METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


INSEGNAMENTO E CONCEZIONE DELLA STORIA

Mao Tse-Tung (Mao Zedong)

Tutta la storia che facciamo studiare, soprattutto quella dei manuali scolastici, è la storia del "senno del poi", cioè una storia scritta per dimostrare che le cose si sono svolte in una certa maniera perché questa maniera era giusta, vera, anche se poi nei fatti gli avvenimenti sono avvenuti per ragioni tutt'altro che nobili.

Gli storici dei manuali scolastici sanno bene che non si può insegnare la storia dicendo ai ragazzi che gli avvenimenti sono accaduti per il gioco politico delle forze in campo, che ha reso inevitabili eventi eticamente ingiusti.

In questo sono pedagogicamente unanimi: non vogliono far portare sulle spalle dei ragazzi un peso superiore alle loro forze. Sanno cioè che la storia è fatta da "adulti" e che si rivolge, sul piano cognitivo, agli stessi adulti, per cui pensano che ai ragazzi al massimo sia sufficiente che acquisiscano le coordinate spazio-temporali in cui collocare i fenomeni e quelle di causa-effetto per interpretarli (ridotte, quest'ultime, a una semplice questione algebrica, tipica di tutti i Bignami).

I manuali di storia sono ancora impostati in maniera mitologica, come al tempo del fascismo, e ci vogliono far credere, con tutto il feticismo possibile, che la storia sia "maestra di vita". Noi non riusciamo a sapere la verità delle cose che ci sono vicine e pretendiamo di saperla di quelle più lontane? Nel migliore dei casi veniamo a sapere la verità delle cose quando lo scenario è completamente cambiato e il fatto di saperla è ormai diventato del tutto inutile (come la falsa Donazione di Costantino).

Ancora oggi p.es. non sappiamo quasi nulla della parte che ha avuto lo IOR nei crac finanziari, con omicidi annessi, di Calvi e Sindona: Marcinkus, che nessun tribunale al mondo è mai riuscito a interrogare, s'è portato nella tomba i suoi segreti, e sicuramente lo farà anche Andreotti, sponsor n. 1 di quei due bancarottieri.

E' lo stesso discorso che facevano Croce e Gentile quando dicevano che "non possiamo non dirci cristiani". Cioè per quale motivo dovremmo insegnare ai giovani che chi nella storia ha ragione ne esce quasi sempre sconfitto? Per quale motivo dovremmo dir loro che chi nella storia s'è imposto con la forza, ha poi dato della propria vittoria un'interpretazione falsata al 99%? Meglio dire che la ragione stava in ultima istanza, in definitiva, alla resa dei conti, dalla parte di chi ha vinto, a prescindere dai mezzi e modi usati e dai veri scopi che s'era prefisso.

In questa maniera i ragazzi non si demotivano, non si avviliscono, non hanno a schifo troppo presto il mondo degli adulti: vivono in un mondo di sogni, che gli verrà infranto solo in età adulta, quando delle vicende loro contemporanee non capiranno assolutamente nulla, se non il fatto che dalla violenza che li governa dovranno difendersi usando, nel loro piccolo, una violenza analoga.

Sotto questo aspetto preferisco organizzare una ricerca di storia locale, su personaggi, stili di vita, metodi di lavoro, abitudini alimentari... che nel loro territorio esistevano nei decenni scorsi, ancora visibili qua e là nelle campagne, nei ruderi del passato, nei musei della civiltà contadina, nei monumenti, epigrafi, tombe, nelle monete antiche, nelle fotografie... e da qui li invito a fare interviste agli anziani, riprese con la videocamera, ricerche in biblioteca, confronti sinottici...

Chi conosce Nicola Zitara? Dà un'interpretazione del Risorgimento e dell'unificazione nazionale opposta a quella di tutti i manuali scolastici eleaml.org

Io leggevo il suo testo L'unità d'Italia: nascita di una colonia già agli inizi degli anni '70 (edito dalla Jaca Book di CL). Eppure nessuna delle sue tesi è mai passata ufficialmente nei nostri manuali.

cfr anche dell'editore nuovimondimedia.it il libro di storia contemporanea Tutto quello che sai è falso.

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Che significa che la storia è un "metodo" che insegna a chiedersi la ragione dei fatti? Soltanto la storia? Qualunque disciplina dovrebbe in realtà essere impostata nella stessa maniera.

Anzi, se ogni disciplina prevedesse nel proprio statuto epistemologico una parte relativa ai fondamenti storici (in modo che p.es. anche chi fa matematica debba dare di ogni teorema i suoi presupposti storici), la storia potrebbe anche essere abolita come disciplina a se stante.

L'unica storia possibile (come disciplina) dovrebbe essere quella che fa comprendere l'attualità e, a tal fine, sarebbe compito dell'insegnante andare a cercare nel passato conferme, smentite, varianti sul tema, oggetto di discussione in classe.

Si potrebbe p.es. partire dal concetto di "democrazia", vedere come lo si intende oggi e come lo si è sviluppato nel corso dei secoli. Nel Medioevo p.es. non si parlava di "democrazia", ma saremmo degli sciocchi a sostenere che non ve n'era solo perché non se ne parlava (eppure tutti i manuali scolastici parlano di "secoli bui", di grande arretratezza rispetto al mondo greco-romano ecc.). Nella Grecia classica si parlava di democrazia tutti i giorni, eppure nessuno ha mai messo in discussione l'istituto della schiavitù.

E' del tutto nozionistica l'impostazione dei manuali di storia che partono dal passato per arrivare al presente. La scuola deve essere un servizio per l'oggi, per aiutare a comprenderlo e a migliorarlo. Il passato andrebbe studiato solo nella misura in cui le esigenze lo richiedono.

P.es. oggi viviamo sotto il capitalismo. Può essere interessante conoscere la transizione dal servaggio al lavoro salariato o dall'autoconsumo al mercato.

Se guardiamo i nostri codici civili e penali, la stessa organizzazione amministrativa dello Stato, può essere interessante sapere che la loro origine sta nelle riforme napoleoniche, mediate dai Savoia.

E poi siamo proprio sicuri che la storia sia un "metodo" per conoscere la ragione dei fatti? O è forse soltanto un "luogo semantico" in cui i fatti possono sì essere conosciuti, ma, a seconda delle interpretazioni che se ne danno (tutte le fonti storiche, in tal senso, non sono che interpretazioni), si possono anche mistificare, travisare, manipolare...?

Anche la politica, la pedagogia, la psicologia.... non sono che luoghi semantici in cui si scontrano interpretazioni opposte della realtà.

Una conoscenza oggettiva dei fatti storici è sempre una conoscenza parziale. Quanto più pretendiamo d'essere oggettivi, tanto più diventiamo astratti. Non a caso la conoscenza più oggettiva è quella matematica, che è poverissima di contenuto umanistico. Se la matematica non avesse trovato un'applicazione nell'informatica, sarebbe rimasta una scienza per pochi eletti (e mi chiedo se sia un caso che gli studenti provenienti dai paesi africani e sudamericani abbiano nozioni poverissime in questa disciplina), anche se chi insegna materie letterarie se la ritrova, in un certo senso, nell'impostazione della grammatica, in talune cose della geografia e persino nel genere letterario del giallo (!).

Per come noi oggi conosciamo la storia, cioè per come ci viene trasmessa dai libri di testo, dobbiamo dire ch'essa è solo la storia dei potentati economici e politici, è storia scritta, scritta da intellettuali che, nelle civiltà antagonistiche, hanno sempre fatto generalmente gli interessi di una stretta minoranza.

Nei confronti di queste versioni ufficiali dei fatti, che ci hanno voluto tramandare facendoci credere che fosse la verità nient'altro che la verità, noi abbiamo il dovere di esercitare la funzione del dubbio.

In particolare la storia basata sulla scrittura è la più ambigua, la meno affidabile. E' di gran lunga migliore la non-storia, quella tramandataci oralmente, attraverso le mille generazioni, collaudata nel tempo, patrimonio storico della cultura contadina, che è stata completamente distrutta dalla scienza basata sull'esperimento da laboratorio.

Per millenni si è andati avanti senza sapere che il sole sta fermo, che la terra è tonda e che l'universo è in espansione... Com'è possibile non guardare con sospetto il fatto che la borghesia, nel mentre diceva la "verità" di queste scoperte, ne approfittava anche per imporre il proprio stile di vita, il proprio modo di produrre?

Ci sentiamo davvero più sicuri oggi, con tutta la nostra scienza? Quando la Germania scatenò le due guerre mondiali era forse un paese di trogloditi? E lo erano forse le altre nazioni europee che non seppero e addirittura non vollero impedirlo?

Siamo proprio sicuri che le nostre conoscenze astronomiche, per l'uso quotidiano che ne facciamo, siano di molto superiori a quelle egizie, maya, celtiche, druidiche...? Non l'aveva già detto Paolo, nella sua totale ignoranza delle leggi fisiche dell'universo, che tutta la creazione soffre le doglie del parto?

* * *

Se c'è uno strumento lontano mille miglia dal poter essere utilizzato didatticamente sono proprio gli attuali manuali scolastici di storia, che in genere vengono elaborati da docenti come noi, i quali non hanno fatto alcuna ricerca storica, essendosi limitati a "bignamizzare" i testi dei loro colleghi universitari, molti dei quali effettivamente hanno potuto lavorare sulle fonti storiche, dando sfoggio della loro erudizione, ma senza aver cognizione di causa circa l'approccio didattico alle fonti. Abbiamo fatto tutti l'università no? C'è forse stato un docente che ci abbia detto come la loro disciplina andasse insegnata didatticamente agli studenti?

La diversità tra i manuali universitari di storia e quelli che usiamo noi sta nel fatto che nei nostri vi sono esercizi di verifica, apparati iconografici, mappature, glossari, sintesi "estreme"... il tutto per agevolare, invogliare, semplificare ecc.

I nostri manuali di storia non permettono alcuna ricerca, proprio perché non sono impostati sul piano della metodologia ma solo su quello dell'apprendimento mnemonico di contenuti dogmatici.

Un libro di storia dovrebbe essere fatto unicamente di fonti, con domande interpretative da parte del curatore e al massimo (ma in questo caso farei uno specimen apposito per il docente) con le risposte effettivamente date a quelle domande e con quelle che si sarebbero potute dare se le cose fossero andate diversamente (storiografia del "se"). In questa maniera si lascerebbe campo aperto alla discussione in classe.

Un altro modo di fare ricerca storica (che in molte scuole ha preso piede) è quello di adottare un monumento locale, lavorandoci sopra a 360 gradi: cosa rappresenta per la cittadinanza locale, perché lo si è voluto, come preservarlo tecnicamente, come tramandarne la memoria ecc.

L'Istituto storico della Resistenza di Forlì organizza vari laboratori didattici permanenti. Qui alcuni materiali illustrativi: www.criad.unibo.it/isr-forlicesena/didattica/pdf/032001.pdf e www.criad.unibo.it/isr-forlicesena/didattica/pdf/01_2005.pdf

Poi ci sono varie attività didattiche organizzate da associazioni culturali relative p.es. a come si faceva il pane una volta, un codice miniato ecc.

Si fanno anche piccole rappresentazioni teatrali su taluni eventi storici.

Detto questo debbo francamente dire che non solo sul piano del metodo ma anche su quello dei contenuti i manuali di storia lasciano grandemente a desiderare. Sembra che si siano addirittura messi d'accordo preventivamente tra loro nel volerci far credere:

  1. che l'Europa occidentale ha espresso la civiltà più significativa della storia;
  2. che questa civiltà è diventata significativa a partire soprattutto dalla rivoluzione borghese, scientifica e industriale;
  3. che lo era già al tempo del mondo greco-romano, "rovinato" dalle invasioni cosiddette "barbariche";
  4. che la religione migliore del mondo è quella cristiana, specie quella della confessione cattolico-romana (qui Giorgio Spini, ch'era valdese, non la pensava ovviamente così).

A proposito di religione, a volte mi capita di dire a quelli che nelle nostre scuole la insegnano: nei paesi islamici studiano il Corano dalla mattina alla sera, senza mai metterlo in discussione, imparandolo quasi a memoria. Noi ci vantiamo d'essere scientifici, ma ci si limita a dei libri di testo di religione che spesso alle superiori non vengono neppure adottati: perché non far fare ai ragazzi la ricerca diretta sulle fonti, invitandoli a scoprire, p.es. tramite un confronto sinottico delle fonti, canoniche ed apocrife, cristiane e pagane, dove sono possibile le lacune, le manomissioni-interpolazioni, le concordanze-discordanze ecc.?

I grandi esegeti della storia del cristianesimo fecero così: Bauer, Strauss..., ma già Spinoza aveva impostato il metodo.

E' incredibile che in un paese cattolico come il nostro l'ignoranza in materia di religione sia così abissale. La massa ha delegato al clero il diritto d'interpretare le fonti della propria religione, quando i protestanti lo esercitano tranquillamente da almeno mezzo millennio.

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E' impressionante vedere con quanta sicurezza molti insegnanti ritengano che la storia sia una scienza. Immagino che in classe non pongano troppe "domande"...

Se costoro fossero esistiti nel Medioevo avrebbero fatto credere con la dovuta energia che la Donazione di Costantino era un documento incontrovertibile, inconfutabile...

Ci abbiamo messo infatti 700 anni, e grazie al contributo degli intellettuali greci fuggiti da quella Costantinopoli che i latini avevano fatto a pezzi già con la quarta crociata, prima di scoprire che quel documento era un falso patentato.

Intellettuali greci, bizantini? Ma questi erano di religione ortodossa! E che cos'è la religione "ortodossa"? In tutti i libri di storia (e purtroppo non solo in quelli scolastici) ci dicono ch'essa si è separata da quella romana, che è scismatica, scomunicata (le reciproche scomuniche se le sono tolte solo ai tempi di Paolo VI). Eppure nei paesi ortodossi s'insegna esattamente il contrario, e cioè che sono stati i cattolici a separarsi dalla "retta fede".

Di tutto l'impero millenario (legittimamente "romano") di questa religione (476-1453) i libri di storia citano pochissime cose: il cesaropapismo dei basileus (altro termine inventato dal clero latino che voleva essere papocesarista), il 1054, le crociate (di cui però si dice fossero dirette solo contro gli arabi e che la IV fu una disgrazia imprevista), il fatto, falsissimo, che l'impero cadde in mano turca perché non volle sottomettersi ai latini e altre perle del genere.

E che dire delle crociate baltiche? Settecento anni di storia che non esistono neppure nei nostri manuali (cfr www.homolaicus.com/storia/medioevo/baltici/).

Di queste censure omissioni interpolazioni falsificazioni... presenti in tutti i libri di storia, di ogni scuola di ogni ordine e grado, ve ne sono a decine.

Dunque di che scientificità occorre parlare? Non esiste la storia, esiste solo la sua interpretazione, che è quella voluta dai poteri dominanti. Dai quali dobbiamo continuamente difenderci ipotizzando una diversa interpretazione dei fatti.

E' un'esegesi contro un'altra esegesi, un'ermeneutica contro un'altra ermeneutica... e lo sarà sino alla fine dei tempi. Perché alla verità al massimo ci si avvicina, lentamente, faticosamente, senza smettere mai di cercarla, senza mai dare nulla per scontato...

Non esiste un solo concetto che non possa essere oggetto di interpretazioni opposte. Questo è l'unico dogma che bisognerebbe essere disposti ad ammettere.

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Nella scuola media si fa solo nozionismo e non cultura semplicemente perché si fanno le stesse cose delle superiori riducendole di contenuto. Il nozionismo è un peso tanto più avvertito quanto più piccoli sono i nostri studenti.

Faccio ora un esempio tratto dal testo di Alba Rosa Leone, Dal villaggio alla rete: cap. di Napoleone.

Al par. 3 spiega che ad un certo punto, dopo l’istituzione delle cosiddette "repubbliche sorelle" volute dall’imperatore, "nel sud in particolare migliaia di contadini e intere bande di briganti formarono, sotto la guida del card. Ruffo, l’esercito della Santa Fede che marciò contro la repubblica partenopea... riportando i Borboni sul trono".

Poi, dopo aver riempito il paragrafo di nomi, lo conclude dicendo: "Analoghi movimenti sanfedisti insanguinarono il Lazio, la Toscana e il Piemonte, dimostrando l’incapacità dei nuovi governi di coinvolgere nei programmi di rinnovamento le masse rurali, povere e analfabete". Punto!

Cosa capisce un ragazzino di scuola media? I manuali di storia sono tutti così: è come se si copiassero a vicenda.

Come si poteva evitare il nozionismo? Semplicemente partendo dalla vita dei ragazzi. Ponendo alcune domande su taluni comportamenti. In questo caso chiedendo loro: come ci si deve comportare quando, rispetto a tutti gli altri, si sa o si pensa di aver ragione? Se dopo aver detto le proprie ragioni, gli altri continuano ancora a non credervi, come ci si deve comportare? Quando si pensa di aver ragione è giusto usare la forza per dimostrarlo? Ci sono altri strumenti che si possono usare?

Domande di questo genere se ne possono fare a centinaia. Sempre più precise, circostanziate, contestualizzate nello spazio e nel tempo, sempre più riferibili a situazioni in cui sono coinvolti gli adulti, i genitori, gli insegnanti, i protagonisti della storia.

Quali protagonisti? Qui abbiamo solo Napoleone, perché purtroppo la storia ci viene imposta dal Miur e dagli editori in maniera cronologica (lineare) e non tematica (trasversale).

Ma potevano starci anche tutti i rivoluzionari, tutti coloro che in nome di "una" loro verità, ritenuta con evidenza storica, "la" verità, hanno cercato, chi di proporla, chi d’imporla, facendo o dicendo di fare gli interessi di pochi o di molti.

In questa maniera i ragazzi avrebbero avvertito i loro atteggiamenti come appartenenti a una storia molto più grande delle loro piccole storie, ma non per questo così lontana.

L’importante insomma è che le risposte non vengano dal "libro" (al massimo dovremmo essere disposti ad accettare una fonte coeva agli avvenimenti trattati), ma dalla discussione su talune domande.

La lezione riesce quando i vari punti di vista si confrontano democraticamente, quando emergono opinioni condivise e soprattutto quando sono i ragazzi che ad un certo punto si mettono a formulare nuove domande.

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Ancora oggi noi usiamo parole come "Medioevo", "impero bizantino", "barbari" ecc. che i protagonisti storici avrebbero ritenuto del tutto incomprensibili se non addirittura inaccettabili. P.es. il termine "Medioevo", che pur ci appare così cronologicamente neutro, è alquanto dispregiativo: considerare mille anni di storia (che poi in Europa orientale furono molti di più e spesso con caratteristiche meno "feudali" delle nostre) come una sorta di "intermezzo barbarico" tra due luminose civiltà: quella greco-romana e quella umanistico-borghese, sicuramente non è il modo migliore per valorizzare delle popolazioni che, proprio nella gestione della terra, seppero realizzare cose che la civiltà greco-romana mai si sognò: p.es. la rotazione delle colture, l'uso dei mulini a vento o a marea, la nuova bardatura a spalla del cavallo da tiro (una scoperta che ebbe sull'agricoltura un'influenza pari a quella del timone per la navigazione), la ferratura dello zoccolo del cavallo, ecc.

La storia che studiamo e che facciamo studiare non è altro che un'interpretazione basata sulla superiorità della nostra civiltà borghese rispetto a tutte le altre. Quando gli umanisti elaborarono la parola "Medioevo" (o "età di mezzo") lo fecero con intenzioni nettamente spregiative, proprio per designare un'epoca di barbarie, che stava tra gli "splendori" del mondo greco-romano e i nuovi splendori della modernità.

Ancora oggi, nonostante le varie rettifiche operate a partire dal XIX secolo, il Medioevo resta in tutti i principali manuali scolastici un'età buia. Il crollo dell'impero romano viene addebitato più a fattori esterni (i barbari) che non a quelli interni (schiavismo, fiscalismo esoso, autoritarismo politico-militare, persecuzioni anticristiane ecc.).

E il passaggio dal feudalesimo al capitalismo è sempre visto come una sorta di riscossa, di riscatto, di liberazione dal duro prezzo che s'è dovuto pagare alle invasioni barbariche. Tanto che quando si fanno "concessioni" al Medioevo (Capitani, Le Goff, Sestan...) è sempre e solo in riferimento al periodo che più somiglia al nostro, cioè quello che parte dalla rivoluzione comunale.

Che storia è questa? Qui c'è un vizio interpretativo di fondo. Il Medioevo è stato in realtà una grande esperienza di collettivismo agrario, seppur a sfondo religioso. Un'esperienza che ha assunto forme molto diverse tra l'area bizantina e quella cattolico-romana, ma che in ogni caso ha caratterizzato l'evoluzione della storia dell'Europa orientale almeno sino alla fine dell'Ottocento.

Non si può squalificare un'esperienza del genere solo perché oggi non siamo clericali o solo perché abbiamo realizzato un'enorme rivoluzione tecno-scientifica. E' del tutto fuorviante sostenere che il livello di "civiltà" di un dato periodo storico possa essere misurato sulla base del solo progresso tecnologico, senza fare riferimento ad alcun altro indice sociale. Sarebbe come dire, oggi, che il livello di sviluppo di un paese è unicamente misurabile dal suo prodotto interno lordo.

Gli stessi Marx ed Engels ebbero il torto di sostenere, salvo poi ricredersi quando s'accorsero che Il capitale veniva letto soprattutto in Russia, che i popoli slavi erano "senza storia".

Questo per dire che i libri di storia rischiano spesso d'apparire come i più ideologici di tutti i manuali scolastici, al punto che parole come "destra" e "sinistra", applicate a questa o quella storiografia, hanno un significato semantico prossimo allo zero.

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Nell'arco di una vita se ne vedono troppe per poter credere in qualcosa di incontrovertibile. Le interpretazioni sono troppo condizionate dalla politica, dalle ideologie dominanti (esplicite o implicite), dalle forme di civilizzazione e, sul piano soggettivo, anche dalle proprie storie personali.

E questo soprattutto in riferimento alle scienze umane, per quanto anche su asserzioni cosiddette "scientifiche", del tipo: "la matematica non è un'opinione", ci sarebbe da discutere all'infinito, essendo ormai ben noto che enunciati assolutamente inconfutabili sono poverissimi di contenuto dialettico o anche semplicemente informativo, e che la nostra "matematica" non è l'unica possibile (i cinesi p.es. usavano la numerazione binaria quando da noi non si sapeva neppure cosa fosse, e i Maya conoscevano la numerazione a base 20 che permetteva loro di fare calcoli molto più complessi di quelli che facevamo noi nel loro stesso periodo).

Per queste e molte altre ragioni non si dovrebbe mai per scontato che in un futuro dominato da idee di sinistra sia impossibile tornare a considerare p.es. Nietzsche un irrazionalista, diversamente da come oggi fa il cosiddetto "pensiero debole". Kant è stato riscoperto nella seconda metà dell'Ottocento e utilizzato per revisionare addirittura il marxismo!

Io sono favorevole al relativismo, in quanto accetto l'idea marxista secondo cui la pratica è il criterio della verità, per cui questa non può essere dimostrata semplicemente sul piano teorico. Che poi è la stessa cosa che diceva, con altre parole, Gentile col suo "atto puro".

La pretesa di opporre una verità a un'altra verità, senza il sostegno della pratica, è pura esercitazione scolastica e porta all'intolleranza dogmatica. Chi ha paura di una svolta a destra dovrebbe anche sapere che è sempre nella pratica che la sinistra deve dimostrare d'essere superiore. E pratica vuol dire tante cose: attività extraparlamentare, primato della piazza, conferenze-convegni su ogni tema caldo, uso massiccio dei media (soprattutto radio-tv), ecc.

Non serve a niente voler cercare di dimostrare la verità di certe teorie (come fa tutta la sinistra estremista, che è convinta d'aver ragione solo perché le teorie che professa una qualche ragione una volta l'hanno effettivamente avuta). Bisogna far vedere che i fatti parlano da soli.

E' la mancata soddisfazione dei bisogni che fa muovere le masse. Le persone più consapevoli dovrebbero soltanto organizzarle attorno al problema di come risolvere questa insoddisfazione. E' inutile scannarsi sui principi. Lenin lo diceva di continuo: "se resto coerente ai principi perdo il senso della realtà". Proprio perché la realtà, mutevole com'è, ci obbliga continuamente a rivedere le posizioni acquisite.

Pensiamo solo all'ambiguità del concetto di "sviluppo". Il 100% degli economisti nazionali lo lega a quello di "prodotto interno lordo", cioè a indici non sociali ma economici, non ambientali ma produttivi, non qualitativi ma quantitativi. La destra su questo non capisce nulla, ma la sinistra capisce forse di più? Marx ha forse mai messo in discussione il fatto che le forze produttive dovessero svilupparsi sulla base delle conquiste scientifiche della borghesia?

Anche la coscienza verde, quando dice che la natura va tutelata da qualsiasi intervento umano, ovvero quando chiede delle riserve naturalistiche talmente protette da farci entrare al massimo degli scienziati, che senso ha?

Capisco che fino a quando non saremo in grado di comportarci come perfetti ambientalisti, è meglio, per sicurezza, tenerci fuori da tali oasi, ma questo atteggiamento fa piuttosto venire in mente gli esperimenti del socialismo utopistico nel XIX secolo, questa volta però senza gli esseri umani. Questo per dire che il compito di fronte a noi è talmente grande e gravoso che sarà già molto se la nostra generazione riuscirà a porre le basi minime minime per poterlo affrontare.

* * *

Fino a qualche "decennio" fa le opere di Nietzsche, malgré soi, erano le predilette dal nazismo e non circolavano neppure nella Russia bolscevica. Oggi invece il cosiddetto "pensiero debole" (Vattimo e Cacciari, che si rifanno ad Heidegger) si arrampica sugli specchi pur di dimostrare che l'irrazionalismo non c'entra niente con Nietzsche.

Non è forse questa una riprova che la storia è dominata dal relativismo dei valori e delle concezioni di vita?

D'altra parte se uno potesse sapere in anticipo tutti i possibili usi strumentali delle proprie teorie, probabilmente non scriverebbe neppure una riga. Einstein continuamente ribadiva di non considerarsi il padre dell'energia atomica: era un peso troppo grande da sopportare.

Nietzsche non ebbe il tempo di vedere un bel nulla, neppure il fatto che il governo prussiano faceva mettere un suo volume nello zaino del fante impegnato nella I guerra mondiale.

Per cui non starò certo qui a dire che una tesi superatissima non è in realtà che una tesi caduta di moda, come l'aristotelismo ai tempi di Agostino, riscoperto dalla Scolastica bassomedievale.

In fondo chiunque ha il diritto di sostenere che la malattia mentale di un individuo non rende "malata" anche la sua teoria.

Ma anche questa è solo un'opinione. L'importante è lasciare aperta la discussione, senza porre veti o anatemi alle tesi altrui.

Da franchi dibattiti spesso vengono fuori cose imprevedibili. Se gli stalinisti sovietici avessero potuto immaginare che la perestrojka avrebbe fatto implodere il comunismo da caserma, probabilmente il colpo di stato l'avrebbero fatto nell'85 non nel '91.

Forse anche la chiesa romana se avesse civettato meno coll'umanesimo e col rinascimento, non avrebbe perduto nel 1517 mezza Europa.

E' curioso, molti sostengono che la storia non si fa coi "se" e i "ma", eppure proprio nel momento in cui la si fa (specie nelle occasioni rivoluzionarie) è tutto un "se" e tutto un "ma".

Perché ci piace così tanto avere delle interpretazioni univoche della realtà? Pigrizia del pensiero? Timori di attività didattiche antipedagogiche? O forse si è convinti, inconsciamente, che l'unico modo di affrontare una realtà sempre più contraddittoria sia quello d'aggrapparsi a certezze meramente teoriche? Non è anche questa una forma illusoria del razionalismo occidentale e forse del razionalismo qua talis?

Non è curioso che tutti i manuali scolastici di storia (questi golem contronatura) invece di far capire allo studente che nel mentre si prendevano decisioni epocali esistevano tesi contrapposte, preferiscano dirgli che una sola ha vinto e che proprio per questo, evidenter, meritava di vincere?

La storia andrebbe fatta ponendo le fonti dell'epoca in modo parallelo, un po' come fanno gli esegeti quando devono esaminare la questione sinottica, onde verificare concordanze e discordanze.

Lo studente diverrebbe così contemporaneo ai fatti studiati e noi smetteremmo di costringerlo a guardarli col senno del poi.

E i fatti da studiare dovrebbero essere pochi, quelli paradigmatici dei destini dell'umanità.

Mi piacerebbe una storia universale per grandi categorie di pensiero... Così peraltro smetteremmo di fare della storia euroccidentale il faro antinebbia di tutte le altre storie.

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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015