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LA COSTITUZIONE AMERICANA - L'ANALISI

1. Ottenuta l'indipendenza dall'Inghilterra, gli Stati Uniti d'America
convocarono a Filadelfia, nel 1787, un'assemblea straordinaria, detta
Convenzione, per darsi una Costituzione. Uno storico che si accingesse ad
analizzare i documenti di questa Convenzione non dovrebbe assolutamente
prescindere dallo studio della campagna politica condotta dal blocco
borghesia/piantatori prima della sua convocazione, né da un esame del
comportamento tenuto da tale blocco al momento della ratifica da parte dei
singoli Stati della Costituzione. Come noto, infatti, nelle loro dichiarazioni
alle convenzioni di ratifica e nei pamphlets propagandistici rivolti alla
nazione, i federalisti (cioè i sostenitori della Costituzione) a volte
dichiarano l'opposto di ciò che i partecipanti alla Convenzione di Filadelfia
si dicevano a livello ufficioso.
2. Un'analisi comparata dell'ideologia federalista mostrerebbe che tale
ideologia si è sviluppata a tre diversi livelli: il primo era rappresentato
dalle opinioni personali dei federalisti, rintracciabili chiaramente nella loro
privata corrispondenza, indirizzata a federalisti come loro o comunque a persone
di fiducia; il secondo livello riguardava la loro piattaforma collettiva, in cui
le molteplici opinioni personali venivano ricondotte a un comune denominatore.
In questo senso si può affermare che la Costituzione del 1787 fu l'espressione
della volontà collettiva dei federalisti. Significativo è però il fatto che
si raggiunse una piena unità ideologica fra le concezioni di A. Hamilton,
leader intellettuale del nord-est borghese, e quelle di J. Madison, leader
politico del sud dei piantatori. Il terzo e ultimo livello fu la retorica e la
demagogia usate per ottenere i consensi delle masse popolari (vedi i suddetti
pamphlets e i discorsi alle convenzioni di ratifica). Molti storici americani
identificano tale retorica con l'ideologia tout-court dei federalisti, ma ciò
è assai riduttivo.
3. Fra i partecipanti alla Convenzione alcuni politici svolsero un ruolo
fondamentale nella stesura della Costituzione. Scarsa influenza invece ebbe G.
Washington, il presidente della Convenzione, ch'era stato comandante in capo
delle forze armate degli Stati nord-americani durante la guerra d'indipendenza.
Come ideologo, egli era nettamente inferiore a J. Madison, A. Hamilton, J.
Wilson, E. Randolph, J. Dickinson e G. Morris. In particolare, le idee di fondo
della Convenzione furono ispirate da Madison (detto “il filosofo della
Costituzione”) e da Hamilton. I leaders dell'ala moderata della rivoluzione
americana furono unanimemente ritenuti i capi della Convenzione. Non ci fu
nessun democratico di spicco tra loro, a parte naturalmente B. Franklin, il
quale però, avendo 82 anni e una salute cagionevole, non poté esercitare un
ruolo veramente attivo.
4. Quali furono gli ideali dei Padri fondatori dell'America e quali princìpi
essi incarnarono nella Costituzione? Anzitutto essi chiesero risolutamente di
cancellare gli articoli dell'accordo raggiunto da 13 Stati confederati durante
la guerra d'indipendenza (gli Articoli di Unione). Questo documento, approvato
dal Congresso Continentale del 1777, proclamava la volontà di associarsi in una
lega di fratellanza. Nell'articolo più importante (il secondo) si dichiarava
che ogni Stato avrebbe conservato la propria sovranità, libertà e indipendenza
nell'uso di quei diritti non espressamente delegati al Congresso Continentale.
Poiché il documento non faceva alcun riferimento alla supremazia della
Confederazione, gli Stati funzionavano come entità indipendenti, con i loro
propri governi. Tutti i diritti del Congresso, specie quelli esclusivi, erano
stati accompagnati da dichiarazioni che ribadivano la sovranità degli Stati. La
stessa applicazione dei diritti esclusivi, garantiti al Congresso, richiedeva il
consenso di almeno nove Stati. Era insomma evidente che l'adozione degli
articoli della Confederazione rifletteva un certo grado di immaturità
nell'autoconsapevolezza nazionale da parte degli Stati nordamericani
neo-indipendenti.
5. I membri della Convenzione di Filadelfia del 1787 erano convinti che i
poteri del Congresso Continentale dovevano prevederne un altro, molto
importante, senza il quale non avrebbe potuto sussistere l'esercizio del potere
di alcun organismo politico. Il Congresso -essi affermarono- era stato privato
del diritto d'imporre e riscuotere le tasse dirette e indirette, per cui se esso
voleva esercitare i suoi poteri col relativo appoggio finanziario, doveva prima
chiedere i fondi alle assemblee legislative degli Stati, restando sempre un loro
debitore. Non solo, ma esso era stato privato anche del diritto di regolamentare
il commercio interstatale, ovvero del potere d'impedire che scoppiassero delle
guerre economiche interne. Al Congresso, solo in teoria era stata concessa la
facoltà di arbitrare le dispute interstatali, in pratica esso non aveva i mezzi
per far valere le sue decisioni: al massimo esso poteva fare affidamento sulla
buona volontà dei governatori dei singoli Stati.
6. I delegati alla Convenzione di Filadelfia contestarono anche il fatto che
delle tre possibili forme di potere -legislativo, esecutivo e giudiziario- gli
articoli di unione della Confederazione prevedevano solo l'istituzione di un
corpo legislativo, quello appunto del Congresso. Il corpo esecutivo altro non
era che un settore di quest'ultimo. Il Congresso poteva disporre di qualunque
commissione per controllare l'applicazione delle sue direttive, sicché il
potere esecutivo risultava molto frammentato.
7. Infine venne sottoposta a critica l'intera organizzazione del Congresso.
La Camera infatti disponeva di membri che ogni anno dovevano essere confermati e
che potevano essere richiamati dagli Stati in qualunque momento. Alle assemblee
del Congresso ogni Stato aveva solo un voto, a prescindere dai delegati che
aveva inviato. L'esistenza del Congresso a volte rischiava d'essere
completamente dimenticata (una delle sue assemblee venne presenziata dai
delegati di soli tre Stati). Soltanto nel 1784 il Congresso decise di stabilire
un quorum per ratificare un accordo con l'Inghilterra, al fine di riconoscere
l'indipendenza nord-americana.
8. Fu così che la Convenzione di Filadelfia soppresse gli articoli della
Confederazione e approvò la Costituzione, in virtù della quale venivano
concessi ampi poteri al governo centrale e, ciò che più importa, si decideva
di considerare la legge federale superiore alle leggi degli Stati. Fra le
prerogative riconosciute al governo nazionale degli Stati Uniti, particolarmente
significativa era il diritto d'imporre e riscuotere le tasse dirette e
indirette, nonché la facoltà di regolare il commercio interstatale, di battere
moneta e di mantenere un esercito e una flotta. Il governo federale venne dunque
investito del potere “di spada e di borsa”, a lungo sognato da Madison,
Hamilton e altri. La Costituzione, le leggi e gli accordi stabiliti dal governo
furono dichiarati “legge suprema” del Paese, anche nel caso di contrasto con
le costituzioni e le leggi dei singoli Stati. Il Congresso Continentale avrebbe
preferito aggiungere altri articoli a quelli della Confederazione, oppure
emendare quelli già presenti, ma i membri della Convenzione non ne vollero
sapere: ormai era passata l'idea di creare una nuova Costituzione per un forte
governo centrale.
9. Un altro importante obiettivo dei federalisti era quello di rivedere
quelli che loro consideravano gli errori e i disastrosi princìpi gius-politici
incarnati nelle costituzioni dei 13 Stati, evitando che questi “mali”
apparissero nella Legge fondamentale. I federalisti non volevano assolutamente
che le costituzioni dei singoli Stati continuassero ad influenzare i processi
politici del Nord-America. Essi volevano sì una Costituzione per tutta
l'America, ma che difendesse con sicurezza gli interessi degli strati sociali
più alti: borghesia e proprietari di piantagioni.
10. Le costituzioni dei singoli Stati erano state adottate nella tappa
iniziale della rivoluzione americana (1776-77) e riflettevano l'ondata
rivoluzionaria delle masse e le forzate concessioni dei circoli borghesi e dei
piantatori. Ovunque erano stati proclamati il regime repubblicano e la natura
elettiva di tutti gli organi di potere. Nonostante le dure battaglie con i
moderati, nel 1776 il successo aveva arriso ai democratici della maggioranza
degli Stati, all'interno dei quali il diritto di voto era stato di molto
allargato e le elezioni del potere governativo avevano scadenze annuali. Ciò
che si temeva di più era il concetto politico borghese di “divisione dei
poteri”. In contrasto con i moderati, l'ala sinistra della compagine
patriottica diffidava profondamente del potere esecutivo e, al fine
d'indebolirlo, cercava di assoggettarlo alle assemblee legislative. E così, in
tutti gli Stati i governatori furono privati del diritto di veto e di molti
altri poteri amministrativi che i loro predecessori dei tempi coloniali invece
avevano. Le cosiddette “camere basse” potevano decidere lo stipendio del
governatore, avevano il potere di dimetterlo e di chiamarlo a rendere conto di
fronte alla corte. Non esisteva neppure il principio dell'unità e
indivisibilità del potere esecutivo: il potere del governatore infatti non era
limitato solo dall'assemblea legislativa, ma anche da un consiglio esecutivo
(che in Pennsylvania, p.es., fruiva di più prerogative del capo dello stesso
esecutivo).
11. Un significativo mutamento della situazione politica era avvenuto nel
momento in cui si ampliò in molti Stati americani il livello di rappresentanza
concesso alle contee di frontiera occidentali. Nell'ambito del potere di voto,
questo significò sia una crescita degli esponenti della piccola borghesia (come
i farmers e i negozianti), sia il declino dell'influenza dei voti degli strati
borghesi medi e alti dell'est. Senza questa riforma, la formazione del partito
democratico-rivoluzionario dei costituzionalisti in Pennsylvania sarebbe stata
impensabile. Fu proprio questo partito che detenne il potere per l'intera durata
della guerra anticoloniale e che realizzò molte aspirazioni progressiste. Senza
l'estensione dei livelli di rappresentanza per le contee occidentali,
difficilmente si sarebbe potuta creare a New York un'area parlamentare guidata
dal popolano Clinton.
12. Ma immediatamente dopo la guerra d'indipendenza, i leaders degli strati
borghesi più alti e dei piantatori cominciarono a criticare duramente gli “eccessi
democratici” degli anni rivoluzionari. In effetti, la straordinaria influenza
esercitata sulla vita politica dai patrioti americani produsse danni molto seri
agli interessi di classe dei proprietari. L'indignazione degli strati più
agiati ai princìpi democratico-rivoluzionari raggiunse l'apice nel
Massachusetts, durante la rivolta guidata da D. Shays (1786-87). Le esitazioni
dell'assemblea legislativa dello Stato (in particolare la sua Camera più
bassa), che non aveva alcuna intenzione di usare la forza contro gli insorti, e
l'assenza di un potere specifico del Congresso Continentale, col quale
intervenire nella difficile controversia, convinsero definitivamente le
categorie abbienti che il sistema politico emerso negli Stati Uniti era incapace
di garantire l'”ordine pubblico”. Per loro la sovranità popolare non era
altro che un sistema anarchico e dispotico, in quanto si “subordinavano” gli
interessi dei ceti più benestanti alla maggioranza nullatenente -come cercò di
dimostrare J. Madison alla Convenzione di Filadelfia. In particolare, E.
Randolph, un delegato della Virginia, R. Sherman, dal Connecticut, E. Gerry, dal
Massachusetts e molti altri moderati erano dell'avviso che il popolo doveva
essere escluso da una gestione diretta degli affari di governo.
13. Le idee di Madison e di Hamilton dettarono legge alla Convenzione. Essi
cercarono di dimostrare che ogni società è divisa in due fazioni o classi: una
minoranza ricca e una maggioranza con poca o nessuna proprietà. Hamilton
sosteneva che alla radice di questa inevitabile disuguaglianza c'era il possesso
della proprietà e che la libertà di concorrenza, nonché l'ulteriore sviluppo
dell'industria, avrebbero allargato il fossato che separava i ricchi dai poveri.
Madison la pensava in modo analogo. E per entrambi era evidente che, per
impedire che la maggioranza scatenasse il suo spirito “livellatore” e
risolvesse da sé tali contraddizioni, occorreva un forte potere politico
gestito dalla minoranza.
14. Tuttavia, rispetto all'ala più conservatrice, che rivendicava
l'abolizione tout-court delle principali rivendicazioni democratiche, Madison
proponeva (e in questo era appoggiato da Hamilton, da J. Rutledge, J. Wilson e
O. Ellsworth) di usare metodi più diplomatici, specie in riferimento al
problema della legge elettorale, la soluzione del quale, se non fosse venuta
incontro alle esigenze degli Stati, avrebbe indotto quest'ultimi a rifiutare
l'abbozzo della Costituzione federale.
15. Così, la decisione della Convenzione dell'87 di estendere i diritti di
voto, nelle elezioni nazionali, a tutti coloro che durante la guerra
d'indipendenza avevano fruito di questi diritti, non rappresentò altro che una
forma di concessione ai princìpi che ispirarono la rivoluzione americana. Non
bisogna però sopravvalutare l'importanza di questo passo. L'estensione del
suffragio riguardava solo i contribuenti del fisco, di sesso maschile e di razza
bianca, che allora costituivano circa il 4% della popolazione americana (120.000
su 3 milioni). Franklin era contrario all'introduzione del censo patrimoniale
nella Costituzione, ma la sua proposta venne respinta: si decise soltanto che
ogni Stato avrebbe avuto il diritto di fissare il proprio censo.
16. Peraltro, l'accettazione da parte della Convenzione della legge
elettorale, sancita dalle costituzioni dei singoli Stati, servì più che altro
come pretesto per ulteriori attacchi contro i diritti del popolo. Il primo
attacco fu proprio l'assegnazione al Senato di una speciale funzione di tutela
degli interessi della minoranza possidente. E questo proprio mentre si voleva
far credere che il potere del governo era stato creato per difendere ovunque e
comunque i diritti umani. Il Senato, in un certo senso, veniva a porsi come un
bastione di stabilità e di ordine: l'organo che più di ogni altro avrebbe
limitato gli “eccessi democratici” della Camera dei rappresentanti. Il che
era del tutto in contrasto con i princìpi di uguaglianza proclamati nella
Dichiarazione d'Indipendenza del 1776. Insomma, la Convenzione dell'87
riconosceva come supremo obiettivo dello Stato federale anzitutto quello di
tutelare gli interessi dei proprietari.
17. Quando, in questa Convenzione, si giunse a discutere sulla natura e le
funzioni del Senato, i partecipanti si divisero in due gruppi. Il primo esigeva
che si affidasse al Senato un'esclusiva funzione di classe; il secondo
-rappresentato dai delegati dei piccoli Stati- era del parere che lo si potesse
usare come strumento per controbilanciare il dominio degli Stati più grandi
nella Unione Federale. Naturalmente si giunse a un compromesso, ovvero a
difendere gli interessi di proprietà e a valorizzare il principio dell'uguale
rappresentanza degli Stati, ognuno dei quali, a prescindere dalla sua
popolazione, avrebbe ottenuto due seggi al Senato. Gli autori della Costituzione
furono comunque concordi nel considerare il Senato come uno strumento di
stabilità socio-politica, in quanto i suoi membri, di numero limitato,
avrebbero tenuto il potere per un periodo abbastanza lungo (sei anni). Il Senato
insomma avrebbe avuto molti più poteri della Camera dei rappresentanti (solo ad
esso, p.es., spettava di consigliare il presidente e approvarne le scelte in
materia di decreti federali e di stipulazione di trattati internazionali). Il
diritto di eleggere i senatori veniva concesso alle assemblee legislative dei
singoli Stati. Le elezioni avvenivano ogni due anni (dividendo il senato in tre
settori che si rinnovavano a rotazione). Tale regola aveva appunto lo scopo di
frenare ogni tendenza al rinnovamento espressa dagli elettori, poiché rendeva
praticamente impossibile in una sola tornata elettorale il formarsi di nuove
maggioranze: 2/3 dei “vecchi” senatori restavano sempre in carica.
18. Gli autori della Costituzione decisero anche di raddoppiare i termini
della legislatura della Camera dei rappresentanti (eletta ogni biennio, per voto
diretto, in proporzione agli abitanti) rispetto a quelli delle assemblee
legislative allo stesso livello. Seguendo l'esempio britannico, essi stabilirono
un livello di rappresentanza all'incirca equivalente a quello della Camera dei
Comuni. Nel momento in cui venne adottata la Costituzione, la Camera dei
rappresentanti del Congresso doveva avere 65 membri, mentre il numero di quelli
dell'assemblea legislativa dello Stato del Massachusetts era di circa 400.
Proprio quest'ultima Camera, che al tempo della rivolta di D. Shays tenne un
atteggiamento esitante, fu oggetto di aspre critiche da parte dei federalisti.
19. Di qui l'esigenza moderata di concedere un ruolo-chiave, per la tutela
degli interessi degli strati più elevati, a un'autorità esecutiva forte e
indipendente, nella persona del presidente. Non solo quindi si volle
ripristinare l'euroborghese divisione dei poteri, ma concedere anche ampie
prerogative statali all'esecutivo, considerato come unico e indivisibile (vedi
le tesi di Montesquieu). Un potere cioè che sapesse mettere in pratica, con
prontezza e decisione, con il massimo di concentrazione e centralizzazione dei
poteri, le leggi promulgate. Un esecutivo forte (nella persona del presidente)
avrebbe altresì garantito l'ordine pubblico interno e la difesa della patria
dai nemici esterni. Da questo punto di vista i moderati ritenevano che non la
repubblica ma una monarchia costituzionale sarebbe stato il governo più adatto
a un paese così vasto come gli USA. Fra i sostenitori di questa proposta vi
furono A. Hamilton, J. Dickinson, G. Morris, J. Brum e J. McClure. Ma l'idea non
trovò i necessari consensi. Si accettò invece la proposta di una durata del
mandato presidenziale di quattro anni. Anzi quando si discusse la questione dei
poteri presidenziali, non passò neppure la formula del potere esecutivo
indivisibile, in quanto si volle affiancare alle prerogative del presidente
quelle del Senato. Ciononostante il potere del presidente restava molto grande:
quasi si trattava di un “monarca eletto”, simile ai re d'Inghilterra del
'700 (non a caso egli aveva, e tuttora ha, il diritto di veto sulle leggi
approvate dalle Camere, il diritto di designare a vita, con ratifica del senato,
i membri della Corte suprema, che è l'unico organo autorizzato a decidere della
costituzionalità di una qualunque legge. Inoltre il presidente era ed è
comandante supremo dell'esercito e della flotta).
20. I partecipanti alla Convenzione non videro alcuna necessità di includere
nella Costituzione la Carta dei diritti (Bill of Rights), che era parte
integrante delle costituzioni degli Stati e che proclamava la libertà di
parola, di stampa, di assemblea, di coscienza e altre libertà non meno
importanti. Dopo la pubblicazione del progetto di Costituzione, i suoi autori
furono subito accusati d'essere antidemocratici. Essi cercarono di giustificare
il loro rifiuto della Carta dicendo ch'essa esisteva in tutte le costituzioni
degli Stati e la sua ripetizione nella Costituzione federale sarebbe stata
superflua. Ma la risposta non si fece attendere. Le forze progressiste
ritenevano che proprio il fatto d'aver dichiarato la Costituzione “legge
suprema”, obbligava ad incorporare in essa una Carta dei diritti. Gli articoli
di unione della Confederazione univano non la popolazione degli Stati Uniti ma
solo gli Stati, preservando la completa autonomia e sovranità di quest'ultimi.
La Costituzione non poteva agire così.
21. La violazione dei principali diritti umani e soprattutto di quello
dell'uguaglianza di tutti gli uomini davanti alla legge, era ben visibile nel
fatto che gli autori della Costituzione ammettevano lo schiavismo dei negri. Il
riconoscimento costituzionale di tale realtà fu, in effetti, il risultato di un
compromesso fra il nord-est borghese e il sud dei piantatori, al fine di
assicurare una stabile unione di tutti gli Stati. G. Morris, uno dei leaders
riconosciuti del nord-est, dichiarò che, di fronte alla scelta di mantenere
l'unità con il sud o di rispettare i diritti umani, preferiva un'alleanza coi
piantatori. In sostanza, il nord-est, con estrema disinvoltura, solo per
affermare l'inviolabilità della proprietà privata, sacrificò l'idea
dell'uguaglianza fra neri e bianchi americani. Non solo, ma la Costituzione
permetteva anche agli Stati del sud di estendere la rappresentanza politica al
Congresso, in considerazione del fatto che i 3/5 della loro popolazione era
composta di negri costretti ai lavori forzati. (In particolare si stabilì che
ogni schiavo fosse calcolato come i 3/5 di un uomo bianco nel computo della
popolazione, che doveva servire da base alla distribuzione dei seggi di ogni
Stato).
22. Il 17 settembre 1787 i Padri fondatori presentarono a Filadelfia il
documento ch'essi avevano redatto dopo averlo sottoposto al giudizio
dell'opinione pubblica americana. “Pubblica”, in realtà, sino ad un certo
punto, poiché meno del 3% della popolazione venne coinvolta nella ratifica
della Costituzione. Ci si limitò a tenere delle speciali convenzioni nei
singoli Stati. Le contestazioni al progetto di legge furono generali. T.
Jefferson e altri democratici furono meravigliati che la Costituzione non
specificasse il numero massimo di mandati per ogni parlamentare rieletto: essi
cioè temevano che il potere presidenziale si trasformasse in una monarchia.
Molti antifederalisti sostenevano che lo schema proposto per l'organizzazione
del Senato era un'abile manovra per istituire un governo di tipo aristocratico.
Tuttavia, le obiezioni maggiori vennero mosse contro l'assenza della Carta dei
diritti. Quattro Stati decisero di approvare l'abbozzo solo se fosse stato
integrato dalla suddetta Carta. Molti altri li seguirono in questa direzione.
Alla fine non si poté più ignorare la volontà di questi Stati. Nonostante che
due assemblee votassero contro (Rhode Island e South Carolina, rispettivamente
la più democratica e la più reazionaria), la Costituzione venne approvata,
poiché la Convenzione aveva stabilito che per la ratifica sarebbero stati
sufficienti nove Stati su tredici.
23. Dopo l'approvazione della Costituzione, vennero eletti nel 1788 il primo
presidente degli Stati Uniti: G. Washington, e il Congresso nazionale. Durante
la prima sessione del Congresso, nel 1789, fu proposto di includere la Carta dei
diritti nella Costituzione, sotto forma di “Dieci emendamenti”. La proposta
venne fatta da J. Madison e approvata. Rispetto all'assolutismo feudale del
XVIII secolo, questa prima borghese e repubblicana Costituzione fu senza dubbio
un passo avanti, ma rispetto alla realtà sociale e politica emersa dalla
rivoluzione americana, fu senza dubbio un passo indietro.
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