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CANTO DELLA SCHIERA DI IGOR Vseslav, il principe stregone
Note Che cosa significa l'espressione «nella settima età di Trojan»? Sono state avanzate al riguardo decine di interpretazioni: una settima èra? il settimo secolo? Angiolo Danti nella sua traduzione espunta la riga, Eridano Bazzarelli traduce «nell'ultimo tempo di Trojan» intendendo il passo - forse non a torto - come se significasse «negli ultimi tempi del paganesimo» (Bazzarelli 1991). Riguardo a Trojan rimandiamo capitolo sulle divinità slave [MITO]. È Vseslav Brjačislavovič di Polock (1044-1101), il principe-stregone, di cui tratta la Cronaca Laurenziana. La madre l'aveva generato da un volchvŭ, uno stregone. Di lui si diceva fosse in grado di trasformarsi in animale, come un lupo mannaro e pare che la figura bylinica di Volch Vseslav'evič sia costruita sulla sua. Tormentata la sua biografia: secondo il testamento di Vladimir il Santo, i principi di Polock non dovevano occuparsi che della loro città, ma nel 1067 Vseslav conquistò Novgorod e l'abbandonò al saccheggio. Per vendicarsi, i fratelli Izjaslav, Svjatoslav e Vsevolod, figli di Jaroslav, conquistarono Minsk e infierirono sui loro abitanti. Sconfitto in battaglia, Vseslav dovette fuggire. I tre Jaroslaviči tuttavia lo invitarono a concordare una tregua, giurando di non fargli nulla. Invece lo catturarono a tradimento e lo gettarono in un carcere a Kiev. Fu allora che i Polovesiani irruppero nel territorio di Kiev saccheggiandolo. Il popolo di Kiev chiese al gran principe Izjaslav cavalli e armi per sconfiggere gli invasori, ma Izjaslav rifiutò. Allora i kievani insorsero, liberarono Vseslav e lo nominarono gran principe della città. Izjaslav fuggì in Polonia ma nel 1069 tornò alla testa di un esercito polacco, guidato da re Boleslao II. Vseslav fuggì, si attestò dapprima a Belgorod, un sobborgo di Kiev, ma poi tornò a Polock, da dove continuò a guerreggiare incessantemente contro gli Jaroslaviči e contro Vladimir Monomach. La «fanciulla che tanto desiderava» sembra sia una metafora indicante la stessa città di Kiev, di cui Vseslav ambiva essere gran principe. Egli riuscì a soddisfare la sua ambizione («con la lancia sfiorò il trono d'oro di Kiev»), ma per poco tempo. «Il mattino conficcò le asce», seguiamo qui la lezione di Eridano Bazzarelli (Bazzarelli 1991). Il luogo infatti è assai corrotto durante le varie copiature. La parola di più difficile interpretazione è strikusy, che viene solitamente intesa con «asce» in base ad una possibile relazione con un termine di origine germanica (cfr. antico alto tedesco strîtachus «ascia da combattimento») (Snegirëv 1838, Potebnja 1878). Altri studiosi hanno proposto una correzione di strikusy in sŭ tri kusy (Lichačëv 1950, Jakobson 1958), da cui la traduzione alternativa di Angiolo Danti «con tre tentativi stracciò la fortuna» (Danti 1979). Dudutki è una località non identificata, forse vicino a Novgorod. Vari autori, tra cui Roman Jakobson, hanno proposto emendamenti e correzioni del testo, dando alla parola diversi significati. L'interpretazione più comunemente accettata di questo passo è che Vseslav si trasformasse effettivamente in un lupo durante la notte e corresse da Kiev a Tmutorokan'. Anche se l'immagine non differisce da quella di molte altre metafore animali presenti nel Canto, tutto quello che sappiamo del personaggio del principe-stregone Vseslav ci autorizza a pensare che l'autore stia qui descrivendo effettivamente un caso di licantropia. Riguardo a Chors, antico dio slavo della luna o del sole, rimandiamo al capitolo sulle divinità slave [MITO]. «Doppio corpo» è probabilmente un modo per intendere la licantropia di Vseslav il quale poteva assumere a piacere un corpo umano o un corpo di lupo. Alcuni filologi hanno proposto tuttavia di correggere vŭ druzě tělě «nel doppio corpo» in vŭ drŭzě tělě «nel corpo valoroso». Ma si tratta di una congettura inutile e fuorviante, considerato il valore magico del personaggio, oltre che meno intensa dal punto di vista poetico (Bazzarelli 1991). È il vate Bojan a pronunciare l'epitaffio di Vseslav. La traduzione da noi seguita è quella di Bazzarelli, dove si legge «né l'astuto, né il saggio, né l'esperto stregone» (Bazzarelli 1991). In precedenza Danti traduceva «né allo scaltro, né all'abile, né all'uccello agile» (Danti 1979). Il problema sta nella parola pĭticiju «uccello», che L. A. Bulakovskij ha proposto di emendare in pitĭcyn «stregone» (Bulakovskij 1978). Pubblicato con permesso del sito
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