STORIA DELL'ORO


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Bretton Woods

I parte - II parte

La svalutazione della sterlina nel 1931 e del dollaro nel 1934, dopo il crac del '29, comportarono una brusca diminuzione del contenuto aureo di queste valute e quindi un aumento significativo del prezzo del metallo. Quando la maggioranza dei settori economici soffriva per la crisi e contraeva la produzione, le compagnie aurifere tendevano invece a ingrandirsi e ad aumentare la produzione, sfruttando il fatto che i costi per l'estrazione calavano.

Nel 1940 la produzione d'oro nel mondo capitalistico raggiunse l'apice con 1.138 tonnellate, il 40% delle quali ricavate dai giacimenti sudafricani, mentre al secondo e terzo posto vi erano Canada e Usa.

Viceversa, nei tre decenni successivi, con una industria mobilitata prevalentemente per scopi bellici, l'estrazione calò drasticamente (nel 1945 era di 654 tonnellate), tanto che nel 1942 gli Usa decretarono di fermare temporaneamente il lavoro nelle miniere, che tra l'altro era diventato sempre più costoso, diversamente da quello sudafricano, svolto in sostanza da neri in condizione di semi-schiavitù.

Nel 1945 i 2/3 delle riserve auree dei paesi capitalisti (circa 30.000 tonnellate) erano concentrati in fondi centralizzati e di questi ben 18.000 tonnellate erano nelle mani del governo Usa. La concentrazione dell'oro negli Usa, alla fine del 1949, raggiunse il punto di massima: il 70% delle riserve mondiali, cioè circa 22.000 tonnellate.

L'apice pre-bellico dell'estrazione aurifera mondiale venne tuttavia superato solo nel 1962 e per tutta la seconda metà degli anni '60 si stabilizzò sulle 1250-1300 tonnellate annue, di cui i 3/4 appartenenti al Sudafrica.

Nonostante l'inflazione, tipica dei periodi di guerra, il prezzo ufficiale dell'oro in dollari, fissato nel 1934, rimase invariato sino al 1971: questo prezzo era di 35 dollari per oncia (quindi circa 1,1 $ per grammo), corrispondente al contenuto aureo della moneta Usa. (*) Sulla sua base gli organi finanziari esteri e le banche centrali potevano acquistare oro, ossia scambiare dollari contro oro, presso il Tesoro americano. Modesto era il divario fra il prezzo ufficiale e quello libero di mercato (p.es. l'oro acquistato dagli orefici, dalle ditte elettroniche ecc.).

Il sistema valutario mondiale, sorto nel dopoguerra, fu una conseguenza della supremazia politica, economica e militare degli Usa e sancì lo strapotere del dollaro, che divenne a livello mondiale una specie di duplicato dell'oro, anche se non per i cittadini privati.

Questo sistema fu chiamato "Bretton Woods", dal nome di una piccola cittadina balneare dello Stato del New Hampshire (Usa), dove nel 1944 si riunì la conferenza finanziaria internazionale di 45 paesi, che fece nascere, oltre all'organizzazione internazionale per il commercio (ITO) e alla banca mondiale (BIRS), anche il Fondo Monetario Internazionale, che iniziò le sue operazioni nel 1947. Il sistema rimarrà in vigore fino agli anni '71-'73, allorché gli Usa rinunciarono definitivamente alla convertibilità mondiale del dollaro in oro.

I padri fondatori di questo sistema furono l'inglese J. M. Keynes, che però morì nel 1946, e l'americano H. D. White, che però nel periodo del maccartismo risultò essere troppo di sinistra; accusato di sabotaggio e costretto a presentarsi nel 1948 al noto Comitato per le attività anti-americane, dopo qualche giorno dall'interrogatorio morì d'infarto.

Le loro vedute non erano affatto uguali, poiché Keynes pensava di restaurare le posizioni della Gran Bretagna, mentre White voleva consolidare il ruolo guida degli Usa.

Keynes proponeva che il credito del Fondo venisse concesso a larghe mani e liberamente, avendone l'Inghilterra urgente bisogno. White invece voleva che gli Usa diventassero il principale creditore. E alla fine la conferenza adottò il suo progetto.

Il FMI chiedeva ai paesi-membri non che il cambio delle banconote in oro venisse ristabilito all'interno dei singoli paesi e che l'oro tornasse a funzionare come moneta corrente, ma che essi facessero riacquistare all'oro il ruolo di metro del valore internazionale delle unità monetarie, la forma principale delle riserve valutarie e il mezzo finale di saldo del deficit della bilancia dei pagamenti.

Ogni paese era tenuto a fissare il contenuto aureo della propria moneta e a non apportare mutamenti alla parità delle valute senza il previo consenso del Fondo, era altresì tenuto a sopprimere le limitazioni alla reciproca convertibilità delle valute, assicurando libertà di movimento per merci e valute.

In pratica si introduceva una sorta di "gold standard internazionale", in cui le funzioni d'intermediario fra l'oro e tutte le altre monete erano svolte dal dollaro ("del peso e del titolo al 1° luglio 1944").

Questo significava che ogni paese doveva stabilire la parità della propria valuta col dollaro, cioè con una moneta appartenente a un'economia molto forte, mentre tanti altri paesi erano appena usciti da una guerra disastrosa. Quasi nessuno Stato aveva dollari in cassa, anzi molti furono costretti a vendere le loro ultime scorte d'oro al Tesoro americano, per ottenere i dollari necessari con cui acquistare materie prime, generi alimentari, impianti industriali...

Persino la sterlina subì seri contraccolpi: la sua parità iniziale infatti era stata fissata a 4,03 dollari, ma, poiché il peso delle due economie era molto diverso, nel 1949 l'Inghilterra si vide costretta a svalutare la propria moneta e a ristabilire la parità a 2,80 dollari.

Nel 1948 la Francia fu il primo paese a legalizzare la negoziazione di oro, seguita nel 1951 dalla Svizzera, paese che non aveva barriere né all’importazione né all’esportazione. Ma solo alla fine degli anni '50 l'Europa intera e il Giappone cominciarono a introdurre la convertibilità delle loro valute in dollari.

Ogni paese-membro doveva versare al Fondo 1/4 della propria quota di partecipazione in oro, oppure il 10% delle sue riserve d'oro in dollari: questa clausola fece sì che il Fondo diventasse in breve tempo uno dei maggiori possessori d'oro. A queste condizioni l'Urss rinunciò alla proposta di aderire al Fondo.

Gli Usa stavano progressivamente aumentando le loro riserve auree e tenevano in ginocchio tutte le altre divise mondiali. Alla fine del 1949 le loro riserve auree raggiungevano la cifra record di 21.800 tonnellate, circa il 70% di tutte le riserve del mondo capitalistico.

Da notare che nel 1950 la riserva aurea americana superava di quasi sette volte l'attivo in dollari dei paesi esteri. Nel 1967 tale riserva arrivava al 78%, ma nel '71 era già scesa a 22%. Il motivo stava nella ripresa economica dell'Europa occidentale e del Giappone, che per gli Usa era troppo veloce.

Nel 1954 riaprì il mercato di Londra e negli anni sessanta ci fu una rottura d’equilibrio tra domanda ed offerta, in quanto la grave crisi del dollaro indusse diversi operatori a forti acquisti d’oro. Questa è la prima volta che l’oro assunse il ruolo di bene rifugio a fronte dell’instabilità del dollaro.

Alla fine del 1960 gli Usa possedevano 15.800 tonnellate d'oro (circa il 44%) e alla fine del 1971 solo 8.600 tonnellate (circa il 21%). Il 15 agosto 1971 l’amministrazione Nixon decise di sopprimere la convertibilità tra dollaro e oro, facendo così crollare uno dei pilastri del sistema di Bretton Woods.

Quindi sino alla fine degli anni '60 gli Usa avevano potuto tranquillamente vendere o acquistare oro (nel periodo 1951-66 vendettero 13.200 tonnellate d'oro e ne acquistarono 5.100). Tuttavia, quando videro crescere il valore delle altre monete, per non rischiare di rimanere senza oro, bloccarono subito la parità fissa, lasciando che la riserva aurea variasse attraverso il libero mercato, con prezzi inevitabilmente soggetti a forti oscillazioni.

Il 17.03.1968 può essere considerata la data ufficiale della nascita del mercato dell’oro il cui prezzo viene determinato dall’offerta e dalla domanda.

Alla fine degli anni '60 il governo americano revocò anche la norma, che invece vigeva in molti paesi del Fondo, secondo cui le banconote e altro denaro creditizio doveva restare in parte garantito dall'oro.

Forti della loro economia di rapina e sfruttamento (a partire dalla dottrina Monroe), gli Usa potevano permettersi un qualunque deficit nella bilancia dei pagamenti, anche perché potevano estinguerlo con dollari cartacei, che gli altri paesi sarebbero stati costretti ad accettare e a conservare. Sicché nel vendere le proprie merci e ad accumulare i dollari, gli altri paesi non facevano che accentuare il processo d'inflazione in casa propria. Alla fine del 1967 gli Usa dovevano al resto del mondo circa 36 miliardi di dollari, di cui 18 a governi e banche centrali estere.

A partire dal 1971, dopo la fine della convertibilità dei dollari in oro, il prezzo ufficiale dell'oro perde la sua importanza (era stato portato nello stesso anno a 38 dollari l'oncia e due anni dopo a 42,2) e comincia a fluttuare liberamente.

Nel frattempo si forma una crisi del sistema monetario internazionale e i paesi produttori di petrolio aumentano il prezzo e diminuiscono la produzione. Venezuela, Brasile, Messico, Arabia… migliorano le loro condizioni economiche, anche se di fatto diminuiscono le loro richieste di petrolio, in quanto vengono cercati nuovi giacimenti da parte dei paesi industrializzati e si sviluppa la ricerca tecnologica di fonti alternative allo scopo di abbassare i prezzi del greggio.

Tuttavia l'inflazione tocca gravemente molti paesi del Terzo Mondo non produttori di greggio e anche gli Stati importatori di petrolio, specie nel biennio '74-'75. Si verifica un aumento del costo dei beni ed una conseguente svalutazione della moneta. In seguito si manifesta un periodo di recessione che porta ad una stagnazione economica risolvibile nell’82-'83.

Nel gennaio '76, con gli Accordi della Giamaica, entrati in vigore nel '78, il FMI restituiva la sesta parte della sua riserva ai paesi membri e un'altra sesta parte la vendeva sul mercato libero; i paesi-membri potevano lasciar fluttuare la loro moneta o definirne il valore attraverso un rapporto fisso con i diritti speciali di prelievo o altra divisa, fatta esclusione dell'oro.

Contro ogni previsione la demonetizzazione dell'oro lo fece salire alle stelle. La domanda da parte delle banche centrali e del FMI era molto elevata, per cui sul mercato libero già alla fine del '71 l'oro costava 44 dollari, alla fine del '72 ben 65, nel '74 arrivò a quasi 200 dollari e nel gennaio 1980 aveva raggiunto quota 850: in dieci anni era aumentato di 25 volte!

Da notare che questa incredibile performance borsistica non stimolò affatto la produzione aurifera; anzi, se si esclude il Brasile, ovunque si registrava un calo. Dopo il 1970 la produzione globale d'oro era calata in cinque anni di circa 1/4 stabilizzandosi sul livello di 950-970 tonnellate annue, di cui ben 680-700 prodotte nel solo Sudafrica. Questo ovviamente per assicurare ai produttori alti profitti e per conservare risorse irriproducibili.

Nel marzo del 1979, con la nascita del sistema monetario europeo, venne stabilito che i paesi membri dovessero versare il 20% delle loro riserve in oro ed il 20% delle loro riserve in dollari in cambio di ECU (poi chiamati EURO). Gli ECU pertanto, avevano come base l’oro e consentivano alle banche centrali di poter utilizzare le loro riserve auree.

Oggi il deficit federale degli Usa è sui 400 miliardi di dollari e quello della bilancia dei pagamenti è sui 500 miliardi di dollari. Per coprire questo deficit lo Stato deve prendere in prestito 1,5 miliardi di dollari al giorno e, attualmente, preleva il 40% dei risparmi mondiali. La stima minima di 2 trilioni di dollari di indebitamento estero (10 trilioni di dollari in mano agli stranieri contro 8 trilioni di beni americani all'estero) significa che il debito estero totale degli USA è già il 20% del PIL, un livello tipico di un paese del Terzo mondo. Attualmente l'1% del PIL americano è destinato a pagare gli interessi del debito estero consolidato.


L'ultima cosa può essere detta a proposito della rottura delle relazioni franco-americane, prima del terremoto del '71. Dalla fine degli anni '50 alla fine degli anni '60 la Francia aveva raddoppiato la produzione e i monopoli francesi iniziarono un'offensiva sui mercati esteri. Alla fine del '57 la Francia aveva riserve auree e valutarie per 645 milioni di dollari e, dopo solo un decennio, era arrivata a 7 miliardi di dollari. La Francia uscì dalla Nato, pose fine alla guerra coloniale in Algeria e migliorò le sue relazioni coi paesi socialisti. Chi la guidava era il governo De Gaulle (1958-1969).

Gli economisti francesi, Ch. Rist e J. Rueff, erano anti-keynesiani e vedevano la salvezza del capitalismo non nella regolazione statale, ma nel libero mercato e nella libera imprenditoria privata, per cui l'oro doveva essere la forma principale delle riserve mondiali e circolare intensivamente tra i vari paesi: l'oro non il dollaro. La Francia cioè voleva costringere gli Usa a pagare in oro.

I francesi, sempre stati amanti dell'oro, sin da quando nel XVIII sec. fallì la banca di emissione creata dal finanziere scozzese John Law (**), erano diventati dei veri e propri rentier, nella seconda metà del XIX sec., cioè dei capitalisti monetari che campavano di rendita sfruttando gli interessi dei loro prestiti e che per tale ragione avevano bisogno di una valuta stabile.

L'inflazione che iniziò nel 1914 e che si protrasse, con alti e bassi, sino all'introduzione del "gold standard", e che danneggiò sicuramente anche gli interessi dei rentier, convinse il governo De Gaulle a chiedere agli Usa la permuta dei dollari in oro, accumulatisi in Francia. Non solo ma lo Stato francese cominciò anche a togliere dalle banche statunitensi tutti i propri depositi in dollari.

Alla fine del 1967 la Francia manteneva sotto forma di oro il 75% delle proprie riserve internazionali e solo il 12% era rappresentato da riserve in dollari (il resto costituiva l'onere presso il FMI).

Se tutti i paesi capitalisti avessero seguito l'esempio francese, simultaneamente, le banche americane sarebbero fallite. Tuttavia, nonostante che gli Usa potessero contare sulla fedeltà di paesi come Giappone (che aveva riserve in oro per il 17% e in valuta per il 72%), Germania (la parte ovest aveva riserve in oro per il 52% e in valuta per il 35%), Italia, Canada, Australia..., il timore che l'atteggiamento della Francia potesse trovare molti seguaci indusse gli americani alla svolta del 1971. Una svolta che fece piombare il mondo intero nella più profonda depressione economica (1973-1975) dal 1930.


[*] Ai tempi di "Roma" l'oncia veniva utilizzata come unità di peso (ed anche di moneta). Pari ad 1/12 di libbra (1 Libbra oggi è 373,248 grammi), che all'epoca risultava essere di poco inferiore a 500 g. Nel corso dei tempi all'oncia vennero a corrispondere anche unità di lunghezza, riferite a frazioni del palmo, del braccio o 1/12 del piede.
Per i metalli nobili un'oncia oggi (2004) equivale a 31.1035 grammi (troy ounce) e quindi un'oncia vale mediamente 325.33 euro, quindi l'oro vale 10.46 euro al grammo. (torna su)
[**] Law fu una specie di inventore della cartamoneta. Egli infatti asseriva che, sostituendo nella circolazione monetaria, l'oro con le banconote, si sarebbe assicurata prosperità economica ai ceti meno agiati, che potevano essere grandi consumatori di cartamoneta e certo non di oro. Questo esperimento in Francia terminò con la prima grande inflazione di cartamoneta della storia. Law non fece che arricchire i cavalieri del profitto. (torna su)

Web Homolaicus

Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Storia dell'oro
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Aggiornamento: 12/11/2013