METODOLOGIA DELLA RICERCA STORICA
Dalle conoscenze alle competenze, passando per le opzioni


UNA NUOVA PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA

Pier Paolo Vaccari

La storia, comunemente intesa, la si fa incominciare circa 6000 anni fa, con i Sumeri.

E’ da lì che partono in generale i programmi scolastici.

Se poi uno si domanda il perché, la risposta ricorrente è la scrittura.

E’ infatti con la scrittura che vengono documentati i fatti e ne viene conservata appunto la memoria storica. E’ quindi con la scrittura che si fa cominciare la storia; ben s’intende con un uso della scrittura comunemente praticato; ché la pura invenzione di simboli grafici risale a molto tempo prima.

La scrittura si diffonde appunto in quell’epoca come uno strumento idoneo a fissare i rapporti commerciali e amministrativi caratteristici dello sviluppo sociale legato alla formazione di grandi comunità urbane.

Ma allora è il verificarsi di tali forme di urbanizzazione che deve essere considerato all’origine del fenomeno, di cui la scrittura rappresenta solo una manifestazione. Si riconosce cioè l’origine della storia in quell’epoca in cui, per cause diverse, si andarono a formare agglomerati urbani più o meno grandi, con conseguente sviluppo dei commerci, sia di beni immobili, che di beni mobili, in primis certamente dei metalli, che costituivano una esigenza primaria della comunità, con tutte le conseguenze circa l’insorgere di conflittualità per il possesso di cave e miniere.

Peraltro questo fenomeno della formazione di agglomerati urbani non dovette essere affatto un passaggio spontaneo e naturale nella sua evoluzione.

Esso comportò necessariamente un cambiamento di rapporti gravido di conseguenze per gli equilibri millenari preesistenti.

Mi riferisco in particolare all’evoluzione del rapporto uomo–donna, che in conseguenza di tutto ciò ebbe una sua nuova definizione epocale.

Infatti, a fronte di quanto unanimemente accertato da tutte le ricerche antropologiche, che danno per sicuro il carattere matriarcale delle società umane nella cosiddetta preistoria, ecco che già si riscontra in alcune società urbane di circa 6000 anni fa una dominanza maschile oramai indiscutibile e fortissima.

Tanto potrebbe bastare per concludere che la storia che noi conosciamo è appunto, sic et simpliciter, la storia di tale dominanza.

A scanso di equivoci va detto che quando si parla di carattere matriarcale nelle società preesistenti non s'intende affatto un dominio della donna sull’uomo, ma una reale parità di genere; quella per la quale Riane Eisler aveva coniato il termine “gilania”, unendo le due radici “gi” (donna) e “an” (uomo).

Nel momento quindi in cui l’aggregazione urbana favorisce e rende necessaria l’adozione di forme organizzative innovative rispetto al clan preesistente, ecco che l’uomo maschio scopre finalmente un proprio ruolo, al di fuori e al di sopra della famiglia; un ruolo tale da farlo emergere al rango di protagonista primario. E’ l’inizio di un cammino impetuoso. Non vi sono più limiti alla sua fantasia.

La necessità di trovare dei riferimenti esterni, in luogo di quelli interni mancanti, a differenza della donna che ha in se stessa e nella propria funzione ogni possibile riferimento, offre all’uomo innumerevoli sbocchi.

Diviene la molla per sviluppare ogni genere di ricerca applicata alla società, nonché l’impulso a dar luogo alla formazione di comunità di maschi (eserciti), in grado di affermare con la forza un potere assoluto, relegando la donna a un ruolo domestico e subordinato, quando non sottomesso.

E’ altresì da mettere in assoluta evidenza come proprio in quest’epoca abbiano cominciato a prender corpo paradigmi altamente e universalmente apprezzati in tutto il corso successivo della storia, anzi considerati ai vertici di ogni scala di valori.

Ci riferiamo alla Civiltà e alla Religione, in nome dei quali l’uomo ha potuto in seguito giustificare ogni sorta di sopraffazione.

Sulle conseguenze di tale passaggio, che si sono protratte fino ai nostri giorni, facendo della storia umana un orribile mattatoio, è inutile soffermarsi.

Non può peraltro essere sottaciuto per così dire il rovescio della medaglia, inquadrabile nella stessa fattispecie, cioè l’innescarsi di quel processo di elaborazione delle conoscenze, che non ha conosciuto soste, e che è generalmente apprezzato con il nome di ”progresso”, ma che pure si è tradotto spesso e volentieri in “oppressione dell’uomo nei confronti della natura.”

Così questo arco di tempo di circa 6000 anni, breve di per sé, ma denso di eventi, potrebbe essere letto e interpretato alla luce di un’unica chiave di lettura, quella appunto della dominanza maschile, quale periodo antropico della storia umana. Una divisione inedita, che però coglie un carattere che si pone a monte di quelli normalmente considerati nella storiografia corrente.

Una tale impostazione potrebbe anche far balenare l’ipotesi che il periodo di cui si tratta possa considerarsi in qualche modo concluso.

In effetti non pochi sintomi indurrebbero a crederlo, visto che in ogni campo la donna sta oggi guadagnando terreno.

Probabilmente l’uomo ha definitivamente esaurito le sue carte.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che non vi siano più guerre in Europa, né a livello globale.

Lo spazio è oggi aperto alla donna, perché l’uomo non c’è più (!?)

Se è così si pone un quesito: la donna, oggi, è ancora lei, quella di un tempo, oppure ha introitato tanto della mascolinità, da non poter ormai rappresentare altro che una brutta copia della mascolinità stessa? Possiamo solo nutrire la speranza che, pur cambiando, sia rimasta ancora lei, perché la maternità non ha subito variazioni.

Sempre che sia così, è sul piano culturale che dovremmo forse attenderci le modificazioni più profonde. L’immenso edificio della cultura edificato dall’uomo nei secoli non rischierà di divenire gradualmente un edificio abbandonato?

Ancorché sia così, si tratterebbe della più grande rivoluzione della storia, condotta al femminile, cioè senza parere.


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Enrico Galavotti - Homolaicus - Sezione Storia - Metodologia della ricerca storica
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Aggiornamento: 01/05/2015