivano facilmente a compromessi e rimanevano fermi sulle loro decisioni. Si associavano sempre all’indignazione di chiunque sembrasse loro, vittima di una ingiustizia.

Tito Livio dice dei Senoni: “… gente per istinto portata a inutili schiamazzi…. di canti selvaggi e di urli strani..”.

Altri tribù galliche che si stanziarono nell’Italia del Nord furono: i Biturigi, gli Arveni, gli Edui, gli Ambarri, i Carnuti, gli Aulirci, i Libui, i Salluvi e diverse altre tribù minori.

Storia geografica

Settemila anni or sono (circa) finiva la glaciazione della bassa Europa e con essa si identificava e prendeva forma il litorale marino dell’alto adriatico. Mentre la costa a Sud di Numana non subiva variazioni, quella a Nord fino a Venezia ha subito moltissimi cambiamenti nei secoli, come continua a subirli oggi e li subirà in futuro, con un processo di ritorno, a causa della subsidenza. Si può stabilire che nel 3.500 a.C. la battigia romagnola da Pesaro a Ravenna fosse all’incirca dove si trova oggi la statale nr. 16 Adriatica per proseguire poi con una linea semiellittica da Sant’Alberto, Spina, Adria e Chioggia, mentre sulla linea a Sud di Ravenna il terreno era “consolidato” e la zona a Nord, per la presenza delle foci del fiume Po, era pressoché paludosa.

Si data poi circa a quegli anni una grande inondazione (altri la chiamano diluvio) che colpì la valle padana, cancellando ogni segno di vita umana. A quei tempi le popolazioni cercavano zone da abitare dove fosse più facile cacciare e pescare, l’attuale Romagna si prestava molto bene a questo sia per le grandi aree boschive che per le zone acquatiche.

In un millennio il territorio si ripopolò e si formarono le prime comunità villanoviane. Basti pensare che nel sottosuolo di Ravenna a circa 7,5 metri dall’attuale livello del mare sono state ritrovate pavimentazioni palafitticole databili a circa il 2.300 a.C. A quel tempo la foce maggiore del Po si trovava nella Valle del Mantello di Longastrino nella zona che fu poi chiamata Boccagrande del Po e che ancora oggi porta questo nome. Intanto lo sbocco del Po, per apporto di sedimenti si stava ostruendo, creando qualche miglio più a nord una nuova foce chiamata Spineta o Po Spinetico e successivamente Eridano.

La foce si trovava dove fu poi costruita la Città di Spina, nei pressi di Comacchio. Da allora l’innalzamento del terreno fino a circa l’anno 1000 della nostra era è stato abbastanza costante con l’apporto di detriti dei fiumi alpini ed appendici che sfociano in adriatico, in massima parte dal Po.

LA STORIA

Per quanto riguarda il nostro territorio si sono scritte tante cose, a volte anche a sproposito, e tante ancora se ne scriveranno. Sull’argomento, molto importante dal punto di vista delle nostre origini, è stata la Selva Litana, per la sua geografia ed anche quale riferimento ad una delle battaglie più cruente fra Galli e Romani, dove i Romani conobbero una delle più grandi sconfitte della storia.

Citazioni precise sulla battaglia della selva litana le troviamo inizialmente nella “Storia di Roma” di Tito Livio per arrivare ai giorni nostri con un buon dettaglio da parte di scrittori locali fra i quali Anselmo Calvetti, Mario Pierpaoli, Arnaldo Roncuzzi e qualcun altro.

Preambolo

L’anno 753 a.C. (21 aprile) è considerato la data tradizionale della fondazione di Roma. Da questa ebbe inizio la cronologia della storia romana con i governi dei sette Re, i primi quattro Romani e Sabini, gli ultimi tre Etruschi.

La dinastia Etrusca in Roma iniziò nel 616 quando Tarquinio Prisco successe ad Anco Marzio. In questo periodo, a parte alcuni scontri di poca importanza fra Etruschi e Romani , la spaccatura
avvenne nel 509 quando i romani cacciarono Tarquinio il Superbo ed ancor più quando, nel 506, i Latini sconfissero Porsenna, re etrusco di Chiusi, segnando il declino della supremazia etrusca nel Lazio.

Nel VII secolo a.C. per la seconda volta gli Etruschi conquistarono la città di Spina che era uno dei maggiori porti dell’adriatico situato alla foce dell’antico Po, appunto chiamato spinetico. Gli Etruschi consolidarono il loro dominio nella bassa padania occupando la linea che andava da Marzabotto – Felsina – Spina, spingendosi in altri siti del Nord Italia.

I primi gruppi celtici del Nord Europa entrarono in Italia nel VII secolo stanziandosi nel Piemonte, nella zona prealpina della Lombardia e del Vicentino.

Gli Etruschi impauriti da queste occupazioni, ma anche sollecitati dalle popolazioni occupate, mossero verso Nord e si scontrano con i Celti nella prima battaglia del Ticino (da non confondersi con la seconda battaglia del Ticino del 218).

Questa fu la prima grande vera battaglia di cui si abbia notizia fra popolazione locale e Celti, peraltro senza aver conoscenza di una data precisa che può indicarsi all’incirca nel 650 a.C.

Nel VI secolo a.C. anche le popolazioni celtiche dell’attuale Francia e Germania, iniziarono le conquiste oltre i loro confini.

L’attuale Romagna allora era abitata da autoctoni che nei secoli si erano mescolati prima con i Pelasgi (spineti) e successivamente con gli Etruschi. Era una popolazione tipicamente dedita all’agricoltura ed all’allevamento del bestiame nella parte di territorio che dianzi ho indicato come “asciutta” e dedita alla caccia ed alla pesca nella parte che ho indicato come “umida”.

All’arrivo nelle nostre zone di galli Boi (dal Secchia al Sillaro), galli Lingoni (dal Sillaro all’Utis) e di galli Senoni (dall’Utis all’Esino) le popolazioni autoctone dovettero adeguarsi agli usi dei nuovi arrivati se non altro perché questi ultimi ragionavano a fil di spada. Il fiume Utis è stato individuato dagli storici come il Montone, ma in effetti il limite fu il Sinnium (Senio) che voleva appunto indicare la linea dei Senoni. Nel giro di un secolo le diverse etnie si integrarono fra di loro a seguito dei matrimoni misti, quindi la popolazione diventa un misto di razze (autoctona+spineta+etrusca+celta) come poi si modificherà dopo il II secolo a.C. con la venuta dei romani. Si può dire che il ceppo dei romagnoli di oggi non è altro che la mescolanza di 5 popoli.

Dal 450 al 400 a.C. le ultime roccaforti Etrusche di Spina, Ravenna e Rimini caddero sotto la potenza celtica di Boi e Senoni. Sebbene ambedue popoli “barbari”, i Boi e Senoni mantenevano una vera e propria divisione se non per una ragione di interesse territoriale anche per mentalità, culture e tradizioni diverse, in quanto i Boi erano originari della valle del Reno (tedeschi) ed i Senoni della valle della Senna (francesi).

Sarebbe come dire che, fra Emiliani (Boi) e Romagnoli (Senoni) c’è sempre stata un po’ di ruggine. In verità c’è da dire che i Boi accorsero in difesa dei Senoni quando questi ultimi furono attaccati dai Romani, ma ne parlerò di seguito riferendomi alla Selva Litana.

Fra questi due facevano da cuscinetto i Galli Lingoni originari delle vallate della Marna che scende dall’altopiano di Langres per immettersi nella Senna.

La battaglia di Allia

Nel 390, i Senoni, comandati da Brenno, dopo aver sconfitto l’esercito romano, saccheggiarono Roma. Ma perché successe questo? I Senoni mai si sarebbero permessi di attaccare l’esercito romano che era molto più forte sia in uomini che in mezzi. L’intenzione dei Senoni era invece quella di occupare le terre dell’Italia centrale appartenenti agli Etruschi, approfittando del fatto che la maggior parte dell’esercito etrusco era salito al nord per contrastare la continua calata di galli.

I senoni decisero quindi di occupare le terre a sud-ovest di Sena Gallica (Senigallia) fino al lago Trasimeno. Assediarono la città di Camars (Chiusi) che chiese l’aiuto dei romani con i quali avevano buoni rapporti di vicinato ed interessi commerciali. Il senato romano inviò a Chiusi alcuni legati per tentare una via diplomatica con l’invito ai senoni a desistere dall’assedio e prendere contatti con Roma per risolvere la cosa pacificamente.

I Senoni dopo un’assemblea popolare risposero che, visto che i romani non erano scesi in armi e volevano risolvere pacificamente la contesa, avrebbero accettato la pace in cambio della cessione da parte di Chiusi di un ampio territorio da poter coltivare. Uno dei legati romani, mentre gli altri erano partiti per portare la proposta dei Senoni al senato romano, organizzò la popolazione di Chiusi alla difesa, ruppe le trattative ed uccise un capo dei Senoni. Ciò è quanto riporta Tito Livio.

I Senoni decisero di abbandonare l’assedio di Chiusi e di marciare su Roma, dopo aver chiesto al senato romano la consegna del legato che aveva violato la tregua, ottenendo però una risposta negativa. I romani furono quindi travolti dai Senoni e sconfitti nella battaglia del fiume Allia (oggi fosso di Bettina) che sfocia nel Tevere a 18 Km. a Nord di Roma.

Su questo evento Tito Livio presenta una sua versione dei fatti e cioè che i Senoni entrassero a Roma senza alcun scontro armato perché l’esercito romano fu terrorizzato e messo in fuga dal grido di guerra dei Senoni. Polibio cita, invece, che ci fu ad Allia una cruenta battaglia dove una parte dell’esercito romano fuggì rifugiandosi a Vejo mentre l’altra parte si disperse e gli ufficiali ed i senatori si rifugiarono nella rocca del Campidoglio.

Dopo una settimana di assedio, Brenno, convinse i romani a trattare il riscatto della città. La città fu riscattata e fra Senoni e Romani fu firmata una tregua di trenta anni.

Secondo Polibio invece, Brenno fu costretto ad abbandonare Roma per accorrere in aiuto alle altre truppe dei Senoni stanziate al Nord che erano state attaccate dai Veneti. Cosa alquanto improbabile poiché risulta veritiera la firma della tregua per trenta anni. Nel caso che i Senoni fossero fuggiti da Roma, certamente i Romani non gli avrebbero dato tregua, ma avrebbero dato man forte ai Veneti.

La battaglia di Sentino

Passati cinque anni dalla fine della tregua e cioè nel 295 a.C. i romani, che non avevano dimenticato il torto subito, intenzionati a dare una sonora lezione ai Senoni, decisero di occupare i territori del litorale adriatico. I Senoni venuti a conoscenza delle intenzioni, strinsero un’alleanza con i Sanniti, acerrimi nemici di Roma, e mossero contro l’esercito romano che sconfissero a Camerino.

Il senato romano però non si scoraggiò, sempre più meditando vendetta e riorganizzò un nuovo
esercito con due comandanti, il primo il console Decio Mure che a Sentino (oggi Sassoferrato) attaccò i Senoni, dai quali fu sconfitto ed il secondo, il console Fabio Rulliano che sempre nelle vicinanze di Sentino attaccò i Sanniti che vennero messi in fuga. Le due ali dell’esercito romano si riunirono ed attaccarono nuovamente i Senoni che furono sconfitti con gravi perdite di uomini e mezzi.

Iniziò così la vendetta romana contro i Senoni che nuovamente vennero sconfitti e quasi decimati, nello stesso anno, dal Console Manio Curio Dentato che annesse a Roma i territori dell’Ager Gallicus, da Senigallia a Rimini. Ciò è quanto asserisce Polibio, ma altri storici ritengono che l’annessione a Roma dell’Ager Gallicus riguardasse i territori da Senigallia alla foce del Po ed anche la valle dell’alto Savio compresa la città di Sassina (Sarsina). Una parte dell’esercito dei Senoni scampata a Curio dentato si rifugiò nelle terre dei Lingoni, fra il Senio ed il Sillaro, mentre le famiglie dei non facenti parte all’esercito rimase sul territorio occupato dai romani.

Dal 283 a.C. iniziò un periodo di pace, salvo qualche scaramuccia, fra i romani e le tribù galliche della valle padana. Questa tregua terminò quando nel 238 a.C. i galli Boi diedero inizio agli scontri con i romani per occupare la città di Rimini, che i romani avevano tolto ai Senoni 45 anni prima.

Più volte Rimini fu assediata dai Boi con l’aiuto di ciò che restava dei Senoni che si erano rifugiati nella selva litana e ciò indusse i romani a rafforzare le difese della città.

La Lex Flaminia

Nel 232 a.C. il console Caio Flaminio, tribuno della plebe, fece approvare una legge per l’assegnazione alle famiglie romane delle terre conquistate ai Senoni. Questa legge fu chiamata la “Lex Flaminia” che trasformò l’”Ager Gallicus” in “Ager Publicus”. Iniziarono così le centuriazioni romane da Senigallia fino alla valle del fiume Savio e proseguirono fino al 218 a.C.

Questo territorio divenne quindi popolato dagli autoctoni (miscuglio di spineti, etruschi e senoni) dai romani e da alcuni gruppi di galli Boi che da Bologna erano scesi nel riminese. Oltre al misto di popoli si creò un misto di lingue; genti che fra loro non si comprendevano facilmente poiché non tutti parlavano il latino.

Ciò indusse le popolazioni o forse nacque spontaneo un idioma che permettesse a tutti costoro di potersi capire. Ci dice Tito Livio che con la “Lex Flaminia” si consolidò la potenza di Roma che, con i territori annessi diveniva la Magna Roma. A questo punto voglio fare una deduzione, invitando gli storici ad approfondire l’argomento.

Tito Livio che parlava latino anteponeva l’aggettivo al sostantivo (Magna Roma) così come i galli Boi originari della valle del Reno, mentre i galli Senoni e le altre tribù originarie del centro e del sud della Francia anteponevano (come del resto lo facevano gli etruschi) il sostantivo all’aggettivo (Roma Magna).

A mio avviso anche se non esiste una documentazione specifica, ma solo accenni, il nome Romagna deriva da (Roma Magna) per effetto della Lex Flaminia. Ritorniamo alla storia. Nel frattempo anche in altre parti d’Italia, le popolazioni celtiche cercavano alleanze per poter fronteggiare l’espansione romana che aveva annesso già dal 225, la Toscana, le Marche e la bassa Romagna fino al fiume Senio.

I più preoccupati erano i Boi perché poco bastava ai Romani per attraversare il Senio, il Santerno ed il Sillaro per poi occupare i territori del Bolognese e del Modenese ancora in loro mani.

Oltretutto il vecchio potente esercito dei Boi si era indebolito dopo la grave sconfitta subita nella battaglia di Telamone (225 a.C.) quando accorsero in aiuto dei Taurisci e degli Insubri che venivano sopraffatti dai romani. Questi furono gli anni dello scombussolamento delle tribù celtiche.

A seguito della sconfitta di Telamone, i Boi trattarono la resa con i romani nel 224 mentre altre tribù (Anari e Cenomani) si allearono con gli stessi romani, e nel 222 sconfissero, a Clastidium (Casteggio), sotto il comando del console Claudio Marcello, gli Insubri occupando Milano.

Intanto i pochi Senoni e Lingoni rimasti nel loro enclave non erano disturbati da nessuno come se fossero stati dimenticati in quella selva desolata e valliva.

Annibale attraversa le Alpi

Nel 220 a.C., i Cartaginesi sotto il comando di Annibale Barca decisero di invadere l’Italia passando da Spagna e Francia, consci però che il grosso dell’esercito romano li avrebbe affrontati nella pianura padana. I romani però, pur ritenendo tatticamente giusto contrastare i cartaginesi nella pianura padana, erano preoccupati da una eventuale sollevazione dei galli che pochi anni prima erano stati soggiogati, ma che sempre erano in fermento.

Nel 218 a.C. si ebbe una prima sollevazione di Boi in attesa dell’arrivo dei cartaginesi che attaccarono i romani sulle terre appena conquistate. Le legioni romane furono costrette ad asserragliarsi a Tennero, mentre i coloni si rifugiarono a Modena. All’inizio dell’anno i cartaginesi valicarono le alpi, ma furono decimati dal freddo e dalla fame si che solamente 30.000 soldati riuscirono a raggiungere la valle padana.

I romani intanto si attestarono su tre linee, la prima fra il Ticino ed il Po, la seconda fra Piacenza e Cremona e la terza fra Piacenza e Modena.

Alla battaglia del Ticino, i romani ebbero la peggio e si ritirarono nella roccaforte di Piacenza. Quando i cartaginesi giunsero nei pressi di Piacenza, ci fu una defezione dalle fila romane, da parte di alcune migliaia di cavalieri celti (aggregati) che, prima di passare con i cartaginesi, uccisero molti dei loro ex-commilitoni romani. A questo punto ci fu la sollevazione da parte delle tribù celtiche che abitavano la zona e corsero a dare man forte all’esercito di Annibale. Al fiume Trebbia, cartaginesi e celti inflissero una grave sconfitta ai romani.

Dopo questa vittoria si irrobustì l’alleanza fra cartaginesi e le tribù celtiche che indicavano in Annibale il loro liberatore. Però Annibale non si fidava molto dei celti, visto il loro precedente comportamento quando furono allortempo alleati dei romani. Annibale calò nel centro e sud dell’Italia infliggendo numerose sconfitte ai romani; da ricordare le battaglie del Trasimeno e di Canne.

Durante queste battaglie, Annibale, per risparmiare i propri uomini, mandò all’attacco i celti cisalpini che subirono gravi perdite, si da indurre la gran parte dei superstiti a ritornare nella valle padana.

La battaglia della Selva Litana

Nell’estate del 216 venne inviato in “Gallia” (indica così Tito Livio, ma deve intendersi nella Gallia Padana) il pretore Lucio Postumio, con l’incarico di debellare definitivamente le bande di Senoni e Lingoni che saccheggiavano i territori dei coloni romani beneficiati dalla Lex Flaminia. Quando i galli Boi seppero che Lucio Postumio aveva intenzione di attaccare quel poco che era
rimasto dei Senoni e dei Lingoni, e che la stessa sorte sarebbe poi toccata ad essi, corsero in aiuto di quei loro fratelli con i quali c’era sempre stata nei secoli una certa “ruggine”.

I romani decisero di attaccare i galli nel loro stesso territorio, la Selva Litana, ma qui subirono la più grave sconfitta che l’esercito romano avesse mai conosciuto. Cita Livio (XXXII-24): ……nova clades nuntiata….. “ …..fu annunciato un ulteriore disastro, quasi che la fortuna non ne avesse accumulato uno dietro l’altro in quell’annata: il console designato Lucio Postumio era sto ucciso in Gallia assieme a tutti i suoi uomini. C’era un’ampia foresta – Litana è il suo nome gallico – attraverso la quale Lucio Postumio doveva far passare il suo esercito. I Galli avevano provveduto a fessurare gli alberi che si trovano sul ciglio destro e su quello sinistro del sentiero, in maniera che rimanessero ben diritti, m che, appena li si fosse leggermente toccati, si abbattessero al suolo. Postumio aveva con se due legioni romane e aveva arruolato dalle coste del mare superiore [mare adriatico] un così numeroso contingente di alleati che era entrato con ben venticinquemila uomini nel territorio nemico.

I Galli, che si erano appostati al margine estremo della foresta, allorché la colonna romana vi si
inoltrò, diedero delle spinte agli alberi che avevano fessurato per ultimi. E gli alberi crollando gli uni sugli altri, tutti instabili, nessuno che ormai si reggeva sulle sue radici, provocarono grande strage da entrambi i lati della strada travolgendo armi, uomini e cavalli e consentendo la fuga ad appena dieci uomini. Infatti già la maggiore parte era stata uccisa dai tronchi degli alberi e dagli spezzoni di rami; poi la massa dei sopravvissuti, frastornata da quel disastro inatteso, fu sterminata dai Galli appostati tutto intorno al bosco.

Di tanti che erano i romani i pochi catturati furono quelli che cercarono di guadagnare un ponte sul fiume, ma si trovarono la strada sbarrata dai nemici che lo avevano precedentemente occupato. Lì fu ucciso Postumio mentre combatteva con ogni sua energia per non essere preso vivo. I Boi in festa portarono al tempio che essi considerano il più sacro, le spoglie del corpo del comandante e il suo capo mozzato………”.

Aprendo una parentesi, sembra che la parola “litania” intesa come lamentela prolungata, derivi appunto dai lamenti dei romani feriti sotto il peso degli alberi nella selva Litana. Se si pensa che su 25.000 soldati romani se ne salvarono solo dieci e che la maggior parte, uccisa dai galli, era rimasta ferita, vuol dire che le uccisioni sono durate diversi giorni durante i quali si udivano gli interminabili lamenti dei poveri soldati romani feriti. Ma dove si trovava la Selva Litana?

Ubicazione della Selva Litana

Discordi sono i diversi autori sull’ubicazione di detta selva. Attingendo dai vari ricercatori, confrontando vecchie carte, avvalendomi della biblioteca della Casa Matha e documentandomi come meglio ho potuto, mi sono fatto una idea che penso non si discosti molto dalla realtà.

Non è per niente facile trovare anche il minimo indizio su località e fatti che datano almeno 2.500 anni. Bisogna cominciare da molto lontano nella ricerca topografica e storica del territorio a nord di Ravenna per poter avere un quadro geografico il più preciso possibile.

Basilari sono stati per me gli scritti e gli studi dell’amico Arnaldo Roncuzzi che dal punto di vista storiografico della topografia del delta padano con particolare riferimento alle zone di Comacchio e Ravenna, è senza ombra di dubbio un luminare. Io ho individuato la Selva Litana nel territorio compreso, a nord, fra il vecchio corso del Reno quando entrava in Po nella parte ferrarese, a sud lungo la valle del fiume Ronco, ad ovest all’inizio della pianura appenninica (ipoteticamente l’attuale linea della via Emilia) e ad est fino alle valli adiacenti il mare adriatico che possiamo individuare come linea ultima all’incirca la retta tracciata fra Ravenna ed Adria fino al punto in cui incrociava il Po di spinete nei pressi di Comacchio.

Questa linea era rappresentata da un cordone dunale che delimitava gli antichi lidi adriatici. Parlando di oggi si può perimetrare la selva litana in Bologna, Forlì, Ravenna, Comacchio (Spina), Ferrara, Bologna. Si trattava di oltre 2.500 km2 di territorio più o meno boscoso ed in gran parte, verso la foce del Po, molto paludoso ed acquitrinoso. La linea del mare indicata fra Ravenna e Spina non ha bisogno di approfondimenti se non segnalare che già Strabone, Dionigi d’Alicarnasso, Polibio, Hellanico e Scilace la individuarono in quei pressi più o meno due o tre chilometri da detta linea verso il mare.

La zona per le notevoli alluvioni dei fiumi era molto fertile quindi ideale anche per estensioni altamente boschive. Arduo è voler individuare temporalmente la sua formazione, ma la si può fare iniziare dopo l’ultima deglaciazione con inizio a circa 10.000 anni or sono e terminata circa 4.000 anni dopo, quando emerse dalle acque la valle padana.

Sappiamo per certo che circa 1000 anni avanti Cristo i Pelasgi (Spineti) utilizzavano il legname dei boschi per costruire le navi e le palafitte, così come successivamente lo fecero gli Etruschi ed i Celti per arrivare a dati più certi quando nel 391 a.C. i galli senoni al comando di Brenno saccheggiarono Roma, partendo dalle foreste che davano sull’adriatico ed in quei boschi si rifugiavano per scampare al nemico.

Quel cordone dunale che ho indicato in precedenza ha subito nei secoli diverse modificazioni ed è pensabile che nel terzo secolo a.C. avesse un percorso semiellittico che andava dall’attuale Classe, Ravenna, Savarna, Argine d’Agosta, Spina, Merozzo, Pomposa, Mesola. Mentre ad est di questa duna sabbiosa e ghiaiosa c’era il mare, ad ovest c’erano valli salmastre che partendo ad ovest di Classe, sempre con un percorso semiellittico, erano delimitate all’incirca all’attuale San Michele, Villanova di Bagnacavallo, Lavezzola, Ostellato e Codigoro.

Questo a grandi linee, ma rimando per un maggior e dettagliato approfondimento, a chi interessa, alla lettura del documento redatto da Lelio Veggi ed Arnaldo Roncuzzi: “Studi idrogeologici dei territori padani inferiori” – Atti della Casa Matha – quaderno IV – anno 1970.

In mezzo a queste valli, non molto profonde, c’erano diverse terre emerse che venivano loro stesse chiamate “valli” in parte coltivabili solo in alcuni periodi stagionali, erano quindi abitate e pur subendo le alluvioni di piena, erano abbastanza sicure. Di queste isole le più importanti nella nostra zona erano l’isola sabbionara, poi diventata nei secoli, la Contrada Grossa e successivamente Le Alfonsine e l’isola del pereo poi diventata Il Pereo e successivamente Sant’Alberto.

Abbiamo così delimitato la selva litana sia nella parte “asciutta” che “umida”. Calvetti indica il luogo, fra il Ronco - Bidente ed il Santerno. Cita poi lo storico G.F. Rambelli nelle sue “Memorie Storiche dell’Alfonsine”: “La Selva Litana poi che occupò tanti de’ luoghi i quali la Padusa ritiratesi lasciava asciutti, si stese su quella parte del territorio alfonsinate che rimase all’acque discoperto”. Ed il Melandri nelle “Notizie storiche di Fusignano” riprende il Muratori: “Chi credere non può che la Selva Litana ingombrasse non poco di quel territorio tra la via Emilia ed il Po, vale a dire di Cottignola, Lugo, Fusignano, Bagnacavallo, Alfonsine ecc.” .

A questo punto c’è una considerazione da fare. Quando Livio dice “ …. I Boi in festa portarono al tempio che essi considerano il più sacro….” doveva trattarsi di un luogo molto importante per i galli. A mio avviso si trattava della selva di pianura un cui luogo principale e maggiormente popolato era “Lugh” (attuale Lugo di Romagna) di origine etrusca e successivamente abitato dai Senoni i quali avevano nominato questo luogo con il nome del loro dio “Lugh”.

Sia gli etruschi che i celti consideravano le selve ed i boschi, luoghi sacri e mettevano a loro difesa e controllo un centro abitato con il nome di un dio. Anche “Litana” era il nome della dea celtica dei morti. Può essere che questo nome sia stato dato alla selva successivamente alla battaglia per indicare che in quel luogo ci furono tanti morti. Altri nomi di dei celtici li troviamo nell’attuale toponomastica locale come l’antica Valle Dana fra Fusignano ed Alfonsine.

Dana era la dea celtica della caccia che poi era la stessa dea Diana per i Romani. Sembra che pure per gli Etruschi la dea della caccia fosse anch’essa Dana. Quindi può essere che i Celti si siano appropriati e tramandati il nome della dea etrusca.

Curiosità di cultura alimentare dei Litani

Indico come Litani, gli abitanti della Selva Litana che come detto in precedenza si estendeva per diverse centinaia di chilometri quadrati.

Riprendendo le tre tribù galliche che abitavano detta Selva, e la loro collocazione territoriale all’interno della stessa, partendo da sud e cioè: i Senoni fino al fiume Utis (Montone) o al Senio, i Lingoni fino al Sillaro ed i Boi oltre il Sillaro, voglio sottolineare una cultura alimentare ancora presente ai giorni nostri, che delinea uno dei tanti caratteri che da luogo alla identità di un popolo.

Dal Ravennate spostandoci verso Sud quindi nell’area senonica c’era allora come oggi una tradizione per la carne ovina più che quella suina, per il fatto che i Senoni erano allevatori di pecore. Al Nord, dopo il Sillaro, verso Bologna e Modena si preferiva allora come oggi, la carne suina; infatti i Boi allevavano il maiale.

Nella zona cuscinetto fra il Montone ed il Sillaro, occupata dai Lingoni, c’era allora come oggi una cultura mista sia per la carne di pecora che per quella del maiale. Non conosco la datazione dell’invenzione dei “cappelletti” che ritengo un mangiare molto antico, ma anche questi hanno subito la stessa tradizione della carne con una preparazione diversa del “ripieno”.

Nel ravennate in giù, dove c’era la cultura alimentare della pecora, il ripieno è composto di un battuto di solo formaggio.

Da Imola in su, dove c’era la cultura alimentare del maiale, i cappelletti prendono il nome di “tortellini” il cui ripieno è composto esclusivamente di carne. Nel territorio intermedio, che dianzi ho chiamato cuscinetto, dove c’era la cultura alimentare mista della pecora e del maiale (Lavezzola, Conselice, Massalombarda, parte del lughese, ecc.) ci sono zone in cui i cappelletti vengono riempiti con un impasto di formaggio e trito di carne e frattaglie.

DAL 216 AL 201 ???

Le notizie non sono tante e quanto pervenutoci è molto confusionato. Di certo nel 216, Annibale sconfigge a Canne i consoli M. Terenzio Varrone e L. Emilio Paolo e nel 207 Asdrubale sceso in Italia per porre aiuto ad Annibale, viene sconfitto ed ucciso dai Romani nella Battaglia del Metauro.

La campagna contro i Galli della Val Padana

Nel 201 a.C. gli umbri-sapini, alleati dei romani, fecero pressione su questi ultimi per attaccare Boi, Senoni e Lingoni che, a loro dire, facevano scorrerie nei territori a sud del fiume Savio. Ma gli umbri mentivano poiché il loro solo scopo era quello di riconquistare i territori persi secoli prima per mano etrusca.

I romani caddero nell’inganno ed incaricarono: il prefetto Caio Ampio di marciare contro i galli e scacciarli dai territori a nord di Ravenna fino a Sillaro, ed il console Publio Elio di sconfiggere i Boi e scacciarli dai territori dal Sillaro a Modena.

Cita Livio che Ampio saccheggiò i territori dei Boi, poi dopo aver disposto i legionari romani per la mietitura del grano, fu sopraffatto, presso Mutilum (Modigliana) e fu ucciso assieme a sette mila romani. Non si conoscono le cronache delle battaglie di Publio Elio contro i Senoni, ma si ha il dubbio che esse non siano mai avvenute e che invece Elio abbandonasse i territori dei Senoni per correre in aiuto di Ampio, quando poi lo stesso era già stato sopraffatto dai Boi.

Cita Calvetti e mi trova d’accordo: “Si è visto che la maggior parte dell’odierna Romagna era stata occupata da Senoni e Lingoni. Le posizioni dei Boi, accentrati attorno a Modena e a Bologna, in pianura non dovevano superare, a oriente, il territorio imolese. Le tracce di limitate centuriazioni romane in pianura, a destra e a sinistra del Savio fino a Forlimpopoli, databili al III secolo, dimostrano che, oltre l’avamposto di Rimini, si era giunti a un pacifico “modus vivendi” tra gli autoctoni ed i coloni latini. … Dato che il Montone (Utis) come dice Livio, segnava il confine tra Senoni e Lingoni, la colonna di Ampio avrebbe saccheggiato anche le terre dei Senoni. Stando così le cose, il saccheggio ordinato dal console Publio Elio, criticabile se promosso contro i Boi, a maggior ragione lo sarebbe stato se rivolto contro i Senoni.

I moventi, se non le ragioni, di tale comportamento nondimeno erano assai chiari, se si considera che la spedizione forse era stata ispirata e per certo era calorosamente appoggiata dagli Umbri sapini, ai quali premeva espellere i Celti – Boi, Lingoni, Senoni – dalle terre in cui aspiravano di insediarsi; anzi, di ritornare”.

L’iniziativa di Ampio creò malumore presso le tribù celtiche della Valle Padana che la consideravano un tradimento ai precedenti patti di non belligeranza, oltre ad una provocazione che portava i galli a pensare che prima o poi i romani avrebbero attaccato tutti i “residui” di tribù galliche ancora stanziate sotto il Po e quindi non si poteva fare affidamento sugli impegni presi dal senato di Roma.

Ci fu quindi una sollevazione celtica che portò al saccheggio di Piacenza ed all’assedio di Cremona, le due principali roccaforti romane nell’Italia del Nord.

Fu immediata la reazione del senato romano che ordinò alle truppe di stanza ad Arezzo e Rimini di marciare verso Cremona in aiuto degli assediati. Il comando fu dato al console Purpurione che, nel 199, sconfisse Insubri e Boi, liberando Cremona.

Il senato era preoccupato dalle continue sollevazioni dei popoli della cispadania e decise, nel 197 di inviare, quattro legioni comandate dai consoli Cornelio Cetego e Quinto Minucio, nei territori gallici per reprimere le sollevazioni.

I consoli romani sconfissero gli Insubri e fecero un patto di non belligeranza con i Cenomani. Rimanevano i Boi che ritiratisi nei loro territori, pur stanchi di combattere non volevano scendere a patti con i romani, dei quali non si fidavano, visti pure i precedenti. Ma il problema dei romani era quello dei collegamenti fra Rimini e Piacenza poiché bisognava attraversare i territori dei Boi. Da Nord e da Sud, i romani, iniziarono a saccheggiare le terre dei Boi che, lasciavano fare per non dover subire altre perdite.

Livio cita (XXXV-4) il saccheggio, portato a termina dal console Merula, in questo modo: “ …l’altro console, Lucio Cornelio Merula, condusse le sue truppe nel territorio dei Boi, tenendosi sul confine estremo delle terre dei Liguri……Il Console schierava spesso i suoi a battaglia, ma i nemici rifiutavano lo scontro e i romani, poiché nessuno cercava di fermarli, si spingevano con le loro scorrerie, in ogni direzione;… Quando giudicò di aver messo tutto a ferro e fuoco, il console ritirò i suoi dal territorio nemico, conducendoli a Modena, senza prendere particolari precauzioni durante la marcia …..I Boi quando si resero conto che il nemico era uscito dalle loro terre, presero ad inseguirlo con marcia silenziosa, cercando un luogo adatto a tendere un agguato: una notte oltrepassarono gli accampamenti romani andando ad attestarsi su una gola per la quale i romani dovevano per forza passare. Il console… muovendosi di giorno, mandò in avanscoperta uno squadrone di cavalleria: quando gli fu riferito quanto numerosi erano i nemici e dove si trovavano, ordinò di radunare le salmerie in un solo punto e difenderle con un vallo e schierando i soldati a battaglia si avvicinò al nemico. … Quel giorno furono massacrati quattordicimila Boi, ne furono catturati vivi millenovantadue, assieme a settecentoventi cavalieri, tre loro comandanti duecentododici insegne militari e sessantatre carri.”

Questa tremenda decimazione di Boi, databile al 196, portò nello stesso anno alla resa di Bologna. Così piano piano, fino al 192, i romani diedero battaglia ai galli cispadani che in ogni parte furono sconfitti.

I galli diventano Romani

Da questo momento i celti rimasti si sottomisero al potere di Roma, non vennero più chiamati galli, ma inseriti fra la popolazione autoctona che rimase ben divisa dai coloni romani. La potenza di Roma si riaffermerà e come un secolo prima sarà ripristinata la Lex Flaminia con l’elargizione di terreni, alle famiglie dei coloni romani, nelle zone di Bologna, Modena e Parma. Per favorire i collegamenti fra la colonia di Rimini e quella di Piacenza, nell’anno 187, il console Marco Emilio Lepido iniziò la costruzione di una strada che prenderà il nome di via Emilia. Si svilupparono gli scambi e ci fu più libertà nel commercio stante il fatto che ormai era impossibile qualsiasi razzia poiché il territorio era completamente controllato dall’esercito romano.

A parte Rimini e Ravenna (Classe) furono fondate altre colonie con il nome di “forum” che stava ad indicare un luogo di mercato: Forum Popilii (Forlimpopoli), Forum Livii (Forlì), Forum Cornelii (Imola).

Nel 122 Caio Sempronio Gracco, rieletto tribuno della plebe, propone di estendere la cittadinanza romana agli italici, senza però ottenere esito positivo. E’ poi un altro tribuno della plebe, Livio Druso, che nel 91, propone l’estensione della cittadinanza romana agli alleati italici, ma viene assassinato da ignoti sicari.

Ha così inizio la guerra sociale tra Roma e gli alleati italici (i socii) che chiedevano parità di diritti. Dopo tre anni di guerre con numerose sconfitte romane, nel 89, Roma concede la cittadinanza romana a tutte le popolazioni della cispadania che comprendeva pure Ravenna, Bologna e Piacenza, senza distinzione di origine.

Inizia così un momento di pace fra le popolazioni italiche. Il nostro territorio fu poi “protagonista” di un altro evento storico importante, quando nel 49 Giulio Cesare non accetta l’intimazione del senato di sciogliere il suo esercito e varca il Rubicone (13 gennaio) considerato il confine settentrionale dell’Italia.

Ci fu poi una radicale organizzazione delle colonie nelle cosiddette “Regio” ed i territori cispadani fra l’adriatico, il Po e l’Appennino furono assegnati alla Legio VIII.

Si può quindi dire che, circa dal I° secolo a.C. si ha un’unione delle popolazioni della cispadania con quelle dell’Italia centrale, ed un inizio, almeno per altri tre secoli, ad una lingua comune (il latino) seppur presenti in tutte le zone i diversi idiomi nati da una miscela di altre lingue precedenti. La base però della maggior parte degli idiomi deve essere riferita all’etrusco che si è celtizzato nelle nostre zone per la presenza gallica durata circa cinque secoli.

Questi idiomi si latinizzarono per altri quattro secoli, ma ognuno con le proprie differenze di base. Se si nota, anche oggi, i diversi dialetti della Valle Padana, sono identificabili territorialmente in quelle aree già occupate dai celti. Non per nulla questi dialetti sono stati catalogati e chiamati gallo-italici.
Con l’1 d.C.

Inizia l’era moderna, ma in base ai calcoli del monaco Dionigi il Piccolo, la nascita di Cristo sarebbe avvenuta quattro anni prima. Per me questa è storia moderna che supera il I° millennio a.C. e quindi esaurisce questo mio breve elaborato.

Ugo Cortesi - Le Alfonsine Litanæ Novembre 2006

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 31/12/2012