STORIA LOCALE DELLA ROMAGNA
Ravenna - Forlì-Cesena - Rimini


IL SACRIFICIO DI ANGELO TARGHINI E LEONIDA MONTANARI

"Ascoltare con prudenza, credere con ragione, determinare con giustizia".
(scritto da Leonida Montanari sul muro del carcere che lo ospitò prima del supplizio)

Lapide di Targhini e  Montanari

Angelo (o Angiolo) Targhini (Brescia, 1799 – Roma, 23 novembre 1825) e Leonida Montanari (Cesena, 26 aprile 1800 – Roma, 23 novembre 1825) sono stati due carbonari italiani membri di una delle cosiddette "vendite" (riunioni segrete carbonare). Scoperti per aver tentato di uccidere un infiltrato, furono condannati a morte per "lesa maestà" e giustiziati per decapitazione.

Targhini, di madre cesenate e di padre bresciano, era cuoco di Pio VII. Montanari, di Cesena, era invece un chirurgo che abitava a Rocca di Papa.

Montanari "era di povera ma onestissima famiglia; in età di soli 24 anni aveva già nome nell’arte chirurgica; era bello come uno de’ più belli Italiani. Aveva il cuore pieno di gentilezza, d’onore, d’amore della patria". Con queste parole Edoardo Fabbri ritrasse la figura di Leonida Montanari.

Nato a Cesena il 26 aprile 1800, si dedicò allo studio della chirurgia prima a Bologna, poi a Roma, grazie alla protezione del principe Chiaramonti e, una volta laureatosi, si trasferì a Rocca di Papa per esercitare la professione medica.

Ispirato dai più nobili ideali, venne a contatto con la Carboneria, a cui aderì con il proposito di portare il proprio contributo al risveglio del sentimento nazionale (in particolare aderì alla "vendita", denominata «Costanza», fondata dal bresciano A. Targhini). Nel 1825 fu accusato dalle autorità papaline di un attentato ai danni di Giuseppe Pontini, un carbonaro che aveva tradito la propria "vendita", trasformandosi in spia ai servizi delle autorità governative.

Nessuna prova era stata raccolta contro Montanari, il quale - come ricorda lo storico Premuti - "sapendosi innocente, nulla fece per sottrarsi alla giustizia". Eppure, in nome del Papa Re, fu allestito un tribunale speciale che aveva il compito di condannare il sospettato, senza dargli alcuna possibilità di difendersi. La sentenza fu dichiarata inappellabile e veniva altresì ordinato il segreto per i verbali delle discussioni, i voti e i risultati.

Il Montanari, nella propria deposizione (non riportata integralmente negli atti processuali) si dichiarò estraneo tanto ai fatti del 4 giugno 1825 quanto alla militanza nella Carboneria. Inoltre, a differenza della quasi totalità degli altri inquisiti, non fece mai il nome di nessuno dei suoi compagni. Fu però un altro carbonaro, P. Garofolini (che affermò d’avere ricevuto un’esplicita confidenza da parte del cesenate), ad accusarlo apertamente del ferimento di Pontini. Le autorità inquirenti ritennero così che l’esecutore materiale fosse proprio Montanari.

Così, i giudici emisero una vergognosa sentenza alla pena capitale, basata unicamente sulla parola di un delatore. Tutto questo, è bene ricordarlo, accadde a Roma, il centro della spiritualità cattolica, per opera di Leone XII, il "Papa Re" che dimostrò ben poca pietà cristiana.

La vendita carbonara che Targhini e Montanari avevano organizzato aveva subìto delle defezioni e, probabilmente per timore di tradimenti attivi, pare che Targhini avesse deciso di "dare una lezione" a qualcuno dei transfughi.

Ne nacquero vere delazioni a cui seguirono una decina di arresti e condanne (tra cui quelle di altri tre romagnoli) e la loro condanna a morte. Regnava papa Leone XII, il quale volle lanciare un severo monito a quanti vagheggiavano un’alternativa al sistema uscito dalla Restaurazione.

Mastro Titta, il boia di Roma

L'esecuzione, avvenuta a Roma il 23 novembre del 1825, fu opera di Mastro Titta, boia dello Stato Pontificio dal 1806 al 1864. Nel testo anonimo del XIX secolo Mastro Titta, il boia di Roma: Memorie di un carnefice scritte da lui stesso così vengono narrati i fatti:

«... decapitai al Popolo [si intende: Piazza del Popolo] Leonida Montanari e Angiolo Targhini, due cospiratori contro il governo di Sua Santità, appartenenti alla setta dei Carbonari, i quali avevano gravemente ferito un loro compagno, tale Spontini, sospettando che li avesse traditi e denunziati all’autorità.
Di questa esecuzione si fecero di molti discorsi in Roma, perché la tenebrosa associazione alla quale appartenevano incuteva spavento alla popolazione di Roma, onesta, timorata e fedele al Papa. Ma benché si sussurrasse di tumulti ed insurrezioni preparate dai loro confratelli, per sottrarli al patibolo, la tranquillità, grazie alle sagge ed energiche disposizioni adottate dal governo, non fu menomamente turbata. Ecco come si svolsero i fatti.
Un affigliato, certo Angiolo Targhini, romano, fu incaricato dell’operazione. Era un popolano d’animo deliberato e di braccio sicuro.
Una sera Targhini passa dalla farmacia Peretti e vedendo lo Spontini sulla porta, l’invita a seguirlo, dicendo dovergli parlare di cosa grave. Spontini accondiscende e lo segue.
Svoltano per il vicolo di Sant’Andrea buio e deserto: Targhini si guarda attorno un momento e, non vedendo nessuno, trae un pugnale dalla tasca in petto dell’abito e lo infigge in seno allo Spontini dalla parte del cuore. Spontini cade e Targhini si allontana con rapido passo con un altro che l’attendeva. Spontini non era morto.
Chiama aiuto; accorrono verso di lui due carabinieri pontifici che pattugliavano in quei pressi e lo trovarono seduto per terra, col capo appoggiato alla colonnetta, che stava sotto la cappelletta della Madonna, illuminata dalla lampada, sull’angolo del palazzo. Esaminatolo lo trovano ferito e vanno alla farmacia Peretti a chiedere se c’era qualche medico, per aiutare il malcapitato e giudicare se era trasportabile. Esce fuori il chirurgo Leonida Montanari di Cesena e s’avviano verso il ferito, sempre al medesimo posto. Montanari tira fuori la busta chirurgica, vi prende uno specillo, si mette a specillare la ferita e non la trova mortale. Ma uno dei carabinieri che osservava attentamente il Montanari, si accorge che collo specillo tentava di approfondire la ferita. Non gliene lascia il tempo; gli toglie lo specillo e gli lega i polsi con un buon paio di manette. Poi, chiamata man forte, condussero il Leonida Montanari alle carceri; Spontini alla Consolazione, ove lo guarirono della sua ferita. Fu eretto il processo contro il Targhini, del quale il ferito declinò il nome, accusandolo del fatto, e che venne tosto arrestato e contro il Montanari, che aveva tentato di compir l’opera, e, quantunque opponessero i più sfrontati dinieghi, furono condannati dalla Sacra Consulta alla decapitazione.
Si temeva che per l’esecuzione gli altri settari volessero tentare qualche colpo audace, e furono prese tutte le disposizioni opportune. Quanto a me, sebbene avessi ricevuto una quantità di lettere anonime, che mi minacciavano di morte se avessi fatta l’esecuzione, ho compiuto il mio dovere senza esitanza.
Era uno spettacolo imponente. Piazza del Popolo era gremita di gente, come non la vidi mai [furono 30.000]. Quando vi arrivammo colla carretta i soldati stentarono ad aprirci il varco. Giunti sotto il palco, che avevo eretto durante la notte, col concorso del mio aiutante, Targhino prima e Montanari poi scesero colla maggior franchezza di questo mondo, e ne salirono i gradini circondati dai confortatori, saltellando quasi. Tutti i tentativi per indurli al pentimento ed alla confessione riuscirono vani. — Non abbiamo conto da rendere a nessuno: il nostro Dio sta in fondo alla nostra coscienza — rispondevano invariabilmente.
Avevo avuto ordine da Monsignor Fiscale di far presto e i confortatori, a quanto credo, lo stesso. Quindi non si perdette altro tempo. Li legai solidamente ai polsi, perché avevano rifiutato di lasciarsi bendare, poi spinsi innanzi Angelo Targhini, che porse il capo sorridendo alla ghigliottina e in un secondo fu spedito. Leonida Montanari mi salutò beffardamente dicendomi: «Addio collega.» e fece poi come il Targhini e come il Targhini lo spedii al Creatore.
Ci fu un subitaneo movimento nella folla; pareva volesse scoppiare un applauso. Ma la vista della forza armata la contenne e non si ebbe a deplorare il benché menomo incidente.»

Questa la sentenza di morte: "Lunedì 21 novembre 1825... Angelo Targhini, Leonida Montanari, Pompeo Garofolini, Luigi Spadoni, Ludovico Gasperoni, Sebastiano Ricci... Delitto di lesa Maestà, e di ferimento con prodizione... La Commissione Speciale condanna Angelo Targhini di Brescia e Leonida Montanari di Cesena alla Pena di Morte, Luigi Spadoni di Forlì e Pompeo Garofolini Romano alla Galera a vita e gli altri alla Galera per dieci anni... (proscritte Società Segrete... Setta Carbonica). Roma, Poggioli, 1825".

Morendo, Montanari si dichiarò "innocente, frammassone ed impenitente". Entrambi rifiutarono i conforti religiosi. Furono sepolti al Muro Torto, nella terra sconsacrata dove finivano i suicidi, i ladri, i vagabondi e le prostitute. Ancora oggi a sinistra di Porta del Popolo, sul fianco della caserma dei carabinieri, si può leggere la lapide in memoria dell'esecuzione dei due carbonari apposta nel 1909.

I romani, colpiti dalla vicenda dei due martiri, li adottarono dopo la morte, tanto da ritenerli figli della città eterna e da dimenticare, nel tempo, le origini forestiere dei due (già nel 1835 una nuova vendita carbonara fondata a Roma fu chiamata "I figli di Montanari"). E così, ad esempio, il Leonida Montanari, interpretato da Robert Hossein nel film di Luigi Magni «Nell’anno del Signore» fu rappresentato come romano a tutti gli effetti, attribuitagli un’inflessione più vicina a quella romanesca che a quella romagnola.

Sta di fatto che i due giovani «assassinati» dal sistema diventarono l’emblema della Repubblica romana. Il sacrificio di Montanari e di Targhini venne rievocato dai giovani che prendevano parte ai moti risorgimentali, gettando così le basi dell’Unità nazionale.

Nel 1887 la Municipalità di Cesena volle ricordare il sacrificio di Montanari con un medaglione realizzato da Tullio Golfarelli. Poi vi fu la solenne apposizione della lapide a piazza del Popolo il 6 giugno 1909. Dettata da S. Barzilai, essa fu fortemente voluta dal sindaco radicale E. Nathan e dai membri dell’Associazione democratica Giuditta Tavani Arquati.

Nota

Questo articolo riassume gli articoli di Andrea Sirotti Gaudenzi, di Fabio Zavalloni e di Wikipedia.
Rocca di Papa è un Comune italiano della provincia di Roma, ai Castelli Romani in Lazio.

Fonti

Testi

  • Romano Bracalini; L'Italia prima dell'unità (1815 - 1860); Milano, BUR, 2001.
  • Nazzareno Trovanelli; La decapitazione di Leonida Montanari e di Angelo Targhini. Cesena, Tipografia ditta Biasini di P. Tonti, 1890.
  • Costanzo Premuti, Leonida Montanari, Angelo Targhini; In memoria di Angelo Targhini e Leonida Montanari, decapitati nel MDCCCXXV per ordine di papa Annibale della Genga. 1909
  • A. Gentilini, Leonida Montanari. Un medico carbonaro a Rocca di Papa (1800-1825), tesi di laurea, Università degli studi Roma Tre, a.a. 2003-04
  • O. Montenovesi, Angelo Targhini e Leonida Montanari giustiziati a Roma nel 1825, Roma 1938.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia
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Aggiornamento: 31/12/2012