ATEISMO FILOSOFICO NEL MONDO ANTICO
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IV. Atomismo e ontologia pluralistica Ci è ora possibile affrontare l’analisi della filosofia leucippea in modo corretto, avendo preliminarmente chiarito che si deve escludere dal suo orizzonte il fumoso e improbabile alunnato di Leucippo presso Zenone di Elea, poiché non vi è, a dispetto di tutte le forzature ermeneutiche di cui ha sofferto, alcun punto di contatto col pensiero parmenideo e ancora meno con quello zenoniano, che è incentrato su questioni logico-dialettiche completamente estranee al mondo ionico a cui Leucippo appartiene, nonché all’indagine fisico-naturalistica che lo guida. Siccome però è difficile pensare Leucippo come un fungo che spunta improvvisamente nel bosco del pensiero greco, occorre vedere se sia possibile individuare qualche ascendenza della sua filosofia che risulti più plausibile. Noi pensiamo che non possano esserci dubbi sul fatto che la filosofia leucippea si colleghi “direttamente” a quella di Anassagora (che la precede di non moti anni), della quale costituisce una sorta di affinamento speculativo, ma con la quale mantiene molti punti di contatto, individuabili nell’analogia nous/movimento e in quella omeomerìe/atomi. D’altra parte è solo il caso di ricordare che entrambi i filosofi provengono dallo stesso contesto culturale, quello della Ionia (265), che era già stata la culla del pensiero fisico-naturalistico del VII e VI sec. a.C. E tuttavia vi è in Leucippo una novità fondamentale rispetto ad Anassagora ed è la teorizzazione di un nuovo concetto fisico, il vuoto (266), in cui accade tutto ciò che di reale può accadere e senza il quale non accadrebbe nulla. Già i pitagorici avevano parlato in qualche modo di vuoto, ma esso era in un certo qual senso “incoerente” con la teoria dei numeri e quindi improprio in quel contesto. Per gli Eleati poi, com’è noto, il vuoto era concetto fuori causa, semmai relegabile nell’impossibilità del non-essere. Leucippo, invece, elegge proprio il vuoto a fondamento della propria fisica, mettendo con ciò in mora quel concetto di non-essere eleatico fino a convertirlo (semmai ne avesse tenuto conto) in origine e culla dell’essere (quindi esso stesso elemento d’essere in quanto lo rende possible). Ma, ed è novità rivoluzionaria, il Nostro sostituisce l’unità del cosmo con una dualità strutturale, che è a sua volta origine di una pluralità di costituenti elementari indivisibili (267). Una filosofia che quindi non può, come sostiene qualcuno, partire dall’unità eleatica per “salvare” la molteplicità dei fenomeni, ma che parte da questa per teorizzare il rapporto cosmogonico vuoto-movimento-atomi, in modo completamente avulso ed estraneo all’“essere” parmenideo. Ma a ben vedere il concetto di vuoto posto da Leucippo corrisponde esattamente a quello di spazio-vuoto in senso moderno, da ciò il modo completamente nuovo con cui questo ionio del V sec. a.C. concepisce la realtà, con importantissime ricadute anche nel campo scientifico. Aristotele (che nega il vuoto sia perché esso sarebbe infinito e sia perché in esso non ci sarebbero “luoghi” reali e quindi sarebbe impossibile il movimento) rimane invece concettualmente “aldiquà” del vuoto leucippeo (268), che mostra di non comprendere, sostituendovi il suo concetto di spazio, come sede del moto dei corpi fisici in un universo statico ed immutabile. Il più importante scritto di Leucippo, l’opera in cui risultava esposta la sua teoria fisico-cosmogonica è, come si è già visto (269), la Grande Cosmologia, che deve essere sempre tenuta ben distinta dalla Piccola Cosmologia, invece di Democrito. A causa di oscure vicende, a cui si è già accennato, quest’opera fondamentale della filosofia greca è andata in gran parte dispersa, venendo inoltre in seguito perlopiù assegnata al più famoso e assai meglio documentato allievo (270). Fortunatamente una parte di essa ci è pervenuta attraverso Aezio, dossografo non sempre attendibile, ma che in questo caso, per la coerenza discorsiva del frammento, sembra doversi riferire a una descrizione che potrebbe non scostarsi troppo dall’originale. Si tratta del frammento 289 dal Doxographi Graeci di Diels (più tardi 67.A.24 [271]dei Vorsokratiker), che ci offre verosimilmente un passo importante della Grande cosmologia, ma che si colloca sicuramente (si noti l’inciso “allora”) dopo un’esposizione preliminare andata perduta nella quale dovevano esser teorizzati il vuoto, gli atomi e l’infinità dei mondi (272):
Fin qui si possono evidenziare i seguenti punti: a) l’universo ha un “inizio”, b) ha una forma “curva”, c) gli atomi si muovono di “moto veloce e intermittente” (274), d) questo moto è “casuale” (275), e) gli atomi si stratificano nel vuoto in base al loro “peso”. Ma proseguiamo:
Prosegue il criterio “densimetrico” di stratificazione dei corpi e la formazione del moto ventoso circolare (il “vortice”), dove il vento generatore è la forza che in un certo senso ordina la struttura cosmica e custodisce il movimento (277). L’acqua si genera dalla terra “per compressione” e va a riempire i bacini naturali che l’accolgono mentre altri ne genera con la sua erosione. Si noterà che fin qui la moltitudine degli atomi pare andare a costituire i classici quattro elementi già visti in Empedocle; il fuoco, l’aria, la terra e l’acqua. Ma mentre nel filosofo di Agrigento questi erano originari ed eterni, in Leucippo non lo sono; essi sono già infatti natura “secondaria”, di grado derivato da quella originaria (gli atomi) di cui sono soltanto aspetti macroscopici percepibili. Nei suoi repertori documentali il Diels (Doxographi Greci del 1879 e Die Fragmente der Vorsokratiker del 1903 e seguenti) ha posposto al frammento da cui sono tratti i due passi che abbiamo citato (e con lo stesso numero di catalogo) un brano di provenienza completamente diversa, che egli ha tratto dall’Epistola a Pitocle di Epicuro resaci da Diogene Laerzio. Ancorché tale associazione verrebbe a confermare la nostra tesi, in quanto nella penultima frase si esprime chiaramente contro la necessità, affermando:
ci sembra corretto non accettare questo “incollaggio”, in quanto si tratta di un testo epicureo e soltanto in via induttiva riferibile ad un precedente testo leucippeo. Anche se sembra assai probabile la mala fede di Epicuro nel negare l’esistenza di Leucippo ciò non significa che egli, in questo brano dell’Epistola a Pitocle, “ripeta” un passo della Grande cosmologia, mentre è assai più probabile che egli faccia riferimento alla Piccola cosmologia di Democrito, certamente più nota all’epoca e probabilmente ancora in circolazione e di cui contesta però la necessità causale a fronte di un «come si opina comunemente» e di un «come sostengono alcuni dei cosiddetti “fisici”». Com’è noto Epicuro, infatti, col concetto di “declinazione” della caduta degli atomi (parenklisis-clinamen), re-introduce il caso nella fisica atomistica. Proprio quel caso che Democrito aveva espunto e sostituito con la necessità. Riteniamo qui opportuna una breve digressione di carattere scientifico, per sottolineare come la teoria atomistica leucippea riveli sì delle straordinarie intuizioni, ma come rimanga comunque assai lontana dalla realtà fisica che la scienza moderna va evidenziando. L’atomo reale è, in effetti, costituito di un minuscolo “pieno” dotato di peso (il nucleo) e di un (proporzionalmente) enorme “vuoto”, che lo circonda e in cui si muovono gli elettroni (che hanno peso quasi nullo). L’atomo è quindi una struttura costituita nella massima parte dal vuoto e con al centro un nucleo infinitamente piccolo, ma che può pesare anche relativamente molto. C’è di più, il peso è realmente un “pieno”; infatti un atomo di piombo è più pieno di uno di ferro, poiché il suo peso, ovvero la sua massa, è 207 contro 56 circa, dove questa massa è data dal numero di protoni e neutroni che costituiscono il nucleo. Quanto maggiore è il numero di queste particelle pesanti tanto meno l’atomo è vuoto. Presi due corpi standard di eguale volume (per es. 1 dm) dei due metalli, quello di piombo è realmente “più pieno” di protoni e neutroni rispetto a uno di ferro, ed inversamente “meno vuoto”. Se prendiamo un atomo leggerissimo come quello dell’idrogeno (che ha massa 1) potremo dire che esso è 56 volte più vuoto di quello del ferro e 207 volte più vuoto di quello del piombo. Riteniamo pertanto che un enunciazione della teoria di Leucippo che non tenesse conto di queste nostre precisazioni (e venisse gabellata tout court per “anticipazione” della fisica moderna) potrebbe generare equivoci gnoseologici assai gravi. Infatti, gli atomi leucippei (a differenza di quelli reali) sono “tutti pieni” e per di più “forme” e non masse. Concludiamo l’analisi del frammento Dox. 289 della Grande Cosmologia per ribadire (reperita juvant) come Democrito, introducendo e legando assieme i due concetti di necessità e di vortice, per un verso abbia effettuato una sostituzione della causa cosmogonica “prima”, ma nello stesso tempo, pur mettendo così in ombra il caso, non si sia poi peritato di negarlo chiaramente, lasciandolo così sussistere “sullo sfondo”. Da ciò il già citato equivoco aristotelico, che imputava agli atomisti le contraddizioni ben evidenziate nella Fisica (II, 4, 196 a 25-35) e da ciò la sviante identificazione dell’atomismo democriteo con quello del suo maestro, le cui disastrose conseguenze cognitive già abbiamo evidenziato al paragrafo 3.1. Ovviamente potrebbe anche risultare legittima la tesi che le modificazioni portate da Democrito all’interno dell’impianto leucippeo debbano essere considerate come una evoluzione di esso, nel senso che l’allievo abbia cercato di delineare un passaggio dal caos originario al relativo ordine del mondo reale attraverso l’ “inserimento” della necessità in termini di cogenza (per salvaguardare il relativo ordine del mondo reale). Ma anche ammettendo ciò, in ogni caso, le due versioni dell’atomismo differiscono per un punto di partenza assai rilevante, che non può essere omesso (come abbiamo già sostenuto) in quanto concettualmente dirimente. (279) Come abbiamo visto Aristotele mette insieme il caso leucippeo e la necessità democritea come l’aspetto biunivoco di una teoria sì interessante, ma fondamentalmente incoerente:
Ma ciò che è ancora più interessante è il fatto che egli ritenga qui che dal caso derivi, attraverso il vortice e il movimento, l’ordine. In altre parole, lo Stagirita ha perfettamente tematizzato l’evidente contraddizione caso/necessità insita nel “pasticcio” di cui è vittima l’atomismo e la compone riconoscendo il caso come origine del vortice e del movimento che crea l’ordine. Gli sfugge però che l’ordine per Democrito è diventato “necessitato” e che per una sorta di feed back concettuale la necessità va a sostituire il caso, contraddicendo con ciò Leucippo. Aristotele evidentemente non possedeva elementi storiografici che gli lasciassero intravedere la la dicotomia esistente tra l’originaria cosmogonia leucippea e le varianti democritee, ma non era giunto al punto di mistificare i dati al punto di minimizzare la teorizzazione del caso, come una sorta di appendice della necessità. Gli atomi per Leucippo erano delle pure “forme” della materia e ad avere peso erano unicamente i corpi da essi formati per aggregazione. Tali elementi “primi” si differenziano per “figura”, per “ordine” e per “posizione”. L’importanza delle teorizzazioni di Leucippo sono testimoniate dalla presenza (più o meno esplicita) di esse nelle trattazioni filosofiche posteriori, specialmente in quella di Aristotele. Si noti che persino l’idealista e anti-atomista Platone sembra quasi riprendere involontariamente il concetto di vuoto leucippeo là dove afferma (Timeo, 51 a, b):
E poco più avanti (52 d, 53 e):
Ma che cosa sono questo “essere”, questo “spazio” e questa “generazione” se non dei corrispondenti del “pieno”, del “vuoto” e del “movimento” di Leucippo? E tuttavia, è in Aristotele che noi ritroviamo maggiore attenzione ai principi dell’atomismo. Scrive egli nella Fisica (IV, 6, 213 b 31 - 213 b 1-4):
Veniamo ora al passo della Metafisica (I, A, 4, 985 b, 4-10) dove egli afferma:
Il passo è chiarissimo; se il vuoto e il pieno hanno pari dignità ontologica non si vede come il non-essere parmenideo (ciò che non c’è, ovvero ciò che è impossibile) possa diventare il non-essere leucippeo (ciò che c’è, ed è reale). Eppure vi sono a tutt'oggi degli storici della filosofia che (come abbiamo già sottolineato) osano ancora sostenere che gli atomi leucippei deriverebbero da un sorta di “frantumazione” dell’essere eleatico; per cui Leucippo non negherebbe il primato ontologico dell’essere di Parmenide (il tutto “pieno”) ma si muoverebbe ancora sempre “all’interno” della sua ontologia (285). Come abbiamo già rilevato, la patente arbitrarietà di una simile tesi è evidente: non solo Leucippo si oppone all’ontologia di Parmenide, ma la rovescia completamente. Il vuoto leucippeo (il non-essere) può essere infatti inteso anche quale realtà primaria che “rende possibile” qualcosa come l’essere in atto; infatti, può esistere un “pieno” poiché il vuoto genera (o almeno consente) il movimento che lo crea; perciò senza il vuoto il pieno semplicemente non esisterebbe. Mentre, in teoria, il vuoto (l’abisso di Esiodo o anche il “nulla”) potrebbe esistere indipendentemente dal pieno. Se la nostra analisi è corretta l’essere (il pieno) non è più “origine”, poiché è il vuoto (il non-essere) a diventarlo, assumendo questo pertanto una priorità ontologica che risulta del tutto opposta rispetto alla filosofia eleatica. Ma è il caso di soffermarci anche su un passo che incontriamo poco dopo (I, A, 4, 985 b, 13-20) in cui Aristotele muove agli Atomisti il rimprovero di non aver approfondito l’origine del moto:
Questo rimprovero non ci sembra giustificato, poiché allo Stagirita, in un eccesso di rigore analitico, sembra sfuggire che il movimento è intrinseco agli atomi e non una causa che agisce su di essi. Gli atomi di Leucippo sono tali in quanto dotati, come abbiamo visto, di un movimento intrinseco, continuo, casuale e imprevedibile. Sarebbe come se noi volessimo separare uno spin dallo spinning della particella elementare cui afferisce. Se pure Democrito, come vedremo, sembra ritenere questo moto intrinseco non attribuibile al caso (ma ad una necessità interna agli atomi stessi) rimane il fatto che questo movimento primario degli atomi (che Aristotele sembra confondere col moto secondario dei corpi) non può venire considerato a parte, essendo un attributo “proprio” degli atomi, inscindibile dal fatto stesso di “essere atomi”. Ma Aristotele coglie poi molto bene, e rende con chiarezza, il pensiero atomistico relativamente alla formazione e alle modificazioni degli enti (Della generazione e della corruzione I (A), 8, 324 b 35, passim sino a: 325 a 28) :
(265) Tra Clazomene e Mileto vi erano circa cento chilometri. (torna su) (266) Osserva l’Alfieri: «La premessa logica fondamentale dell’atomismo, per mettere il pensiero in accordo con l’esperienza, è l’affermazione della realtà, e quindi della pensabilità, del non-essere. E, posta l’identificazione eleatica, conforme all’indistinzione verità-realtà, tra essere e pieno, non-essere e vuoto, è così conquistata l’effettiva ed effettivamente pensabile esistenza del vuoto: che è il fondamento necessario per ammettere la molteplicità.» (E. V. Alfieri, Atomos idea, Le Monnier 1953, p. 50). (torna su) (267) Nota il Farrington: «La logica richiedeva che alla base del mondo della mutabilità ci fosse qualche sostanza permanente. Il buon senso richiedeva che la chiara testimonianza dei nostri sensi relativa all’esistenza di un mondo molteplice e mutevole, non venisse sacrificata alle pretese della logica. La dottrina di Leucippo soddisfaceva entrambe le esigenze.» (Op.cit. p. 48). (torna su) (268) Va notato che il concetto di vuoto in Leucippo è molto significativo per intuire l’assoluta grandezza di questo poco conosciuto, trascurato ed “equivocato” filosofo. Ma si equivocherebbe ancor più se lo si considerasse un’anticipazione del vuoto fisico reale (cosmico e quantistico) quale ci viene reso noto dalla scienza contemporanea. In effetti questo è un “quasi–pieno” di particelle “virtuali” (ma sperimentalmente rilevabili) che, in un certo senso, sono “in lista d’attesa” per divenire realtà. Ciò che ha preceduto il big-bang è proprio questa pseudo-realtà “non-ancora-reale”: un vuoto quantistico in attesa di dar vita a particelle elementari di materia “reale”. (torna su) (269) Cfr. § 3.1 pp. 98-99. (torna su) (270) Va comunque notato che gli esegeti moderni tendono a riattribuire la Grande Cosmologia a Leucippo. Anche lo Zeller era di questo avviso e sull’argomento ha scritto: «Il fondatore della dottrina atomistica è Leucippo. Le idee di questo filosofo ci sono tramandate però in modo incompleto, che tra esse e le opinioni del suo discepolo Democrito non potremo operare una distinzione nel corso della nostra esposizione. Da questa comunque risulterà che tutti i fondamenti del sistema sono già contenuti nelle teorie del maestro e che il suo famoso discepolo, come indagatore della natura, non fa che costruire le sue tesi su di essi, senza modificarli in alcun punto essenziale.» (E. Zeller – R. Mondolfo, La filosofia dei greci, vol. V, La Nuova Italia, Firenze 1969, pp. 137-140). (torna su) (271) Il Diels ha associato a questa prima parte della testimonianza una seconda parte, tratta dall’Epicurea dell’Usener, che noi riteniamo non riferibile a Leucippo e verosimilmente (ne ha tutti gli elementi) concernente invece la fisica epicurea. (torna su) (272) È singolare come la tesi della pluralità dei mondi posta da Leucippo attraversi la storia della filosofia con numerosi ritorni (basti pensare a Giordano Bruno) per trovare conferma da parte di non pochi cosmologi moderni (Dennis Sciama, Andrei Linde, Lee Smolin e altri). La pluralità dei mondi è implicita anche nella cosiddetta Teoria delle Superstringhe ed è sottintesa nella teoria del Pre-big-bang che di essa è figlia, formulata all’inizio degli anni ’90 da Gabriele Veneziano (il “primo padre” della teoria delle stringhe). Secondo questo fisico teorico il big-bang che ha dato luogo al “nostro” universo non è che la fase esplosiva di un processo formativo nato da un buco nero di grandi dimensioni, a sua volta nato (insieme a molti altri) in un vuoto quantistico preesistente ed a causa di una perturbazione di esso (cfr. "Le scienze", n. 429, maggio 2004, pp. 40-49). (torna su) (273) Atomisti antichi (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 113. (torna su) (274) Vittorio Enzo Alfieri individua nel suo Atomos idea (Le Monnier 1953, p. 84-85) tre specie di movimento impliciti nella teoria atomistica: 1) il movimento pre-cosmico, 2) il movimento cosmogonico e 3) il movimento degli atomi nel cosmo. (torna su) (275) La casualità può essere qui intesa nel senso posto dallo Zeller (E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, La Nuova Italia 1969, p. 189 e ss.), il quale però, stranamente, incorre, secondo noi, in qualche contraddizione, intendendo il “caso” come qualcosa di imputabile a cause non-naturali, ovvero come se si trattasse della divina Tyche: «Questo movimento si può chiamare casuale, solo se per casuale s’intende tutto ciò che non risulta da un’attività finalistica; ma se per casuale s’intende invece un evento che non procede da cause naturali, ciò non s’addice certo agli Atomisti, i quali invece affermano espressamente che nulla nel mondo avviene per caso e che tutto deriva necessariamente da cause precise;» e fin qui saremmo d’accordo anche noi, purché si sottolineasse che in tal caso (nella casualità) le cause “si sconnettono”, ovvero non sono linearmente conseguenti (cfr. Necessità e Libertà, § 3.3). Poi però lo Zeller aggiunge: «e del resto così anche Aristotele come i più recenti scrittori ammettono che gli Atomisti tengono fermo alla necessità di tutto ciò che accade senza eccezione, riconducendo anche ciò che sembra casuale alle sue cause naturali e riuscendo così a dare un’interpretazione rigorosamente fisica dei fenomeni naturali, con una coerenza sconosciuta ai loro predecessori.» e poi conclude con la frase più interessante (in cui noi cogliamo una patente contraddizione): « […]: la necessità naturale è per essi una forza che agisce ciecamente;». Infatti si dice proprio del caso che opera “ciecamente” e “senza necessità”; ma ci chiarisce poi appena dopo il suo punto di vista: «il loro sistema non conosce uno spirito creatore del mondo né una provvidenza nel senso più recente della parola;». Ma sia uno spirito creatore che la provvidenza non determinano forse “sempre” una “necessità” finalistica degli eventi naturali? E ciò non è forse messo in mora proprio dalla casualità? (torna su) (276) Atomisti antichi (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 113. (torna su) (277) Si notino le forti analogie col nous anassagoreo. (torna su) (278) Atomisti antichi (a cura di M. Andolfo), Rusconi 1999, p. 115. (torna su) (279) È interessante notare come lo Zeller, che parrebbe un convinto negatore del caso e invece assertore della necessità come principio-base dell’atomismo, si esprima nel seguente passaggio: «Essi [gli Atomisti] escludevano, d’altra parte, ogni spiegazione dei fenomeni naturali sulla base di concetti finalistici: la necessità naturale è per essi una forza che agisce ciecamente; […]» (E. Zeller-R. Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, La Nuova Italia 1969, p. 191). Se non vi è finalismo e se una forza generatrice agisce “ciecamente” (al di là di come la si voglia chiamare) mi sembra difficile sostenere che tale forza non sia proprio… il caso. (torna su) (280) Aristotele, Opere – vol. III, Fisica, Laterza 1983, p. 37. (torna su) (281) Platone, Opere complete, vol. 6, Laterza p. 406. (torna su) (283) Aristotele, Fisica (a cura di M. Zanatta), UTET, Torino 1999, p. 225. (torna su) (284) Aristotele, Opere, vol. VI, Laterza 1973, Metafisica, p. 19. (torna su) (285) Tesi espressa ripetutamente dagli ermeneuti idealisti del passato ed in tempi più recenti da Giovanni Reale. (torna su) (286) Aristotele Op. cit. ibidem (torna su) (287) Aristotele, Opere, vol. IV, Laterza 1983, Generazione e corruzione, pp. 43-45 passim. (torna su) |