L'OTTOCENTO ITALIANO ED EUROPEO
DAL CONGRESSO DI VIENNA
ALLA VIGILIA DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE


LA “DESTRA STORICA” AL GOVERNO

La classe dirigente che governò il Paese dall'unità fino al 1876 si era formata alla scuola di Cavour, era liberale moderata e fu chiamata “Destra storica”.

Dare vita ad un nuovo Stato non era certo compito facile, considerando i grandi squilibri esistenti tra le varie regioni italiane ed i problemi economici derivanti anche dai costi delle guerre risorgimentali che gravavano sul bilancio del giovane Stato.

Il disavanzo delle finanze statali superava nel 1866 il 60% dello stesso bilancio. Prima di potere programmare una politica di sviluppo economico del Paese bisognava inoltre fornirlo di una rete di infrastrutture (prima fra tutte l'ampliamento della rete ferroviaria), condizione ormai essenziale dello sviluppo, il che significava una politica di lavori pubblici per la quale necessitava molto denaro.

Obiettivo prioritario dei governi della Destra fu quello di risolvere questi due problemi: non fu trovata altra soluzione che quella di adottare un sistema di prelievo fiscale estremamente rigido, in un momento molto duro per tutta la popolazione italiana, specie per quella meridionale meno agiata e che più di altri aveva pagato il prezzo dell'unificazione.

La rivolta di Palermo del 1866 fu l'episodio più clamoroso di protesta di un'intera città contro la politica governativa.

Prescindendo da un giudizio sui sacrifici imposti ad una popolazione cui le lotte risorgimentali avevano dato ben altre prospettive, è merito della Destra il raggiungimento del pareggio del bilancio dello Stato (1876) ed il notevole incremento della rete ferroviaria (quadruplicata in termini di chilometri dal 1870 al 1880).

La produzione industriale non aveva tuttavia possibilità di estendersi, anche perché la politica fiscale rendeva minime le capacità d'acquisto delle masse, cioè la domanda di prodotti industriali.

Assai più critico è il giudizio che gli storici danno circa l'assetto politico - amministrativo che gli uomini della Destra diedero all'Italia.

Considerando le profonde differenze delle condizioni sociali ed economiche delle popolazioni delle varie regioni italiane, lo stesso Cavour prevedeva un decentramento amministrativo su basi regionali, la possibilità cioè per le varie regioni di amministrare la vita pubblica con margini di autonomia tali da rispondere ai problemi specifici che presentavano le regioni. Ben diverso fu l'orientamento di Bettino Ricasoli, nuovo capo di governo dopo la morte di Cavour avvenuta il 6 giugno 1861.

Egli infatti estese gli ordinamenti piemontesi a tutti i territori del regno, seguendo cioè la via opposta, quella dell'accentramento amministrativo. Furono create cinquantanove province italiane, in ognuna delle quali fu mandato un prefetto governativo.

Questa linea continuò di fatto a favorire la borghesia industriale del Nord, avvantaggiata soprattutto dall'abolizione delle dogane interne preesistenti all'unificazione, il che fece del Sud d'Italia un nuovo mercato per le industrie settentrionali e scoraggiò le pur minime iniziative industriali meridionali che, essendo ad un più basso livello produttivo, senza alcuna protezione, dovettero soccombere alla concorrenza delle industrie del Nord.

In una tale situazione di diversità iniziale tra Nord e Sud anche una misura unitaria come quella della confisca e della vendita dei beni terrieri ecclesiastici dette risultati disuguali. Al Nord significò infatti la fine di estesi latifondi e l'incremento della piccola proprietà agricola, al Sud al contrario determinò l'estensione del latifondo semifeudale perché furono i proprietari terrieri gli unici in grado di acquistare le nuove terre disponibili.


Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Moderna
 - Stampa pagina
Aggiornamento: 02/04/2014